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Doc. XVII-bis n. 2


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DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL'INDAGINE CONOSCITIVA SULLO STATO DI ATTUAZIONE DELLA CONVENZIONE DI APPLICAZIONE DELL'ACCORDO DI SCHENGEN


Introduzione.


L'indagine conoscitiva avviata dal Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione ed il funzionamento della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen si è articolata in due fasi, che hanno caratterizzato l'ingresso dell'Italia nello spazio Schengen, così come stabilito da una decisione del Comitato esecutivo assunta il 7 ottobre 1997 a Vienna in base alla quale si è prevista una prima parziale applicazione degli accordi, limitatamente alla soppressione dei controlli alle frontiere aeroportuali e all'operatività del Sistema di informazione Schengen, a partire dal 26 ottobre 1997, e sempre a far data dal 26 ottobre, l'avvio di un periodo di transizione, da concludersi entro il 31 marzo 1998, per il progressivo abbattimento delle frontiere terrestri e marittime.
Il presente documento darà pertanto conto essenzialmente di questa seconda fase, iniziata il 26 ottobre del 1997 e conclusasi il 31 marzo ultimo scorso, richiamando invece, quanto al periodo precedente al 26 ottobre dello scorso anno, i contenuti del «Primo documento» approvato dal Comitato parlamentare nella seduta dell'8 ottobre 1997 e allegata, per completezza di informazione, al presente documento.
Le considerazioni sull'esito di questa fase di transizione traggono spunto dall'attività svolta dal Comitato parlamentare, che si è articolata in audizioni mirate ad approfondire alcuni aspetti emersi nel corso dei mesi ed in particolare le problematiche connesse all'ingente afflusso di immigrati clandestini di etnia prevalentemente curda sulle coste calabresi tra Natale e Capodanno, che hanno creato preoccupazioni tra i partner Schengen circa la reale efficacia dei controlli esercitati dall'Italia lungo i suoi estesi confini costieri, proprio mentre la recente entrata in vigore della Convenzione di Dublino relativa alla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo (Convenzione firmata a Dublino il 15 giugno 1990 dagli allora dodici Stati membri della CEE e ratificata dall'Italia con la legge 23 dicembre 1992, n. 523 ma entrata in vigore soltanto il 1o settembre del


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1997 in virtù dell'articolo 22 della Convenzione stessa, che ne prevede l'entrata in vigore il primo giorno del terzo mese successivo al deposito dell'ultimo strumento di ratifica) faceva temere eventuali abusi nell'esercizio del diritto stesso. Il Comitato si è recato anche a svolgere dei sopralluoghi volti a verificare in primo luogo le modalità di attuazione degli accordi di Schengen presso gli aeroporti, per i quali, come si è detto, la soppressione dei controlli alla frontiera è stata operativa sin dal 26 ottobre (si sono quindi constatate le modifiche infrastrutturali che si sono rese necessarie, le difficoltà registrate in termini di organizzazione e di personale, eccetera). In secondo luogo, in occasione dello scadere della fase di transizione, sono stati effettuati sopralluoghi intesi a verificare le modalità operative di soppressione dei controlli alle frontiere terrestri del Brennero e di Ventimiglia e alle frontiere marittime di Genova, La Spezia e Livorno, avendo modo di constatare fenomeni, ad esempio, di emigrazione clandestina, magari meno evidenti se paragonati all'ingente afflusso di immigrati clandestini albanesi o curdi che ha interessato le coste pugliesi e calabresi da un anno a questa parte, ma indubbiamente altrettanto dolorosi e preoccupanti sotto il profilo delle organizzazioni malavitose che li alimentano.
Dei sopralluoghi effettuati si dà conto nella parte degli allegati al presente documento, cercando di distinguere, per i vari luoghi visitati, una prima parte «informativa» delle problematiche connesse all'applicazione degli accordi di Schengen, che abbiamo chiamato «relazione introduttiva»; una seconda parte «ricognitiva» del valico di frontiera (piantine, mappe, eccetera), che abbiamo chiamato «schema funzionale»; una terza parte, infine, relativa a dati statistici finalizzati ad avere un quadro del volume di traffico - cittadini Schengen, non Schengen, nazionali - da cui sono interessati i singoli valichi di frontiera, del numero dei respingimenti, delle non ammissioni, delle persone ritrovate in possesso di documenti falsi o falsificati, di eventuali sequestri di droga o stupefacenti.
Quanto invece alle audizioni svolte dal Comitato, di esse si dà conto nei Resoconti stenografici riportati di seguito al presente documento.

Capitolo I. La libera circolazione delle persone, i controlli alle frontiere esterne, la sicurezza: problemi applicativi e prospettive.

Il principio della libera circolazione delle persone si ritrova già nel Trattato di Roma, all'articolo 8A 8. L'obiettivo era allora la creazione di uno «spazio economico» rispetto al quale la libera circolazione era uno strumento e non un fine; obiettivo riconfermato anche una volta raggiunta l'unione doganale, nel Libro bianco per il completamento del mercato interno, presentato nel 1985 dalla Commissione presieduta da Delors. È con l'Atto Unico europeo del 1986 che si affaccia invece l'idea


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che il mercato interno possa diventare uno spazio economico e sociale comune, basato sulla solidarietà e dominato dalle regole del mercato, ma al tempo stesso dalla cooperazione tra le istituzioni politiche e le parti sociali. Ed è proprio in quegli stessi anni (nel 1985) che, permanendo le riserve di alcuni Stati membri alla realizzazione in tempi rapidi di uno spazio europeo senza frontiere interne e quindi senza controlli alle medesime, è stato firmato l'Accordo di Schengen, che ha rappresentato un esperimento di cooperazione rafforzata tra alcuni Stati, prendendo atto dei progressi realizzati nell'ambito della Comunità europea in materia di libera circolazione delle persone, dei beni e dei servizi ed in attesa di poter realizzare una libera circolazione in ambito comunitario. (Sulla genesi e i contenuti dell'Accordo si rinvia al capitolo 1 del «Primo documento» approvato nella seduta dell'8 ottobre 1997).
In ambito comunitario, dal 1986 al 1992, il concetto di «Europa dei cittadini» progredisce invece più lentamente. Non vi è, infatti, come nel sistema Schengen, un Gruppo centrale di negoziato, ma la materia è trattata da vari Gruppi 9 che, per realizzare la libera circolazione delle persone e le misure di accompagnamento che la devono garantire (al fine di non agevolare la criminalità organizzata nelle sue varie componenti) spezzano i temi in varie parti e agiscono, in pratica, come vasi non comunicanti.
Il Trattato di Maastricht (1992) riprenderà poi il principio della libera circolazione delle persone inserendolo in un progetto politico-sociale più ampio, volto all'istituzione di una cittadinanza europea, disciplinando, nel suo titolo VI (il cosiddetto III pilastro dell'Unione) la materia della libera circolazione delle persone, dell'immigrazione, dell'asilo, della cooperazione giudiziaria e di polizia10, mentre la Convenzione di applicazione degli accordi di Schengen (firmata nel 1990 ed entrata in vigore nel 1993, divenuta operativa nel marzo del 1995 - sull'argomento si rinvia al capitolo 1 del «Primo documento» approvato nella seduta dell'8 ottobre 1997 -) fisserà le modalità operative dell'Accordo di Schengen.
Nell'ambito di questa continuità di interventi, di azioni, di collegamento e di interrelazione tra il Sistema Schengen e il Sistema comunitario, il principio della libera circolazione «delle persone» ovvero l'attraversamento delle frontiere interne senza effettuare un controllo «sulle persone» 11 sembra essersi sempre riferito alla libera circolazione non solo dei cittadini comunitari, bensì anche a quella dei cittadini di Paesi terzi. In linea di principio, pertanto, ogni

