Presentazione del primo Rapporto INAIL sugli infortuni e sulla tutela del lavoro


Roma, 07/13/2000


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L’INAIL presenta oggi il primo rapporto annuale sugli infortuni e sulla tutela del lavoro in Italia. Esso mette a disposizione di tutti una base ampia e coerente di informazioni su aspetti rilevanti, a volte poco conosciuti, del fenomeno infortunistico: sull''incidenza della tecnologia, dei comportamenti umani, della struttura della dimensione aziendale e dell''evoluzione del mercato del lavoro, sulle caratteristiche delle vittime, sull’ampiezza e sugli squilibri territoriali e sociali del fenomeno.
La presentazione avviene nella sede parlamentare per dare il giusto risalto ai dati di conoscenza di un fenomeno che ci preoccupa, che non può essere tollerato per il numero e per la gravità degli infortuni che continuano a verificarsi nel nostro Paese. Sono incompatibili con uno Stato moderno e civile, tanto l''ampiezza quanto la sostanziale "stabilità" del fenomeno infortunistico: lo scorso anno oltre un milione di lavoratori hanno subito infortuni e più di 1.200 sono "morti per lavoro".
L''appuntamento di oggi vuole sottolineare, inoltre, quanto sia importante che il lavoro di raccolta, di analisi e di diffusione dei dati esca dal circuito degli addetti ai lavori, sia messo a disposizione di chi opera nel settore e diventi strumento capace di incidere con efficacia sul fenomeno infortunistico.
L’infortunio sul lavoro, ciascun infortunio, è tanto più evitabile quanto più siamo capaci di battere atteggiamenti e comportamenti passivi o inadempienti, quanto più sono forti le politiche e la cultura della sicurezza.
Ogni sistema di prevenzione per essere efficace, per produrre sicurezza – in questo caso sui luoghi di lavoro -, deve poter contare su una corretta e completa informazione, sulla circolazione dei dati disponibili, sulla condivisione degli obiettivi e sulla conoscenza degli risultati conseguiti.

Questa legislatura si è aperta con lo svolgimento, da parte delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato, di un’indagine conoscitiva di particolare ampiezza sui temi della sicurezza sul lavoro, che ha segnato un momento importante nella definizione delle linee strategiche di lotta al rischio infortunistico.
Sono quattro i capisaldi di questa battaglia:
1) un lavoratore che non trascura ma utilizza costantemente i dispositivi di protezione;
2) un imprenditore che non considera la sicurezza un intralcio, ma è capace di valutarne la convenienza anche in termini di competitività per la propria azienda;
3) una pubblica amministrazione che rifiuta per sé il ruolo di "controllore delle procedure" e mette al servizio del mondo del lavoro, un''incisiva attività di controllo, di consulenza e di assistenza;
4) una concezione politica che assume l''abbattimento del rischio infortunistico come uno dei parametri sui quali si misura il valore di una moderna democrazia.

L’INAIL ha stimato in circa 55 mila miliardi il costo complessivo annuo degli infortuni e delle malattie professionali. Il fenomeno infortunistico è un onere inaccettabile anche sul piano economico, in termini di risorse sottratte alla crescita ed alla competitività del sistema produttivo del Paese.
Aggiungo altri due dati su questo versante. Il primo è relativo al rapporto tra rischio infortunistico e dimensione delle aziende: nel triennio 1996-1998 il rapporto tra gli infortuni avvenuti e il numero dei dipendenti è stato di quasi 4 volte più elevato nelle piccole imprese rispetto alle grandi imprese (11 infortuni per 100 mila addetti nelle imprese che hanno fino a 15 dipendenti contro 3 infortuni nelle imprese con più di 250 dipendenti).
In un Paese che presenta un tessuto produttivo polverizzato, dove le piccole imprese sono il 97% del totale ed occupano oltre il 53% dei lavoratori, questo è un punto di debolezza del sistema.
Il secondo dato, frutto di un’elaborazione statistica condotta a livello europeo, pone in evidenza invece una relazione positiva tra le attività di innovazione tecnologica effettuate dalle imprese nel settore manifatturiero e l’abbattimento del rischio infortunistico. L’Italia occupa nella graduatoria una posizione mediana, con il 51% di imprese innovatrici e 54 infortuni ogni 1000 lavoratori. 5 posti più su dell’Italia, la Germania ha un tasso di innovazione pari a 69 ed un tasso di frequenza degli infortuni pari a 48; 5 posti più giù dell’Italia la Spagna ha un tasso di innovazione pari a 29 ed un tasso di frequenza degli infortuni pari a 85.
La sicurezza sui luoghi di lavoro, dunque, non è soltanto un diritto fondamentale della persona che lavora e un bene primario che lo Stato deve saper assicurare a tutti i lavoratori.
Essa ha un costo economico che deve saper essere sostenuto in un modello di sviluppo che riconosce la centralità della dignità della persona. Dentro questo orizzonte di valori la sicurezza è un elemento che concorre a determinare la crescita economica e sociale, la competitività di un sistema Paese.
Le misure di sostegno messe in campo in questi anni, penso alla riduzione dei premi assicurativi per chi investe in macchinari più avanzati e sicuri o nella formazione di lavoratori capaci di controllare e usare al meglio gli impianti, vanno nella giusta direzione. Esse producono insieme sicurezza del lavoro, qualità dei prodotti, competitività delle aziende.
Per questo occorre affermare con chiarezza che le politiche di crescita e di competitività non devono essere contrapposte, non sono contrapponibili a quelle di tutela della qualità della vita nei luoghi di lavoro.
Occorre anzi produrre uno sforzo concreto per rafforzare anche sul piano finanziario queste politiche e conseguire risultati visibili nel breve periodo, a cominciare dai settori cruciali delle costruzioni e dell''agricoltura.

