Costo della politica e trasparenza di governo nei regimi democratici


Berlino, 11/23/2000


*** Ciclo di conferenze sul tema:"Politica, democrazia e corruzione. Italia e Germania, due sistemi a confronto", promosso dall''Italienzentrum della Freie Universität Berlin ***


Sono particolarmente grato all’Italienzentrum della Freie Universität di Berlino per avermi dato la possibilità di partecipare, in qualità di relatore, al ciclo di conferenze che l’Istituto dedica quest’anno al tema del rapporto tra democrazia, politica e corruzione.

La mia esposizione si divide in tre parti.
La prima parte riguarda le ragioni della crescente attenzione verso il problema della corruzione politica.
La seconda parte riguarda la necessità di sciogliere il rapporto tra la corruzione e costi delle attività politiche.
La terza parte, infine, sarà dedicata alla indivisuazione degli strumenti di lotta alla corruzione politica ed alla prospettiva di un nuovo statuto delle relazioni che intercorrono tra politica e mercato.

Il primo punto riguarda le cause della crescente attenzione verso il problema della corruzione politica
Su Internet la parola “corruzione” compare in 54.400 siti diversi e ci sono più di 200 siti, istituzionali e non istituzionali, che si occupano specificamente del fenomeno.
La parola fa riferimento all’uso di pubbliche funzioni per scopi privati, ma anche alla violazione di regole di comportamento da parte di chi si muove nella sfera pubblica, politica o burocratica, per acquisire più potere o più influenza. Per questo, nella comune opinione dei cittadini, il finanziamento illegale di un partito politico o di un uomo politico è considerato un episodio di corruzione, anche se esso non costituisce corruzione dal punto di vista del diritto penale.
In sintesi si può dire, accantonando in questa conversazione le categorie del diritto penale, che dal punto di vista della pubblica opinione è considerato corruzione ogni atto lesivo dell’etica pubblica richiesta a chi esercita una pubblica funzione.

Il richiamo all’etica pubblica in questo contesto non appartiene alla sfera della morale, ma a quella della politica. Sul rispetto dell’etica pubblica da parte dei politici e dei funzionari si fonda infatti il rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni e quindi la coesione civile di qualsiasi Paese democratico.

Negli ultimi dieci anni casi di corruzione politica hanno colpito, con diversi livelli di intensità e di gravità, esponenti politici di alcuni dei principali Paesi del pianeta: Italia, Germania, Francia, Russia, Cina, Stati Uniti. A seguito delle accuse di corruzione rivolte ad alcuni esponenti della Commissione Europea, il Presidente Jacques Santer e tutti i membri della Commissione si sono dimessi nel marzo 1999.
Forse non esiste un Paese o un soggetto internazionale che possano dirsi del tutto estranei a questo fenomeno.

Il livello di preoccupazione politica per la corruzione è testimoniato dal numero di organismi internazionali e sovranazionali che si occupano della prevenzione e della repressione: ONU, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Consiglio d’Europa, Unione Europea, OCSE.
Nel dicembre 1997, 34 Paesi (di cui 29 membri OCSE) hanno adottato la Convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni commerciali internazionali, entrata in vigore il 19 febbraio 1999. Allo scopo di rafforzare il complesso degli strumenti di contrasto dei fenomeni di corruzione connessi alla conclusione di affari internazionali, la Convenzione OCSE prevede standard qualitativi e di trasparenza nella gestione delle imprese, il principio di responsabilità penale delle persone giuridiche, la punibilità del comportamento criminoso dei funzionari pubblici di tutti gli Stati esteri.
Nelle scorse settimane una dozzina di grandi banche internazionali, fra le quali le due maggiori banche svizzere, UBS e Crèdit Suisse Group, hanno concordato alcune direttive comuni contro il riciclaggio del danaro sporco che si realizza spesso attraverso accordi corruttivi.
Non so se esista un qualche grande soggetto internazionale che non si sia occupato della lotta alla corruzione.
Le cause dell’allarme attorno alla corruzione sono fondamentalmente cinque.

1) Oggi gli abusi del potere sono più conoscibili e criticabili rispetto a ieri. In tutti i Paesi moderni il principio di autorità cede progressivamente spazio al principio di libertà. I cittadini, anche grazie allo sviluppo delle telecomunicazioni, sono più consapevoli e più esigenti. Le idee circolano ed il bisogno di libertà si afferma anche grazie ad Internet. La concezione del potere come dimensione temuta, distante, opaca, cede il passo all’esigenza del potere politico come servizio per i cittadini, trasparente, controllabile ed efficace.

