Commissione parlamentare consultiva in ordine
all'attuazione della riforma amministrativa

CAMERA DEI DEPUTATI SENATO DELLA REPUBBLICA

Commissione parlamentare consultiva
in ordine all’attuazione della riforma amministrativa
ai sensi della legge 15 marzo 1997, n. 59

 

ATTI DELLA
CONFERENZA SULLO STATO
DI ATTUAZIONE DEL CAPO I DELLA LEGGE
15 MARZO 1997, N. 59
"IL FEDERALISMO AMMINISTRATIVO"

 

Roma, 25 marzo 1999
Sala della Regina
Palazzo Montecitorio

 

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione. Dichiaro aperta la conferenza sullo stato di attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59, vale a dire del cosiddetto federalismo amministrativo. E’ qui presente il Presidente della Camera, che ringraziamo sentitamente per la sua disponibilità a partecipare al nostro incontro. Il Presidente del Senato ci è sempre stato vicino in tutti i nostri lavori, ma questa mattina non ha potuto essere presente: ci manda un affettuoso telegramma.

Do la parola al Presidente della Camera dei deputati.

Luciano VIOLANTE, Presidente della Camera dei deputati. La ringrazio. Questa conferenza ha l’obiettivo di individuare le vie migliori per rimuovere le resistenze che attualmente minacciano la piena e tempestiva attuazione della riforma del cosiddetto federalismo amministrativo. Mi pare che le questioni da affrontare siano fondamentalmente due: l’attuazione da parte delle regioni, con proprie leggi, dei decreti legislativi che trasferiscono le funzioni dal centro alla periferia; il trasferimento dallo Stato alle regioni e agli enti locali dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative.

La prima questione richiama il ruolo delle regioni, come soggetti di Governo. Le leggi regionali di attuazione dei decreti legislativi sono provvedimenti particolarmente complessi, che implicano competenze specialistiche e capacità di visione strategica. Dobbiamo domandarci come tutte le regioni, alle quali chiediamo sempre più capacità di governo e sempre minore gestione amministrativa (penso al grande carico dell’attuazione regionale della normativa comunitaria), possano essere messe in grado di rispondere in maniera efficace a questi nuovi compiti.

Dobbiamo riflettere soprattutto sui modi per valorizzare e far crescere la classe dirigente regionale come classe dirigente nazionale, per consentire ad essa di mettere pienamente a frutto la propria potenzialità e di essere protagonista di questo processo di modernizzazione. La Camera dei Deputati, per quanto le è possibile e le compete, si è mossa concretamente in questa direzione (come sanno alcuni amici Presidenti di regioni), avviando seminari periodici nei quali si realizza un utile scambio di esperienze e di informazione tra funzionari della Camera e funzionari dei consigli regionali. Tra l’altro l’ultimo di questi seminari è stato proprio destinato a questo tema che oggi trattate.

Il nodo dell’attuazione regionale tocca poi il delicato rapporto tra regioni ed enti locali. Le leggi regionali devono determinare quali delle funzioni trasferite rimarranno in capo alle regioni, quali invece verranno trasferite a province, comuni ed altri enti locali.

Nell’affrontare questo compito, che implica la riorganizzazione sovracomunale di funzioni e servizi, sarebbe controproducente - penso su questo siamo tutti d’accordo - se le regioni esercitassero un ruolo neocentralistico.

Le regioni devono invece esercitare il compito di promuovere ed incentivare le forme associative tra comuni per l’esercizio ottimale delle funzioni amministrative, puntando non sulla imposizione dall’alto ma sulla scelta autonoma e consapevole dei singoli comuni. D’altra parte in questa direzione va il disegno di legge di riforma della legge n. 142 del 1990, approvato dal Senato e che l’Assemblea della Camera esaminerà nelle prossime settimane. La seconda questione è il trasferimento dallo Stato alle regioni e agli enti locali delle risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative. E’ un’operazione difficile che incide sull’organizzazione della vita di molti cittadini che lavorano sugli uffici pubblici, su consolidati assetti di potere amministrativo e comporta la spesa di ingenti risorse finanziarie.

A queste difficoltà non si può rispondere con rinvii o con accomodamenti - credo che anche su questo siamo d’accordo -; occorre coniugare attenzione e determinazione: attenzione per il personale dipendente e funzionari dirigenti che saranno inevitabilmente costretti a trasferire la propria sede di lavoro; determinazione nel rispetto dei tempi da parte del Governo, a cui spetta di approvare i provvedimenti che trasferiscono beni, personale e risorse.

Per quanto riguarda in particolare le risorse finanziarie occorre, innanzitutto, che Stato, regioni ed enti locali si attrezzino per utilizzare pienamente le risorse già a loro disposizione. Questo non è impossibile; sappiamo che, per esempio, sulla questione "patti territoriali" abbiamo sinora utilizzato solo il 18 per cento delle risorse disponibili, ma questa percentuale è molto più bassa, anzi è drammaticamente bassa se mettiamo insieme i "contratti d’area" e i "patti territoriali". Si tratta di 7 mila miliardi complessivamente stanziati dal Parlamento: credo che ne siano stati spesi 68, quindi l’1 per cento.

Però questo dato non ci deve scoraggiare se pensiamo a quello che siamo riusciti a fare con i "fondi strutturali". Eravamo al 38 per cento nel 1997, al 18 per cento nel 1996, e siamo passati ad oltre il 55 per cento oggi, con possibilità di arrivare al 70 per cento, come diceva il Presidente del Consiglio, alla fine dell’anno. In sostanza, attraverso una spallata alle incrostazioni burocratiche c’è la possibilità di spendere ciò che il Parlamento ha stanziato.

E’ già stato avviato il lavoro per individuare all’interno dei singoli capitoli di bilancio le risorse da attribuire a regioni ed enti locali ed è in atto un grande sforzo per dare finalmente il via al federalismo fiscale. E’ attualmente all’esame del Senato il disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica per il 1999, che reca "disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale".

Due mozioni presentate da gruppi di maggioranza e d’opposizione, che in questi giorni l’Assemblea esaminerà, impegnano il Governo ad accelerare il processo di trasferimento delle risorse alle regioni e agli enti locali.

A mio avviso la piena e tempestiva attuazione della legge n. 59 del 1997 è indispensabile per modernizzazione e rendere competitivo il nostro Paese. La nostra economia, come ha sottolineato lunedì il ministro del tesoro alla Camera, mostra segni di sofferenza di fronte alla competizione internazionale; per questo è fondamentale che le forze produttive possano contare su un processo irreversibile di modernizzazione, che garantisca a livello sia dei poteri centrali, sia dei poteri locali, un quadro di sburocratizzazione progressiva, stabilità e certezza, indispensabili per dare fiducia ad imprenditori e mercati e dare nuovo slancio allo sviluppo.

La riforma, quindi, deve andare avanti e deve essere attuata nei tempi previsti. Sono convinto che la riforma della legge n. 59 del 1997, pur caratterizzandosi come intervento di carattere settoriale, è dotata di una sua autonomia giuridica e concettuale e perciò - questa è almeno la mia opinione - non può essere subordinata all’approvazione di altre leggi, seppure di grande rilievo come quella della riforma federale dello Stato.

Il Governo ha presentato il 18 marzo scorso alla Camera dei deputati un disegno di legge costituzionale sull’ordinamento federale della Repubblica, che tiene conto degli esiti della Commissione bicamerale. Forse molti di voi ricorderanno che questa parte fu quasi completata dal Senato e dalla Camera. Il progetto si affianca ad altri progetti presentati da diverse parti politiche.

La Conferenza dei capigruppo ha deciso nella giornata di ieri che l’Assemblea discuterà della riforma federale a partire dal maggio prossimo.

Colgo dunque questa occasione per invitare i colleghi della Commissione affari costituzionali, che pure sono gravati da molto lavoro, ad avviare rapidamente l’esame del tema, perché la Commissione sia pronta a riferire all’Assemblea nella terza settimana di maggio. Ritengo infatti che la riforma dell'ordinamento della Repubblica sia particolarmente urgente e che non possano esserci rinvii. Vi ringrazio.

Vi chiedo scusa, ma devo allontanarmi perché ho una giornata alquanto complicata.

 

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione. Diamo allora inizio ai nostri lavori. Prego il Presidente Chiti, che rappresenta in questa sede tutte le regioni italiane, di accomodarsi. Ringrazio ovviamente tutti i presenti, in particolar modo i presidenti della Conferenza delle regioni, dell’ANCI, dell’UPI, dell’UNCEM, cioè i rappresentanti del mondo delle autonomie territoriali. Ringrazio anche gli amici ministri qui presenti, che hanno la responsabilità dell’attuazione della riforma sul versante del Governo e che adesso ascolteremo.

Abbiamo ritenuto nostro dovere istituzionale convocare per questa Conferenza tutte le parti coinvolte nel processo di attuazione del Capo I della legge n. 59 del 1997, cioè quello riguardante il cosiddetto federalismo amministrativo, per fare il punto della situazione. Con la legge citata certamente abbiamo fatto un’operazione di grande, incisiva riforma del complesso sistema organizzativo dello Stato; in particolare, nel Capo primo si trova il tentativo, forse il più ampio fino ad ora avviato nell’esperienza repubblicana, di piena realizzazione del principio di autonomia delle comunità, degli enti territoriali ed in particolare delle regioni, attraverso l'individuazione di una serie di principi ispiratori.

Mi riferisco alla sussidiarietà e completezza delle funzioni trasferite in relazione al principio di responsabilità ed unicità dell’amministrazione; all’omogeneità e all’adeguatezza, che significa anche differenziazione nell’esaminare gli enti a cui trasferire le funzioni in relazione alle loro effettive capacità di governo. Mi riferisco ancora al principio della copertura finanziaria e patrimoniale, nel senso che al trasferimento delle funzione deve corrispondere contestualmente il trasferimento delle risorse.

La riforma, come sapete, intendeva ribaltare nella sua impostazione il principio tradizionalmente seguito nel nostro ordinamento circa la corrispondenza tra le funzioni amministrative e quelle legislative nelle stesse materie, affermando, almeno in via di principio, l’appartenenza delle funzioni amministrative al sistema dei poteri locali, salvo nelle materie espressamente riservate dalla legge alla competenza statale. Si è trattato dunque di un cambiamento ordinamentale incisivo ed importante.

Questa operazione si è realizzata soprattutto con il provvedimento a carattere generale che reca il numero 112, che tutti conosciamo. Con esso i principi ispiratori della riforma sono stati ribaditi, ed in particolare il principio della sussidiarietà. E’ sufficiente pensare - lo vorrei segnalare particolarmente all’attenzione della Conferenza - all’articolo 3, secondo comma, che stabilisce che di norma l’esercizio delle funzioni amministrative deve essere allocato al livello territorialmente più prossimo ai cittadini, cioè al livello comunale; nel contempo esso si preoccupa di individuare la dimensione ottimale delle amministrazioni locali, quindi introducendo il problema cruciale dell’associazionismo comunale, che consente di superare le questioni concernenti l’organizzazione comunale in una chiave di cooperazione, secondo un modello che in Francia incontra grande successo da alcuni decenni.

L’affermazione della generalità del trasferimento è contenuta nell’articolo 3, settimo comma, della legge: salve le funzioni e i compiti espressamente riservati allo Stato, tutto il resto è già, almeno in via di principio, trasferito. Viene ribadito poi il principio dell’attribuzione delle risorse come operazione preliminare rispetto al trasferimento. In altri termini, se non si distribuiscono le risorse non si attua il trasferimento. La legge regionale è anch’essa un’operazione preliminare, come quella che deve individuare le funzioni e i compiti riservati al livello regionale e quelli viceversa attribuiti ai livelli del governo locale.

Attraverso questa impostazione si è voluto evitare che si ripetessero alcuni dei principali difetti emersi nelle precedenti operazioni di trasferimento degli anni settanta e cioè effettuare trasferimenti che prescindessero dalla dislocazione territoriale delle funzioni a livello sub-regionale e soprattutto dalla puntuale e corrispondente attribuzione delle risorse.

Questa impostazione, che noi abbiamo seguito e voluto, condiziona l’effettuazione concreta del trasferimento principalmente a due adempimenti, che divengono quindi preliminari rispetto al trasferimento stesso nella sua concretezza. Un adempimento è affidato alla responsabilità delle regioni e consiste cioè nell’adozione delle leggi regionali relative alla collocazione territoriale delle funzioni; l’altro è affidato alla responsabilità del Governo, sia pure d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni e sentito il Parlamento. Mi riferisco all’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio di trasferimento delle risorse e dei mezzi, cioè di puntale individuazione delle risorse, mezzi, personale, uffici.

Ecco, noi siamo riuniti per approfondire a che punto siamo con questi due processi di adempimento della riforma, e quali siano i problemi che restano aperti e le difficoltà che si incontrano.

La Commissione, secondo i suoi doveri istituzionali, ha monitorato il processo attuativo attraverso la relazione nello scorso mese di ottobre, poi attraverso un bollettino, adesso si appresta a redigere una relazione che dovrebbe avere un risalto anche nel dibattito parlamentare a fine marzo.

La situazione non è rosea, anche in ordine ai due adempimenti cui ho fatto riferimento. Dal punto di vista dell’attuazione regionale negli ultimi mesi si è registrata un’accelerazione del processo: alcune importanti leggi sono state già approvate in Toscana, Umbria, Abruzzo, Basilicata ed è prossima la conclusione dell’iter di approvazione delle leggi dell’Emilia Romagna e della Liguria. Molte altre leggi regionali stanno percorrendo il loro iter; insomma le regioni dopo un primo periodo di riflessione stanno procedendo, stanno marciando. In queste leggi regionali, in termini generali si può constatare un’inversione di tendenza rispetto all’impostazione precedentemente seguita dalle regioni, nell'attuazione del decreto n. 616 del 1977. La nuova impostazione è sicuramente più rispettosa delle autonomie locali.

Quella critica di centralismo regionale che in qualche modo era stata affacciata negli anni scorsi, comincia ad essere superata da queste leggi. Le regioni hanno sposato i principi di sussidiarietà, che ispirano la riforma e si stanno effettivamente impegnando nell’identificazione di importanti funzioni e compiti da allocare a livello territoriale locale.

Rispetto alle leggi regionali segnalo che resta aperto soltanto un problema, vale a dire quello a cui facevo riferimento prima, della dimensione ottimale dell’esercizio delle funzioni a livello comunale. Tutte le leggi regionali hanno fatto quel che dovevano fare, cioè nel momento in cui hanno identificato il livello comunale come quello al quale allocare determinate funzioni e compiti, hanno altresì applicato la norma primaria stabilendo che i comuni, evidentemente quelli inferiori a certe dimensioni, debbano associarsi tra loro. A questo fine si dà ad essi un termine, 180 giorni per esempio, nel quale la forma associativa deve concretizzarsi e al di là del quale la regione si riserva un potere sostitutivo. Questo è lo schema.

Sapete che a questo punto si pone un problema. Noi non abbiamo, a differenza della Francia, un’importante tradizione di associazionismo comunale. Le forme associative che in realtà funzionano, a parte i vecchi consorzi, sono le comunità montane, se le vogliamo identificare come tali; sul resto ancora c’è tutto da costruire. Esiste anche un problema politico nei confronti dei piccoli comuni, i quali naturalmente debbono procedere di loro buona volontà, spontaneamente, all’associazionismo, identificando le forme associative più opportune ai loro ambiti territoriali, perché poi il meccanismo possa funzionare.