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persona che da uno Stato membro si reca in un altro Stato membro beneficia del diritto di libera circolazione.
Se così non fosse, infatti, la reale portata della libera circolazione rimarrebbe vanificata, in quanto risulterebbe comunque indispensabile accertare la nazionalità del viaggiatore all'atto dell'attraversamento delle frontiere intracomunitarie.
Tuttavia, rispetto ai cittadini di Stati terzi, di cittadini cioè non facenti parte dell'Unione europea, il conferimento di un diritto alla libera circolazione rimane subordinato all'esistenza e quindi al rispetto di specifiche disposizioni in questo senso previste dalla legislazione nazionale dei singoli Stati, ovvero da accordi di associazione o cooperazione con Paesi terzi oppure da particolari vincoli familiari o di lavoro con un beneficiario del diritto comunitario, che possono in qualche modo limitare il principio della libera circolazione esteso all'intera area comunitaria ovvero limitarlo in termini temporali (ad esempio fino a tre mesi per chi è titolare del visto uniforme previsto dall'articolo 10 della Convenzione di Schengen).
Quanto alle modalità per l'attraversamento delle frontiere esterne, la Convenzione di Schengen prevede che esso sia consentito esclusivamente nei luoghi di transito autorizzati (articolo 3) e sia soggetto al controllo permanente delle autorità competenti dello Stato membro interessato (articolo 6), mentre al di fuori di tali luoghi di traffico, l'attraversamento è passibile di sanzioni che vengono determinate da ogni Stato membro (articolo 3, comma 2).
Il controllo alla frontiera consiste nell'esame dei documenti dei viaggiatori, al fine di verificarne l'identità ed accertare che essi soddisfino i requisiti previsti dalla stessa Convenzione di Schengen all'articolo 5, comma 1, il quale prevede che possano essere autorizzate ad entrare nel territorio per un breve soggiorno 12 le persone che non beneficiano del diritto comunitario le quali:

siano in possesso di un valido documento di viaggio o di un visto valido per la durata del soggiorno previsto;

siano in grado di esibire documenti che giustifichino lo scopo e le condizioni del soggiorno o del transito previsto;

dispongano o siano in grado di procurarsi dei mezzi di sussistenza sufficienti sia per la durata del soggiorno o del transito sia per il ritorno nel paese di origine per il viaggio verso uno Stato terzo in cui sia garantita la loro ammissione;

non costituiscano una minaccia per l'ordine pubblico, la sicurezza nazionale e le relazioni internazionali di una delle parti contraenti.

Ove non sussistano le predette condizioni, l'ingresso nel territorio delle Parti contraenti deve essere rifiutato.
È tuttavia previsto che uno Stato membro possa, per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali,


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concedere l'ammissione (limitata al proprio territorio) ad una persona avvertendone le altri parti contraenti (articolo 5, comma 2).
Il problema delle modalità per l'attraversamento delle frontiere esterne è stato peraltro anche all'attenzione del legislatore comunitario che, ritenendo la questione di interesse comune nel Trattato di Maastricht, aveva assunto le iniziative di una proposta di Convenzione (poi rimasta tale) sull'attraversamento delle frontiere degli Stati membri dell'Unione, nel dicembre del 1993, ed una, più recente, nel luglio 1997, sull'ammissione dei cittadini dei Paesi terzi negli Stati membri.
L'abolizione di ogni verifica alle «frontiere interne», definendo tali, ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione di Schengen, «le frontiere terrestri comuni delle Parti contraenti, i loro aeroporti adibiti al traffico interno ed i porti marittimi per i collegamenti regolari di passeggeri in provenienza o a destinazione esclusiva di altri porti situati nel territorio delle Parti contraenti, senza scalo in porti situati al di fuori di tali territori», e quindi la libera circolazione delle persone comporta come necessaria conseguenza l'attuazione di un controllo efficace operato nei confronti di chi attraversa le frontiere esterne 13, al fine di evitare una diminuzione del livello di sicurezza per i cittadini, mentre nel momento in cui l'attraversamento delle frontiere interne non costituisce più l'atto che dà origine a controllo, questo intervento dello Stato deve trasferirsi con una maggiore attenzione sul territorio nazionale.
A questo riguardo la stessa Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen fa del resto salva la possibilità, da parte di ogni Stato membro di derogare «per esigenze di ordine pubblico e di sicurezza nazionale» alla soppressione dei controlli alle frontiere interne (articolo 2, comma 2).
Il passo successivo è dunque quello di adottare, insieme all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, «misure di accompagnamento» volte ad assicurare adeguati standard di sicurezza attraverso il controllo dell'immigrazione dai Paesi terzi, la lotta contro il terrorismo, la criminalità ed il traffico di stupefacenti. Misure queste che ancora sono rimesse in larga parte alla valutazione dei singoli Stati ma che indubbiamente richiedono una politica di indirizzo comune e parallelamente, sotto il profilo dell'immigrazione, l'armonizzazione delle legislazioni nazionali che regolano la condizione dello straniero extracomunitario nel territorio degli Stati membri (sull'argomento vedi infra capitolo II). In questa ottica sono da considerare le disposizioni dell'Accordo di Schengen, che tra le «misure da attuare a lungo termine», che cioè richiedono azioni di lunga durata, prevede come impegno di principio tra le Parti contraenti «la cooperazione giudiziaria e tra le forze di polizia in materia di prevenzione della criminalità (articolo 18); l'impegno all'armonizzazione delle legislazioni in materia di stupefacenti, armi, esplosivi, e dichiarazione dei viaggiatori negli alberghi (articolo 19); l'impegno dell'armonizzazione delle politiche sui visti e sulle condizioni di ingresso nei rispettivi territori (articolo 20). Princìpi confermati ed espressi con maggiore dettaglio, come «misure di accompagnamento necessarie» nella

