L’identità mediterranea


Nicosia, 01/08/2001


*** Seminario parlamentare italo-cipriota ***


Uno dei pionieri dell’archeologia cipriota, il tedesco Max Ohneflasch-Richter, ha scritto che l’isola di Cipro offre forse il più straordinario esempio in tutta la storia del mondo di un Paese in cui, secolo dopo secolo, le civiltà più diverse sono confluite, si sono incontrate e si sono mescolate.

Sono parole che, in certa misura, possono essere riferite anche all’Italia: la storia di entrambi i Paesi si è, infatti, sempre svolta nel segno del pluralismo culturale.

La geografia ha, del resto, collocato Cipro al centro del bacino orientale del Mediterraneo e l’Italia al centro di quello occidentale. I due Paesi, tuttavia, non sono stati soltanto luoghi di incontro e di scambio, ma anche e soprattutto centri di elaborazione e di irradiazione culturale.
Sin dal XV secolo avanti Cristo, le relazioni italo-cipriote hanno costituito un’asse portante dell’economia e della società mediterranea e contribuito allo sviluppo di grandi civiltà, come sarà illustrato nel corso dei lavori del seminario che oggi si inaugura.

Tuttavia dobbiamo sfuggire a quella che chiamerei la trappola mediterranea, una riflessione carica di reminiscenze e nostalgie, spesso del tutto sganciata dalla realtà e priva della capacità di costruire per il futuro.

Ciò che deve legarci è un impegno per il futuro più che una memoria del passato. Il passato non può essere considerato un rifugio contro il presente; deve essere considerato la base per progredire nel rispetto delle nostre identità.

Le vicende del Mediterraneo hanno sempre condizionato la vita dei nostri Paesi e continueranno a condizionarla.
Se ci saranno pace, sviluppo economico e giustizia sociale, i nostri Paesi e tutti quelli dell’area euromediterranea saranno liberi, prosperi e giusti.

In mancanza di ciò, molti popoli, in particolare quelli della riva Sud, sarebbero probabilmente condannati a subire una frammentazione egemonizzata dal modello di sviluppo delle economie dominanti o da estremismi religiosi. Nessuno di questi due rischi corrisponde ai modelli culturali prevalenti nelle civiltà che si incontrano da millenni nel Mediterraneo.
E i rischi si riverberebbero negativamente su tutti gli altri Paesi.

Il Partenariato euromediterraneo è nato per raccogliere tale sfida. Per la prima volta, il Mediterraneo non è stato considerato nel quadro tradizionale delle relazioni Nord-Sud o del rapporto tra aree sviluppate ed aree in via di sviluppo, ma come un soggetto unitario le cui parti hanno la consapevolezza di condividere un destino comune, all’interno di una regione che deve essere concepita in una prospettiva globale e non solamente bilaterale.

Per la prima volta, al più consueto terreno economico e finanziario si è affiancata una visione più matura ed integrata, che comprende anche i livelli della politica, della sicurezza, della cultura.

Ma il bilancio dei cinque anni trascorsi dalla Conferenza di Barcellona non può considerarsi soddisfacente.
Non si è ancora formato il consenso necessario per adottare la Carta per la stabilità e la pace; il tasso di crescita dei Paesi della sponda meridionale è modestamente attestato sull’1%; il dialogo culturale è impacciato dalla diffidenza che nei paesi della riva Sud si manifesta nei confronti dei modelli di vita occidentali e nei Paesi europei dalla diffidenza nei confronti dell''immigrazione clandestina e addirittura nei confronti della religione islamica.

Si ha l’impressione che né nel versante europeo né in quello extraeuropeo sia maturata la consapevolezza di una dimensione mediterranea dei problemi dell''Europa e di tutti i paesi delle rive sud ed est.
Hanno inciso per un verso l''allargamento ad Est dell''Unione Europea e dall''altro le difficoltà crescenti in Medio Oriente, i problemi derivanti dalla presenza turca in una parte dell''isola di Cipro e così via.

E tuttavia l''Europa non può pensare a sé stessa come realtà separata dal Mediterraneo, né può pensare al Mediterraneo come una grande Disneyland dove prendere il sole ed ammirare le bellezze naturali.
L’Europa ha imboccato in modo irreversibile la strada dell’integrazione, ma si trova ancora davanti ad un bivio: arroccarsi come se fosse una “fortezza dell’opulenza” in una versione riveduta e corretta dello “splendido isolamento” oppure aprire in questo secolo che comincia un nuovo capitolo della geopolitica che superi le vecchie separazioni tra i continenti.

L’Italia è senz’altro fra gli Stati membri dell’Unione europea che più si sono impegnati nella promozione del Partenariato euromediterraneo.
Cipro può giocare un ruolo altrettanto decisivo nel rilancio del “processo di Barcellona”, anche in forza dell’avanzato stadio di negoziazione della sua adesione all’Unione europea.
Lo ha riconosciuto anche il Parlamento europeo, affermando in una recente risoluzione che l’ingresso di Cipro rafforzerebbe l’influenza dell’Unione nel Mediterraneo orientale e in Medio Oriente.