Nessuno si illuda che un provvedimento sostitutivo della regione, laddove non c’è lo spirito associativo in un determinato territorio, possa funzionare, cioè possa dar luogo a degli esiti, a dei risultati positivi. Questo è il problema che poniamo all’attenzione e che rimane aperto nell’applicazione di queste leggi regionali, le quali tuttavia si segnalano per il loro carattere innovativo. Sull’altro problema, sul versante dei decreti di trasferimento delle risorse, la situazione risulta - ma siamo chiaramente qui per intenderci e per parlare chiaro - più arretrata.

Sono indubbiamente emerse delle difficoltà di carattere finanziario, insite nell’operazione stessa, che certo non è facile, soprattutto in periodi di finanza stretta quale quello nel quale viviamo. Sono emerse delle difficoltà anche in ordine al trasferimento del personale. Basti pensare - qui lo cito soltanto a titolo di esempio - a tutto il travaglio che stiamo vivendo sul corpo forestale dello Stato. In realtà, al 28 febbraio, i decreti di trasferimento adottati risultano soltanto quello in materia di mercato del lavoro. Risultano altresì adottati due decreti secondari in materia di agricoltura e foreste, ed è attualmente all’esame della nostra Commissione il decreto sulle fiere.

Dobbiamo tuttavia segnalare l’importante fatto nuovo, che è stato oggetto di un’apposita audizione della Commissione la scorsa settimana, rappresentato dalla costituzione di un gruppo di lavoro a livello di Governo, che è coordinato dal Capo di gabinetto del Ministero del tesoro, il consigliere Pajno (persona di cui tutti ci possiamo fidare) e a cui partecipano le regioni, le rappresentanze degli enti locali e tutti i ministeri coinvolti.

E’ stato predisposto un documento di lavoro che detta i criteri generali da seguire e stabilisce il processo logico degli adempimenti. Sul punto può essere considerata significativa l’idea di elaborare prima un testo generale, che stabilisca criteri e metodologie da sottoporre all’accordo della Conferenza Stato-Regioni unificata e al parere parlamentare, in modo che il successivo passaggio attraverso i singoli decreti sia reso più agevole e meramente adempitivo.

In questa sede dovranno essere stabiliti i settori nei quali articolare il trasferimento delle risorse, tali da ricalcare tutte le aree dell’intervento pubblico, sviluppo economico, territorio etc., e non l’articolazione dei ministeri; i criteri della distribuzione delle risorse tra i diversi livelli di Governo e tra le diverse aree territoriali del Paese, anche in considerazione di esigenze di perequazione. Sono problemi questi che dobbiamo affrontare nel decreto generale. La decorrenza delle funzioni deve essere contestuale al trasferimento delle risorse e probabilmente dovrà essere fissata al 1° gennaio 2000, anche perché coincida con l’inizio dell’esercizio finanziario.

Resta certamente aperto il problema del trasferimento dei contingenti di personale, soprattutto nei settori in cui il personale da trasferire è principalmente collocato nell’amministrazione centrale.

Ricordo che c’è un ulteriore fatto nuovo, a cui accennava prima il Presidente della Camera. Mi riferisco al provvedimento all’esame del Senato sul cosiddetto federalismo fiscale.

Credo che tale provvedimento venga approvato questa mattina, quindi verrà sottoposto al nostro esame appena dopo Pasqua.

Esso potrebbe innovare tutta questa nostra tematica, perché sostituendo in toto o in parte - questo adesso ancora non si è ben capito, ma certamente in parte significativa - le operazioni sulla spesa, quali noi avevamo immaginato con il decreto n. 112, con operazioni sull’entrata, nel senso che le regioni, anziché ottenere il trasferimento di alcuni capitoli di spesa, avrebbero delle risorse derivanti da entrate fiscali proprie o delle quote di entrate erariali sostitutive di quei capitoli di spesa.

Dunque probabilmente lo scenario sta cambiando e in qualche modo potrebbe essere superata la difficoltà che adesso emerge, nel senso di individuare puntualmente i capitoli di spesa da trasferire. Vedremo nei prossimi giorni, come questo provvedimento possa innovare il quadro complessivo.

Inoltre la Camera, oggi o domani, approverà una risoluzione predisposta dall’onorevole Frattini e da altri colleghi (essa coinvolge tutti i gruppi), che impegna il Governo ad attuare su questo punto, come ricordava prima il Presidente della Camera, un incisivo intervento. Occorre insomma decidere una linea: se dobbiamo lavorare sull’entrata, vediamo in che misura dobbiamo farlo, e che cosa resta invece ancora aperto sul versante della spesa. Resta comunque aperta la questione del personale.

Questa è la situazione attuale. Cominciamo pure i nostri lavori. Non si tratta di un convegno, siamo qui per fare il punto della situazione tra gli operatori del settore. Darei a questo punto la parola al Vicepresidente Carrara e poi sentiamo i ministri.

Nuccio CARRARA, Vicepresidente della Commissione.

Rivolgo un saluto a tutti i convenuti. Non ho molto da aggiungere rispetto a quello che il Presidente ha illustrato. Mi pare che i problemi siano stati ben evidenziati; si tratta di problemi che incidono sugli amministratori dei governi locali. Sono proprio i destinatari dei provvedimenti che sentono maggiormente l’esigenza che qualcosa cambi. Il punto focale mi pare che sia già stato individuato - non voglio fare una discussione sulle norme e così via discorrendo -, si tratta delle risorse, che sono di due tipi, quelle umane e quelle economico-finanziarie. Su entrambi i fronti noi abbiamo più volte sottolineato, nell'ambito dei lavori della Commissione, le difficoltà prima ancora che si verificassero. Sarebbe stato forse un buon metodo procedere a delle simulazioni, perché noi suggeriamo che, ogni qualvolta si voglia adottare una norma, la soluzione migliore è quella di studiarne preventivamente gli effetti. Adesso si sta intervenendo su questo versante - almeno penso -, sembra che il Governo abbia prefigurato quali siano gli effetti conseguenti al decentramento amministrativo.

Il trasferimento delle risorse umane crea grandissime difficoltà perché, come ha giustamente affermato il Presidente Cerulli Irelli, una struttura centrale ha chiaramente anche il personale molto spesso stanziale, che risiede là dove c’è la struttura e, in un’ipotesi di decentramento, questo personale troverà difficoltà a collocarsi fuori dal proprio tradizionale ambito di residenza.

Per quanto concerne poi le risorse economico-finanziarie, si corre un rischio per coloro che pagano le tasse, vale a dire che si sovrapponga un’imposizione fiscale ad un’altra imposizione fiscale già esistente, e che le risorse non siano adeguate alle funzioni trasferite.

Insomma, siamo in una fase molto delicata. Oggi personalmente mi riservo di ascoltare, in maniera tale di poter fare il mio dovere anche come membro dell’opposizione.

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione. Do ora la parola al ministro Bellillo, che ha la responsabilità della politica regionale.

Katia BELLILLO, Ministro per gli affari regionali. Voglio iniziare il mio intervento ribadendo ancora una volta che il Governo ritiene il federalismo amministrativo un punto irrinunciabile del suo programma politico, quindi non vuole che la riforma introdotta dalla legge n. 59 del 1997 segni il passo, come si suole dire. Nella coalizione non c’è alcun rallentamento della tensione verso la politica del decentramento e ritengo che la più importante dimostrazione di ciò sia rappresentata dal disegno di legge costituzionale presentato dal collega Amato sull’ordinamento federale della Repubblica, che costituisce, a mio avviso, un momento alto di sintesi tra diverse visioni e culture nei confronti del federalismo. E’ un’iniziativa che vuole rafforzare ed accelerare tale processo e non invece rinviarlo ad un momento successivo alla modifica della Costituzione. Il Governo è preoccupato affinché in questa fase non prevalgano le pulsioni ad una polemica reciproca tra i vari livelli istituzionali, come è stato affermato dal Presidente della Camera e dal Presidente della Commissione, nell’interesse appunto che si riesca anche a monitorare, verificare il percorso che abbiamo attivato.

Ritengo pertanto importante questa occasione per cercare di riannodare un po’ i fili delle ragioni profonde, che devono in qualche modo costringere tutti i livelli istituzionali a dismettere i più facili ruoli di un rivendicazionismo a tutto campo, per riappropriarsi invece ciascuno del ruolo di soggetto-attore di un complesso processo articolato e non sempre lineare, ma che pur rappresenta il più grande impegno per gli amministratori di questo Paese, dal Presidente del Consiglio al sindaco del più piccolo comune. E’ bene sempre non dimenticare infatti che le leggi Bassanini rappresentano il più organico e concreto tentativo di riforma amministrativa mai compiuto nell’Italia contemporanea. Il loro scopo non è assolutamente, come potrebbe apparire dal livello attuale del dibattito, quello di una ridistribuzione delle competenze amministrative tra i vari livelli istituzionali. Le ragioni profonde e autentiche muovono invece dal dichiarato e non più sostenibile livello di inefficienza delle amministrazioni pubbliche. Il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione nel nostro Paese resta uno dei peggiori in Europa. E’ questo un diaframma, un muro che era ed è interesse di tutti i livelli istituzionali e di tutti gli schieramenti politici abbattere rapidamente, perché questo è quello che chiede il Paese. Questo è quello che chiedono anche i rappresentati delle autonomie locali a tutti i livelli, ma sono soprattutto gli uomini e le donne in carne ed ossa che chiedono una pubblica amministrazione adeguata a rispondere ai bisogni e alle esigenze dei diversi territori.

Le finalità di tali riforme sono quelle di riqualificare, quindi alleggerire, gli apparati burocratici con la riduzione delle strutture organizzative, ma anche con l’individuazione delle attività che a determinate condizioni possono essere più efficacemente svolte da privati, semplificando le procedure al fine di facilitare l’accesso ai servizi da parte dei cittadini. Occorre dunque ridurre i vincoli all’esercizio dell’attività privata e riformare in tutte le sue articolazioni la pubblica amministrazione, non solo in vista del miglioramento dell’efficienza e dell’economicità dell’azione amministrativa, ma anche per l’estensione della democrazia del nostro Paese. L’inserimento di regole che permettano di stabilire anche rapporti con la società civile, con le organizzazioni delle categorie del Paese, non deve essere vista come un’abdicazione della presenza pubblica, ma, anzi, come una riqualificazione e una presenza più piena del pubblico negli indirizzi di programmazione e di sviluppo degli interventi nella rete delle protezioni anche sociali nel nostro Paese, al fine di garantire la possibilità di ridefinire i livelli di civiltà raggiunti. Anzi, il miglioramento dell’efficienza e dell’economicità si pone come condizione assolutamente necessaria per realizzare un moderno Stato democratico.

Il principio di sussidiarietà, con la conseguente valorizzazione dell’autogoverno, rappresenta la chiave con cui smontare una complessa, articolata, pluristratificata cultura centralistica, rinvenibile non solo negli assetti ordinamentali, ma anche nella cultura politica su cui si sono formate e di cui sono fortemente impregnate anche le classi dirigenti di questo Paese. Tale cultura centralistica non abita, però, solo nei palazzi dei ministeri romani o delle prefetture, ma è rinvenibile anche in molti rappresentanti delle regioni, degli enti locali. Non è raro assistere ad un sindacalismo istituzionale per il quale si vedono sindaci, presidenti di provincia e di regione, impegnati a rivendicare sempre maggiori poteri ai propri livelli istituzionali e non invece a contribuire a perseguire il disegno unitario di una pubblica amministrazione compiutamente e complessivamente più efficiente, cioè meno costosa e più efficace, più utile per il cittadino.

La sussidiarietà ed il federalismo non possono essere usati come clave contro il livello istituzionale superiore, invece che come strumento di verifica delle scelte fatte, delle prospettive future del processo riformatore. Questa premessa non vuole però eludere le questioni concrete sul tappeto, che oggi sono state in qualche modo già illustrate dal Presidente e dal Vicepresidente della Commissione. Le associazioni degli enti locali segnalano i ritardi del Governo in ordine all’individuazione ed alla quantificazione delle risorse finanziarie, umane, organizzative, strumentali, con il rischio di arrestare l’impegnativo disegno della riforma amministrativa.

Non dobbiamo nascondere che queste preoccupazioni, queste critiche siano presenti, ne siamo assolutamente consapevoli. A tali osservazioni vorrei ribadire che per l’intera compagine governativa, la riforma costituisce un obiettivo essenziale, perché crediamo in uno Stato in cui le autonomie regionali e locali siano protagoniste al pari dell’amministrazione centrale, perché vogliamo attuare il più ampio decentramento amministrativo nei servizi statali ed adeguare i principi della legislazione all’esigenza dell’autonomia e del decentramento.

Il rinvio al 31 luglio del termine per il riordino dei ministeri e per i decreti correttivi è motivato principalmente dalla complessità oggettiva dei problemi da risolvere e non da presunte debolezze o cedimenti verso pressioni corporative, che pure sappiamo esistere ed essere molto forti.

Nel collegato alla finanziaria del 1999 è contenuto un meccanismo proposto dal collega Visco, che consente di individuare più agevolmente le risorse per la copertura ed il sostegno del conferimento dei compiti. La stesura dei decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è stata frutto di un lavoro comune del Governo e delle autonomie, con tempi certi e seguendo precise modalità di predisposizione. L’attivazione di un tavolo tecnico con Governo, regioni ed enti locali rappresenta la chiara volontà di superare tutti i ritardi. Il tavolo ha già iniziato il suo lavoro, le autonomie locali entro le prossime ore presenteranno le proprie osservazioni all’interno dell’ipotesi scaturita dal tavolo di lavoro; siamo fortemente impegnati affinché nella prossima Conferenza unificata siano già posti all’ordine del giorno i criteri, oltre che naturalmente la possibilità di presentare già il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sull’agricoltura, per il quale esistono ancora problemi fra i diversi ministeri, che riteniamo comunque di poter risolvere nel corso dei prossimi giorni.

Per quanto riguarda il personale - il collega Piazza sarà sicuramente da questo punto di vista molto più chiaro e specifico di me - il trasferimento ha riguardato in questa fase, se non erro, circa 6.500 dipendenti degli uffici del lavoro. E’ questo un precedente importante anche per la definizione delle procedure di mobilità. Secondo una prima stima lo snellimento dell’apparato statale dovrebbe estendersi a 55 mila addetti, circa un terzo dell’intera dotazione. Si tratta dunque di una trasformazione di dimensioni estremamente elevate, non privo di rischi di sbilanciamento anche per gli stessi enti che ne saranno beneficiari.

E’ ovvio che su questa partita sarebbe forse opportuno individuare uno strumento analogo a quello a cui si è fatto ricorso ai fini della formulazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, perché effettivamente occorre un continuo monitoraggio per seguire i passaggi del trasferimento da vicino insieme con le autonomie locali.

Questa è una questione che dovrà essere sicuramente approfondita anche in sede di conferenza unificata e forse, anche oggi, potrebbe essere l’occasione per verificare come possiamo procedere.

Le associazioni degli enti locali segnalano anche inadempienze regionali per quanto riguarda il rispetto dell’autonomia normativa ed organizzativa degli enti locali, poiché spesso leggi regionali di dettaglio sconfinano in ambiti riservati agli stessi enti locali in tema di costruzione di un sistema di rapporti istituzionali capace di dare piena attuazione al principio di sussidiarietà, all’obbligo di ridefinire tutte le competenze regionali attribuite fin dal 1972, passando anche per la legge n. 142, all’attribuzione della generalità delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane. Viene fatto rilevare inoltre che il criterio di individuazione tassativa delle funzioni da riconoscere a livello regionale, pur essendo molto esteso, è stato influenzato dal mantenimento dell’accentramento burocratico, che ha impedito la ridefinizione dei compiti del ruolo di tutti gli enti strumentali.