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Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen (titolo III, articoli da 39 a 91), ove in definitiva si riafferma il criterio per cui la libera circolazione deve conciliarsi con il mantenimento della sicurezza dei cittadini e quindi richiede un coordinamento in materia di polizia e sicurezza.
L'esigenza di una cooperazione tra le polizie degli Stati membri era stata peraltro già avvertita dal legislatore comunitario con la previsione, all'articolo K19 del Trattato di Maastricht, di un Ufficio europeo di polizia, poi formalmente istituito con la Convenzione Europol, firmata a Bruxelles il 26 luglio 1995 e da ultimo ratificata anche in Italia (legge 23 marzo 1998, n. 93). La necessità di una sempre più stretta collaborazione tra le forze di polizia a livello comunitario era stata peraltro già da tempo all'origine di varie iniziative. In occasione del Consiglio europeo di Lussemburgo del giugno 1991, fu avanzata dalla Germania la proposta per la costituzione di un Ufficio investigativo criminale europeo centrale, con compiti di accentramento e coordinamento delle attività informative e di intelligence svolte dalle autorità di polizia dei paesi della Comunità europea. A tale scopo fu costituito, all'interno del Gruppo Trevi (creato per la lotta al terrorismo e alla violenza), un sottogruppo incaricato di studiare la creazione di una Unità europea antidroga (UDE), che fu poi istituita, mediante uno specifico accordo ministeriale, il 2 giugno 1993 a Copenaghen. Con l'istituzione di tale «centrale» europea per il coordinamento delle forze di polizia dei Dodici nella lotta alla droga si ponevano le basi attuative del progetto Europol; con il successivo Consiglio europeo di Bruxelles del 29 ottobre 1993 fu stabilito di fissarne la sede a L'Aja. L'accordo entrava in vigore il 30 ottobre ma la costituzione dell'Ufficio aveva luogo il 3 gennaio 1994 dopo l'invio a L'Aja degli ufficiali di collegamento designati da ciascuno Stato membro. L'ambito di operatività dell'Ufficio inizialmente riferito al solo comparto droga è stato successivamente ampliato ad altre fattispecie criminose in base a nuove intese intergovernative. Con l'adozione da parte dei quindici Stati membri dell'Unione europea dell'Azione comune del 20 marzo 1995 e successivamente del 16 dicembre 1996, le competenze dell'Europol sono state estese al traffico illecito di materiali radioattivi e nucleari, alle organizzazioni di immigrazione clandestina, alla tratta di esseri umani, al traffico illecito di autoveicoli e alle attività di riciclaggio.
Ed anche in ambito Schengen si è sentita l'esigenza, soprattutto a seguito degli ingenti flussi di immigrazione clandestina, ed in particolare di cittadini iracheni, che ha interessato le coste dell'Italia e della Grecia tra la fine del 1997 e l'inizio del 1998, di trovare un coordinamento maggiore, secondo un piano comune tra gli Stati membri, per assicurare la massima effettività ed efficienza dei controlli alle frontiere esterne.
A tale scopo è stata istituita alla fine del 1997 un'apposita Task force 14, con il compito di studiare i fenomeni di immigrazione sotto il profilo degli itinerari e del modus operandi delle reti di

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immigrazione clandestina, cercando di ottimizzare, anche attraverso la collaborazione con Europol, la cooperazione pratica nella lotta ai fenomeni di immigrazione clandestina.
La stessa convenzione di Schengen prevede tra l'altro una forma rafforzata di cooperazione tra le forze di polizia ove, accanto alle misure tradizionali dello scambio di informazioni e del distacco di ufficiali di collegamento, introduce due istituti giuridici nuovi: l'osservazione e l'inseguimento oltre frontiera (articoli 40 e 41). L'articolo 39 della Convenzione prevede, altresì, accordi di cooperazione transfrontaliera tra le parti contraenti che, relativamente all'Italia, sono stati negoziati con i due partner confinanti (Francia e Austria). Quanto ai controlli alle frontiere esterne, il Gruppo centrale del Comitato esecutivo Schengen oltre ad aver istituito un sottogruppo «Frontiere» incaricato in particolare di studiare le misure necessarie per ottimizzare il livello effettivo dei controlli alle frontiere esterne di tutto lo spazio Schengen, ha incaricato un'apposita Commissione di effettuare visite periodiche alle frontiere esterne dei Paesi che già applicano la Convenzione di Schengen per evidenziare la necessità di adottare eventuali misure supplementari nei controlli effettuati.
Con il Trattato di Amsterdam, già ratificato in Italia, ed in fase di ratifica da parte dei Paesi membri dell'Unione europea, si prevede l'istituzione progressiva di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, che implica l'adozione da parte del Consiglio, entro cinque anni, di misure volte ad assicurare innanzitutto la libera circolazione delle persone, insieme a misure di accompagnamento direttamente connesse in materia di controlli alle frontiere esterne, asilo, immigrazione, prevenzione e lotta contro la criminalità. Si stabilisce inoltre l'adozione, entro cinque anni, di misure miranti a garantire l'assenza di controlli sulle persone all'attraversamento delle frontiere interne (sia dei cittadini dell'Unione che dei cittadini dei paesi terzi); l'adozione di misure relative all'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, ivi comprese le norme sui visti di durata non superiore a tre mesi; l'adozione di misure sulle condizioni in base alle quali i cittadini di paesi terzi hanno libertà di circolazione all'interno dell'Unione per un periodo non superiore a tre mesi (articolo 62 del TCE nella versione consolidata con il Trattato di Amsterdam). Il principio della libera circolazione si lega quindi inscindibilmente anche all'esigenza di prevedere una politica comune in materia di visti, mentre si assiste al passaggio da una forma tradizionale di cooperazione internazionale a livello europeo, quale è appunto quella realizzata dal Sistema Schengen ad un Sistema di integrazione comunitaria, che porrà indubbiamente un problema di coordinamento tra norme Schengen, norme comunitarie e norme nazionali mancando, soprattutto in settori nevralgici quali ad esempio l'ingresso, il soggiorno, l'allontanamento dello straniero norme comuni fra gli Stati membri del «Sistema Schengen comunitario».
Se è vero infatti che l'Italia ha dato prova di grande sensibilità europea approvando nel marzo ultimo scorso una legge sull'immigrazione (legge 3 marzo 1998, n. 40) è anche vero che non esistono ancora norme comuni tra i singoli Stati in materia di ingresso, di soggiorno, di allontanamento degli stranieri, come anche in materia di riconoscimento dell'asilo o dello status di rifugiato. E le norme Schengen,

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come anche quelle comunitarie, concedono spesso deroghe o eccezioni (per ragioni di carattere umanitario - poi oggetto di interpretazioni differenti da parte delle legislazioni nazionali - ovvero per ragioni di carattere economico connesse ai singoli mercati del lavoro) che potrebbero portare, ove non vi fosse un mutuo riconoscimento di criteri di buona fede e di fiducia reciproca tra gli Stati, anche ad uno sviamento o ad una distorsione delle finalità previste nel diritto comunitario.
Con il Trattato di Amsterdam e con il protocollo allegato relativo all'integrazione dell'acquis di Schengen nell'Unione europea, può dirsi comunque che il capitolo della libera circolazione viene a chiudersi, con il ricorso, quanto all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, alle norme Schengen. Ciò consentirà all'Unione europea di mettere l'accento sulle misure compensative o di accompagnamento necessarie a meglio garantire la sicurezza dei cittadini dalla criminalità organizzata e dall'immigrazione clandestina.
Una politica comune in materia di immigrazione e di asilo viene pertanto ad essere un necessario corollario della libera circolazione delle persone.

Capitolo II. La politica comune in materia di immigrazione e di asilo.