2) Conseguenza del primato del principio di libertà è il consolidamento del principio di legalità. Oggi è possibile compiere nei confronti dei politici e dei pubblici funzionari indagini che sino a ieri erano assolutamente impensabili. Se i diritti sono più forti è più forte la domanda di legalità e quindi è più forte la magistratura. Tanto che alcuni autori parlano di giurisdizionalizzazione della politica ed altri di “democrazie giudiziarie”. Un importante studio su questi problemi, The Global Expansion of Judicial Power, pubblicato nel 1995 dalla NY University Press, si apre con un saggio dal significativo titolo “ When the Courts Go Marching In”.

3) Il mondo degli affari è particolarmente attento alla corruzione. L’interdipendenza delle economie rende tutti i Paesi particolarmente attenti ai fenomeni di corruzione perché questi fenomeni evidenziano la scarsa affidabilità di un Paese agli occhi degli investitori. Ma bisogna essere prudenti perchè alcune campagne sul grado di corruttibilità di un Paese nascondono gli aspetti meno nobili della concorrenza internazionale.

4) La corruzione è più facile oggi perché circolano più corruttori e circola più danaro sporco. Questo fenomeno dipende da diversi fattori:
a) la presenza, a ridosso di Paesi stabilmente democratici, di Paesi con giovani democrazie ed economie in transizione, dove i fenomeni di corruzione sono evidentemente più frequenti e più radicati;
b) l’internazionalizzazione delle grandi organizzazioni criminali, che utilizzano appieno le facilitazioni del mondo finanziario globale. La globalizzazione non riguarda ancora i valori della legalità e dei diritti civili. Conseguentemente sul piano internazionale ad una grande criminalità organizzata corrisponde una legalità ancora disorganizzata, legata ai vecchi moduli ottocenteschi chiusi nei confini degli Stati nazionali, incapace di gareggiare in velocità ed efficienza con le forme più moderne di criminalità. La corruzione è lo strumento principale della criminalità organizzata. Senza corruzione non sarebbe possibile mantenere in piena efficienza il mercato mondiale degli stupefacenti, che realizza un profitto annuale per le organizzazioni criminali stimato in 920,2 miliardi di DM, e le attività di riciclaggio del denaro sporco, che hanno un volume d’affari compreso tra i 1.380,8 e i 3.452 miliardi di DM per anno.
D’altra parte, a pratiche discutibili non sembrano estranei alcuni grandi operatori economici legali, come è dimostrato dalla vertenza dell’U.E. contro le grandi case statunitensi produttrici di sigarette e, in direzione opposta, dalle ricorrenti denunce rivolte da aziende nordamericane ai partner commerciali europei ed asiatici di fare un uso disinvolto di provvigioni illecite per aggiudicarsi contratti internazionali e di alterare, in tal modo, le regole della concorrenza.


5) Si è indebolita la legittimazione dei partiti politici.
Nei primi decenni del secondo dopoguerra nelle principali democrazie europee ci sono stati episodi di corruzione, ma la corruzione non è diventata sistema, perché il quadro politico era costituito da partiti fortemente credibili, che erano stati legittimati dalla lotta per la libertà contro il nazifascismo e disponevano di grandi capacità di decisione e di indirizzo della società.
La crisi delle ideologie tradizionali del Novecento, le esigenze di velocizzazione dei sistemi istituzionali, la necessità di dare più spazio alla economia di mercato e alle libertà dei singoli, hanno progressivamente reso obsoleto quel modello di partito politico, ma non hanno ancora dato vita a nuovi modelli democratici di partito politico.
In molti sistemi democratici i partiti sono stati sempre meno capaci di rispondere in modo tempestivo e adeguato ai nuovi bisogni di una società più consapevole ed esigente rispetto al passato. Questa difficoltà ha spinto alcuni partiti a surrogare la vecchia legittimazione ideologica con una forma di legittimazione che faceva ricorso in modo non sporadico allo scambio dei favori e alla corruzione come strumento di finanziamento.
Ma lo scambio di favori e la mercificazione delle funzioni pubbliche, sono strumenti precari, perché si accompagnano a decisioni lente e inefficienti, allontanano i cittadini dalle istituzioni, attivano pratiche degenerative all’interno dei partiti, nel mondo delle imprese e nella società civile. Esse sono inoltre assai costose per i conti pubblici. In Italia il debito pubblico è passato negli anni Ottanta, gli anni della grande corruzione, da una cifra pari a 230,3 miliardi di DM nel 1980 a una cifra pari a 1.180 miliardi di DM del 1989. Secondo le stime (1997) del direttore del Dipartimento per gli Affari Fiscali del FMI, Vito Tanzi, a Milano, a distanza di due anni dalle inchieste della magistratura, il costo per la costruzione di un chilometro di metropolitana si è ridotto del 52%, mentre la valutazione di spesa per la costruzione del nuovo terminal aeroportuale si è ridotta del 59%.