A tale proposito vorrei fare rilevare che, sia pure con le innegabili difficoltà che l’intervento di riforma in atto comporta, è stato compiuto dal Governo un grande sforzo per far sì che la riforma potesse effettivamente decollare. Non è stato esercitato solo un controllo di legittimità sulle leggi regionali, anche se tale compito è stato naturalmente adempiuto con puntualità e precisione dagli uffici degli affari regionali, anche perché è un compito che comunque spetta al Governo e al mio ministero. Si è voluto invece creare attraverso i nuovi strumenti di concertazione tra le istituzioni, quali la Conferenza Stato-regioni, la Conferenza Stato-città, la Conferenza unificata, un tavolo di confronto politico-collaborativo che servisse da continuo stimolo e contemporaneamente da verifica per le diverse fasi della riforma.

Questo metodo di lavoro va rafforzato, va ridefinito ulteriormente, ma noi riteniamo che effettivamente questi strumenti debbano essere valorizzati al massimo perché appunto è dalla loro valorizzazione che deriva la ridefinizione di un nuovo modo di ascolto e di colloquio fra i diversi soggetti dell’amministrazione dello Stato, che comunque devono parimenti ridefinire le ragioni della loro attività comune per l’applicazione della riforma, per la costruzione di un nuovo e moderno Stato. Ad esso hanno fattivamente preso parte tutte le componenti istituzionali interessate con una costante crescita di impegno, nella consapevolezza appunto di operare per soluzioni condivise.

Seguendo tale linea il Governo, in pieno accordo con le regioni che non vi hanno ancora provveduto, si appresta ad esercitare entro la fine di questo mese il potere di adottare in via sostitutiva i decreti legislativi che conferiscono alle province, ai comuni ed agli altri enti locali tutte le funzioni che non richiedano l’unitario esercizio a livello regionale individuate dal decreto legislativo n. 112 del 1998. Come ricordava il Presidente, sono sei le regioni che hanno adempiuto. Le altre, secondo un monitoraggio effettuato negli ultimi giorni, stanno per approvare o hanno approvato il disegno di legge a livello di giunta o il provvedimento ha comunque iniziato l’iter a livello delle Commissioni consiliari. Le regioni dovrebbero comunque approvare entro il 31 marzo queste leggi.

Abbiamo manifestato la più completa disponibilità degli uffici del Ministero per gli affari regionali ad esaminarle nel minor tempo possibile. Abbiamo inviato segnali importantissimi alle Regioni Umbria, Abruzzo, Basilicata e alla stessa Regione Emilia Romagna. Queste leggi possono essere sicuramente un valido contributo per l’attività delle altre regioni, anche perché come Governo abbiamo dato un input ai diversi ministeri, nel senso che eventuali osservazioni debbano afferire soltanto ed esclusivamente alle questioni di costituzionalità rispetto alle leggi dello Stato e rispetto all’obbligo di trasferimento alle autonomie locali. Purtroppo si stanno manifestando difficoltà in alcune regioni. Il Governo dovrà sopperire con la propria iniziativa obbedendo ad un obbligo di legge, ma rimane la collaborazione nei confronti di tutte le regioni affinché, al più presto, adottino gli atti di propria competenza.

E’ necessario – concludo in questo modo il mio intervento - uno sforzo comune per portare a compimento la riforma amministrativa in corso. E’ uno sforzo che il Governo intende compiere d’intesa con regioni ed autonomie locali, consapevole di trovarsi di fronte ad un momento di svolta nella storia del nostro Paese, in cui la riforma amministrativa non isolatamente, ma nel contesto più ampio delle riforme politiche in via di elaborazione, afferma il ruolo determinante, di "volano di spinta" per il progetto condiviso di una democrazia effettivamente fondata sulle autonomie.

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione. Ringrazio il ministro Katia Bellillo. Do ora la parola al ministro per la funzione pubblica.

Angelo PIAZZA, Ministro per la funzione pubblica. Proprio perché non si tratta di un convegno, ma di un incontro operativo, che deve cercare di giungere a qualche conclusione e ad una valutazione, non svolgerò una relazione, ma per punti farò le mie considerazioni su alcuni dei temi già sollevati dal Presidente Cerulli e dalla collega Bellillo. Sicuramente dal sistema delle autonomie delle regioni, delle province, dei comuni sono venute le critiche più rilevanti al Governo per i ritardi nella fase di attuazione dei conferimenti. Questo era già avvenuto durante il Governo Prodi: proprio quando adottammo i primi decreti delegati sostitutivi nei confronti delle regioni inadempienti in ordine all’emanazione delle leggi regionali in materia di agricoltura, di trasporto locale, di mercato del lavoro, fu dichiarato che si interveniva in via sostitutiva nei confronti delle regioni quando il Governo era a sua volta in ritardo nei propri adempimenti. E’ dunque questo un tema che da tempo è stato in modo molto corretto e costruttivo sollevato dalle autonomie, e quindi mi pare che ora la collaborazione istituzionale, avviata anche attraverso l’attivazione di questo tavolo tecnico a cui ha accennato il Presidente Cerulli Irelli, consenta in un clima sempre molto costruttivo, ma anche già operativo, di procedere in un lavoro comune, con ottime possibilità e prospettive al fine di giungere ad un risultato in tempi che ritengo anche abbastanza rapidi. Le regioni, come è emerso dai dati che abbiamo a disposizione, stanno svolgendo ora il loro ruolo nell’attuazione del decreto n. 112 con impegno e celermente. Più o meno tutte sono impegnate nell’iter o hanno già approvato la relativa legge; si è verificato qualche inconveniente in sede di controllo di alcune di queste leggi. Ricordo che per l’Emilia-Romagna, ad esempio, c’è stato un rinvio da parte del Governo, ma quella regione ha già nuovamente provveduto al riesame.

A questo proposito mi pare importante ricordare quello che la collega Bellillo ha proposto al Consiglio dei ministri come criterio per il controllo di costituzionalità delle leggi attuative della riforma amministrativa. E’ un controllo che deve sicuramente permanere in quanto imposto dalla Costituzione, ma che va svolto tenendo presente la complessità della materia e l’esigenza di giungere in tempi rapidi ad un’attuazione in piena applicazione di un principio ormai pacifico, qual è quello della reale collaborazione tra lo Stato e regioni.

Credo che non si verificherà facilmente un altro momento di difficoltà come quello che si è verificato per l’Emilia Romagna. E’ vero anche che il Governo deve comunque per legge esercitare il potere sostitutivo se, una volta scaduto il termine, le regioni non avessero ancora provveduto ad emanare la legge regionale. Ritengo però che ci regoleremo anche in questo caso come ci siamo regolati in passato, quando abbiamo adottato decreti sostitutivi in termini tecnici piuttosto soft, nel senso che intanto abbiamo sempre atteso la scadenza del termine perentorio imposto dal Governo, inoltre, in molti casi, si è differito il termine di entrata in vigore delle norme sostitutive, il tutto sempre in un clima di collaborazione leale e costruttiva proprio per dare il massimo spazio possibile alle regioni, per consentire ad esse di adempiere al compito primario che la Costituzione e la legge n. 59 loro demandano.

La concreta emanazione degli ormai famosi e tanto attesi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri è obiettivamente, come ricordava il Presidente Cerulli Irelli, un’operazione complessa proprio dal punto di vista tecnico. Lo dico per esperienza perché ho lavorato insieme ad altri colleghi, qui presenti, nella fase di elaborazione, di stesura, delle bozze dei primi decreti.

Il Presidente del Consiglio ha adottato decreti che si possono contare sulle dita di una sola mano per ora; però è anche vero che altri sono in fase di avanzata elaborazione. Sottolineo inoltre che si tratta di un’operazione estremamente difficile dal punto di vista tecnico.

Ritengo che le norme legislative, che introducono forme di federalismo fiscale, potranno in parte aiutarci ma non risolveranno di per sé il problema, anche perché si tratterà di vedere quale sarà l’ambito coperto da nuove forme di federalismo fiscale. Sicuramente permarrà la necessità di operare i trasferimenti di capitoli di spesa del bilancio, quindi il problema continuerà e comunque si porrà sicuramente per i beni e per il personale.

Il Presidente Cerulli Irelli ha accennato al problema del corpo forestale dello Stato: anch’io lo vorrei indicare come uno degli esempi delle modalità con cui le difficoltà, via via che il cammino di elaborazione dei testi procede, si determinano o si aggravano. Il Governo si trova di fronte a regioni che giustamente vivono l’attuazione di un principio prima che di una norma, in base al quale il conferimento di funzioni deve contestualmente accompagnarsi al trasferimento delle risorse; si trova invece davanti a un Parlamento che, in più occasioni, ha invece formalmente adottato una posizione molto più tesa al mantenimento pieno dell’unità del corpo forestale medesimo. Sono pertanto allo studio delle soluzioni che in qualche modo non potranno non tenere conto di una così netta contrapposizione tra questi due nostri fondamentali referenti istituzionali.

Anche sulla riforma io condivido quanto è stato detto inizialmente dal Presidente della Camera. Sicuramente l’approvazione di un disegno di legge di riforma costituzionale non incide sul nostro lavoro di attuazione della riforma, al quale siamo tutti impegnati: è però a mio avviso un segnale molto importante di grande volontà, che dà forza a tutto il processo di riforma amministrativa anche dal punto di vista politico e che deve essere inteso come funzione di stimolo nel nostro lavoro quotidiano.

Il personale è sicuramente uno dei temi più delicati in questa fase di attuazione dei trasferimenti delle risorse. A mio avviso è prematuro riuscire ora ad individuare dei dati certi o comunque verosimili per quanto concerne il personale che sarà interessato all’operazione, perché per il momento possiamo solo operare delle valutazioni: avremo qualche elemento più preciso soltanto in corso d’opera, nello svolgersi dell’attività del gruppo di lavoro, che è stato costituito. C’è naturalmente molta preoccupazione da parte delle organizzazioni sindacali. In proposito si è di fronte ad un dato ovviamente professionale e lavorativo, ma anche culturale. Il lavoratore statale in molti casi, pur rimanendo nel comparto del pubblico impiego, vede il proprio trasferimento alla regione o all’ente locale con una certa preoccupazione, che non ha ovviamente alcuna ragion d’essere, ma che in qualche modo incide provocando una certa tensione in questa fase. Se poi a questa tensione si accompagna la preoccupazione che riguarda la sede di lavoro ovviamente il problema può aggravarsi.

Sono difficoltà comprensibili, che siamo in grado assolutamente di affrontare. In proposito c’è una collaborazione piena da parte delle grandi organizzazioni sindacali dei lavoratori del pubblico impiego, che io incontro con continuità, perché oltre che la responsabilità politica dell’organizzazione del funzionamento delle amministrazioni pubbliche ho anche quella delle relazioni sindacali. Ho ritenuto opportuno attivare un tavolo permanente di consultazione con le grandi organizzazioni, perché queste ultime hanno sempre dato prova di una forte collaborazione e di un grande senso di responsabilità e, in molti casi, hanno anche fornito un importante stimolo alla nostra azione di riforma. Da parte delle organizzazioni c’è piena adesione al nostro lavoro anche in questa fase delicatissima, che tanto direttamente le coinvolge. Come già segnalai in una conferenza unificata, da parte delle organizzazioni sindacali c’è la richiesta di essere coinvolte nel processo di determinazione delle bozze, delle ipotesi di provvedimenti formali di trasferimento. La legge n. 59 già prevede la consultazione delle organizzazioni sindacali, questo è dunque un adempimento formale, ovviamente irrinunciabile. Valuterò naturalmente il tema del coinvolgimento delle organizzazioni dei lavoratori nella fase di progresso del lavoro tecnico, ovviamente assieme agli altri colleghi coinvolti in questa complessa operazione di attuazione del disegno riformatore, perché reputo da un lato che sia necessario conservare questo clima molto proficuo di collaborazione, dall’altro ritengo che gli organi di Governo e insieme il sistema delle autonomie, anche in questa materia, debbano assumersi le loro responsabilità decisionali e poi confrontarle con i lavoratori e i loro rappresentanti sindacali. Abbiamo già concordato con il Consigliere Pajno, come responsabile del gruppo tecnico, un incontro con le organizzazioni sindacali per illustrare le metodologie del lavoro e raccogliere le prime osservazioni. Ritengo che poi il lavoro tecnico debba procedere, per avviare il confronto quando avremo già alcune ipotesi di decisione più concrete. Ci troviamo in una fase in cui il lavoro è ripreso con grande impegno in un clima molto sereno e molto proficuo, che, come accennavo, ci porterà rapidamente ad una conclusione. Non si tratta di un processo facile e non si tratta neanche di un processo breve. Le attese sono tantissime, noi siamo impegnati a soddisfarle, abbiamo necessità di avere anche i tempi che consentano non solo di riuscire ad avere un prodotto come risultato del nostro lavoro, ma anche di riuscire ad avere un prodotto idoneo, funzionale all’obiettivo, che tutti quanti condividiamo, di fornire al cittadino un servizio migliore.

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione. Ringrazio il ministro per il suo intervento. Do ora la parola al Sottosegretario alla Presidenza, Senatore Bassanini.

Franco BASSANINI, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri. C’è poco da aggiungere a quanto è stato detto da chi mi ha preceduto, cioè dal Presidente della Camera, dal Presidente e dal Vice Presidente della Commissione parlamentare, dai ministri Bellillo e Piazza.

Vorrei sottoporvi innanzitutto qualche rapida riflessione sui punti di criticità del processo di attuazione della riforma. Forse alcune di queste riflessioni sono scontate, ma credo che sia necessario fare il punto anche su questo.

Vedo essenzialmente tre punti critici. Il primo è che ci sono indubbiamente resistenze, aree di scarsa collaborazione, che erano assolutamente prevedibili: nessuno di noi, in modo particolare quelli che hanno vissuto il lavoro della prima e della seconda regionalizzazione all’inizio e nella seconda metà degli anni settanta, potevano illudersi al riguardo. La mia personale valutazione è che queste resistenze non siano insuperabili. Qualche contromisura l’abbiamo messa anche in essere.

Non c’è dubbio che noi oggi rimpiangiamo di non avere un insieme di disposizioni come quelle dell’articolo 7 del decreto n. 112, nei primi decreti delegati sull’agricoltura, sui trasporti, sul mercato del lavoro. Infatti, se è vero che tali disposizioni dell’articolo 7 rendono indubbiamente un po' più macchinoso e complicato il lavoro di elaborazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri sulla identificazione delle risorse, tuttavia danno una serie di garanzie. Per esempio, esse rendono inutili le operazioni che alcune amministrazioni hanno già tradizionalmente effettuato in tutti questi anni, nel senso di nascondere, tutte le volte che si creava una situazione di questo genere, sotto il tappeto o nel sottoscala, risorse finanziarie, attribuendole a capitoli di bilancio relative a funzioni che non sono da trasferire, per sottrarle all’operazione di identificazione delle risorse. Questo avviene perché nell’articolo 7 citato si stabilisce che occorre effettuare una valutazione su base pluriennale, e naturalmente in quest’ambito sarà molto facile evidenziare eventuali comportamenti - per usare una parola alquanto dura - truffaldini.

L’articolo 7 prevede anche una costruzione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in forma di collaborazione, di concertazione tra il Governo e le regioni, le province, i comuni e gli enti locali, attraverso la Conferenza unificata, una formula che sta tra la cooperazione, la concertazione e il contraddittorio. Anche ciò, da un certo punto di vista, può rendere un po’ più lenta e macchinosa la procedura, però dà ampie garanzie in più, soprattutto se - come io spero avvenga e come è giusto che sia, ma non ho motivo di non credere il contrario - ci sarà un comportamento molto attivo da parte delle rappresentanze non solo nelle regioni, negli enti locali e nella Conferenza unificata, ma anche nel tavolo tecnico che è stato costituito ed è presieduto dal consigliere Pajno nell’ambito del gruppo di coordinamento previsto dalla legge n. 59.