Nell'Accordo di Schengen, così come nella Convenzione di applicazione, nel Trattato di Maastricht e nel Trattato di Amsterdam, non viene contemplata una vera e propria politica comune in materia di immigrazione, bensì sono contenuti princìpi generali relativi al controllo dell'immigrazione, che rimane poi rimesso alla potestà normativa e quindi alla responsabilità dei singoli Stati.
Il problema di una politica migratoria comune è stato del resto fino ad oggi avvertito in ambito comunitario e in ambito Schengen come una «compensazione» rispetto all'abolizione dei controlli alle frontiere interne e quindi alla libera circolazione delle persone. Schengen e gli Stati Schengen si sono pertanto limitati ad un controllo puro e semplice dei flussi migratori.
Il Trattato di Maastricht considera tra le questioni di interesse comune, al fine della realizzazione degli obiettivi dell'Unione, ed in particolare della libera circolazione, la politica di asilo, la politica di immigrazione e la politica da seguire nei confronti dei cittadini dei Paesi terzi, le condizioni di entrata e di circolazione dei cittadini dei Paesi terzi nel territorio dell'Unione, le condizioni di soggiorno dei cittadini di Paesi terzi nel territorio degli Stati membri compresi il ricongiungimento familiare e l'accesso all'occupazione ed infine la lotta contro l'immigrazione, il soggiorno ed il lavoro irregolare di cittadini dei Paesi terzi nel territorio degli Stati membri.
Il Trattato di Amsterdam conferma questi obiettivi, stabilendo una comunitarizzazione graduale della politica migratoria e un termine, cinque anni, affinché gli Stati membri arrivino ad avere una politica comune in materia di immigrazione, che ancora quindi riveste un carattere programmatico.
Con l'abolizione dei controlli alle frontiere interne ed il conseguente rafforzamento di quello alle frontiere esterne, la nozione stessa


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di controllo deve tuttavia necessariamente mutare di significato, dovendo esso diventare da statico dinamico, volto cioè a prevedere ed ad anticipare i flussi di immigrazione clandestina. L'obiettivo stesso di una politica comune in materia di immigrazione è divenuta in altre parole un'esigenza pratica ed attuale che, in attesa di essere tradotta in un testo giuridico, può trovare sin d'ora efficaci reti di accordi e forme di cooperazione tra le forze di polizia, mentre diventa ormai indispensabile pensare all'immigrazione come ad un fenomeno strutturale e di lungo periodo rispetto al quale è importante prevedere anche una «politica di programmazione».
In questo senso è il testo della citata legge sull'immigrazione approvata di recente dal Parlamento italiano che, all'articolo 19, prevede quote annuali di ingresso, già conosciute dal nostro ordinamento, ma che divengono più cogenti e soprattutto, oltre a presiedere agli ingressi, e non solo per lavori subordinati
15, assumono i caratteri di uno strumento importante per l'attuazione dello stesso programma triennale della politica di immigrazione, istituito dalla legge stessa (articolo 3 comma 1).
Da una logica quindi essenzialmente «difensiva» volta a migliorare i controlli e a rendere più efficaci i meccanismi repressivi si passa ad una impostazione che affronta il problema delle migrazioni a livello delle cause, cercando quindi di contenere e di canalizzare la pressione migratoria all'origine.
Quanto alle iniziative volte a creare una rete di cooperazione tra gli Stati interessati al fine di affrontare in modo efficace i problemi dei flussi migratori nelle due direzioni dell'immigrazione e dell'emigrazione clandestina si ricorda oltre alla firma in ambito comunitario della Convenzione Europol e all'istituzione di una Task force da parte del Comitato esecutivo Schengen, di cui si è detto nel capitolo I, l'iniziativa assunta dai Capi della polizia dei Paesi maggiormente interessati dai flussi migratori che ha dato luogo nel gennaio del 1998 ad una dichiarazione di intenti, cui è seguita la creazione di Punti di contatto nazionali (POC) per definire comuni iniziative secondo adeguate procedure operative (i Paesi interessati sono Germania, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo, Svizzera, Turchia, Svezia, Austria, Francia, Grecia, Belgio ed Italia) 16.

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La cooperazione internazionale tra le forze di polizia, del resto, esiste già da tempo ed è stata, per usare la terminologia del trattato di Maastricht «rafforzata» dalle Parti contraenti attraverso la Convenzione di Schengen.
Fino all'adozione di strategie comuni è evidente del resto la necessità di ricorrere a norme particolarmente attente, non solo nel settore dell'immigrazione ma anche dell'asilo, affinché vi sia una certa assunzione di responsabilità da parte dei singoli Stati membri, onde evitare una circolazione indiscriminata degli stranieri, e che le politiche di asilo vengano usate come politiche di immigrazione nascosta o clandestina.
Sotto questo profilo, le Convenzioni di Schengen e di Dublino (più precisamente, le norme della Convenzione di Dublino che hanno sostituito le norme della Convenzione di Schengen - gli articoli da 28 a 38 - sulla responsabilità per l'esame delle domande di asilo) pongono in essere un sistema di determinazione della competenza in base al quale un solo Stato può essere considerato competente ad istruire una domanda di asilo depositata sul territorio comunitario 17: in tal

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modo, si è cercato di porre rimedio al problema del cosiddetto «abuso del diritto di asilo», ossia quel fenomeno in base al quale certi richiedenti asilo, dopo aver ricevuto un rifiuto in un primo Stato membro, tentavano di ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato in un altro Stato membro o addirittura presentavano una pluralità di domande in Stati differenti, nella speranza che almeno una di esse venisse accolta.
Il sistema configurato dalle norme della Convenzione di Dublino (che fa comunque salve le norme concernenti lo status di rifugiati definite dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e dal Protocollo di New York del 1967), se da un lato garantisce il diritto del richiedente asilo a vedere trattata la propria domanda 18 - ponendo così fine al fenomeno dei cosiddetti «rifugiati in orbita», significativa espressione per indicare quei cittadini di Stati terzi i quali vengono continuamente rinviati di aeroporto in aeroporto, senza che aluno Stato si dichiari competente ad istruirne la domanda di asilo e senza che possa peraltro configurarsi una violazione del principio di non refoulement 19 - dall'altro ne impedisce la libera scelta, in quanto lo Stato competente è tassativamente determinato in base ai criteri predisposti dalla Convenzione.
Le Convenzioni di Schengen e di Dublino rappresentano comunque un'armonizzazione almeno dal punto di vista formale del diritto di asilo prevedendo, sul piano sostanziale, soltanto la cooperazione e lo scambio reciproco di informazioni tra le due competenti autorità statali20. Politica comune in materia di asilo dovrebbe invece poter significare il medesimo trattamento di una domanda di asilo e la medesima decisione nel merito ovunque, all'interno dello spazio senza frontiere.
A tal fine sarebbe necessario procedere all'armonizzazione dei criteri e delle procedure per la determinazione dello status di rifugiato, ad una regolamentazione del soggiorno dei rifugiati di fatto ed alla creazione di condizioni di accoglienza per i richiedenti asilo che siano tali da evitarne l'afflusso verso quelli tra gli Stati che presentano il sistema più vantaggioso.
A questo riguardo sono infatti da segnalare alcune iniziative assunte di recente dalla Commissione, che il 5 marzo 1997 ha adottato

