Nuovi metodi della legislazione tra Stato e Regioni


Roma, 06/30/2000


*** Seminario Interistituzionale ***


Una profonda riforma dei rapporti tra centro e autonomie nel nostro paese è in corso, nonostante il fallimento della Commissione bicamerale, e va nella direzione della costruzione di una forma originale di federalismo. Nello svolgimento di questo processo oggi la carica di maggiore innovazione viene dai consigli appena rinnovati e questa è la ragione del seminario di oggi. E’ appena il caso di ricordare che anche per le regioni a statuto speciale e per le province autonome si aprirà presto una nuova fase statutaria se, come penso, entro dicembre sarà approvata definitivamente la legge costituzionale che modifica i loro statuti.

In questo contesto i rapporti tra Parlamento nazionale e Assemblee elettive regionali hanno già giocato un ruolo rilevante. Una serie di iniziative sono state già adottate e rappresentano una premessa che rende oramai consueta una riunione come quella odierna, che tuttavia può aprire una nuova fase .

Al momento della approvazione della impegnativa riforma del regolamento della Camera, nel settembre 1997, il presidente del gruppo parlamentare di Alleanza nazionale, Pinuccio Tatarella, chiese al presidente della Camera di aprire un confronto sugli stessi temi con l’insieme delle Assemblee elettive.

A questa richiesta ha fatto seguito l’8 maggio del 1998, in occasione dell’anniversario della morte di Moro, la convocazione di una solenne Conferenza nazionale delle Assemblee elettive nell’Aula di Montecitorio. In quella sede si è discusso, sullo sfondo della storia italiana di un quarantennio, di nuove forme di funzionamento delle assemblee elettive. Da quella volta numerose altre occasioni di incontro sono seguite in coincidenza con riunioni della conferenza dei presidenti dei consigli regionali.

Inoltre proprio il Comitato per la legislazione ha promosso altre importanti occasioni di incontro dello stesso tipo. Ricordo la prima conferenza interistituzionale sui problemi della legislazione del giugno 1999 e il seminario interistituzionale dello scorso 6 dicembre con gli uffici legislativi del Governo.

Il punto di partenza di tutte queste iniziative è la convinzione che oramai nessuna istituzione può affrontare da sola i problemi emergenti da un nuovo sistema di poteri molteplici e diffusi su piu’ livelli territoriali.

Occorre, invece, raccordare tra loro le istituzioni impegnate in tali processi.

Abbiamo dovuto inventare un nuovo modo di aprirsi delle istituzioni l’una verso l’altra. Un nuovo modo che non implica la perdita dell’identità e dell’autonomia ma che accetta pienamente un modello orizzontale nelle relazioni istituzionali, un modello conseguente allo sviluppo di processi decisionali sempre più negoziati, aperti e interconnessi tra i vari livelli di governo.

In Italia, dicevamo all’inizio, è in corso la progressiva costruzione di una forma originale di ordinamento federale, caratterizzata dalla nuova dinamica orizzontale che investe tre livelli, Stato, regioni, enti locali. Ne deriva un aumento indubbio di complessità e potenzialmente anche di conflittualità.

Occorre dunque un principio organizzatore forte che operi positivamente tra centro e autonomie, nel rispetto del pluralismo e a favore delle autonomie. Rileggere oggi l’articolo 5 della Costituzione ci fornisce una risposta già pronta e con il grado di autorità costituzionale necessaria: quella di un principio fondamentale della Repubblica. Questa risposta ci porta direttamente al metodo della legislazione come principale garanzia a favore dello sviluppo delle autonomie e, al tempo stesso, principale garanzia della unitarietà di un sistema aperto alla effettiva differenziazione.

Dall’articolo 5, posto alle fondamenta della Costituzione, viene un indirizzo preciso e applicabile fin da ora nell’organizzazione parlamentare del processo legislativo, collegandosi direttamente e puntualmente ad un sistema di norme vigenti: le norme legislative sul trasferimento di funzioni e quelle dei regolamenti parlamentari in tema di istruttoria legislativa.

In questa fase di transizione in senso federale, le norme di principio già introdotte dalla legge n. 59 del 1997 si possono considerare come norme direttamente attuative dell’articolo 5 della Costituzione. Si tratta in particolare dell’articolo 1 di tale legge: si rovescia il criterio di attribuzione delle competenze tra Stato e regioni e si prevede un elenco delle materie che restano allo Stato, affermando per tutte le altre un generale principio di sussidiarietà a favore delle competenze regionali e delle autonomie locali.

I medesimi princìpi dell’articolo 5 della Costituzione, così come letti dalla legge n. 59 del 1997, possono orientare gli strumenti dell’istruttoria legislativa verso le regioni. Queste devono diventare dei soggetti con cui istituire un rapporto permanente nello svolgimento ordinario dell’attività legislativa, in attesa di una compiuta riforma costituzionale che ne assicuri la rappresentanza all’interno del parlamento stesso.