Ai fini della formulazione dei primi decreti delegati mancano disposizioni di questo genere. Come ha ricordato il ministro Piazza, che ha svolto un ruolo cardine nel faticosissimo lavoro di elaborazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di agricoltura, foreste, caccia e pesca, si è dovuto procedere invece alla elaborazione essenzialmente attraverso un difficilissimo confronto con l’amministrazione interessata, che raramente è disponibile a comportamenti generosi anche quando riceve direttive dal ministro in questo senso, perché poi emerge una logica quasi istituzionale di difesa del proprio orticello. A maggior ragione questo avviene quando tali atteggiamenti ricevono autorevoli sostegni o legittimazioni parlamentari, per cui le amministrazioni si sentono anche legittimate da una sponda parlamentare. Tutto questo ovviamente comporta che il Governo debba tenere conto, come diceva il ministro Piazza prima, di elementi diversi, che però sono rilevanti, perché come tali sono previsti dalla legge.

Naturalmente resta fermo che il Governo deve attuare la legge di delega nell’esercitare le funzioni legislative delegate. Deve in altri termini attuare i decreti legislativi, che sono leggi fino a che non sono modificati, quando elabora e vara i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri sull’identificazione delle risorse. Se maturano altri orientamenti in sede parlamentare e sono in contrasto con le leggi, compresi fra queste i decreti legislativi, tali nuovi orientamenti devono tradursi in nuovi provvedimenti legislativi, ma su questo tornerò tra un momento.

La mia impressione su questo primo punto critico è che le prevedibili resistenze hanno comportato per il momento più ritardi che non la messa in discussione della riforma. Questo è successo anche perché permane un consenso abbastanza diffuso sulle linee generali di essa, anche se non è altrettanto attivo e militante. Ho potuto esaminare le risultanze delle indagini che sono state effettuate da alcune associazioni regionali di Confindustria e che registrano, attraverso sondaggi tra le imprese e gli imprenditori iscritti alla stessa confederazione, un consenso molto ampio, anche se più ampio al nord che non al centro-sud. Si tratta in ogni caso di un forte e ampio consenso rispetto alle linee della riforma, di cui poi si denunciano ritardi e insufficienze. I sondaggi commissionati dalle maggiori organizzazioni sindacali hanno registrato questo consenso anche tra i lavoratori e persino tra i lavoratori dipendenti degli enti pubblici. Del resto le elezioni delle RSU nel pubblico impiego hanno rappresentato anche da questo punto di vista una verifica importante, perché hanno fatto registrare un largo successo delle organizzazioni sindacali che avevano sostenuto la riforma e che avevano inserito nel programma l’ulteriore sostegno all’attuazione della stessa.

Qualche volta poi queste dichiarazioni di principio non sono seguite da comportamenti sempre coerenti, ma questo fa parte, come tutti sanno, di vicende che avvengono in tutte le migliori famiglie, però è importante che, quando si svolgono delle consultazioni elettorali di massa, come nel caso delle elezioni delle RSU, si vada a guardare anche ai programmi con cui le organizzazioni e le rispettive liste si sono presentate al voto. In definitiva, il consenso resta molto ampio.

Continuo a ritenere di enorme importanza che la legge n. 50 dell’8 marzo 1999, la legge annuale di semplificazione 1998, che è l’ultimo tassello legislativo della riforma, sia stata approvata in prima lettura al Senato all’unanimità, poi in seconda lettura ci sono stati voti contrari, motivati con le modifiche introdotte dalla Camera nel testo approvato dal Senato. Continuo a considerare importante che la stessa legge sia stata approvata dalla Camera con una larghissima maggioranza di 356 voti contro 6, quindi sia stata votata anche dalle principali forze dell’opposizione, Polo e Lega, perché questo è il segno che almeno sugli obiettivi fondamentali della riforma permane un consenso largo, che mi consente di seguirla e di gestirla come una grande riforma istituzionale, non il prodotto soltanto di una parte politica o della maggioranza di Governo, come è proprio nelle riforme istituzionali di maggiore importanza e rilievo.

Il secondo punto critico riguarda i tempi. Come sanno quelli che mi hanno sentito altre volte, la questione dei tempi non è affatto irrilevante, perché noi abbiamo bisogno di realizzare rapidamente questa impegnativa opera di ammodernamento del nostro sistema amministrativo, come ne avremmo bisogno per il sistema istituzionale. Non è affatto irrilevante perché uno dei punti critici maggiori delle riforme è il rischio che si estenuino in un eccessivo prolungarsi della fase di trasformazione e di innovazione. Per usare un’espressione, che, mi scuso, forse qualcuno mi ha già sentito usare, noi siamo in questo momento in mezzo al guado della riforma, come avveniva per i carri dei coloni americani nel West. In mezzo al guado si sta molto male, perché le correnti sono più forti e si rischia di rovesciarsi. In mezzo al guado bisognerebbe stare il meno possibile e quindi bisogna evitare di porsi i problemi tipo "ripensiamo, rivalutiamo, forse era meglio guardare cento metri più a monte o cento metri più a valle", perché il rischio a quel punto è appunto di rovesciarsi : in mezzo al guado bisognerebbe accelerare. Non sottovaluto il problema dei tempi, però registriamo soprattutto dei ritardi rispetto ad un timing in parte previsto dalla legge con termini, che poi sono stati prorogati tenendo conto delle circostanze, della crisi di Governo, in parte sui termini ordinatori. Pur non sottovalutando il peso di questi ritardi, per una riforma di questo genere avere un po’ di mesi di ritardo non è poi una cosa gravissima, se questi ritardi non aumentano, se adesso c’è l’impegno - come mi pare ci sia da parte di tutti - di accelerare, se sono in opera gli strumenti che adesso consentono di recuperare ritardi o almeno di non aumentarli e di non accumularne altri.

Per quanto riguarda le due questioni più importanti, le leggi regionali di delega agli enti locali, come è stato detto testé dal ministro Bellillo e dal ministro Piazza, è vero che ci sono dei ritardi e che come in altri casi in questi giorni il Governo dovrà intervenire con il decreto sostitutivo, suppletivo del decreto n. 112. Tuttavia chiunque abbia avuto modo di esaminare questa legislazione regionale, quella approvata, quella presentata dalle Giunte, quella in itinere, ha potuto constatare che probabilmente i giudizi possono essere variabili in relazione ai singoli punti, però nel suo complesso è una legislazione di eccezionale importanza. Molti di noi qui presenti sono addetti ai lavori. Ricordo allora che cinque o sei anni fa uno dei leitmotiv di questi nostri convegni era: le regioni, salvo pochissime, non hanno delegato funzioni e responsabilità rilevanti agli enti locali. C’è ora una netta inversione di tendenza e le leggi regionali, quelle approvate e quelle in corso di approvazione, rappresentano complessivamente un’opera molto rilevante di ripensamento e di riorganizzazione di tutto l’assetto delle funzioni regionali e locali, della stessa organizzazione regionale. In molti casi è stata anche effettuata una vastissima ripulitura della legislazione regionale, abrogando centinaia di leggi regionali. Esse danno quindi un contributo all’operazione di semplificazione, di snellimento, di revisione della giungla legislativa. Tutto questo lavoro non può essere svalutato perché c’è qualche mese di ritardo!

Trovo tutto questo sia il frutto di una sorta di isteria nel nostro Paese, per cui quando si introduce una riforma importante e anche molto innovativa, attesa magari da molti anni, dopo dieci giorni dall’approvazione già si dice che la riforma è fallita o sta fallendo, soprattutto se, per caso, si registra qualche ritardo rispetto a una tempistica dettata forse da un eccessivo ottimismo.

Andiamo a vedere che cosa realmente sta cambiando anche per effetto della legislazione regionale. Come giustamente ricordava il ministro Katia Bellillo, il Governo ha l’obbligo derivante dalla delega di adottare i decreti sostitutivi in questi giorni. Il 31 marzo in pratica è dopodomani. Essi, come si è visto, sono configurati in modo da prevederne anche una non immediata entrata in vigore e quindi dare di fatto altro tempo alle regioni, per cui rappresentano un elemento di stimolo, che dà agli enti locali la tranquillità di sapere che comunque questi processi di ridistribuzione di funzioni avverranno e che, nel contempo, tuttavia non si sottovaluta la difficoltà e l’impegnatività del lavoro che le regioni stanno facendo, tra l’altro in moltissimi casi in un rapporto positivo di collaborazione, di dialogo con gli enti locali.

Per quanto riguarda i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, come ricordava prima il ministro Piazza, forse abbiamo inizialmente sottovalutato la complessità di questo necessario lavoro, perché se il trasferimento delle funzioni fosse stato fatto non prevedendo la necessaria contestualità e contemporaneità con il lavoro di identificazione e di trasferimento delle risorse, il risultato sarebbe stato che ancora una volta avremmo trasferito poteri e responsabilità senza i relativi strumenti. Saremmo ricaduti in altri termini in un vecchio errore, che ha penalizzato fortemente i processi di regionalizzazione e di attuazione del disegno della repubblica delle autonomie realizzati in passato. E’ un lavoro complesso, rispetto al quale probabilmente abbiamo capito con un po’ di ritardo che bisognava identificare uno strumento ad hoc, con la decisione ormai attuata di costituire nell’ambito del gruppo di coordinamento esistente presso la Presidenza del Consiglio dei ministri sull’attuazione della legge n. 59, un gruppo di lavoro ad hoc, che coinvolga tutti gli interessati e costituisca anche una sede istruttoria per la conferenza unificata. Probabilmente questa era la chiave che ci mancava e che adesso abbiamo per procedere, come del resto affermava prima il ministro della funzione pubblica.

La terza criticità che vedo è invece è quella che più mi preoccupa. Era anche questa assolutamente prevedibile. Essa ha una sola vera soluzione, che è di ordine costituzionale, e cioè la riforma della struttura del Parlamento con la costituzione di un Senato delle regioni o di una Camera delle regioni e delle autonomie. Il rischio è che nel mentre si procede all’attuazione della riforma, si varino provvedimenti contraddittori che contraddicano le scelte operate. A me non preoccupa tanto, il Parlamento è sovrano e ha anche il diritto di rimettere in discussione scelte operate in passato, e secondo me, attuate in modo complessivamente coerente con le direttive del Parlamento contenute nella legge n. 59 e poi marginalmente integrate dalle leggi successive. Il Parlamento può rimetterle in discussione, se effettivamente questo è frutto di un consapevole mutamento di indirizzo e di linea politica, questo è il punto. Il fatto che contemporaneamente all’approvazione del provvedimento soltanto da parte della Camera (poi il processo si è interrotto) della riforma costituzionale della forma di stato in senso federale, procedano provvedimenti che vanno in direzione opposta ; cioè, mentre la riforma costituzionale prosegue ed ovviamente va oltre il disegno della legge n. 59, anche perché determina la cornice delle garanzie e degli strumenti costituzionali di una riforma in senso federale, nel contempo invece procedono provvedimenti che ritornano indietro e che centralizzano nuovamente le competenze; non ho l’impressione che questo sia il frutto di una consapevole scelta di indirizzo politico istituzionale. Deve essere chiaro, ed è ovvio, che il Parlamento è sovrano e quindi è legittimato a comportarsi in questo modo. Questo però pone un problema al Governo nella sua collegialità, visto che anch’esso non di rado è partecipe, quando non è promotore in alcuni casi di queste contraddizioni e pone un problema alle forze politiche e ai gruppi parlamentari, che dovrebbero definire un quadro coerente di posizioni e poi cercare di coordinare le singole iniziative legislative. Come è noto, questo è reso più facile da una struttura del nostro Parlamento articolato per Commissioni che hanno poteri anche legislativi, tuttavia non è poi questa la chiave decisiva, perché accade anche per disegni di legge che vengono approvati in aula.

Questo è un problema serio che consente di sottolineare il nesso esistente tra il consolidamento della riforma avviata con la legge n. 59 e la riforma costituzionale della riforma dello Stato. Non vi è dubbio che senza la riforma costituzionale il federalismo amministrativo ha fondamenti precari, perché è fondato su leggi ordinarie sempre modificabili e derogabili da altre leggi ordinarie.

Qui si riscopre ancora una volta la fondamentale funzione di strumento di garanzia e di partecipazione che ha una riforma della struttura del Parlamento che preveda in una delle due Camere una partecipazione determinante delle regioni e delle autonomie locali, perché solo attraverso questo strumento di ordine organizzativo, che intervenga nella formazione delle leggi, si potrà riuscire a mantenere la coerenza del disegno complessivo di ridistribuzione e riorganizzazione delle competenze e delle funzioni.

Tra i punti di criticità fino a qualche settimana fa avrei messo anche il meccanismo finanziario : oggi su questo versante dei passi avanti sono stati compiuti, perché il Senato ha approvato un subemendamento all’emendamento Visco, che il Governo ha veicolato tramite la Commissione del Senato. Esso prevede sostanzialmente che a conclusione del processo di identificazione delle risorse effettuato con i meccanismi dell’articolo 7 della legge n. 59 e dell’articolo 7 della legge n. 112, per la parte che riguarda il personale e le risorse patrimoniali, avvenga ovviamente un trasferimento di queste risorse, attraverso un meccanismo che non sia quello dei trasferimenti dal bilancio dello Stato, ma di traduzione della quota di risorse identificata in quote di partecipazioni a tributi erariali a larga base imponibile.

Vorrei essere chiaro ed evitare errori di interpretazione, nel senso che non è che questo meccanismo comporti aumento della pressione fiscale per i cittadini, bensì una ridistribuzione delle quote di gettito di questi tributi tra lo Stato, che peraltro non ha più l’onere relativo alle spese per l’esercizio delle funzioni che vengono trasferite alle regioni, e gli enti locali, a cui vengono trasferite insieme alle funzioni anche dei meccanismi di provvista delle risorse basato sulla compartecipazione a tributi erariali a larga base. E’ il meccanismo che era stato identificato già dal collegato di finanza pubblica per il 1998 per i comuni, che adesso viene esteso alle regioni.

Questo rappresenta sicuramente un passo avanti, anche se permangono dei problemi, che andranno risolti nella sede di definizione dei criteri generali dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Abbiamo già cominciato ad esaminare la questione con il consigliere Pajno: permangono una serie di ulteriori problemi che riguardano l’interpretazione dei meccanismi finanziari di trasferimento delle risorse, per esempio per le leggi di finanziamento pluriennali, che siano vicine alla scadenza o in scadenza.

Credo che un’applicazione corretta dei principi e dei criteri del decreto n. 112 alla luce della legge n. 59 consentirà anche di risolvere questi problemi.

Dopo una inevitabile fase di rodaggio dovuta alla crisi e alla formazione del nuovo Governo, è ripreso il lavoro del gruppo di coordinamento della legge n. 59 presso la Presidenza del Consiglio, anche sulle altre parti della riforma regionale per l’attuazione del Capo II, mentre non si è mai fermato il lavoro in materia di semplificazione dei procedimenti.

Ieri è stato diramato lo schema del decreto legislativo per l’attuazione dell’articolo 17 della legge n. 59, cioè per la riforma dei sistemi di controllo interno con meccanismi di valutazione dei risultati dell’attività delle amministrazioni. La diramazione è propedeutica all’esame in Consiglio dei ministri, che avverrà prossimamente, quindi la Commissione parlamentare per la riforma amministrativa avrà, tra breve, anche questo argomento da esaminare.

