Rapporto sullo stato della sicurezza in Italia


Roma, 02/09/2001


*** Presentazione del Rapporto del Ministro dell''Interno ***


Ringrazio il Ministro dell''Interno con sincerità, e quindi al di fuori dei doveri di cortesia istituzionali, per questo rapporto.
I dati saranno illustrati dal Ministro e naturalmente non intendo anticiparli.
Sul significato di questo rapporto è invece utile soffermarsi per qualche istante.
Questo è il rapporto della sconfitta dei luoghi comuni, quelli del crimine dilagante, dell''insicurezza crescente, della paura diffusa. Le città italiane sono tra le città più sicure del mondo e la paura del crimine non è così diffusa nella società italiana come potrebbe apparire dai mezzi d''informazione.
I dati statistici, anche i più seri, come questi, possono essere certamente discussi a lungo; soprattutto perché nella media nazionale si stemperano a volte i picchi di alcune aree.
Proprio per questo vorrei, a conferma delle linee guida del rapporto del Ministro, citare un dato economico, quello degli investimenti stranieri: un grande investitore ha oggi davanti a sè la scacchiera del mondo e decide di investire non a caso, ma laddove trova un ambiente più amico che altrove. Bene: negli ultimi quattro anni gli investimenti stranieri in Italia sono passati da poco più di 11 mila miliardi a circa 40 mila miliardi, quasi quadruplicati. In Sicilia si sono triplicati, in Calabria si sono quadruplicati, in Campania si sono quintuplicati. I dati sono dell''Ufficio Italiano Cambi.
Se l''Italia torna ad essere scelta; se le regioni che nel luogo comune generale sono le più appesantite dal crimine vedono addirittura crescere gli investimenti stranieri è segno che gli analisti internazionali conoscevano già lo stato vero delle cose al di là delle emozioni.
Perché allora questo scarto tra ciò che è e ciò che appare?
Tento una risposta.
Le politiche della sicurezza non devono fronteggiare soltanto il crimine, l''oggetto cioè che è loro proprio. Devono anche fronteggiare le politiche dell''insicurezza. Le politiche cioè che per ragioni diverse non tendono a garantire sicurezza, ma tendono a diffondere l''insicurezza. L''insicurezza è una delle poche aree che è insieme un mercato economico ed un mercato politico.
Un mercato economico perché suscita una domanda di beni e servizi; un mercato politico perché è terreno di acquisizione di consenso.
Inoltre le politiche dell''insicurezza, quel complesso di messaggi e di proposte che hanno lo scopo di alimentare l''insicurezza, hanno la virtù di autoavverarsi. Infatti, se si insiste a lungo nella proclamazione dell''insicurezza, prima o dopo un certo numero di cittadini riterranno davvero di essere insicuri indipendentemente dalla realtà. In questo quadro basta un evento criminoso, di per sé purtroppo nell''ordine delle cose, per avviare la creazione dell''allarme e dell''emozione, al di fuori di ogni ragionevolezza.
Mi ha colpito la differenza di trattamento nella comunicazione della questione, certamente grave, della mucca pazza, tra Francia e Italia. In Francia ci sono stati 287 casi; in Italia solo uno. Guardando alle polemiche nei due paesi, potrebbe sembrare il contrario.

Le politiche dell''insicurezza si combattono tanto con i risultati concreti quanto con le politiche della fiducia e della coesione civile.
Le nostre generazioni stanno vivendo qualcosa di radicalmente nuovo rispetto alle precedenti: il mutamento rapido dei contesti normativi, sociali, economici e finanziari all''interno dei quali si svolge la vita. Sono venute meno le categorie della fissità e della prevedibilità ed avanzano le categorie della flessibilità e della possibilità. Tutto questo genera ansia, incertezza, timore per il futuro: tutti terreni fertili per le politiche dell''insicurezza.
Questi stati d''animo non si recuperano con il ritorno all''antico, ma con politiche che tendono a costruire coesioni sociali, fiducia in valori condivisi, coraggio si affrontare la vita con tutte le sue difficoltà.
La classe dirigente ha il dovere, al di là delle sue divisioni, di battersi per queste politiche della fiducia che danno forza all''intero Paese e lo aiutano a vincere la sfida della competitività.
I dati e le interpretazioni che il rapporto ci fornisce ci consentono di dare forza alle politiche della fiducia e della coesione civile; se questi risultati ci sono e prima non c''erano, è segno che, al di là delle polemiche quotidiane, settori dello Stato hanno ben operato ed hanno ben garantito i diritti di chi vive nel nostro Paese.
Allora possiamo dire questo: le forze di polizia hanno ben operato e stanno ben operando. Un grazie quindi a tutti loro per quanto hanno fatto, per quanto fanno e per quanto continueranno a fare.
Un invito a tutti quanti noi a rafforzare la politiche della fiducia e a combattere le politiche della sfiducia.
Si può fare, indipendentemente dalle legittime divisioni politiche: anzi se i contrapposti schieramenti avessero come punto comune la politica della fiducia nel Paese, aumenterebbe a sua volta la fiducia del Paese nella politica e nelle istituzioni politiche.
La parola, adesso al Ministro dell''Interno per il suo rapporto.