Ogni nuovo intervento legislativo deve essere progettato proprio alla luce di un sistema articolato e aperto alla interazione tra diversi livelli di governo dotati di forte autonomia.

Non è un caso che nel più grande ordinamento federale democratico, quello degli Stati Uniti d’America, le procedure più penetranti di istruttoria legislativa adottate dal Congresso siano rivolte proprio alla valutazione dell’impatto dei nuovi atti legislativi sulle competenze degli stati federali e sui poteri locali.

Si impone, anche nel nostro paese, l’esigenza di adottare un criterio sostanziale di self-restraint e di economia nell’esercizio dei poteri normativi: la verifica della effettiva necessità di ogni nuovo atto normativo e’ il primo e il piu’ importante indirizzo di metodo sancito dal regolamento della Camera, che puo’ essere applicato anzitutto a favore delle autonomie territoriali insieme alla verifica del rispetto del sistema delle competenze normative La legislazione statale non può continuare a essere fonte di disordine e inflazione normativa a causa della mancanza di coordinamento con le altre fonti, in primo luogo con quelle delle autonomie.

Vi e’ dunque dal lato parlamentare un complesso di strumenti che possono essere attivamente orientati verso le regioni.

Ma il sistema può funzionare solo se viene completato con analoghi strumenti sul versante regionale. Se cioè si apre tra Parlamento e Assemblee regionali una stagione di reciproco stimolo e di interazione sul terreno della tutela del ruolo della rappresentanza nei processi normativi.

In questa fase sono le assemblee regionali ad impugnare il testimone del cambiamento con la occasione offerta dalla attuazione della riforma costituzionale, delle norme per il federalismo fiscale e per il trasferimento delle competenze. Infatti tutti questi processi di attuazione passano a questo punto nelle loro mani.

Questa occasione potrà essere meglio colta se tra i consigli regionali, tra i loro presidenti, tra di essi e gli esponenti istituzionali del parlamento nazionale quali quelli qui presenti, si sviluppa un dialogo e un approfondimento anche dialettico dei diversi punti di vista.

Il punto di partenza può essere l’incontro odierno. Per questo ai nostri diversi qualificati interlocutori propongo tre questioni, come elementi intorno ai quali potremmo concentrare alternativamente gli interventi.

1. La questione della cooperazione sul terreno della conoscenza dei fenomeni. Un dialogo si può realizzare solo se i diversi soggetti dispongono di una visione generale dell’insieme della legislazione statale e regionale e delle principali tendenze di trasformazione che vi si manifestano. L’analisi della legislazione va congiunta a quella degli strumenti non legislativi che integrano o sostituiscono la legge come strumento di partecipazione parlamentare ai processi decisionali esterni.
A questo scopo, fin dall’entrata in vigore delle nuove norme sull’istruttoria legislativa, la Camera pubblica annualmente il ''Rapporto sullo stato della legislazione’, cercando così di rispondere ad esigenze, oramai ugualmente avvertite nell’ambito politico e in quello scientifico.
Si collega, pertanto, come significativa premessa al nostro incontro odierno, la proposta che, nell’agosto dello scorso anno, nell’inviare il Rapporto del 1999, ho rivolto ai presidenti dei consigli regionali allora in carica. Ho proposto infatti di dedicare il successivo rapporto alle relazioni tra legislazione nazionale e regionale e di realizzare questo studio in cooperazione tra l’amministrazione della Camera e quelle dei consigli regionali.
L’elaborazione del nuovo Rapporto con queste modalità è ora in corso. Per realizzare questo lavoro di ricostruzione abbiamo chiesto un contributo anche a personalità eminenti nello studio dei rapporti tra centro e autonomie nel nostro paese: il professor Giorgio Lombardi, direttore dell’istituto di studi sulle regioni del CNR, e il professor Marco Cammelli, da sempre impegnato su questi temi (ha già svolto proprio nella precedente Conferenza delle Assemblee elettive la relazione scientifica che più assumeva il punto di vista delle autonomie).

2. La seconda questione, già illustrata in precedenza, riguarda i modi in cui orientare gli strumenti della istruttoria legislativa verso la tutela dei principi dell’articolo 5 e dei principi stabiliti dalla legislazione ordinaria sul decentramento delle competenze. La questione si rivolge in primo luogo al Comitato per la legislazione, ai presidenti delle commissioni e agli autorevoli parlamentari qui presenti, ma anche agli studiosi e a tutti quei presidenti dei consigli regionali che ci vorranno dare suggerimenti.

3. La terza questione si rivolge in particolare ai presidenti delle assemblee regionali, e riguarda i possibili modi in cui la Camera può mettere a disposizione dei consigli regionali, nella nuova fase che si apre, l’insieme delle esperienze accumulate nel lavoro legislativo, di controllo e nella sua complessiva organizzazione .