Stiamo tutti insieme concordemente lavorando per arrivare nel corso del prossimo mese di aprile a portare in Consiglio dei ministri anche i decreti legislativi di attuazione dell’articolo 12, e quindi la riforma della struttura complessiva del Governo, con la riduzione del numero dei ministeri, la razionalizzazione delle loro competenze e la riforma della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Non va sottovalutato anche ai fini dell’attuazione del Capo I una coerente attuazione del Capo II, perché, come è noto dall’esperienza degli anni settanta, il permanere di una struttura di Governo e di un’amministrazione centrale incoerenti con il processo di ridistribuzione delle competenze e delle funzioni, finisce per mettere in moto nel tempo dei processi di "ricentralizzazione" di competenze e di funzioni che, se non contrastate da normative costituzionali che speriamo vengano approvate, ma che delle cui sorti non siamo sicuri, finirebbero poi per vanificare anche i risultati riformatori, pensati e magari realizzati, ma per l’appunto solo provvisoriamente.

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione. Ringrazio il Senatore Bassanini. Mi pare che da parte dei rappresentanti del Governo siano stati indicati senza alcuna reticenza tutti i problemi, ma che sia stato anche sottolineato e ribadito l’impegno, una volta compresi i problemi, a portare avanti la riforma con la maggiore celerità. E’ stata anche fissata una tempistica, sono stati indicati gli strumenti operativi che sono stati immaginati per poter superare le principali difficoltà sul tappeto. Adesso darò la parola al Presidente della Commissione bicamerale per le questioni regionali, onorevole Pepe, per poi passare subito ai rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali.

Mario PEPE, Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Sarò brevissimo, anche perché ritengo che abbiamo oltremodo arricchito o talvolta affastellato il nostro dibattito di preoccupazioni, di incertezze ed anche di difficoltà ; che a due anni dalla promulgazione della legge n. 59 del 1997, che riguarda in definitiva il terzo decentramento, tutto il sistema delle autonomie locali ha conseguito in genere uno stato di maggiore concretezza, tale da legittimare la possibilità che lo stesso sistema possa essere opportunamente migliorato, tenendo presenti le preoccupazioni e gli interessi esplicitati nella parte introduttiva dal Presidente Cerulli Irelli.

Mi rendo conto che, come diceva il ministro Bassanini, stiamo in mezzo ad un guado, che talvolta è maroso, incerto, anche per quelle discrasie sociali che appesantiscono o, se volete, indeboliscono il nuovo ordinamento delle autonomie locali, che comunque deve essere costruito al più presto.

Peraltro, a fronte di questi importanti dati, emergono anche taluni elementi di contraddizione, certamente inevitabili nell’ambito di un disegno così vasto. Infatti, talune contraddizioni erano già nei decreti approvati. Penso, per esempio, alla materia dei parchi, nell’ambito della quale, a seguito di un complesso processo di eliminazione di certi atti da parte del decreto legislativo n. 112, si era finito per sopprimere, forse inconsapevolmente, la procedura dell’intesa, tema che è stato reintrodotto anche attraverso la sottoposizione della stessa materia alla Conferenza unificata Stato-Regioni. Altre contraddizioni sono state alimentate da iniziative parlamentari, come diceva poc’anzi il ministro Bassanini. Assistiamo ancora una volta, forse anche da parte del Governo, ad un profluvio di provvedimenti legislativi, che da una parte rendono debole il sistema delle autonomie locali, dall’altro privano di competenze le regioni, che sono abilitate su temi e settori che sono propri dell’organismo regionale.

Mi preme ribadire in questa occasione che non si possono tirare le somme della riforma soltanto sulla base di quanto è stato fatto oggi a livello legislativo dallo Stato e dalle regioni. Certamente lo Stato ha emanato tutti i decreti delegati, mentre le regioni hanno avuto le difficoltà a tutti note. In questo caso infatti la procedura non rientra nella categoria della sostituzione, bensì in quella della persuasione, del dialogo, della collaborazione di una forte centralità nella Conferenza unificata.

Sarebbero guai, se introducessimo elementi di contenzioso relativamente al dominus del procedimento tra lo Stato nazionale e le regioni : rischieremmo di impoverire tutto il sistema che stiamo costruendo con una forte mobilitazione e la capacità che hanno le autonomie locali di radicare questo processo introdotto dalla legge n. 59 e dai decreti delegati sul territorio. Quindi l’aspetto fondamentale è che la riforma è soprattutto un articolato e complesso processo normativo e direi soprattutto culturale, non solo un insieme di decisioni legislative, che ovviamente possono restare sulla carta, come è avvenuto negli anni precedenti; quindi la riforma non è solo un valore, ma deve diventare prassi e costume all’interno delle autonomie regionali e locali.

Ritengo che si stia perseguendo questo percorso. In proposito, bene ha detto il Presidente Cerulli, nel senso che abbiamo tracciato una linea, che non è solo di trasferimento, ma anche e soprattutto di valori, che dobbiamo perseguire fino in fondo. Del resto, come ho già sostenuto altre volte, se il decentramento non si accompagnasse ad una radicale delegificazione e semplificazione, sia a livello verticistico, sia a livello regionale, indubbiamente rischieremmo di impoverire ogni nostra iniziativa.

Anche dal monitoraggio effettuato dalla Presidenza del Consiglio, dalle rassicurazioni che dava il ministro Bassanini ed altri, mi pare che emerga che questo processo coinvolga pienamente anche gli organismi regionali. In questo senso va chiamata in causa la responsabilità di tutti i soggetti pubblici. La riforma quindi non passa solo attraverso il decentramento, l’ulteriore devoluzione di funzioni da parte delle regioni e dei comuni, il trasferimento di risorse, ma anche attraverso la semplificazione e lo snellimento delle amministrazioni statali.

Quando si usa il termine "trasferimento delle risorse" è chiaro che si fa riferimento a quelle finanziarie sul versante del regionalismo e delle autonomie, però ipotizziamo anche le risorse strumentali e organizzative, che non attengono soltanto ad un input del Governo nazionale, ma riguardano anche una nostra capacità di ribadire una nuova strumentalità per far camminare in maniera diversa la macchina regionale, talvolta appesantita da troppo personale e da una eccessiva dose di burocratizzazione.

Per quanto riguarda altri argomenti, ritengo che la Commissione per tali questioni regionali, anche dando atto al Presidente Cerulli del notevole lavoro, abbia incrociato l’altro versante, quello regionale, con il quale abbiamo instaurato un profondo dialogo, per portare avanti quella politica della persuasione, della responsabilità e della consapevolezza, che ritengo possa essere il focus essenziale per vincere e rimuovere quelle criticità, che pure esistono e che sono state opportunamente evidenziate dal ministro Bassanini.

Con queste brevi considerazioni, sia pure ridotte e ricucite in maniera veloce, restituisco la parola al Presidente Cerulli Irelli.

CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione.

Abbiamo sentito dai rappresentanti del Governo i problemi, le difficoltà, ma anche l’impegno, i tempi, anche i metodi e le procedure. Sentiamo adesso dal Presidente della Conferenza dei Presidenti delle regioni il punto di vista di queste ultime.

Debbo sottolineare il fatto che da parte di tutti, a cominciare dal senatore Bassanini, si è dato atto dell’importante inversione di tendenza che si registra nell'ambito regionale negli ultimi mesi, attraverso l’adozione delle leggi, alcune delle quali di estremo interesse istituzionale, che recepiscono pienamente i principi ispiratori della riforma nel senso della sussidiarietà e della massima valorizzazione delle autonomie territoriali. Questo è stato sottolineato da tutti, io lo voglio ulteriormente ricordare.

Do a questo punto la parola al Presidente Chiti.

Vannino CHITI, Presidente della Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome. Prima di tutto voglio dire in modo non formale che noi riteniamo molto importante questa iniziativa e ringraziamo la Commissione e il Presidente Cerulli Irelli di averla promossa. Penso che essa sia utile in questa fase, ma anche che probabilmente sarà utile in via operativa, anche in vista di appuntamenti futuri, avere momenti di incontro e di scambio di opinioni tra chi è impegnato con pari responsabilità istituzionale (ritengo infatti che occorra compiere un grande sforzo di cooperazione tra tutti per cambiare lo Stato) anche se a livelli diversi da quelli del Parlamento e del Governo.

Credo che si debba evitare il rischio di un doppio paradosso italiano. Tutte le volte che ci incontriamo con dei colleghi di altri paesi (potrei, se avessi tempo, farvi davvero una storia con nomi e cognomi, non è una battuta) ci viene detto: "In Italia siete in una fase di riforme costituzionali estremamente avanzata, che guardiamo con stupore". Però poi dobbiamo precisare che questa riforma (l’ultima volta, lunedì, mi è successo con Giscard D’Estaing e il nostro amico Maragal) è sostanzialmente un disegno di legge del Governo, non ancora approvato dal Parlamento. Questo è un paradosso, ma non è degli ultimi mesi, come voi sapete, perché dura almeno da qualche decennio. Ognuno di noi sta invecchiando : si era giovani quando è stata istituita la Commissione bicamerale presieduta dall’onorevole Bozzi, si rischia di essere tutti alla pensione quando magari il processo è arrivato al termine.

Tra noi dobbiamo sottolineare un particolare : avverto a volte la difficoltà a fare entrare questo senso di urgenza non solo nelle aule parlamentari, ma anche nei palazzi centrali della politica. Questo passare dei decenni non soltanto invecchia noi, ma fa anche correre il rischio che problemi maturi incancreniscano, determinando una crisi di credibilità e di fiducia nei rapporti tra cittadini e istituzioni.

Nessuno dei presidenti delle regioni ha tratto elementi di soddisfazione dal fatto che in recenti ricerche e sondaggi, che sono stati effettuati da vari istituti di ricerca, ci sia stata una risposta sorprendente. I cittadini italiani, lasciamo stare se hanno più fiducia nel comune, nella regione o nello Stato centrale, hanno più fiducia nell’Unione europea che nello Stato centrale. Occorre specificare che tale sondaggio è stato effettuato quando ancora non si parlava nemmeno di affidare la presidenza della Commissione ad un italiano. Siamo arrivati al punto che soltanto il 57 per cento ha fiducia nello Stato centrale. Sui sondaggi si può scherzare, a volte essi sono approssimativi, ma quello tendente ad acquisire il dato della partecipazione alle elezioni rappresenta un sondaggio vitale per la democrazia, e quello che ho citato è un sondaggio che ognuno di noi deve avvertire pesantemente nella sua responsabilità politica e istituzionale.

E’ stato effettuato anche un sondaggio che riguarda la democrazia italiana e le classi dirigenti in senso lato. Secondo tale sondaggio, c’è il rischio di perdere la fiducia definitiva nella possibilità che noi tutti, qualunque cosa facciamo in questo momento, di qualsiasi parte politica siamo, siamo in grado di riformare questo Stato e di approvare e realizzare delle riforme vere.

Il secondo paradosso è che anche le riforme approvate non vadano avanti. Esse sono riforme positive. Noi abbiamo definito la legge n. 59 e tutti i decreti a seguire come federalismo amministrativo non per fare un piacere al senatore Franco Bassanini, ma perché a Costituzione vigente attuano in modo diverso dal passato il trasferimento di competenze e di funzioni, indicando un fatto culturale e politico di grande significato, vale a dire definendo le materie che rimangono allo Stato e le altre che sono attribuite a regioni e enti locali.

Per questo io sono d’accordo con il Presidente della Camera, nel discorso che ha fatto in apertura.

Come prima sottolineatura generale - poi passo alle questioni specifiche - noi abbiamo l’obbligo di attuare rigorosamente, con efficienza e in modo serio, ciascuno nel luogo dove istituzionalmente opera, le leggi che chiamiamo di federalismo amministrativo. Esse danno credibilità e sostanza, sono parte non inutile, ma utilissima al progetto di cambiamento costituzionale, che pure è necessario per le considerazioni che faceva al termine il sottosegretario Bassanini.

Dal punto di vista dei ritardi che si sono verificati concordo con quanto affermato dal senatore Bassanini, ma ritengo che sia intervenuto un evento a rafforzare le resistenze centralistiche e a determinare comunque la non attuazione della riforma. Mi riferisco al fatto che, saltata la Commissione bicamerale, qualcuno ha pensato: "Passata la festa ognuno riprenda i propri posizionamenti!".

Penso che ci sia stato anche questo, e quindi credo che uno degli aspetti positivi sia costituito dal fatto che il Governo abbia varato un progetto di legge di riforma federalista, su cui il Parlamento si impegnerà, su cui regioni, province, comuni esprimeranno posizioni politiche, ma anche proposte unitarie di emendamento. Tale circostanza intanto restituisce la credibilità, in quanto rappresenta la conferma che queste riforme vanno attuate, ma questo deve avvenire con grande serietà.

Sono anch’io d’accordo per quanto riguarda il versante delle regioni con le considerazioni svolte da tutti, a partire dal Presidente Cerulli Irelli, che io considero vere, al di là delle velocità differenziate che non possono che esserci nelle regioni italiane. C’è stato in questi mesi uno sforzo enorme di attuazione legislativa, per quanto concerne l’insieme dei decreti e delle competenze derivanti dalla legge n. 59 e dai decreti successivi. Insieme a questo aspetto si segnala il proseguimento dello sforzo di approfondimento, che era iniziato con il confronto nell’ambito della Commissione bicamerale, ma che è diventato fatto permanente della vita politica di questo Paese e che - credo - resterà al di là di noi. Si tratta dunque di un punto positivo di contributo che le autonomie hanno dato e danno alla vita politica di questo Paese.

Mi riferisco al fatto che tra regioni, province e comuni ci sia stata un’intesa non limitata soltanto ad un progetto di legge di riforma federale, ma estesa a quello che devono essere le regioni, i comuni e le province. Da ciò deriva la scelta secondo cui le regioni devono avere un ruolo di legislazione e di governo inteso come governo sulle materie - che lo Stato centrale non trattiene e su cui non ha competenza esclusiva - e sull’amministrazione, che necessita di una unitarietà regionale : si stabilisce insieme che c’è bisogno di unitarietà, quindi si stabiliscono le competenze da attribuire a comuni e province. Proprio oggi abbiamo firmato con l’ANCI e con l’UPI due importanti protocolli di intesa, che stabiliscono questi principi rispetto all’attuazione delle "leggi Bassanini" e credo che ciò rappresenti un contributo per chi vuole fare le riforme.

Rispetto al decreto generale e più recente, il n. 112 del 1998, tredici regioni su quindici hanno approvato il testo del disegno di legge regionale in giunta. Non ha ancora approvato il testo in giunta la Campania, mentre la Puglia ha approvato soltanto alcune parti. Sei regioni invece hanno già adottato il relativo testo nei rispettivi consigli regionali. Per alcune regioni ciò è avvenuto da sei o sette mesi. Quando si afferma che le regioni sono in ritardo, bisogna anche pensare che questa volta - credo una tantum, perché non penso che si tratti di una situazione ordinaria - abbiamo accettato tale necessità e poi abbiamo avuto anche un esito di qualche aspetto di virtù: ma le regioni sono organizzate da governi e da assemblee legislative come avviene a livello nazionale. Ho visto che alcune giunte regionali, che non hanno approvato certamente ieri il disegno di legge di attuazione del decreto n. 112, l’hanno approvato nello scorso periodo giugno-luglio.

In ogni caso, almeno sei regioni hanno già adottato le leggi di attuazione, sette regioni possono farlo in breve tempo : mi auguro che tutte le altre nove, comprese le due che ancora non hanno completato del tutto l'iter di approvazione, provvedano; ma il potere sostitutivo, come è avvenuto in passato, può esercitarsi fino a quando il consiglio regionale non ha approvato il testo definitivo di legge, assumendo, se coerente e compatibile con la valutazione della legge di riforma, quello che intanto la giunta regionale di quella regione ha varato. Così è stato fatto in passato in materia di agricoltura e trasporti.

