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Doc. XXIII n. 47


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9. Conclusioni.

La Commissione ha cercato, con questo documento, di mettere in evidenza e di illustrare in maniera organica i principali fenomeni criminali connessi al ciclo dei rifiuti. Dal lavoro svolto, dalle informazioni acquisite nonché dalle audizioni tenute è emersa in maniera chiara una serie di elementi che - in sede di conclusioni - è opportuno riportare in forma schematica e sintetica.
La gestione illecita riguarda una quota considerevole dei rifiuti prodotti ogni anno in Italia: in base alle informazioni assunte e alle elaborazioni svolte, si tratta di una quota superiore al 30 per cento che - tradotto in termini numerici - equivale a oltre 35 milioni di


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tonnellate di rifiuti (soprattutto speciali) smaltite in maniera illecita o criminale ogni anno.
Il ciclo dei rifiuti solidi urbani è interessato, specie nelle regioni meridionali, da evidenti fenomeni di controllo criminale, soprattutto nelle fasi di raccolta e trasporto. Esistono infatti segnali univoci ad indicare l'interesse della criminalità organizzata per gli appalti in questo settore.
Il settore dei rifiuti sembra rappresentare - per le varie forme di criminalità organizzata - un fattore di penetrazione in aree del Paese, specie nel settentrione, dove ancora non si registrano insediamenti stabili dei clan criminali.
Non è la sola criminalità organizzata ad operare in modo illegale. Esistono infatti società commerciali o imprese non legate ad essa, ma che hanno come «ragione sociale» la gestione illecita dei rifiuti, soprattutto di origine industriale.
Nella gestione illecita del ciclo dei rifiuti non si registrano forme di concorrenza o scontri come invece accade in altri settori criminali (traffico degli stupefacenti o controllo del racket): il business è evidentemente talmente consistente da rendere preferibile la collaborazione alla concorrenza spietata.
La criminalità organizzata non si accontenta quindi più del semplice servizio di smaltimento, ma sta estendendo il suo intervento anche alle altre fasi del ciclo, avvantaggiata in questo dall'ancora insufficiente livello di modernità e tecnologia che il settore fa registrare tuttora in Italia. Come dimostra in particolare l'evoluzione dell'attività del clan dei casalesi, la criminalità organizzata sta assumendo direttamente iniziative imprenditoriali anche in questo settore, mirate all'acquisizione e al condizionamento degli appalti pubblici.
Se è vero che solo una parte del traffico illecito è riconducibile alla criminalità organizzata, risulta altresì evidente l'attività di personaggi non appartenenti alle consorterie mafiose che hanno collegamenti più o meno occasionali con esponenti delle stesse per dare vita a questi traffici.
Il fenomeno degli smaltimenti illeciti non riguarda più il solo Mezzogiorno; la Commissione aveva già avuto modo di segnalare l'esistenza di una «rotta adriatica» per i traffici illeciti che colpiva in special modo l'Abruzzo. Emerge ora con forza anche una direttrice nord-nord, con smaltimenti illeciti soprattutto nell'area del nord-est (Veneto e Friuli-Venezia Giulia).
I meccanismi del «giro bolla» e quello degli «impianti fantasma» sono i più frequenti casi di illecito che si registrano nel ciclo dei rifiuti: il primo riguarda essenzialmente i rifiuti industriali, che vengono declassificati o miscelati e smaltiti in maniera non corretta; il secondo tocca più da vicino i rifiuti solidi urbani ed in particolare la frazione recuperabile, con la presunta apertura di impianti di recupero dei quali - in realtà - esistono solo i muri perimetrali.


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Ad alimentare il mercato illecito sono anche industrie a rilevanza nazionale ed internazionale, comprese aziende a rilevante partecipazione di capitale pubblico. Per tutte il minimo denominatore comune è la ricerca dello smaltimento al minor costo, senza alcun controllo sulla destinazione finale del rifiuto.
Contribuisce a favorire i meccanismi illeciti anche l'inadeguatezza del sistema conoscitivo, basato sui mud. A questo proposito è opportuno segnalare positivamente l'avvio della fase di sperimentazione del sistema di controllo telematico studiato dall'Anpa, che dovrebbe consentire una conoscenza esatta ed in «tempo reale» di ogni fase di movimentazione del singolo rifiuto.
Sono numerosi i segnali di esportazioni illecite di rifiuti verso i Paesi in via di sviluppo. Il sistema dei controlli doganali in fase di partenza, nonché la grande difficoltà a svolgere accertamenti e la frequente assenza di governi riconosciuti con i quali collaborare rendono però impossibile l'accertamento degli smaltimenti illeciti.
La documentazione acquisita e le informazioni assunte rendono comunque più che verosimile l'ipotesi che tali traffici avvengano tuttora, e che si svolgano con modalità e percorsi sovrapponibili a quelli del traffico delle armi e degli stupefacenti. In particolare, le armi vengono pagate con la concessione delle aree per smaltire i rifiuti.
Dal punto di vista normativo e preventivo, si riscontra anzitutto l'inadeguatezza del sistema sanzionatorio (non è tuttora intervenuta la riforma del codice penale con l'introduzione delle fattispecie di delitti contro l'ambiente) nonché l'insufficienza del sistema dei controlli, ancora non a regime. Ancora: alcune semplificazioni normative sono state individuate come «scappatoia» per compiere illeciti, imponendo di fatto una rivisitazione delle norme, opportuna ove si consideri che la prevenzione di tali fenomeni è comunque da preferire alla repressione che interviene una volta che il danno all'ambiente e alla salute sono stati già compiuti (a volte in modo non recuperabile).
Si pone quindi la necessità di un salto di qualità nell'approccio ai problemi sopra descritti, utilizzando forme e strumenti di contrasto capaci di cogliere la complessità del fenomeno e di rispondervi in tempo reale. Una risposta che per essere efficace non può essere limitata ai confini nazionali, ma deve essere oggetto di forme avanzate di cooperazione internazionale.