Ricordo che l’idea del nostro seminario nacque appunto con questa finalità nel corso della visita ufficiale che ho effettuato al Parlamento cipriota nell’ottobre 1999, insieme ad una delegazione della Camera dei deputati di cui faceva parte l’onorevole Antonio Ruberti, nella sua qualità di Presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Ringrazio, quindi, con sincera amicizia il Presidente Kiprianou e l’onorevole Hadgidemetriou per aver voluto dedicare questi lavori alla memoria di un uomo, oggi scomparso, che ha sempre testimoniato, prima nella vita universitaria e poi in quella politica, i grandi valori della cultura italiana ed europea e si è impegnato a proporre una nuova modernità che supera la frammentazione e il relativismo per riconoscersi in una dimensione unificante.
La cooperazione parlamentare bilaterale, che fu allora sviluppata e che vede oggi un suo importante frutto, si inserisce, peraltro, proprio nel più ampio quadro della cooperazione parlamentare euromediterranea, che ha rappresentato una delle priorità dell’attività internazionale della Camera dei deputati lungo tutta la XIII legislatura.

La Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euromediterranei, delineata a Palermo nel 1996 e istituita a Palma di Maiorca nel 1999, è ormai divenuta una stabile istanza di raccordo e di confronto e terrà quest’anno la sua terza sessione plenaria ad Atene. La Conferenza stessa ha poi promosso la convocazione del Forum euromediterraneo delle donne parlamentari, che pure si è dato una cadenza annuale. Il Forum parlamentare euromediterraneo – alla cui prima seduta nel 1998 la Camera dei deputati fu rappresentata dallo stesso Antonio Ruberti – si riunirà nuovamente a Bruxelles, presso il Parlamento europeo, nel prossimo febbraio.
L’intensificarsi delle relazioni parlamentari, sia bilaterali che multilaterali, sta perciò contribuendo in modo determinante all’integrazione euromediterranea, grazie alla capacità di favorire rapporti non solo tra gli Stati, ma anche tra i popoli, in virtù della specifica funzione rappresentativa dei parlamenti.

Il rapporto tra le due sponde del Mediterraneo così instaurato si è caratterizzato soprattutto per la vocazione al dialogo tra le civiltà e le culture dei rispettivi popoli, al fine di ritrovare le ragioni della convivenza e della collaborazione nel reciproco riconoscimento e rispetto delle singole identità e tradizioni.
L’identità mediterranea è, infatti, caratterizzata degli apporti che l’hanno plasmata e sfaccettata nel corso della sua storia millenaria. Non avrebbe, perciò, senso, anche con i migliori intenti, azzerarla per raggiungere un’unità storicamente impropronibile; occorre lavorare, piuttosto, perché questo patrimonio di diversità possa essere nuovamente produttivo di civiltà e non di conflitti.

La soggettività mediterranea non si trova in natura ma va costruita, cominciando ad assumere una prospettiva regionale e non più meramente nazionale. Questa è la dimensione che le classi dirigenti dei Paesi euromediterranei possono costruire per correggere le distorsioni dei processi di globalizzazione senza perderne i benefici.
Ci aiuta un dialogo tra interlocutori consapevoli della loro diversità, ma consapevoli anche che questa diversità costituisce una ricchezza, una forza che si sviluppa se ciascuno ha il coraggio e la pazienza di convivere con gli altri e di costruire insieme una dimensione comunitaria.
In questo compito la politica ha bisogno della cultura, da cui può trarre la mediazione fra la memoria storica e la proiezione futura.
La politica, quando costruisce futuro è un ponte tra le generazioni perché trasmette valori, aspirazioni, identità; ed in questo sforzo la politica non può prescindere dalla cultura..
Desidero, perciò, ringraziare in modo particolare gli studiosi italiani e ciprioti che hanno accettato l’invito a partecipare a questo seminario per offrire alla nostra riflessione il contributo delle loro ricerche, nell’augurio che questa possa essere anche per loro un’utile occasione di confronto e di discussione.
Ringrazio, inoltre, l’onorevole Piero Melograni per aver seguito l’organizzazione dell’iniziativa con il rigore e l’equilibrio della sua competenza storiografica, nonché gli onorevoli Gennaro Malgieri, Giovanni Saonara e Sergio Soave che pure rappresentano in questa sede la Camera dei deputati ed interverranno nella tavola rotonda conclusiva.
Sono rammaricato di non poter presenziare a tutta la durata dei lavori del seminario per concomitanti impegni istituzionali e me ne scuso. Sarò, perciò, ben lieto se il Parlamento cipriota vorrà, d’intesa con la Camera dei deputati, procedere al più presto alla pubblicazione degli atti, che potrebbero essere presentati a Roma, per sottolineare la natura bilaterale dell’incontro.