In questi anni l''Italia è stata chiamata ad un importante adeguamento ai parametri europei. Nel campo della sicurezza sul lavoro, il linguaggio comune ha tradotto questo risultato positivo, la capacità del Paese di stare in Europa, chiamando con un numero, quello del provvedimento che ha accolto nel nostro ordinamento una serie di direttive comunitarie, l''impianto normativo posto a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. "La 626" è il nome della nuova legislazione, strumento di modernizzazione del Paese, leva potente di investimenti in risorse tecnologiche, umane e formative.
Essa è, inoltre, un fattore di responsabilizzazione dei soggetti, pubblici e privati, e di valorizzazione di un sistema di relazioni industriali basato sulla cooperazione nell''individuazione degli obiettivi e dei mezzi per raggiungerli.
L''impatto della nuova legislazione ha determinato alcune comprensibili difficoltà per il sistema produttivo, di cui si sono fatti carico il Governo e il Parlamento.
È merito comune delle istituzioni e delle parti sociali avere realizzato in questa legislatura le condizioni per il completamento graduale e la messa a regime in tutti i settori della nuova normativa, puntando su politiche pubbliche di sostegno della sicurezza e abbandonando il costume sbagliato delle deroghe e delle proroghe.
Oggi, il "peso" della normativa non può più essere invocato come l''ostacolo per l''adeguamento degli impianti produttivi e dei luoghi di lavoro.
Se esistono ancora problemi e impedimenti è giusto segnalarli con chiarezza. È all''attenzione del Senato un disegno di legge per la redazione di un testo unico sull''intera materia della sicurezza che risponde ad un''esigenza di semplificazione e di certezza particolarmente avvertita. Il mio auspicio è che il Parlamento possa approvare questo provvedimento prima della fine della legislatura.
Gli organi sanitari ed ispettivi devono rimuovere tutti gli ostacoli al concreto raggiungimento degli obiettivi. Le sovrapposizioni di competenza, le disfunzioni, le lentezze burocratiche vanno spazzate via per assicurare il rispetto delle regole, puntando prima ancora che sulla repressione delle illegalità, su una vigilanza di tipo prevenzionale che “conduca” i responsabili delle imprese all’ottemperanza degli obblighi di legge.
Le parti sociali, per la loro parte, possono dare un contributo fondamentale per spezzare il circuito perverso che connette la disponibilità del lavoratore a stare fuori dalle regole con la vecchia impostazione dell''imprenditore che considera il rispetto delle procedure di sicurezza come un inutile impaccio.

Nell''epoca della competizione globale la crescita economica si fonda sulla piena valorizzazione del capitale umano, sul miglioramento dei processi produttivi, sull''eccellenza qualitativa dei prodotti.
In tutte le società avanzate lo sviluppo della democrazia si fonda sull''esercizio responsabile dei diritti e dei doveri e sulla fiducia in una società retta da regole.
Democrazia e competitività devono camminare insieme, assumendo l''obiettivo di adeguati livelli di sicurezza come un''opzione strategica, un punto di forza da conquistare per il sistema Paese, avendo la capacità di coniugare l’impegno per il presente con quello per il futuro.