I sostenitori del liberismo esasperato aggiungono un’altra causa.
Secondo loro solo uno Stato minimo di stampo ottocentesco può essere uno Stato onesto. Questo assunto è smentito dalla storia e dalla realtà di oggi. Dalla storia, perché gli scandali hanno colpito spesso anche gli stati liberali del XIX secolo, ben prima che si profilasse all’orizzonte il modello interventista del welfare state. Ma è smentito anche dalla realtà di oggi che ci dimostra come i Paesi che hanno in assoluto la percentuale più alta di spesa pubblica, vale a dire i Paesi scandinavi, sono al tempo stesso i Paesi che hanno i livelli di corruzione più bassi del mondo.
Secondo una statistica di Transparency International del 2000, su una scala da 0 a 10 (dove 0 vale come completamente corrotto e 10 come completamente onesto) Finlandia, Danimarca e Svezia hanno ottenuto rispettivamente i punteggi di 10, 9.8 e 9.4.
Cito questo dato non per affermare la necessità di mantenere alta la spesa dello Stato e invasivo il suo intervento in economia. Ma per sottolineare come su questo punto occorre lasciare da parte atteggiamenti di tipo ideologico.

Passo ora ad affrontare la seconda parte della relazione: la necessità di scogliere il rapporto che la corruzione e i costi della politica.
La corruzione ci pone di fronte ad un apparente paradosso. La politica è oggi fortemente indebolita dagli episodi di corruzione, ma non si può pensare di poter sconfiggere la corruzione “senza” la politica o “contro” la politica.

Qual è l’argomento principe del mondo politico per difendersi dall’accusa di corruzione? L’argomento principe è il costo della politica.

Questa risposta ha in sé alcuni elementi di verità ed alcuni elementi di falsità.
La verità sta nel fatto che la politica indubbiamente costa, perché ha bisogno di risorse umane, organizzative, strumentali. Ha bisogno di tecnologie avanzate e soprattutto di mezzi di comunicazione.
Nelle recenti elezioni negli Stati Uniti (elezione del Presidente, del Congresso, di un terzo del Senato, di 11 Governatori) è stata spesa una cifra pari a circa 6,8 miliardi di DM. Le spese elettorali sono aumentate del 36% rispetto a quelle per le elezioni del 1996 e di oltre il 500% rispetto a quelle per le elezioni del 1992.
Secondo i dati presentati alla Commissione elettorale federale, due terzi dei 22 milioni di dollari (pari a circa 50,6 milioni di DM) utilizzati negli ultimi dieci giorni di campagna elettorale sono stati spesi dai due candidati alla presidenza in spot elettorali.
In Francia l’ammontare del finanziamento pubblico diretto ai partiti è stato di una somma pari a circa 156,4 milioni di DM nel 1999, contro una cifra pari a 31,2 milioni di DM del 1989.