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una proposta di azione comune concernente la protezione temporanea degli sfollati. Questa iniziativa istituisce un quadro di regole che dovrebbero consentire agli Stati membri di prendere decisioni comuni in questa materia e fissa un livello minimo di diritti e di obblighi per coloro che beneficiano di tale protezione.
La Commissione ha adottato poi, il 30 luglio, una proposta di Convenzione relativa alle regole di ammissione dei cittadini di Paesi terzi negli Stati membri dell'Unione europea. Si tratta di disposizioni relative a soggiorni di oltre tre mesi a scopi di impiego, lavoro dipendente, studio, ricongiungimento familiare o altri fini, nonché della concessione ai residenti di lunga durata in determinati settori, dei medesimi diritti fondamentali concessi ai cittadini dell'Unione.
Con l'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, l'immigrazione e l'asilo verranno a far parte del cosiddetto primo pilastro dell'Unione; saranno cioè ricomprese in ambito comunitario, con la possibilità di godere di procedure più snelle e rapide oltre che più trasparenti a fronte di fenomeni quali il massiccio afflusso di profughi albanesi lo scorso anno, per quello che ha riguardato l'Italia, ovvero le improvvise immigrazioni di profughi di etnia curda che hanno interessato sia la Grecia che l'Italia all'inizio del presente anno, che non consentono incertezze, bensì richiedono forti azioni comuni.
La scelta della comunitarizzazione del diritto di asilo e delle politiche migratorie risponde comunque non solo ad esigenze di efficienza - vista l'inadeguatezza sotto questo profilo del metodo intergovernativo delineato dal sistema Schengen che, richiedendo l'unanimità per l'adozione di qualsiasi decisione, può determinare rallentamenti e paralisi del processo decisionale - bensì risponde anche ad esigenze di legittimità, stante un certo deficit democratico insito nel metodo intergovernativo, per la scarsa trasparenza che spesso caratterizza le decisioni e per l'assenza di qualsiasi istanza giurisdizionale superiore, ragioni queste che ve ne giustificano il ricorso in via transitoria e residuale, come risposta ad un'«urgenza di cooperare» che certamente esiste.
La strada maestra sarebbe dunque una politica migratoria comunitaria che sappia integrare il fenomeno migratorio nell'ambito di una politica occupazionale comune da un lato, di una politica di cooperazione allo sviluppo dall'altro.

Capitolo III. L'integrazione dell'acquis Schengen nel trattato di Amsterdam.

Al fine di attuare il Protocollo sull'integrazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea, allegato al Trattato di Amsterdam subito dopo la firma del Trattato, il 2 ottobre 1997, tre Gruppi di lavoro hanno iniziato la loro attività per far confluire le norme Schengen, il Segretariato Schengen ed il suo personale nell'Unione.
Il primo Gruppo di lavoro ha il compito, in base all'articolo 2 del Protocollo, di determinare la base giuridica di ciascuna delle disposizioni o decisioni che costituiscono l'acquis di Schengen e la loro destinazione al cosiddetto I Pilastro dell'Unione o al loro


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mantenimento nel III Pilastro, cioè in ambito intergovernativo. Tale esercizio va visto nel contesto del Titolo IV (articoli da 61 a 69) della versione consolidata del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei Titoli VI e VII (articoli da 29 e 45) della versione consolidata del Trattato sull'Unione europea. Le norme di cui sopra prevedono il passaggio al I Pilastro (la cosiddetta «comunitarizzazione») delle misure relative all'abolizione di controlli alle frontiere interne, della politica comune dei visti, delle misure relative all'asilo, all'immigrazione ed alla cooperazione giudiziaria civile, entro un periodo di 5 anni dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam. La cooperazione di polizia e quella giudiziaria penale rimarranno invece in ambito intergovernativo, nel III Pilastro.
La Presidenza, il 21 aprile, ha messo a punto una nota che prevede un progetto di decisione del Consiglio per il recepimento dell'acquis. In allegato alla nota, un prospetto indica le basi giuridiche per l'inserimento delle norme Schengen nell'Unione europea. Su tale prospetto sussistono varie «riserve di esame» e saranno quindi necessari ulteriori lavori per arrivare ad un testo definitivo.
Tra i problemi principali da risolvere vi è quello costituito dall'integrazione del Sistema di informazione Schengen sia nella sua versione attuale, capace di gestire i dati di 10 Paesi, sia in quella più ampia, che dovrà ricevere i dati dei 5 Paesi dell'Unione nordica. I lavori finora condotti hanno avuto un'impostazione puramente teorica e vedrebbero spartite le norme SIS tra I e III Pilastro, il che potrebbe creare problemi di interpretazione (considerate le differenze tra III e I Pilastro) e di gestione.
Sotto il profilo dell'interpretazione, ad esempio, la Commissione ritiene che lo schedario presente nel SIS relativo agli stranieri non ammissibili, ai sensi dell'articolo 69 della Convenzione di Schengen - ai quali cioè l'accesso nel territorio deve essere rifiutato da parte di tutti gli Stati Schengen - debba rientrare nel I pilastro. Gli altri schedari invece, relativi alle segnalazioni ai fini dell'estradizione, dovrebbero rientrare nel III pilastro. Quanto alle disposizioni che sono comuni agli schedari del I e del III pilastro, ad esempio le disposizioni relative alla creazione del SIS e al suo funzionamento, come alla protezione dei dati, rientrerebbero al tempo stesso nel I e nel III pilastro, avendo quindi una doppia base giuridica.
L'orientamento prevalente fino a questo momento da parte degli Stati Schengen è invece di considerare l'intero corpo di disposizioni sul SIS nell'ambito del III pilastro, temendo che la determinazione di una doppia base giuridica possa rendere impossibile la gestione del SIS e pregiudicarne l'operatività.
Il problema di fatto è essenzialmente politico e richiederà una scelta che, quale che sia la base giuridica adottata, garantisca comunque la continuità del funzionamento del SIS, che non può essere fermato neanche per un giorno.
Sotto il profilo gestionale le alternative, per una scelta, sono quelle del mantenimento dello status quo, soluzione più semplice (contributi nazionali e gestione da parte di uno Stato membro, in questo caso la Francia) o, in secondo luogo, dell'affidamento alla Commissione della gestione del sistema, con fondi comunitari.

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La terza opzione consisterebbe nel creare un sistema misto (cogestione Commissione/Stati membri con fondi comunitari) mentre la quarta sarebbe quella di istituire un'Agenzia ad hoc (sempre con la partecipazione degli Stati membri e della Commissione, con fondi comunitari), sul modello dell'Osservatorio droga di Lisbona o del costituendo Osservatorio per il razzismo e la xenofobia a Vienna.
Il secondo Gruppo di lavoro deve a sua volta disciplinare la partecipazione della Norvegia e dell'Islanda all'attività futura del III Pilastro, integrato con l'acquis Schengen.
La Norvegia e l'Islanda, al momento della firma degli atti di adesione della Danimarca, della Svezia e della Finlandia, intervenuta a Lussemburgo il 19 dicembre 1996, hanno concluso un accordo di cooperazione con gli altri Stati Schengen. Tale accordo di cooperazione, concluso eccezionalmente (gli Stati membri di Schengen devono essere al tempo stesso membri dell'UE) per non dividere in due blocchi gli Stati dell'Unione nordica dei passaporti, che ha realizzato la libera circolazione delle persone molto prima di Schengen, consente ai due Paesi di partecipare alle decisioni del Comitato Esecutivo.
Deve ora essere trovato un sistema per la partecipazione dei due paesi alle decisioni del Consiglio (che dopo l'integrazione prenderà il posto del Comitato Esecutivo), il che comporta la ricerca di una nuova soluzione più o meno ibrida, non essendo Islanda e Norvegia parti dell'Unione.
Con l'ausilio del Servizio giuridico del Consiglio si stanno studiando i meccanismi possibili per giungere a tale soluzione e per assicurare l'omogeneità dell'interpretazione e dell'applicazione dell'acquis Schengen e la definizione di eventuali controversie.
Il terzo Gruppo di lavoro (il «Gruppo Antici», che prepara le riunioni del Comitato dei rappresentanti permanenti) deve infine curare l'integrazione nell'Unione del personale del Segretariato Schengen (personale peraltro particolarmente competente e valido). Si tratta di circa 70 persone, di cui 5 italiani. Occorre decidere sul modo di reclutamento e sui posti effettivamente disponibili tenendo presenti le naturali perplessità e le resistenze opposte dai sindacati del Consiglio e della Commissione, nell'eventualità che essa debba assorbire una parte degli interpreti di Schengen.
In conclusione, sulla base delle valutazioni che è possibile effettuare al momento, l'attività per l'integrazione di Schengen nell'Unione è stata avviata concretamente ma richiederà ulteriori lavori a livello tecnico, prima di poter giungere alla necessaria decisione formale del Consiglio.
Rimane sempre valida l'ipotesi di concludere entro il prossimo mese di giugno, ma eventuali ritardi non dovrebbero comunque creare difficoltà. L'obiettivo di cui tutti gli Stati membri sono consapevoli è infatti quello di consentire che l'acquis di Schengen venga applicato dal momento in cui entrerà in vigore il Trattato di Amsterdam dopo la sua ratifica.