Conclusivamente, dati gli elementi qui richiamati in forma schematica e l'oggetto del documento, la Commissione non può non rimarcare nuovamente la necessità di una serie di interventi a più livelli. In particolare, deve ritornare sul tema delle riforme penali: nel marzo 1998 questa Commissione ha approvato il documento che propone l'introduzione delle fattispecie di delitto ambientale nel codice penale; un anno dopo è intervenuto il disegno di legge del Governo, che non ha tuttavia compiuto alcun passo presso le competenti Commissioni del Senato.
Nonostante le difficoltà più volte richiamate, la Commissione ha registrato l'attività e la volontà di alcuni operatori di giustizia che


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hanno potuto perseguire i traffici illeciti di rifiuti contestando fattispecie di natura penale, come la truffa aggravata o la frode fiscale. In sede di conclusioni è necessario ribadire che la Commissione ha rilevato come alcuni operatori di giustizia, per poter colpire in maniera più incisiva il traffico di rifiuti, abbiano dovuto considerare questo reato come collaterale alla loro indagine e non già l'obiettivo della stessa. Il danno all'ambiente non può quindi essere perseguito in maniera diretta se non in casi di macro-inquinamento: ed anche in tali casi - come dimostrano i procedimenti relativi a Pitelli e a Porto Marghera - la contestazione del danno ambientale presenta rilevanti complessità. Così, oggetto dell'inchiesta sono la truffa aggravata o le operazioni finanziarie illecite, che stanno a monte dei traffici di rifiuti e che configurano fattispecie di delitti; discorso che vale ancor più quando ricorrono gli estremi dell'associazione per delinquere, che - per la sua natura di delitto - non può essere contestata rispetto a sanzioni amministrative o reati contravvenzionali, che sono quelli che attualmente colpiscono gli illeciti in questo settore.
Si tratta tuttavia di interventi non generalizzati (e a volte non possibili). A questo proposito, la Commissione comunque coglie il segnale positivo dell'introduzione - da parte del Senato - del delitto di traffico illecito di rifiuti nell'ambito del disegno di legge n. 3833 approvato il 26 luglio 2000. Non si è tuttavia ancora di fronte alla necessaria organicità della riforma, che solo l'introduzione delle fattispecie di delitto ambientale nel codice penale potrà dare. Interventi e innovazioni richiesti peraltro anche da organismi sovranazionali: in quest'ambito la Commissione intende sollecitare il Governo ad una pronta sottoscrizione della «Convenzione sulla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale», varata dal Consiglio d'Europa il 4 novembre 1998.
È inoltre necessaria, per quanto riguarda le forze di contrasto, una maggiore specialità nel settore unita ad un rafforzamento dei nuclei e dei corpi impegnati sul versante dell'illegalità ambientale; infine appare opportuna l'istituzione di forme di coordinamento tra gli uffici giudiziari, che consentano a tutti gli operatori giudiziari di avvalersi di banche-dati aggiornate e comprensive di tutti gli elementi di conoscenza utili, assicurando sinergia di azione e, soprattutto, l'assenza di duplicazioni di interventi. Nell'attività di contrasto è poi indispensabile tenere conto del nuovo volto imprenditoriale assunto anche dai clan della criminalità organizzata: non è insomma più il «solo» smaltimento illecito, ma l'aggressione ad un settore economico il fenomeno da combattere. A forme di aggressione così rilevanti e sempre più sofisticate si deve infatti rispondere con strumenti avanzati, quali le indagini patrimoniali e le attività di intelligence in campo economico, e con previsioni di legge effettivamente dissuasive.
Si è più volte ribadito che la sola via repressiva non è la panacea per gli illeciti nel ciclo dei rifiuti, essendo naturalmente prioritario un adeguamento e rafforzamento del sistema amministrativo dei controlli e delle altre forme di intervento preventive. Da questo punto di vista va detto che la situazione è nel corso degli anni senz'altro migliorata, restando però ancora ad un livello insufficiente; del resto, la migliore garanzia contro l'incidenza degli illeciti è in realtà proprio il buon funzionamento di tutto il ciclo dei rifiuti, centrato su un sistema di


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gestione integrata, con elevati stantards di qualità, sia rispetto alle tecnologie impiegate che ai servizi offerti. Dove si afferma l'esercizio corretto di un sistema integrato a servizio di tutta un'area, gli spazi per comportamenti illeciti se non si annullano si riducono drasticamente, come la Commissione ha potuto direttamente osservare. Né vanno sottaciute le positive ricadute in termini occupazionali derivanti da una gestione integrata e tecnologicamente avanzata del ciclo dei rifiuti (24). Non è questa però, purtroppo, la situazione generale del Paese. A maggior ragione, pertanto, la modifica del codice penale rappresenterebbe un rilevante segnale di volontà politica. L'auspicio è che l'unanimità di consensi registrata in Commissione, nonché la grande tensione nella direzione dell'introduzione del delitto ambientale rilevata tra gli operatori del settore, non venga ulteriormente delusa.

(24) V. doc. XXIII, n. 9.

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