In Gran Bretagna le spese del partito laburista sono passate da una cifra pari a circa 34,8 milioni di DM del 1992, a una cifra pari a 54,3 milioni di DM del 1997, con un incremento superiore al 50%. Il partito conservatore è passato nello stesso periodo da una cifra pari a circa 27,4 milioni di DM a una cifra pari a circa 33,2 milioni di DM.
In Germania le entrate complessive dei partiti sono passate dai 543,7 milioni di DM del 1987 ai circa 684,5 milioni di DM del 1997.
In Italia il finanziamento pubblico ai partiti è passato da una cifra pari a circa 45,4 milioni di DM del 1974 a una cifra pari a circa 111,1 milioni del 1993, anno dell’abrogazione del vecchio sistema di finanziamento. Oggi il finanziamento è pari a circa 168,6 milioni di DM.
La necessità della politica di disporre di finanziamenti adeguati ai costi dell’attività richiesta ai singoli ed ai partiti dagli stessi cittadini e dalle campagne elettorali è una realtà innegabile. Ma non conosco Paesi nei quali l’opinione pubblica sia favorevole al finanziamento pubblico dei partiti.
Tuttavia negare i costi della politica significa sanzionare la sconfitta della democrazia fondata sul principio di eguaglianza politica di tutti i cittadini, indipendentemente dalla ricchezza o dalla povertà di ciascuno, per lasciare il posto ad oligarchie fondate sulla disponibilità personale di danaro, legale o illegale.

C’è però anche una parte di falsità nel ragionamento che lega i fenomeni di corruzione alla necessità insopprimibile di reperire risorse adeguate per il finanziamento della politica.
In alcuni Paesi, come l’Italia, l’elevazione del finanziamento pubblico non ha posto automaticamente fine a fenomeni di corruzione.
Fenomeni di finanziamento illegale si sono avuti anche in Paesi come la Germania, dove il finanziamento pubblico è elevatissimo.
E comunque i partiti politici spesso ammantano di ipocrisia la questione del loro finanziamento.
La Corte Costituzionale federale tedesca ha dichiarato nel 1992 incostituzionale la vecchia legge sul finanziamento pubblico ai partiti, perché presentava come “rimborso delle spese elettorali” un sistema che in realtà era di finanziamento in via continuativa alle formazioni politiche e che era iniquo perché non distribuiva le risorse in funzione dell’effettivo seguito elettorale dei partiti. La Germania ha approvato nel 1994 una nuova legge che prevede un contributo annuo a carico del bilancio dello Stato di 1,30 DM per ogni voto valido fino a 5 milioni di voti e di 1 DM per ogni voto ulteriore ottenuto da ciascuna formazione nelle elezioni per il Parlamento Europeo, per il Bundestag e per i Parlamenti del Länder. Un ulteriore contributo è rapportato all’entità delle donazioni ricevute dai singoli partiti.
In Italia un referendum popolare aveva abrogato nel 1993 la legge sul finanziamento pubblico dei partiti, ma è significativo che nel 1978, quando i partiti politici erano ancora fortemente legittimati, lo stesso referendum aveva avuto una risposta negativa da parte dei cittadini. Nel 1997 il Parlamento approvò una legge che disciplinava il finanziamento “volontario” ai partiti da parte dei cittadini attraverso la destinazione di una percentuale della imposta da loro pagata sul reddito delle persone fisiche.
La legge, che prevedeva anche l’erogazione di una una tantum pari a circa 161,6 milioni di DM ai partiti, non ha dato i risultati sperati, anche perché - nonostante la qualificazione di contributo “volontario” – in realtà non consentiva ai cittadini di scegliere il partito cui destinare il contributo.
Queste vicende dimostrano quanto sia difficile oggi affrontare in maniera franca e diretta il problema del costo della politica e della lotta alla corruzione.