Considerazioni conclusive.

Nel tracciare un bilancio del processo Schengen può senz'altro dirsi che esso è stato un tassello importante nel più generale processo di costruzione politica dell'Unione europea.


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La libera circolazione delle persone, oltre a rappresentare un significativo passo in avanti verso la realizzazione di un'autentica cittadinanza europea, crea di fatto uno spazio che può essere il luogo in cui avviare una effettiva politica comune nel campo della giustizia, della sicurezza, della cooperazione giudiziaria e tra le forze di Polizia. Obiettivi questi che divengono al tempo stesso esigenze, rispetto alle quali è da sottolineare il ruolo attivo che possono assumere i parlamenti nazionali ed in particolare l'Italia che, unico tra gli Stati Schengen, si è dotata di un Comitato parlamentare ad hoc, con funzioni conoscitive e di controllo, quanto all'attuazione e al funzionamento della Convenzione di Schengen e funzioni consultive, nella forma di un parere obbligatorio e vincolante al Governo sui progetti di decisione che impegnano l'Italia
21. Questo garantisce l'effettiva partecipazione del Parlamento alle scelte che il nostro Paese compie in qualità di membro del Comitato esecutivo Schengen e più in generale nella politica di integrazione europea. È da sottolineare infatti l'importanza strategica che le assemblee parlamentari possono assumere non solo facendosi interpreti presso i propri esecutivi di esigenze connesse ai diritti fondamentali dei cittadini attraverso strumenti di indirizzo e pareri, ma integrando e al tempo stesso rafforzando con il proprio apporto l'azione degli esecutivi.
In questo modo si allargano le possibilità di costruire interventi comuni per lo sviluppo sociale ed economico e si va verso la creazione di uno spazio giuridico comune che è il presupposto per un'efficace lotta alla criminalità organizzata e quindi all'immigrazione e all'emigrazione clandestina, al traffico di armi e stupefacenti, al riciclaggio del denaro sporco.
Un quadro normativo ed istituzionale rafforzato può inoltre davvero contribuire in modo decisivo a trasformare quella che oggi è «cooperazione» giudiziaria in «integrazione», cioè in applicazione di norme se non comuni almeno compatibili. Si tratta di prospettive che possono apparire di lungo periodo, ma che l'accelerazione dell'evoluzione economica da un lato, la libera circolazione dall'altro, rendono ormai più vicine di quanto si possa pensare.
Quanto alle prospettive di lavoro per il Comitato parlamentare, terminata la fase che ha visto concludere positivamente il periodo di transizione per l'abbattimento delle frontiere interne e quindi realizzare la libera circolazione delle persone, ne seguirà un'altra volta a verificare il funzionamento a regime del Sistema Schengen, in attesa dell'incorporazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea, che ridisegnerà completamente - rispetto allo stato attuale - l'assetto delle competenze.
In questa fase «intermedia» si assisterà probabilmente alla completa messa in applicazione della Convenzione di Schengen in Grecia, anche quindi sotto il profilo dell'abolizione dei controlli alle frontiere, (mentre, allo stato attuale, l'integrazione per questo Paese è limitata al rilascio dei visti Schengen e alla partecipazione al SIS). Al riguardo si è sottolineato, anche da parte italiana, l'inopportunità di porre

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condizioni e criteri diversi e più restrittivi, rispetto a quelli applicati per gli Stati che già applicano la Convenzione, per l'integrazione di paesi che, come la Grecia, già applicano in parte la Convenzione o per paesi, come gli Stati nordici, che ancora non la applicano.
È poi in discussione da parte del Comitato esecutivo Schengen l'istituzione di una Commissione permanente per l'applicazione della Convenzione, in sostituzione della Commissione frontiere che ha operato fino a questo momento 22. Al riguardo si è ravvisata tuttavia l'opportunità di distinguere il tipo di visite che dovrà effettuare questa Commissione nei paesi non ancora integrati (gli Stati nordici), in quelli parzialmente integrati (la Grecia) ed infine nei Paesi integrati.
La stessa istituzione di una Commissione che verifichi l'applicazione della Convenzione ha suscitato alcune perplessità anche da parte italiana, visto che l'applicazione della Convenzione di Schengen spetta in primo luogo agli Stati membri e non a Commissioni sovranazionali, che devono limitarsi ad operazioni di verifica ben definite in un apposito mandato. Una Commissione incaricata in particolare di verificare l'efficacia dei controlli alle frontiere esterne (visto che la menzionata Commissione dovrà sostituire la preesistente Commissione frontiere) non dovrà pertanto assumere il ruolo di un «tribunale» che giudica il comportamento degli Stati, bensì dovrà consistere in un utile strumento di verifica e di stimolo, basata sul presupposto della reciproca fiducia tra gli Stati.
È poi in discussione l'approfondimento dei controlli da effettuare sulle imbarcazioni che svolgono navigazione da diporto, che comporta rischi di immigrazione clandestina, mentre, sotto il profilo del transito aeroportuale, il Gruppo visti, istituito all'interno del Comitato esecutivo, sta analizzando, su richiesta dei Paesi Bassi, l'argomento relativo al visto di transito aeroportuale, che, ad avviso delle autorità olandesi, sta creando distorsioni nel traffico passeggeri delle compagnie aeree, con ricadute commerciali per talune di esse.
La delegazione francese ha infine chiesto di esaminare, in conformità con le regole di libera circolazione previste dall'Accordo di Schengen, la Convenzione di buon vicinato franco-monegasco del 18 maggio 1997. Iniziativa che merita di essere presa in considerazione soprattutto da parte italiana in relazione ad analoghi problemi che potrebbero esistere con la Repubblica di San Marino e con lo Stato del Vaticano.
Quanto ai problemi di immigrazione illegale, lo stesso Comitato esecutivo Schengen, istituendo tra l'altro un'apposita Task force (di cui si è detto nel capitolo I), ha ravvisato - nel quadro delle raccomandazioni adottate ed ancora in discussione nell'ambito dell'Unione europea - la necessità di intensificare i controlli alle frontiere esterne secondo un piano comune, adottando misure concrete che