Il decreto sull’agricoltura è uno dei punti forti del paradosso a cui accennavo: 14 regioni hanno già approvato la legge regionale in sede di consiglio. Rimane il Piemonte, ma contemporaneamente siamo al quattordicesimo mese di ritardo da parte dei governi (in questo caso al plurale, perché sono quattordici mesi), nell’attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri conseguente. La nostra impressione è che la questione stia ruotando attorno al corpo forestale dello Stato. Questo per noi regioni ha un significato emblematico.

In altri termini, se dopo aver stipulato un accordo con il Governo sul corpo forestale dello Stato, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri venisse modificato, in quel momento sarebbe decisa l’archiviazione, anche se non formale, di tutto il processo di attuazione delle leggi sul federalismo amministrativo. Non ha infatti fondamento l’osservazione che viene fatta, che ha trovato anche sponsor politici fra i parlamentari di tutti i gruppi, nel senso che le cinque regioni a statuto speciale hanno ottenuto non so da quanto tempo la regionalizzazione integrale del corpo forestale dello Stato e nessuno si è accorto che i barbari erano entrati a Roma, mentre questo avviene di fronte ad una regionalizzazione moderata.

Sono stato ingiustamente attaccato perché c’era stato questo compromesso nell’ambito del quale si riconosce l’unitarietà di reclutamento, di formazione, di progressione di carriera, di modi di fare e si stabilisce di effettuare una verifica di utilizzazione nella Conferenza unificata. Allora mi si dica che ci sono resistenze sindacali o di altri tipi, ma se queste ci sono e sono tali da fare ritornare indietro, non si sposterà niente né di risorse, né di beni, né di personale. Piuttosto faremmo tutti bene a preoccuparci di quello che sta succedendo nel corpo forestale dello Stato in Italia. Infatti, mentre qui si discute circa il destino del corpo forestale dello Stato, di cui si regionalizzano parzialmente le attribuzioni, intanto tale corpo nelle regioni, compresa la mia, ha in centri enormi di montagna, dove ci sarebbe bisogno di un potenziamento, soltanto uno, due o tre addetti. Questo è il discorso, mentre qui si fanno i dibattiti su questi temi.

Per quanto concerne il trasporto pubblico locale, dieci regioni su quindici hanno adottato la legge regionale, le altre hanno approvato il progetto di legge attuativa in giunta e lo hanno presentato in consiglio. In materia di mercato del lavoro dodici regioni su quindici hanno varato le leggi regionali, tutte le altre hanno varato il testo, che è all’esame del consiglio.

Voglio fare, senza alcuna polemica, una sottolineatura rispetto alle questioni che sono già state correttamente poste non solo dal Presidente Cerulli Irelli, dal vicepresidente, dal ministro per gli affari regionali e dal sottosegretario Bassanini. In particolare il ministro Piazza ha affermato in maniera molto colorita che "possiamo contare sulle dita di una mano i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che sono stati fatti fino ad ora". Spero che la mano di nessuno di noi sia così ridotta, perché non è necessario utilizzare tutta una mano, in quanto questi decreti sono soltanto due! Uno è quello sui problemi del mercato del lavoro che rinvia a luglio, per cui è un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di puro rinvio. L’altro, sulle fiere, è pure importante e significativo, ma non rappresenta certamente l’architrave.

Quindi questo è il problema e questi sono i ritardi da superare rapidamente, se vogliamo che non si produca il secondo paradosso italiano.

Concludo intervenendo sulle questioni fiscali e anche su una considerazione più generale. E’ vero che in questo ultimo periodo, fermo restando che questo è il punto di partenza, qualche luce si è accesa. Mi riferisco all’insediamento del comitato misto coordinato dal consigliere Pajno. Questo un punto importante, perché in seno a quel comitato si deve procedere con determinazione per le risorse, il personale, i beni. Si tratta di un aspetto decisivo. Bisogna correre rapidamente, altrimenti non si recuperano ritardi, ma si rischia di averne altri. Occorre considerare che la nostra legislatura, a differenza di quella del Parlamento, che mi auguro una volta tanto finisca regolarmente nel 2001, finisce sicuramente nell’aprile del prossimo anno, quindi i consigli si sciolgono prima nel febbraio, di conseguenza l’attuazione da parte nostra del riempimento delle leggi che abbiamo varato rispetto agli enti locali può usufruire di altri sei o sette mesi, poi se ne potrebbe parlare nuovamente nell’autunno del duemila. In definitiva il problema è che questo comitato funzioni rapidamente.

E’ positivo anche il testo approvato dal Senato circa l’avvio del federalismo fiscale, perché inserisce tra le materie di cui si deve tenere conto (ne avevamo parlato anche con il Presidente Cerulli Irelli e quell’impostazione è stata accolta) per determinare non più i trasferimenti ma le compartecipazioni, anche quelle che derivano dalle attribuzioni nuove derivanti appunto dal federalismo fiscale. Naturalmente accanto a questi aspetti positivi, una "lucina", una piccola luce emerge; vi devo però segnalare alcune preoccupazioni che abbiamo, al fine di effettuare un esame completo della situazione. Prima di tutto occorre risolvere la questione relativa alla sanità e alle risorse che le regioni in questa materia devono avere, altrimenti non è possibile determinare le compartecipazioni. Questa operazione diventa possibile soltanto nel momento in cui si può partire da un anno zero. L’apposito tavolo, costituito presso la Presidenza del Consiglio, si è insediato. Voglio dire al ministro per gli affari regionali che soltanto per una corresponsabilità nazionale, per evitare disagi al Paese e ai cittadini, per non incrementare la sfiducia, abbiamo dato il via a un contratto sulla sanità senza avere del tutto le relative coperture. Infatti, non erano state considerate nelle risorse che erano state attribuite alle regioni. Quindi facciamo riferimento al senso di responsabilità, anche se i termini sono un po’ in contraddizione tra loro, ma questo punto della sanità è decisivo.

Sulla questione dei trasporti noi ora ci troviamo a gestire il relativo controllo, ma bisogna determinare rapidamente con quale strumento. Infatti, non c’è l’ARAN corrispondente, anche se tutti se ne sono dimenticati. Il successivo contratto, ha ragione il ministro Piazza, andrà fatto rapidamente per non trovarci in qualche difficoltà nell’anno duemila. C’è un problema di conteggio o meno di alcune risorse per questo contratto da fare sullo strumento per farlo.

C’è poi la vicenda dell’IRAP. Non siamo contenti di aver ragione su queste vicende, come ad esempio è avvenuto per le preoccupazioni espresse dalle regioni sull’IRAP. Come si scaricano, come si ripartiscono questi 9 mila miliardi di minore introito dell’IRAP? Come ci si determina rispetto alle minori risorse che si sono verificate ? Il ministro Visco ha detto che c’è stato un minore introito sull’IRAP dovuto a una riduzione e a qualche evasione di 9 mila miliardi. Siccome l’IRAP è formalmente regionale, anche se strutturalmente è gestita ancora dal centro, non vorremmo che questo determinasse un risparmio ancora una volta sui cittadini italiani, e questo sarebbe positivo, ma occorre affrontare tutti insieme tale questione e non solo da un versante, perché non siamo in grado di farlo, e perché diciamo che abbiamo già dato.

Finisco con la questione che giustamente ricordava testé il Presidente Cerulli Irelli. Abbiamo salutato positivamente tutti quanti e apprezziamo il testo presentato alla Camera, che dovrebbe poter essere approvato addirittura per l’elezione diretta, già a partire dal duemila, del presidente della regione. A questo punto è importante che voi abbiate licenziato il testo, ma quando sono stati effettuati gli ultimi incontri con i leader delle forze politiche (alcuni giorni fa con l’onorevole Fini) è emerso che il provvedimento non è stato ancora calendarizzato nella Commissione affari costituzionali del Senato.

Il problema è che se esso non venisse calendarizzato, se il Senato non lo varasse entro il mese di giugno e se la Camera e il Senato non lo riesaminassero nell’autunno, nel duemila avremmo un bellissimo progetto, ma - e questo sarebbe il terzo paradosso italiano - i cittadini andrebbero a votare con il sistema precedente. Sappiamo che in una democrazia dell’alternanza tocca a tutti fare la maggioranza e l’opposizione, prima o poi, ma siamo tutti classe dirigente e se questo avvenisse non ci sarebbe credibilità per nessuno. In secondo luogo, se le regioni fossero messe in crisi nel prossimo quinquennio, dato che la legislatura regionale dura cinque anni, si tratterebbe di una crisi difficilmente gestibile. In tal caso non ci sarebbero più differenze di velocità, di stabilità, di efficienza, ma subentrerebbe una crisi dell’istituzione regionale in quanto tale, che sarebbe grave perché, rispetto a quello che avviene in Europa, l’Italia potrebbe costituire la variante di una frammentazione territoriale rispetto invece ad un assetto che deve avere autonomia, responsabilità di governo nei territori, ma anche coesione nazionale e unitaria.

In conclusione, siamo molto soddisfatti del testo che la Camera dei deputati ha votato, però, trattandosi di una modifica che deve seguire le procedure dell’articolo 138 della Costituzione, occorrono tempi brevi ai fini della votazione del Senato e del riesame da parte della Camera dei deputati.

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione.- Ringrazio il presidente Chiti, per aver fornito un quadro regionale abbastanza chiaro, sia pure con luci ed ombre, anche se le prime almeno in quest’ultimo periodo, per fortuna prevalgono sulle seconde. Sono dell’avviso, non sorgendo osservazioni, di proseguire con i nostri lavori, senza alcuna interruzione.

Segnalo anche che è stato distribuito l’ultimo contributo dell’ufficio studi della Camera dei deputati in ordine all’attuazione della legge, aggiornato al 28 febbraio, quindi con tutti i riferimenti sia sul versante statale, sia su quello regionale.

A questo punto do senz’altro la parola al dottor Susta, che, in quanto vicepresidente dell’ANCI, rappresenta tutti i comuni italiani in questa sede.

Gianluca SUSTA, Vicepresidente dell’ANCI. L’incontro di oggi cade in un momento certamente importante per l’attuazione del processo di decentramento avviato con la legge n. 59 del 1997. Gli interventi che mi hanno preceduto hanno evidenziato le varie problematiche in modo chiaro e preciso. Si è conclusa la prima fase di attuazione del Capo I della legge di delega, e del decreto legislativo n. 112, si sta concludendo il secondo passo istituzionale delle leggi regionali e contemporaneamente si apre una terza fase di attuazione di questo processo di trasferimento, legato al conferimento delle risorse congrue per l’esercizio delle funzioni ai livelli di governo destinatari delle funzioni stesse. Questo delicato e fondamentale momento istituzionale avviene, come ricordava il senatore Bassanini, in un clima di ampio consenso, ma dobbiamo anche ricordare che alle aspettative deve seguire la concretizzazione, altrimenti si rischia di creare una disillusione ancora più forte.

Senza ritornare su quanto già enunciato in merito alle leggi regionali, i comuni intendono sottolineare alcuni aspetti del processo in corso, dai quali dipende il giudizio sull’intero sistema istituzionale individuato dalla legge di delega. Un primo argomento di discussione concerne il metodo della quantificazione delle risorse (se ne è parlato a lungo questa mattina) da destinare ai livelli di governo, che sono destinatari anche delle funzioni amministrative. La legge si preoccupa di individuare risorse congrue da destinare ai livelli di governo destinatari delle funzioni, secondo il nuovo organigramma di riferimento istituzionale. Il decreto legislativo n. 112 conferma questo percorso tecnico istituzionale. Si cedono funzioni o meglio il centro cede funzioni agli enti territoriali, ad essi dunque devono essere conferite le risorse congrue per esercitare queste funzioni.

Se questo è il quadro istituzionale creato dalle leggi, è necessario che le risorse vadano a remunerare, a riempire i contenitori delle funzioni cedute. Non possiamo non apprezzare la contestualità tra il concreto esercizio della funzioni e il trasferimento delle risorse, principio che è stato ricordato come centrale; non è però condivisibile un sistema di quantificazione delle risorse che parta in via preventiva dalle individuazioni di quanto debba essere lasciato al centro e in via secondaria e residuale, nel vero senso del termine, di quanto occorra alle regioni e agli enti locali per svolgere i nuovi compiti istituzionali. Deve essere anche chiara l’alternativa che gli enti locali hanno normativamente a disposizione rispetto al rifiuto, come ad esempio ricordava il ministro Piazza, del personale statale di trasferirsi presso gli enti locali : questo poi sul piano pratico è uno degli aspetti più importanti che abbiamo di fronte. Credo che Lepidi, che mi seguirà, in quanto Presidente dell’Unione delle province italiane possa intervenire rispetto al mercato del lavoro e alle difficoltà che avranno gli uffici del lavoro a trasferire il personale alle province medesime. Noi non possiamo condividere un metodo tendente a ridisegnare prioritariamente quelle che sono le necessità dello Stato centrale, a costruire intorno ad esso un’organizzazione di risorse umane, finanziarie, strumentali e poi con i resti, siano essi sufficienti o insufficienti, chiedere ai comuni ed agli altri enti destinatari delle funzioni, di far funzionare ugualmente la macchina amministrativa, comunque e in ogni caso, indipendentemente dal fatto di avere poi davvero a disposizione personale, risorse, strutture tecniche.

In altre parole, per esemplificare, se fino a ieri lo Stato gestiva funzioni pubbliche pari a cento con l’utilizzo di risorse pari a cento, se con la legge n. 59 sono state cedute 50 funzioni alle regioni e agli enti locali, è necessario che il 50 per cento delle risorse vengano individuate e trasferite in misura congrua per esercitare le funzioni trasferite. Se così non fosse non si assisterebbe ad un processo di trasferimento, ma a un processo di riorganizzazione della macchina amministrativa effettuata con il taglio di alcuni rami secchi e scaricando gli oneri di altri pezzi dello Stato su altri pezzi dello Stato medesimo. Questo è il primo e fondamentale argomento per i comuni, che sarà portato al tavolo tecnico istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Segue ad esso un altro tema, in relazione al quale è necessario che il Governo muova dei passi e dia delle indicazioni di indirizzo politico. Come è stato detto, il sistema di trasferimento delle risorse deve essere contestuale per tutti i livelli di governo. I decreti del Presidente del Consiglio dei ministri devono essere strumenti con i quali trasferire le risorse direttamente alle regioni e agli enti locali. Quanto affermato in sede di Conferenza unificata al momento dell’espressione del parere allo schema del decreto legislativo, diventato poi n. 112, deve avere una conseguenza operativa nella stesura dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Una scelta diversa creerebbe conseguenze negative dal punto di vista operativo, che potrebbero bloccare, congelare lo stesso processo di decentramento amministrativo.

Oltre a questi punti di carattere strategico, i comuni evidenziano la necessità che l’attuazione della legge n. 59 prosegua e non trovi un limite invalicabile davanti all’articolo 11. La riforma della pubblica amministrazione centrale deve essere portata avanti con forza, andando oltre i rischi e le frizioni politiche che sono in essa contenuti, perché questa è la volontà degli attori del processo di riforma dell’articolazione delle competenze statali e perché questa è la volontà del Parlamento. Noi riteniamo questo processo necessario, non rinviabile e propedeutico di una vera riforma dello Stato. Consentitemi però di dire, nonostante il clima ovviamente positivo, ma evitando di cadere nella retorica geografica reciproca, che in fondo, se noi andiamo a ben vedere all’interno della legge n. 59, i poteri e le funzioni vere che sono state individuate e trasferite ai comuni riguardano in buona sostanza il catasto e lo sportello unico. Assistiamo anche da parte delle regioni - è inutile negarlo - anche al di là della volontà degli esecutivi delle regioni e al di là dei protocolli che sottoscriviamo, perché, come giustamente ricordava il presidente Chiti, il processo legislativo coinvolge le assemblee, che non sempre sono in sintonia con gli esecutivi nel voler concertare con il sistema delle autonomie un processo di devoluzione, che tenga conto dei principi e degli obiettivi fondamentali della legge n. 59, ad un riappropriarsi di competenze o un voler intervenire a legiferare laddove le funzioni sono state individuate nella titolarità dei comuni.