Affronto, infine, la terza parte della relazione, che riguarda l’analisi degli strumenti di lotta alla corruzione nella prospettiva di un nuovo statuto dei rapporti tra politica e mercato.
In una recente indagine dell’OCSE dedicata alla corruzione nel settore pubblico, Germania e Italia hanno indicato questo punto come priorità delle rispettive politiche contro questo fenomeno. In particolare si indica la necessità di garantire la formazione continua, la adeguata remunerazione economica e la responsabilizzazione dei funzionari pubblici.
Un altro aspetto ritenuto fondamentale è la frequente rotazione, secondo criteri trasparenti, degli incarichi degli impiegati in modo da impedire il consolidamento eccessivo di posizioni di potere, che potrebbero essere sfruttate a fini corruttivi.
L’Italia nell’ultimo decennio ha privatizzato numerose aziende pubbliche – tra le quali Telecom, Enel, Eni, Banca Commerciale, Credito Italiano, Ina - per una somma complessiva pari a circa 171,7 miliardi di DM ed ha costruito un insieme coerente di interventi di riforma della pubblica amministrazione per ridurre i costi, innalzare la qualità dei servizi, semplificare ed eliminare, laddove possibile, i procedimenti amministrativi, garantire condizioni di controllabilità dell’amministrazione e forme di accesso dei cittadini ai documenti amministrativi.
Secondo i primi risultati di una verifica dell’OCSE, ancora in corso, sulla qualità del sistema Italia, dal 1998 ad oggi gli indicatori relativi alla trasparenza amministrativa fanno registrare un miglioramento quasi del 40%, mentre l’impatto della regolazione sulla società è migliorato in misura superiore al 50%.
I principali interventi sulla qualità e sulla trasparenza delle istituzioni pubbliche hanno riguardato: la separazione tra sfera di decisione e di responsabilità politica e sfera di decisione e di responsabilità amministrativa; la drastica riduzione della certificazione richiesta ai cittadini, con un abbattimento del 50% dei documenti e un risparmio pari a 1,8 miliardi di DM; la creazione del cosiddetto sportello unico per le attività produttive delle imprese, con l’eliminazione di più di 45 passaggi burocratici; la nuova legge sugli appalti pubblici; la riforma del bilancio dello Stato, che ha previsto una nuova classificazione delle spese che corrisponde a precisi centri di responsabilità amministrativa; la nuova disciplina del commercio che liberalizza l’apertura, l’ampliamento e il trasferimento degli esercizi commerciali di minore dimensione; la riforma del sistema dei controlli amministrativi e della Corte dei Conti, con l’introduzione di verifiche sui risultati, in sostituzione dei controlli meramente formali.

Se una amministrazione competente e moderna è il migliore modo per prevenire il diffondersi della corruzione come “reato di sistema”, l’esistenza di una magistratura indipendente ed efficiente costituisce lo strumento indispensabile per reprimere il fenomeno in tutti i casi in cui esso emerga. In Italia tanto i tribunali quanto le procure della Repubblica godono delle stesse amplissime garanzie di indipendenza piena dal potere politico. L’esigenza di sottrarre l’azione del pubblico ministero al controllo dell’esecutivo è al centro della discussione politica di importanti Paesi come Gran Bretagna, Francia e Israele.
Tuttavia la magistratura non può sostituirsi alla politica nel rimuovere i fattori strutturali che sono alla base del sistema corruttivo. Non spetta ai giudici attuare politiche contro la corruzione. Spetta invece alla magistratura intervenire su tutti i singoli episodi di corruzione, da una posizione che deve necessariamente essere di indipendenza dal potere politico e di imparzialità.
Gli studiosi che si occupano di analisi economica del crimine ci informano che la disponibilità a violare la legge è tanto più bassa, a parità di altre condizioni, quanto più alti sono i costi attesi di una determinata azione. Fra i costi attesi ci sono innanzitutto i costi materiali della punizione per la partecipazione ad azioni illecite. Quindi l’entità delle sanzioni, ma soprattutto la probabilità che queste sanzioni vengano effettivamente irrogate ed applicate.
La lentezza della giustizia diminuisce di fatto i costi dei comportamenti corruttivi, favorendone, anche se involontariamente, la diffusione.
Le considerazioni sinora svolte presuppongono un quadro di misure specifiche che sono utili ma non risolutive.
Oggi il mercato globale non ha ancora trovato una propria etica ed il confronto politico si vince soprattutto attraverso l’uso di strumenti tecnologici e mezzi di comunicazione altamente costosi. E’ chiaro che la partita politica si gioca anche su quel dollaro in più che fa la differenza tra i contendenti ed attorno ai politici non mancano soggetti disposti a finanziare il singolo politico o il partito a patto di ottenere congrui corrispettivi di dubbia legittimità.
Ma se rimaniamo all’interno di questa logica non riusciamo a spezzare il legame tra esigenza di finanziamento e corruzione.
Occorre allora affrontare la questione del costo della politica in un quadro diverso e più ampio.
Si tratta a mio avviso del nuovo statuto dei rapporti tra mercato e politica nelle società complesse.
Il vecchio statuto, figlio degli Stati nazionali, presupponeva un mercato debole ed una politica forte perché questo era il rapporto tra Stato e politica prima della globalizzazione. Oggi il mercato è più forte della politica perché il mercato è globale mentre la politica è rimasta prevalentemente nazionale. Oggi, per il mercato globalizzato, il mondo è solo un grande shop center: per essere ben serviti basta entrare in quello Stato che ha le regole più convenienti ed i funzionari più compiacenti. Per questo tipo di mercato l’unico principio valido è quello dello scambio; vale solo ciò che può essere scambiato. Per gli operatori più spregiudicati, che non mancano, la corruzione è solo un prezzo di produzione.
E’ quindi evidente la necessità di un nuovo sistema di regole dei rapporti tra politica e mercato che deve essere accettato non solo dai politici ma anche dagli imprenditori e dagli uomini di affari.
Innanzitutto perché la corruzione è come il tango: non si può ballare da soli.
Poi perchè lo statuto conviene agli imprenditori corretti, che sono comunque in stragrande maggioranza nei nostri Paesi, in quanto la corruzione altera le regole del mercato, danneggiando gli imprenditori corretti.