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garantiscano la massima effettività ed efficienza dei controlli stessi 23. In ambito Schengen l'attenzione può al momento essere incentrata soprattutto sui pull factors dei movimenti di immigrazione irregolare, mentre è di competenza di altri organi occuparsi delle cause del fenomeno nelle regioni di provenienza o di transito.
Si è poi ravvisata l'esigenza di sostenere negoziati ai fini della conclusione di un accordo di riammissione tra i partner Schengen da un lato e la Turchia, la Repubblica ceca, la Slovacchia, l'Ungheria e la Slovenia dall'altro e di migliorare la cooperazione pratica tra gli Stati Schengen nel quadro dell'applicazione della Convenzione di Dublino.
Su queste ed altre questioni dovrà pertanto incentrarsi l'attenzione del Comitato parlamentare in questa fase «intermedia» prima dell'incorporazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea, fase in cui il Sistema Schengen funziona a regime sotto il profilo della libera circolazione delle persone, ma deve ancora far fronte ad importanti esigenze, quella soprattutto di assicurare l'efficacia del controllo alle frontiere esterne, rafforzando le iniziative volte a contrastare i flussi di immigrazione illegale e quella di assicurare adeguati standard di sicurezza interna ed esterna ai cittadini. Sotto questo profilo l'azione del Comitato sarà volta a verificare in primo luogo l'efficacia della cooperazione tra le forze di Polizia, già prevista e disciplinata dalla Convenzione di Schengen (negli articoli da 39 a 47) ma che oggi assume una rilevanza ancora maggiore con la ratifica (legge 23 marzo 1998, n. 93) della Convenzione Europol, che istituisce in ambito comunitario un Ufficio europeo di polizia, mentre la citata legge di ratifica attribuisce al Comitato parlamentare poteri di vigilanza sull'attività dell'Unità nazionale Europol, già istituita in Italia con un decreto interministeriale dal 1o febbraio 1996.
La determinazione delle modalità concrete di esercizio di questa funzione di vigilanza sarà oggetto di un regolamento interno da parte dal Comitato.
Quello che al momento già può essere evidenziato è comunque uno slittamento ed un ampliamento dell'ambito di competenza del Comitato stesso, che peraltro sin dall'inizio è nato come organo bicamerale creato ad hoc, con compiti specifici sia nella fase ascendente del processo decisionale Schengen (espressione di pareri vincolanti al Governo ex articolo 18 della legge di ratifica 30 settembre 1993, n. 388) che nella fase discendente (controllo sul funzionamento e sull'attuazione della Convenzione di applicazione degli accordi di Schengen) (sull'argomento vedi il capitolo 2 del «Primo documento» approvato nella seduta dell'8 ottobre 1997).
L'ormai prossima incorporazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea ed i nuovi poteri di vigilanza attribuiti al Comitato sull'Unità nazionale Europol ne ridisegneranno in modo

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significativo il ruolo, venendo progressivamente a configurarsi come uno degli organi del Parlamento nazionale specializzato negli affari comunitari.
Sotto questo profilo, si può pensare alla partecipazione di una delegazione del Comitato alla COSAC, la Conferenza degli organismi specializzati degli affari comunitari, a cui peraltro il Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali nell'Unione europea allegato al Trattato di Amsterdam attribuisce proprio il compito di esaminare qualsiasi proposta e iniziativa legislativa concernente l'istituzione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia che possa incidere direttamente sui diritti e sulla libertà dei singoli.
Preme comunque al momento sottolineare che il binomio libera circolazione - maggiore sicurezza interna ha già trovato con la stessa ratifica della Convenzione Europol una concreta espressione.
Lo stesso Ministro dell'interno Giorgio Napolitano ha dichiarato il 28 maggio ultimo scorso a Bruxelles, nel corso di un dibattito «aperto» sul crimine organizzato, che la libera circolazione delle persone è una grande conquista di libertà, da presidiare però con forti garanzie di sicurezza, anche per combattere il traffico di esseri umani che si intreccia con l'immigrazione clandestina.
Per questo è importante realizzare efficaci forme di cooperazione tra le forze di polizia e per questo è necessario giungere al più presto alla costituzione dell'Ufficio europeo di polizia (Europol), evitando ritardi nella ratifica del Protocollo sui privilegi e sulle immunità 24 al fine di evitare che tra la firma di una Convenzione e la sua entrata in vigore i tempi divengano troppo lunghi.
L'obiettivo dunque è quello che le nostre società diventino più libere senza diventare meno sicure.

8. L'articolo 8A è poi diventato articolo 7A con l'entrata in vigore del Trattato di Maastricht che così recita: «Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, secondo le disposizioni del presente Trattato».\.

9. Si tratta del Gruppo Trevi, nato sin dal 1976, con competenze in materia di cooperazione di polizia (diviso a sua volta in quattro gruppi di lavoro, uno dei quali incaricato specificatamente di seguire il negoziato per la creazione di Europol). Nel 1986 viene costituito un gruppo ad hoc per seguire i problemi relativi all'immigrazione e all'asilo. Nel 1988 è istituito (dal Consiglio europeo di Rodi) un gruppo coordinatori libera circolazione delle persone. Vi è poi il gruppo CELAD, per la cooperazione nel settore della droga ed il gruppo GAM (1992) per la cooperazione nel settore doganale.\.

10. I preesistenti gruppi di lavoro vengono coordinati da 3 gruppi Direttori (asilo - immigrazione, cooperazione di polizia, cooperazione giudiziaria) e da un comitato, il K4, simile al gruppo centrale Schengen).\.

11. La Convenzione di Schengen dà in realtà la nozione di «straniero» come di chi «non è cittadino di uno Stato membro della Comunità europea» (articolo 1) per definirne in seguito un trattamento particolare ai fini dell'ingresso e della permanenza nell'area Schengen.\.

12. Si intende come «breve soggiorno» un periodo di soggiorno ininterrotto o soggiorni successivi nel territorio degli Stati membri di durata non superiore ai tre mesi a decorrere dalla data della prima entrata.\.

13. Sono tali, sempre secondo la definizione contenuta nell'articolo 1 della Convenzione di Schengen «Le frontiere terrestri e marittime, nonché gli aeroporti ed i porti marittimi delle Parti contraenti che non siano frontiere interne (secondo la definizione contenuta nel medesimo articolo).\.

14. L'istituzione di un'apposita Task force, la cui attività deve essere complementare rispetto alle iniziative assunte nell'ambito dell'Unione Europea, è stata in particolare caldeggiata dalla Germania, che ha sottolineato come la rotta maggiormente utilizzata dagli immigrati clandestini provenienti dall'Iraq attraversi la Turchia, la Grecia, l'Italia e la Francia per giungere in Germania e nei Paesi Bassi.\.

15. È da rilevare che una buona politica sull'immigrazione ha anche un risvolto sociale importante, consentendo l'immissione di forze lavoro che possano essere ben assorbite dal mercato e quindi buone condizioni di lavoro agli immigrati e alle loro famiglie.\.