Allo stesso modo non sfugge a nessuno che dopo un anno dall’emanazione del decreto n. 112, il decreto legislativo in materia di catasto non è stato ancora emanato. I cattivi dicono che non sia stato ancora neanche pensato e che la funzione dello sportello unico sia stata conferita ai comuni, ma non trasferita. I comuni in altre parole sono stati incaricati di svolgere un compito nuovo rispetto al passato, e cercheranno di farlo nel migliore dei modi, senza però ricevere un congruo trasferimento di risorse, così come è stabilito dall’articolo 7 della legge n. 59 e dall’articolo 7 della legge n. 112. Ad una funzione e ad un compito attribuito non corrisponde una copertura finanziaria congrua. Su questo punto invito il Governo a riflettere, per evitare che anche la sfida della semplificazione amministrativa venga portata avanti sul territorio nazionale in maniera omogenea e convinta.

In questo quadro, che non esalta sicuramente il principio di sussidiarietà come individuato dalla legge n. 59, assistiamo invece ad un continuo e costante argomentare in termini tecnici e politici sul tema della gestione associata delle funzioni da parte dei piccoli comuni. Sembra quasi che nei dibattiti che si fanno ovunque sulla Bassanini, sia poi in fondo questo il vero punto debole del processo di federalismo amministrativo, che condiziona la riuscita stessa della riforma. Noi condividiamo l’affermazione del Presidente della Camera dei deputati circa l’importanza dell’associazionismo dei comuni e quanto ha aggiunto in proposito il Presidente Cerulli Irelli, ma non possiamo non sottolineare il clima che a volte si coglie, in cui sembra quasi che si debba individuare il colpevole o avere un alibi rispetto alla disfunzione della macchina amministrativa, facilmente individuabile nella criticità dell’organizzazione pure esistente nei piccoli comuni.

In un sistema di decentramento che ha dato ai comuni quello che in precedenza abbiamo ricordato e che poi in fondo si sostanzia nello sportello unico e nel catasto, il dibattito permanente che ruota intorno alla inefficacia dell’organizzazione della macchina amministrativa trova appunto in questo dei piccoli comuni quasi un alibi. Nessuno può mettere in discussione la necessità di arrivare ad una riorganizzazione che difenda il principio di autonomia, ma allo stesso tempo dia efficacia all’azione della pubblica amministrazione, ma vogliamo ricordare che le disfunzioni e le difficoltà in cui si muove lo Stato coinvolgono anche la necessità di riformare i ministeri, la Presidenza del Consiglio dei ministri, gli enti che addirittura in certi casi sono stati soppressi o che saranno soppressi perché le loro funzioni verranno trasferite alle regioni. Questi sono altri aspetti fondamentali di uno Stato, che non riesce ad assolvere alle sue funzioni essenziali. Centrare spesso il problema solo sulla polverizzazione di 8 mila cento comuni mi sembra estremamente riduttivo.

Questo vale anche per ciò che attiene a problemi specifici, come i servizi pubblici locali. Anche questo è un argomento che aleggia. Noi non vogliamo capire come e perché si ritiene che siamo in grado, per il principio di sussidiarietà contenuto nella legge n. 59, di gestire gli asili nido, il servizio di assistenza sociale, l’assistenza agli anziani (molte leggi regionali ci attribuiscono compiti nuovi anche in queste materie) ma poi non ci si ritiene in grado, direttamente o attraverso le nostre aziende, di raccogliere o smaltire la spazzatura, di gestire gli acquedotti o di trasportare le persone da una comunità all’altra. Forse si ritiene che non siamo in grado di valutare, gestire, trasformare anche secondo le esigenze gli aspetti imprenditoriali che indubbiamente esistono in questa materia oppure si antepone il concetto di un mitico mercato. Non appartengo certo alla cultura che ostacola il mercato rispetto invece alla natura pubblica, che questi servizi hanno. Anche questa è una delle contraddizioni contenute nella legislazione o nelle proposte di legge avanzate dopo l’emanazione della legge n. 59, che piano piano, giorno dopo giorno, rischia di essere smantellata se non nei suoi spetti formali, certamente in alcuni aspetti sostanziali. Il conflitto tra l’attuale costituzione formale e una costituzione materiale che risente, nella fase che stiamo vivendo, dell’assenza di un’intesa di fondo sugli obiettivi e sulle premesse dell’ordine costituzionale, cosa che ci distingue dalle altre democrazie evolute, fa sì che emergano testi molto contraddittori anche dalle legislazioni regionali. Esse sono formalmente rispettose dei principi contenuti nelle leggi nn. 59 e 112, ma sostanzialmente codificano l’esistente che non era stato ancora codificato rispetto a competenze che di fatto già i comuni esercitano, oppure, non le riconoscono affatto.

Credo che la vera sfida che abbiamo di fronte sia quella di far sì che questi principi siano universalmente condivisi, perché obiettivi generali, come ricordava molto bene il senatore Bassanini prima di tutti, devono essere perseguiti indipendentemente dalle maggioranze o dalle minoranze che ci sono e si alternano. Molto sommessamente e senza polemiche dico che un federalismo amministrativo possibile a Costituzione invariata poteva agire sì sull’articolo 117, ma avrebbe potuto e dovuto agire con maggiore coraggio sull’articolo 118 della Costituzione. Ci sono compiti e materie che riguardano le funzioni e l’organizzazione dei ministeri, che non sono contenute nell’elencazione delle materie dell’articolo 117, ma che pesano nella vita quotidiana degli enti locali e che avrebbero potuto essere trasferite ai comuni e alle province in modo molto diretto. Penso, senza esaurire l’elenco, a problemi come la cultura, al rapporto comuni-sovraintendenze, all’urbanistica, allo stesso ambiente (in relazione al quale si è visto che progressivamente la legislazione ha recuperato a livello centrale competenze che prima erano state delegate agli enti locali), penso allo sport, a tutta una serie di questioni che avrebbero potuto vedere il Parlamento coraggiosamente impegnato nel trasferimento di funzioni e di potere agli enti locali se solo ci fosse stata e ci fosse fiducia vera nei confronti del mondo delle autonomie. Queste questioni appartengono alla definizione del quadro che va a concretizzarsi, ma anche allo scenario di movimento dentro il quale dobbiamo essere presenti. Ci vuole maggiore coraggio e fiducia nelle autonomie.

Quando penso che noi non siamo ritenuti capaci dal Governo, dal Parlamento, dalla Repubblica di gestire le nostre tesorerie, credo che questa sia la dimostrazione di quanto lontano sia il concetto di autonomia rispetto alla pratica quotidiana del governare la comunità, che è l’essenza stessa del principio di sussidiarietà.

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione. Questa inversione di tendenza nella legislazione è stata riscontrata; e forse la colpa va attribuita piuttosto al Parlamento, che su questo versante, come prima del resto ricordava il senatore Bassanini, si riappropria di certe competenze che sono state trasferite. Cito per tutti il disegno di legge sul turismo nel testo approvato dal Senato: adesso tale testo viene ampiamente e radicalmente modificato, ma effettivamente può essere considerato emblematico di questa tendenza di riaccentramento, che certamente noi vogliamo in tutti i modi contestare.

Vorrei ancora segnalare la questione dei piccoli comuni, che a noi sta particolarmente a cuore: forse in questi mesi l’ANCI è chiamata a svolgere un’azione di consulenza capillare per aiutare le forme di associazionismo. Come prima ricordavo, tutte le regioni hanno rinviato alla formazione delle strutture associative l'applicazione delle proprie leggi attuative del decreto n. 112. Io ho studiato particolarmente l’esperienza francese e posso affermare che, se non c’è l'associazionismo spontaneo, il processo associativo non funziona, quindi è inutile. L’aiuto tecnico e, più ancora che sollecitatorio, politico, da parte dell’associazione nei confronti dei piccoli comuni forse potrebbe consentire di affrontare uno dei due problemi che abbiamo di fronte, cioè quello dell’attuazione delle leggi regionali, che sono state tutte approvate, però necessitano di questi adempimenti per diventare operative. Sia chiaro che il nostro intento, della Commissione e delle forze politiche, è quello della massima valorizzazione degli enti locali minori; e l’associazionismo per i piccoli enti può essere la forma che consente di valorizzarli, perché attraverso la gestione associata, la forma associativa per esempio dell’unione, della quale fanno parte tutti i sindaci, il piccolo comune partecipa alla gestione di funzioni e di compiti che altrimenti non potrebbe avere.

Questo è lo spirito che ha animato anche il Parlamento, come può confermare l’onorevole Domenici, nell’approvazione di quella che può essere definita come la nuova legge n. 142, che dovrebbe arrivare in Aula subito dopo Pasqua, ma sulla quale ormai c’è l’accordo. In essa infatti queste forme associative sono fortemente valorizzate.

Do a questo punto la parola al dottor Lepidi, che rappresenta - come sapete - tutte le province italiane.

Andrea LEPIDI, Presidente UPI. L'entrata del nostro Paese nell'Unione europea, nonché il conseguente completamento del difficile processo di risanamento dei conti pubblici, sono traguardi di strategica importanza, al cui raggiungimento ha contribuito considerevolmente tutto il sistema delle autonomie territoriali e locali.

I processi di integrazione europea e di globalizzazione dell'economia in atto impongono però al nostro Paese nuove e grandi sfide, che vanno dal rilancio dell'economia, dello sviluppo e dell'occupazione, al sempre più urgente e necessario ammodernamento della macchina amministrativa dello Stato centrale e di tutti i livelli di governo - regioni, province e comuni - così da essere in grado, ciascuno nel proprio ambito, di rispondere alle crescenti esigenze dei cittadini attraverso un più efficace ed efficiente esercizio delle funzioni pubbliche.

Questo processo di ammodernamento è strettamente correlato all’implementazione delle "leggi Bassanini" per la realizzazione del cosiddetto "federalismo amministrativo".

Si tratta di un processo di riforma di portata quasi "rivoluzionaria", che in prospettiva dovrebbe cambiare l'assetto istituzionale del nostro Paese attraverso un massiccio conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato a regioni, province e comuni e che - ci si augura - determinerà un'effettiva ridefinizione dei diversi livelli di governo.

E proprio la rinnovata collaborazione tra Stato ed enti territoriali è alla base di questo processo. Infatti, dopo molti anni di rapporti difficili e incomprensioni non solo tra Stato ed enti territoriali, ma anche tra gli enti territoriali stessi, regioni, province e comuni, la vecchia logica della contrapposizione è venuta meno ed hanno prevalso le ragioni dell'unità.

Tutto il processo di decentramento amministrativo avviato dalla legge n. 59 presuppone infatti un'intensa opera di concertazione sia al "centro", che si esplica nelle sedi stabili di raccordo tra Governo ed enti territoriali (principalmente nella Conferenza Unificata), sia in "periferia" , attraverso la necessità di una stretta collaborazione e di un costante raccordo tra regioni ed enti locali.

Il metodo concertativo appare ormai condizione imprescindibile e fondamentale per instaurare un diverso rapporto tra i livelli di governo nella fase sia di allocazione delle funzioni e delle risorse, sia di esercizio delle competenze, in linea con quanto sostenuto lo scorso 9 luglio da ANCI, UPI, UNCEM e dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni nel documento unitario sul "rilancio del federalismo amministrativo" e "di indirizzo per il completamento della legislazione regionale attuativa della legge n. 59 del 1997 e dei decreti delegati", con cui si è confermato il processo di convergenza e di sostanziale unità del sistema regionale e locale, indispensabile per qualsiasi riforma.

In questo contesto di riforma il ruolo della provincia, rispetto anche a quello degli altri soggetti politici e amministrativi, viene definitivamente qualificato e rafforzato, sciogliendo così il "nodo centrale" della questione, e cioè la sostanziale mancata attuazione, sino ad oggi, della legge n. 142 del 1990.

Grande merito di questa evoluzione è rappresentato, come è noto, dalla legge n. 59 del 1997 e dai decreti legislativi attuativi, in particolare dai decreti legislativi nn. 469 del 1997 in materia di mercato dei lavoro, 422 del 1997 in materia di trasporto, ma soprattutto dal decreto legislativo n. 112 del 1998, che procede a un ampio e consistente decentramento di un considerevole numero di funzioni essenziali.

Questo decreto legislativo consolida un processo in atto, che vede la provincia come ente di area vasta titolare di un nucleo proprio di funzioni nelle materie della pianificazione territoriale, dell'ambiente, della viabilità e dei trasporti, della scuola e dell'istruzione, del lavoro e della formazione professionale: tutti compiti amministrativi di dimensione territoriale, essenzialmente sovracomunale, che non devono essere gestiti in modo accentrato a livello regionale, ma essere localizzati alla dimensione istituzionale più propria, che è appunto quella della provincia.

In sostanza, la "nuova provincia" a riforma attuata, si caratterizzerà sempre di più come ente di pianificazione e programmazione territoriale; ente di organizzazione ed erogazione dei servizi di area vasta, cioè di quelle funzioni che vanno dall'ambiente alle strade, alla viabilità e ai trasporti, all'istruzione, al lavoro, alla formazione. eccetera; ente di sostegno allo sviluppo locale, attraverso gli strumenti della programmazione negoziata (contratti d'area, patti territoriali, eccetera); ente di assistenza all'attività dei piccoli comuni.

La nostra sfida, in linea di tendenza con la riforma, sarà proprio quella di riuscire a "rinnovare" la provincia, trasformandola in un ente più forte, più visibile, più presente sul territorio e più legato ai cittadini.

Già in questa prima fase di attuazione della legge n. 59 la provincia ha avuto un ruolo dinamico e propositivo sia nei confronti dello Stato centrale sia nei confronti delle regioni. Abbiamo infatti partecipato attivamente, anche a livello decentrato, ai vari tavoli di concertazione messi in piedi in quasi tutte le regioni per la definizione delle leggi regionali.

Continueremo pertanto ad agire su questa linea, non limitandoci ad acquisire "staticamente" tutte le competenze e le funzioni che ci verranno trasferite, ma sforzandoci di mantenere questo fondamentale ruolo attivo e propositivo, che si esplicherà nella nostra capacità di "rivitalizzazione" ed "ammodernamento" della gestione delle funzioni trasferite, in linea con i principi sanciti dalla legge n. 59.

Vorrei ora soffermarmi sui nodi più problematici della riforma che purtroppo ha subito (e sta subendo) un notevole rallentamento sia da parte dello Stato centrale che delle regioni.

I ritardi dello Stato riguardano da un lato, i conferimenti di beni e risorse finanziarie sui quali si gioca la concreta attuazione dell'intera riforma e, dall'altro, la soppressione e il ridimensionamento dell'amministrazione centrale e periferica dello Stato.

Ad oggi è stato emanato un solo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di trasferimento di risorse e personale, quello in materia di mercato dei lavoro (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 ottobre 1998) che per le province assume un'importanza del tutto particolare in vista del trasferimento effettivo dal 1° luglio 1999 degli uffici di collocamento alle province.

Rimangono tuttavia alcuni problemi aperti relativi ad aspetti essenziali, tra cui in particolare quello degli organici, per i quali va specificato come verrà ripartito tra le diverse regioni il contingente che dovrà essere trasferito alle province, e quello del Sistema Informativo Lavoro, non essendo stato ancora istituito l'organo tecnico di raccordo tra il ministero del lavoro, le regioni e le amministrazioni locali in materia appunto di SIL. Su tali problemi è necessario che si intervenga con soluzioni idonee e in tempi rapidi.

