Colloquio sul Novecento


Roma, Camera dei Deputati, 01/31/2001


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Sono grato a Rita Levi Montalcini, Vittorio Foa, Indro Montanelli e Leopoldo Pirelli per aver accolto l''invito della Camera dei deputati.

Sono particolarmente grato, poi, al Capo dello Stato che, con la Sua presenza, onora questa riflessione tra un giovane studioso e quattro grandi italiani che entrano nel XXI secolo circondati dal rispetto e dell''ammirazione.

Un secolo è solo un''unità convenzionale.
Tuttavia il fluire dei secoli ha fatto di questa unità qualcosa che assume una dimensione culturale e civile.
Riflettere in una sede come questa sul secolo che si è chiuso, con senso dell''umiltà ma anche con la consapevolezza della responsabilità che assumiamo rispetto a chi ci ha preceduto e di fronte a chi ci seguirà, è un modo per confermare il primato dell''intelligenza dei fatti sulla nuda ed opprimente sequenza degli eventi.

In questa sede sono avvenuti alcuni dei grandi fatti e delle grandi tragedie della storia d''Italia.

Nell''Aula di Montecitorio Giacomo Matteotti denunciò nel 1924 i brogli e le violenze del fascismo. Sempre nell''Aula di Montecitorio furono votate, quattordici anni dopo anni dopo, all''unanimità e con lo scrutinio segreto, le infami leggi razziste.
Proprio in questa sala, come ricorda una lapide posta alle nostre spalle, è stata proclamata la Repubblica.

Il Parlamento, nelle sue due Camere, ha rispecchiato più di ogni altra istituzione del nostro Paese la storia di questo secolo.
Nei suoi atti c''è lo specchio di tutti i lutti e di tutte le vittorie, di tutti i progressi e di tutte le sconfitte.

Nei suoi atti c''è l''Italia, come una giovane donna, piena di energia e con un''inesauribile memoria.

Nei lavori degli studiosi le rappresentazioni di questo secolo sono state assai spesso legate ad un''idea di esaurimento. Si è parlato volta a volta di fine della storia, di morte dell''arte, di fine del lavoro, di declino della politica.

In realtà, finchè non finisce l''uomo non finiscono né l''arte, né la storia, nè il lavoro, né la politica.

Perché allora questa sensazione di fine?

Quelle definizioni hanno colto in forma particolarmente incisiva solo un aspetto delle trasformazioni delle categorie tramandateci dal secolo precedente.
Sono finite le concezioni classiche della storia, dell''arte, del lavoro e della politica; sono finiti la modernità e gli Stati nazione.
Ma contemporaneamente sono nate, con la frenesia che prende chi sopravvive alla fine di qualcosa, nuove contraddittorie forme di quella stessa realtà o nuove realtà, come il post-moderno, l''Unione Europea, la globalizzazione.

Questo è stato più propriamente un secolo pieno di mutamenti, di metamorfosi e di nascite.

Gli orrori li conosciamo, con la loro unicità, dall''Europa, all''Asia, all''Africa, alle Americhe; ma i secoli precedenti non sono stati spazi angelicati.

Tuttavia, nonostante gli orrori del Novecento, in nessun secolo il genere umano ha fatto tanti progressi in termini di durata della vita, di espansione dei diritti individuali e collettivi , di uguaglianza, di possibilità di comunicazione, di sviluppo della persona umana.


Il novecento, alla fin dei conti, ha lasciato tante domande quante soluzioni, tanti inizi quante conclusioni.


Abbiamo ora davanti traguardi e obbiettivi che ci sembrano difficili da raggiungere e da superare.

Dobbiamo avere prudenza e coraggio. Entrambe queste qualità si rafforzano se guardiamo a quello che abbiamo già costruito e che è alle nostre spalle.

Guardare alla storia del secolo passato serve per affrontare i dilemmi che abbiamo di fronte, forti della consapevolezza che la razionalità ha portato progresso e civiltà quando si è saldata con la concezione dell’uomo come fine, e ha portato invece distruzione e barbarie quando è stata al servizio di una concezione dell’uomo come strumento o come merce.
Riflettere oggi sul significato del novecento significa recuperare il primato di una razionalità saldamente ancorata ai valori, affermare una cultura dei doveri che sorregga la realizzazione dei diritti, proporre una dimensione della politica che torni ad essere, con senso del limite, il luogo della progettazione, dell’idealità, della costruzione del futuro.

Rispetto alle incertezze che sono di fronte a noi potremmo correre il rischio di “rifugiarci” nelle testimonianze che oggi avremo il privilegio di ascoltare.

Ma se così facessimo andremmo, in realtà, contro lo spirito che, pur nella profonda differenza di esperienze, di ideali, di stili di vita, accomunano i nostri illustri ospiti.

Uno spirito che li ha portati ad attraversare il novecento con fiducia, con straordinaria capacità di vivere le trasformazioni, mantenendo ben saldi i valori di una Repubblica libera, evoluta, civile.

E noi li ringraziamo per avere vissuto la vita di cui ci parleranno, con lo spirito dei pionieri e con la saggezza dei maestri.