16. Tra le misure previste, si ricorda in particolare l'intensificazione delle misure di controllo e della sorveglianza alle frontiere esterne, il rafforzamento delle linee di sicurezza interna in prossimità delle frontiere comuni e l'incentivazione delle iniziative bi-multilaterali in materia di accordi di riammissione e di cooperazione di polizia. Più in dettaglio si è stabilito il potenziamento del pattugliamento aereo-navale, l'intensificazione dei controlli ai varchi di frontiera, con particolare riferimento ai vettori su ruota, lo sviluppo di accordi di cooperazione transfrontaliera e l'implementazione dell'esistente, la creazione di unità specializzate, nell'ambito della polizia di frontiera, secondo procedure a discrezione dei Paesi cooperanti, dedicate al contrasto del falso documentale, attraverso l'organizzazione di stage formativi congiunti, lo scambio costante di tecniche ed esperienze scaturenti dall'azione di contrasto alla falsificazione dei documenti, l'elaborazione di un rapporto illustrativo delle iniziative assunte per il potenziamento dei controlli alle frontiere esterne, da scambiare attraverso i punti di contatto.
Sotto il profilo di uno scambio sistematico di informazioni sull'immigrazione illegale, con periodiche relazioni e l'effettuazione dei necessari approfondimenti delle informazioni disponibili (delle verifiche in ordine alle notizie trasmesse, della promozione di comuni investigazioni, principalmente sul conto delle organizzazioni e dei vettori responsabili della immigrazione clandestina, nonché sui patrimoni dei soggetti sospettati di essere implicati nella gestione dei traffici) si è stabilito:
l'elaborazione di un rapporto semestrale relativo ai flussi migratori clandestini, sia a seguito delle informazioni ottenute nell'azione di contrasto che sulla base dei contributi forniti dai Paesi cooperanti;
la dotazione di adeguate caratteristiche operative ai Punti di Contatto nazionali, secondo i criteri organizzativi di ciascun Paese, garantendo la circuitazione informativa costante con ogni mezzo tecnologico possibile (telefono, fax, posta elettronica eccetera);
la garanzia di un costante contributo investigativo in presenza di indagini connesse al traffico di clandestini od agli impianti patrimoniali dei trafficanti e dei fornitori di vettori, fornendo massima celerità agli accertamenti di polizia;
l'organizzazione di riunioni trimestrali o, a richiesta, in termini più ristretti tra gli investigatori incaricati dei casi;
il confronto delle tecniche investigative di accertamento patrimoniale, finalizzate a colpire i titolari dei vettori.
Sotto il profilo della raccolta, archiviazione e trasmissione delle impronte digitali delle persone entrate illegalmente nei territori nazionali, in osservanza delle rispettive legislazioni in materia, si è decisa:
la collazione ed organizzazione, anche attraverso adeguato sistema informatizzato, delle impronte digitali acquisite in presenza di sbarchi clandestini, cui gli altri Paesi possano di volta in volta fare riferimento, tramite specifiche richieste, escluse quelle riguardanti gli asilanti;
l'organizzazione di brevi stage tecnico-scientifici, per l'omogeneizzazione delle procedure di intervento degli operatori di polizia scientifica.
Quanto ad una maggiore cooperazione, con lo scambio di consulenti e di supporti tecnici ai fini dei controlli sulle rotte marittime e terrestri, si è deciso, oltre all'intensificazione della rete degli ufficiali di collegamento, lo scambio di esperti, l'individuazione, sulla base delle indicazioni di analisi del primo rapporto semestrale, delle rotte terrestri e marittime più significative, l'elaborazione di una mappa informatizzata flessibile, con il contributo di tutti i Paesi partecipanti, lo scambio di informazioni sull'applicazione operativa di tecnologie avanzate di controllo del territorio e delle frontiere, riunioni periodiche di aggiornamento operativo degli ufficiali di collegamento presenti in ciascun Stato, per un puntuale scambio di informazioni e di esperienze.\.

17. In via generale, lo Stato che, per la propria condotta anche omissiva, ha la maggior parte di responsabilità nell'arrivo del richiedente asilo nel territorio, in quanto gli ha rilasciato un titolo di soggiorno od un visto all'ingresso (articolo 5 Dublino; articolo 30 Schengen) od ha permesso la sua penetrazione irregolare (articolo 6 Dublino; articolo 30 Schengen). Si stabilisce comunque, in primo luogo, la competenza dello Stato in cui risieda legalmente ed abbia la qualifica di rifugiato un membro della famiglia del richiedente asilo (articolo 4 Dublino; articolo 35 Schengen). Ogni Stato ha in ogni caso il diritto di esaminare una domanda di asilo per considerazioni di tipo umanitario (articolo 9 Dublino; articolo 36 Schengen). Lo Stato che, in virtù delle disposizioni della Convenzione è stato designato come competente, ha l'obbligo di accogliere sul proprio territorio lo straniero che abbia presentato una domanda di asilo in uno Stato membro non responsabile. Esso deve inoltre riammettere il richiedente che si trovi irregolarmente in un altro Stato membro o che, dopo aver ritirato la sua domanda iniziale, depositi un'altra richiesta in un altro Stato membro (articolo 10 Dublino; articoli 31 e 33 Schengen).\.

18. Lo Stato membro designato come competente deve infatti procedere effettivamente all'istruzione della domanda (articolo 3 Dublino; articolo 29 Schengen).\.

19. Tale principio, secondo quanto disposto dall'articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, vieta infatti di espellere o respingere un rifugiato esclusivamente verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua liberà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche.\.

20. È attualmente in corso d'esame al Senato (AS 2475) un disegno di legge recante norme in materia di protezione umanitaria e di diritto d'asilo, che rappresenta una disciplina organica della materia in conformità alle Convenzioni internazionali cui l'Italia aderisce.\.

21. Soltanto il Parlamento dei Paesi Bassi (la Seconda Camera) ha una Commissione (si tratta tuttavia di una Commissione permanente non di un organismo costituito ad hoc per il controllo sul funzionamento e sull'attuazione degli accordi di Schengen) con poteri e funzioni analoghi a quelli del Comitato parlamentare italiano.\.

22. In particolare la citata Commissione dovrebbe occuparsi:
del controllo alle frontiere esterne e dei flussi migratori, compresa la cooperazione bilaterale e multilaterale con i Paesi terzi e la questione della riammissione;
di ottimizzare l'applicazione della Convenzione in materia di cooperazione alle frontiere interne, essenzialmente di polizia giudiziaria, ed in particolare della conclusione di accordi bilaterali e dell'invio di funzionari di collegamento;
del SIS, della protezione del materiale e dei dati a carattere personale.\.

23. A tale riguardo, si è anche pensato, in conformità della legislazione nazionale e dei princìpi adottati nel quadro dell'Unione europea in materia di protezione dei dati personali, di raccogliere le impronte digitali degli stranieri che entrano clandestinamente nel territorio Schengen, la cui identità non possa essere accertata sulla base di documenti validi, e di archiviare tali impronte al fine di informarne le autorità di altre Parti contraenti (sotto quest'ultimo profilo, è da ricordare che sono in uno stadio piuttosto avanzato i lavori preparatori per il progetto di Convenzione che istituisce - in ambito comunitario - EURODAC, un sistema centrale per il confronto delle impronte digitali dei richiedenti asilo).\.

24. Si tratta dell'AS 2968, attualmente assegnato in sede referente alla III Commissione del Senato. È da ricordare, infatti, che l'articolo 45 della Convenzione Europol prevede che l'attività dell'Ufficio europeo di polizia abbia inizio solo dopo l'entrata in vigore di una serie di atti accessori, tra cui il suddetto Protocollo.\.

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