Questo statuto dovrebbe a mio avviso avere otto punti fermi:

1) garanzia per tutti i partiti presenti nelle assemblee elettive di una ragionevole eguaglianza nell’accesso ai mezzi finanziari e ai grandi mezzi di comunicazione;
2) disciplina dei rapporti tra gruppi di pressione e politica,
3) disciplina del conflitto di interessi;
4) trasparenza e controllabilità nella gestione delle risorse finanziarie e patrimoniali dei partiti;
5) esclusione delle forme di impunità diretta ed indiretta per gli illeciti dei politici;
6) rispetto per l’azione dei magistrati da parte della politica, con sanzioni per il politico che violi questo principio e sanzioni per quei magistrati che abusano dei loro poteri;
7) espulsione dal mercato degli operatori e delle società che hanno ottenuto vantaggi attraverso la corruzione;
8) espulsione dalla politica e dalla amministrazione dei politici e dei funzionari corrotti.

L’attuazione di questi principi può contribuire a fondare una nuova legittimazione tanto per la politica quanto per il mercato.
Tuttavia questo non basta.
Le vecchie ideologie hanno avuto molti difetti, ma hanno segnato per decenni le appartenenze e le battaglie ideali di milioni di cittadini in Europa ed in buona parte del mondo.
Cosa ha dato a milioni di cittadini la forza di resistere ad Hitler o a Pinochet, a Stalin o a Pol Pot se non la fiducia in alcune semplici e grandi idee che erano frutto e ragione, allo stesso tempo, di una visione civile del mondo che riguardava i cittadini, lo Stato, il presente ed il futuro dei cittadini. Alcuni aspetti di queste grandi idee sono tramontati; ma altri sono stati accantonati con una certa dose di leggerezza.
Io credo che i partiti non devono limitarsi alla buona amministrazione. Per questo basta un buon funzionario; non è necessario un politico, investito del consenso dei cittadini acquisito attraverso una libera competizione sulle idee e sui programmi.
Io credo che i partiti politici devono essere capaci di scuotere le coscienze, di mobilitare le intelligenze, di scontrarsi su grandi questioni di libertà e di futuro; devono essere capaci di ridare ai cittadini identità ed appartenenza.
Per questo c’è bisogno di una forte riscoperta dell’etica pubblica come fondamento dell’agire politico. Senza questo impegno non ci saranno regole e statuti che tengano di fronte alla capacità di convincimento insito nell’offerta di grandi somme di danaro che possono far vincere ad un partito una grande competizione elettorale o cambiare radicalmente la vita di un funzionario.

Questo bisogno di etica pubblica e di motivazione ideale è molto più diffuso tra i cittadini di quanto non si possa pensare.
La costruzione di una nuova modernità, dopo le frammentazioni del post-moderno, passa anche attraverso la ricomposizione delle tre grandi categorie dell’etica pubblica:
1) l’onestà personale come presupposto dell’onestà collettiva;
2) la separazione tra interessi privati e funzioni pubbliche;
3) una visione del mondo e della vita imperniata sul primato della dignità della persona umana come guida dell’azione pubblica.
Intuisco che questa posizione potrebbe dar adito a sospetti di nuovi totalitarismi etici. Non è così perché in questa visione prima di ogni altra cosa non ci sono né lo Stato, come nei sistemi nazifascisti, né il partito, come nei sistemi comunisti, ma la dignità dell’uomo.
E so, inoltre, che senza questo impegno è destinata a scomparire, nel tempo, ogni differenza tra l’onesto e il corrotto.