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Doc. XXIII n. 47


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5. Il centro Enea-Trisaia (Matera).

Già la precedente Commissione monocamerale aveva dedicato particolare attenzione alle vicende relative al centro Enea Trisaia (località Rotondella di Matera), sia per l'allarme sui rischi di contaminazione radioattiva suscitato tra le popolazioni locali, sia per l'indagine giudiziaria avviata dalla procura di Matera sull'attività svolta dal centro, sede dell'impianto nucleare Itrec, costruito negli anni sessanta ed ultimato nel 1968, con l'obiettivo di disporre di una struttura pilota di riprocessamento e di fabbricazione del combustibile nel campo del ciclo uranio-torio.
La vicenda giudiziaria si è conclusa con esiti positivi, almeno sotto il profilo del pericolo di una contaminazione ambientale; ma la situazione, tuttora esistente, appare assai grave e censurabile è stato l'operato dell'ente nel corso di diversi anni.
Sotto il primo profilo, risultano ancora immagazzinati in piscina 64 degli iniziali 84 elementi di combustibile provenienti dal reattore Elk River, mentre i residui radioattivi liquidi acquosi, a bassa e ad alta attività, prodotti nel corso della campagna di riprocessamento condotta dall'Enea nel centro, sono stati solidificati. I residui solidi a bassa e media attività attualmente ammontano a circa 2.200 metri cubi. I rifiuti radioattivi metallici derivanti dei venti elementi di combustibile


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irraggiato e i filtri in resina del sistema di purificazione dell'acqua della piscina stessa hanno dato luogo in passato alla produzione di circa ottanta metri cubi di rifiuti solidi ad alta attività.
In ordine all'attività svolta dall'Enea, la magistratura ha accertato l'assenza di un'adeguata strategia di gestione dei materiali radioattivi con il conseguente trascinarsi nel tempo di una situazione intollerabile, soprattutto sotto i profili di sicurezza nel sistema di stoccaggio dei liquidi ad alta attività. Rispetto a questi ultimi, infatti, le soluzioni prospettate dall'Enea (cioè l'eventuale trasferimento di tali liquidi presso il centro di Saluggia o la loro miscelazione con i liquidi a bassa attività) non erano adeguate e l'impianto di solidificazione esistente non era strutturalmente in grado di trattare i rifiuti liquidi ad alta attività. Non solo, ma in violazione delle prescrizioni ministeriali i responsabili del centro non avevano mai provveduto alla realizzazione di un sistema di solidificazione di tali residui liquidi, continuando, invece, a privilegiare la realizzazione di infrastrutture per il trattamento ed il condizionamento dei rifiuti a bassa attività. Eppure - secondo le conclusioni cui è pervenuta la sentenza - non sussistevano particolari difficoltà economiche, né lo stato della scienza e della tecnica era tale da costituire un ostacolo alla realizzazione dell'obiettivo finale imposto; anzi, la tecnica della cementificazione di questa tipologia di rifiuti ad alta attività era ampiamente diffusa a livello internazionale.
Molto probabilmente, la priorità data alla costruzione di infrastrutture destinate al trattamento dei rifiuti liquidi a bassa attività si spiega col verificarsi (aprile 1994) dell'episodio della individuazione di cricche in uno dei serbatoi contenente rifiuti liquidi a bassa attività all'interno dell'impianto Itrec, con sversamento sul fondo della cella dove era collocato il serbatoio stesso; un altro episodio di rottura di una tubazione della condotta di scarico a mare si era già verificato nel 1993. In entrambe le occasioni, peraltro, l'Enea non effettuò alcuna formale comunicazione alle autorità competenti, pur temendo il rischio di contaminazione esterna, tanto che si preoccupò nell'immediatezza di effettuare rilievi radiologici sulle acque di falda prossime e campionamenti sul terreno interessato, nonché di impedire l'accesso alle persone.

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