E' inutile negare che questa seconda fase della riforma, concernente la predisposizione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, è tecnicamente complessa e richiede perciò un grande sforzo da parte del Governo e degli enti territoriali, al fine di procedere alla determinazione concertata degli stessi, secondo quanto disposto dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 112.

Al riguardo, l'istituzione del tavolo tecnico Governo-enti territoriali presso la Presidenza dei Consiglio dei Ministri per la redazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri conferma l'impegno del Governo in questa direzione. Ci auguriamo pertanto che questa sede assuma un ruolo propulsivo forte che consenta di sbloccare la situazione.

Come Unione delle Province italiane ci impegneremo fattivamente in questo tavolo, mettendo a disposizione il nostro apporto tecnico per contribuire alla definitiva stesura dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri in questione.

Per quanto riguarda la questione specifica del finanziamento a regime delle funzioni trasferite, constatiamo con favore come anche per le province si preveda, al pari di regioni e comuni, una compartecipazione al gettito Irpef. Le norme sul federalismo fiscale approvate dal Senato determinano così un ulteriore e deciso rafforzamento dell'autonomia finanziaria e impositiva dell'ente provincia.

Sul versante dell'attuazione regionale emergono luci e ombre.

Le regioni che hanno adottato le leggi regionali di attuazione del decreto legislativo n. 112 del 1998 sono poche (sei), pertanto desta una certa preoccupazione il ritardo della maggior parte di esse nell'emanazione delle leggi regionali entro i termini previsti dal decreto legislativo citato, stante l'ulteriore proroga loro accordata.

Per superare questa preoccupante impasse il sistema delle autonomie locali deve, da un lato, continuare a procedere unitariamente facendo "fronte compatto" per respingere le non sopite resistenze neocentraliste e, dall'altro, attivarsi nelle sedi concertative regionali per l’approvazione delle leggi regionali di conferimento. Comunque, nonostante il ritardo, la strada della riforma appare decisamente segnata e la cosa più urgente al momento è attuarla.

Prima di concludere, vorrei soffermarmi sulla necessità che si proceda anche sulla strada delle riforme costituzionali.

La riforma dello Stato in senso federale rappresenta infatti il naturale completamento di tutto il processo di decentramento a Costituzione vigente, "costituzionalizzandolo" in un quadro di federalismo compiuto, che conferirebbe ad esso maggiore certezza. Pertanto, la recente iniziativa dell'attuale Governo di presentare un disegno di legge costituzionale per un ordinamento federale della Repubblica di forma federalista non può che essere salutata con favore.

Infatti, pur trattandosi di un'iniziativa irta di difficoltà, rappresenta un importante passo avanti per l'effettiva ripresa del dibattito sulla riforma della forma di Stato.

Nella scorsa Conferenza Unificata del 18 marzo, l'UPI ha espresso soddisfazione nei confronti di questa iniziativa, che ha il merito di riaprire il dibattito sulle riforme costituzionali, rilevando tuttavia la necessità di procedere ad un maggiore approfondimento di alcuni aspetti di strategica importanza per la realizzazione di un vero sistema federale tra cui: la necessità che venga previsto un Senato federale, strumento cardine di un vero ordinamento federalista, che contempli la presenza a pieno titolo di regioni, province e comuni; l'opportunità della costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà; l'auspicabilità dell'eliminazione delle disparità tra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario, che ormai nell'attuale contesto storico non appaiono più giustificabili, ma che il testo del disegno di legge mantiene comunque in vita.

In chiusura, consentitemi un'ultima breve riflessione. Forse mai come in questo periodo il nostro Paese sta attraversando una fase di ristrutturazione e di cambiamento che definirei "epocale". In questi ultimi anni sono state messe in cantiere profonde riforme, che, una volta definitivamente attuate, incideranno sull'assetto dei poteri, sulle responsabilità e sulla stessa vita dei cittadini. Si tratta di un processo "inedito", di portata che prima ho definito storica, ma carico di ostacoli che stiamo pian piano superando.

Tuttavia questo "cantiere" è aperto anche su altri fronti fondamentali per gli enti locali, come le tanto attese riforme delle leggi nn. 142 del 1990 e 81 del 1993, ancora in itinere in Parlamento, che cambieranno ulteriormente la fisionomia degli enti locali.

Si pone quindi la necessità di "intrecciare" le riforme Bassanini con quelle in itinere in Parlamento, affinché il quadro complessivo che da esse deriverà sia uniforme ed omogeneo e consolidi un processo di profonde scelte autonomistiche del nostro Paese.

 

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione. Ringrazio il Presidente Lepidi per il suo intervento. Ritengo che siamo tutti d’accordo sulla sua ultima annotazione: la linea che abbiamo seguito in questi tre anni di percorso riformatore è esattamente questa. Do adesso la parola al Presidente Gonzi, che rappresenta le comunità montane.

Guido GONZI, Presidente UNCEM. Non possiamo nascondere qualche elemento di disagio, che ci viene dalla percezione dell’intervallo non lieve che corre tra i principi e le aspettative affermati e suscitati dalla legge n. 59 e lo stato di attuazione complessiva della medesima, anche se la lettura che ne ha dato questa mattina il sottosegretario Bassanini per la parte dell’attività delle regioni è, in effetti, un aspetto non secondario del quadro complessivo. Certo si è trattato di un disegno e di un’opera imponente, di cui nessuno ha mai nascosto difficoltà e insidie, essendo troppo solida la cultura centralistica stratificata negli apparati e nelle istituzioni.

Va dato atto al Parlamento e al Governo di aver saputo nella fase di avvio di questa legislatura progettarne una rivisitazione impegnativa, ponendo con lucidità i cardini fondanti di un nuovo modello della Repubblica, aperto realmente al territorio e alle comunità locali. Nella riscrittura di parte della Costituzione si dovrebbe avere il coraggio di sancire in una norma, quanto meno di valenza transitoria, una soglia al di sotto della quale le nuove regole costituenti non possono arretrare. Quanto pensato dalla Commissione bicamerale a suo tempo è un sano e sensato meccanismo, che peraltro non ritroviamo più nel disegno di legge costituzionale proposto di recente dal Governo. Il richiamo non deve apparire però la ricerca di una sorta di sponda difensiva da parte delle autonomie locali, tutt’altro. Mentre siamo chiamati qui a stabilire una verifica di continuità e di congruenza tra l’impianto della legge n. 59 e l’applicazione di essa, non è secondario convenire in sede di definizione di una strategia riformatrice sullo spessore ordinativo di quei principi, che non abbiamo mai letto come semplici criteri direttivi per il legislatore delegato, bensì come cardine di un vero e proprio patto solidale tra tutti i livelli di Governo delle comunità territoriali, per invocare la via della riconsiderazione radicale del modo di essere di operare dell’amministrazione della cosa pubblica.

Le crescenti insoddisfazioni dei cittadini, dei corpi intermedi e delle imprese verso questi traguardi attestano, però, quanto quel patto fosse e resti decisivo per rigenerare un’alleanza, quindi con più estesi e non effimeri anelli di congiunzione e di riconoscibilità della base sociale con le istituzioni rappresentative. Da queste si esige certamente stabilità, ma non fine a se stessa, bensì sempre nella linea di andare incontro ai bisogni primari del territorio e delle comunità locali. Occorre rilevare con franchezza che, malgrado gli sforzi poderosi compiuti dai Governi che si sono succeduti e quelli non minori del Parlamento e segnatamente da questa Commissione, alcuni caratteri determinanti della fase iniziale si sono smarriti forse lungo la strada. Ci riferiamo in particolare al canone basilare della sussidiarietà sia verticale-istituzionale, sia orizzontale e sociale, che spesso sta all’ombra solo apparentemente protettiva delle regioni. Ritroviamo delle conferme di principio di ciò nelle applicazioni legislative frequentemente attenuate, se non in qualche caso apertamente contraddette. Troviamo inoltre conferma nella persistenza dell’approccio istituzionale, per cui si tende ad affrontare il tema cruciale dei comuni di minore dimensione sempre e solo considerati - questo è un fatto che per noi è altamente rilevatore - nella loro entità demografica, a cui manca il riconoscimento del valore generale e quindi nazionale delle comunità emarginate dai processi del benessere, quelle portatrici di vasti giacimenti irripetibili destinati proprio a estinguersi con la loro scomparsa. La bassa entità abitativa è diventata una sorta di criterio paradossale per infliggere ai comuni e quindi alle loro comunità locali ogni sorta di vincoli, imposizioni o, se vi è un po’ più di riguardo, per riconoscere al massimo incentivi ad associarsi.

Noi riteniamo che l’approccio vada corretto, in qualche modo rovesciato, beneficiando in primo luogo dei meccanismi della sussidiarietà e ripartendo, come si dice, dal basso. Questo comporta ripristinare la risorsa, il valore nazionale delle comunità minori, delle comunità marginali che ogni giorno con maggiore fatica vorremmo svolgessero un’efficace funzione di presidio del territorio, di difesa del suolo, di argine dai disastri alluvionali sfaldativi, che drammaticamente con ricorrenza fatale sconquassano realtà vallive di collina e di pianura. Non possiamo immaginare che, se saltassero questi presidi istituzionali, questo sarebbe senza effetto anche sui presidi naturali, sulle montagne, sul suolo, sui fiumi, sulle pendici.

La percezione dello scostamento tra i principi e i riconoscimenti innovativi autonomistici della legge n. 59 e i contenuti reali in termini di funzioni e risorse li ritroviamo non di meno nello svuotamento che i decreti legislativi e la legislazione regionale in genere, con qualche importante manifestazione di controtendenza, hanno operato nei confronti delle comunità montane. Se per le comunità montane vi sono vistose carenze nell’attuazione della legge n. 59 e queste sono carenze che riecheggiano la sufficienza e la disattenzione riservate ai piccoli comuni, non possiamo non rilevare una latente contraddizione tra la consistenza del problema della debolezza dei piccoli comuni e l’azione piuttosto estesa di destrutturazione delle stesse comunità montane, che in qualche caso ci si dimentica essere non solo un ente locale, come vuole la legge n. 142, ma anche un’espressione associativa dei comuni montani. Il richiamo dell’intelligente opera di monitoraggio condotta da questa Commissione a questo ordine di insufficienze, che determinano una deriva dalla sussidiarietà, speriamo valga a riprendere il filo di una trama che va fatta ripartire dalle comunità più deboli e marginali e ricongiunta anche con la sorte istituzionale in termini di responsabilità, risorse e raccordi intercomunali del governo delle aeree montane interne e quindi delle comunità montane.

L’articolo 1 della legge 59 ha riconosciuto esplicitamente il ruolo delle comunità montane, ha chiarito che per enti locali si intendono le province i comuni, le comunità montane e gli altri enti locali. Il decreto delegato n. 112 ha ribadito all’articolo 1 che il medesimo disciplina il conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle regioni, alle province, ai comuni, alle comunità montane o ad altri enti locali, ed il successivo articolo 3 ha, inoltre, precisato che la generalità dei compiti e delle funzioni amministrative sono attribuite ai comuni, alle province e alle comunità montane, disponendo altresì per gli esercizi in forma associata delle funzioni dei comuni di minore dimensione demografica. Il decreto legislativo n. 112 ha per i territori montani esplicitamente individuato la comunità montana quale destinataria di specifiche competenze, in quanto queste richiedono convenientemente l’esercizio associato nelle materie delle fiere-mercato, del catasto, della protezione civile, dei servizi sociali, delle istruzioni scolastiche.

Voglio sottolineare che in questo momento, se non si frappongono difficoltà create dalla legislazione regionale, le comunità montane costituiscono una risorsa già esistente nella montagna per l’associazionismo, mentre invece in altre zone non montane dovranno essere trovate altre soluzioni.

La nostra associazione sottolinea la necessità di cogliere quindi l’occasione, data dall’attuazione del conferimento di funzioni derivanti dalla legge n. 59, anche per costruire un solido ed efficiente governo delle aree montane. Le condizioni di marginalità, che di fatto il modello di industrializzazione e di urbanizzazione ha provocato nelle zone montane, possono e debbono essere superate restituendo ad esse ampie capacità di autodeterminazione del loro sviluppo economico e sociale. Da molti, oggi, la montagna è riconosciuta come una grande risorsa. La sua interazione con le aree di pianura e con i centri urbani risponde ad un indiscutibile interesse generale del Paese e dell’Unione europea, anche sulla base di una risoluzione recentissima del Parlamento europeo in proposito.

Il governo della montagna si profila quindi quale elemento coessenziale dell’intero riordino del sistema dei poteri locali, protagonista non eludibile della riforma dal basso delle istituzioni della pubblica amministrazione. Momento cruciale e strategico di ricomposizione del governo della montagna è proprio la comunità montana, istituto di aggregazione dei comuni montani, ente locale chiamato ad un processo dinamico di innovazione istituzionale rappresentativo e funzionale. Per condurre tale processo a coerente ed efficace completamento è ora indispensabile una politica rigorosa di attuazione della legge n. 59 nelle sedi regionali. I principi e i criteri direttivi della delega legislativa, se sono applicati fedelmente e conseguentemente, possono far compiere al governo della montagna un decisivo passo in avanti, restituendo poteri e risorse ai sistemi infraregionali con la ridefinizione dei ruoli dei piccoli comuni, da rendere partecipi nella riallocazione delle funzioni dei compiti statali e regionali sul territorio, secondo il parametro per noi basilare, della sussidiarietà.

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione. La ringrazio, Presidente. Per quanto concerne le comunità montane, ritengo che l’itinerario che stiamo seguendo, e che ha trovato una manifestazione nell’ultima versione" della legge n. 142, si muova nella prospettiva da lei indicata. Noi riteniamo che per le zone montane il problema dell’associazionismo sia sostanzialmente risolto, anche se certamente va migliorato. Certe volte si tratta di enti che devono essere potenziati, probabilmente anche estesi di dimensioni, almeno in alcune regioni, comunque il problema è sostanzialmente risolto. Esso è presente altrove, nelle altre zone, dove non sono presenti comunità montane. Nell’ultima versione della legge n. 142 - come lei ben sa - abbiamo equiparato sostanzialmente le comunità montane alle unioni dei comuni: naturalmente le comunità montane ci sono, le unioni devono essere costituite e sarà un processo indubbiamente non facile.

Se non sorgono osservazioni, a questo punto do la parola al consigliere Pajno, ringraziandolo per la sua presenza e pregandolo di indicarci in concreto l’itinerario che il gruppo di lavoro, da tutti evocato e apprezzato questa mattina, si propone in ordine al punto cruciale che è l’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, anche tenendo conto di quello che probabilmente sarà l’impatto in questa materia del provvedimento sul federalismo fiscale, che probabilmente cambierà molte cose. Vorrei avvertire che faremo nel giro di pochissimi giorni, cinque o sei, una settimana al massimo, un quaderno con i lavori di oggi, che sarà inviato ovviamente a tutti, nel quale avremo modo di avere il quadro preciso della situazione. Ci aggiungerò anche i dati riassuntivi, che serviranno al fine di monitorare il nostro processo riformatore.

Alessandro PAJNO. Ringrazio il Presidente Cerulli Irelli di questa indicazione. Io dovrei dare alcune informazioni, descrivere il metodo di lavoro di questo gruppo tecnico o tavolo di lavoro, che è stato costituito per l’attuazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Devo quindi collocarmi, per usare una distinzione, che è anche il modo di operare che è stato ricordato questa mattina, nell’ambito delle cose che devono fare i poteri costituiti piuttosto che quelli costituenti. Questa mi pare un'indicazione importante perché tutta la questione dell’attuazione delle riforme in generale e della riforma amministrativa in particolare si gioca, a mio avviso, sulla capacità di trasformare queste indicazioni di carattere generale in indicazioni operative e in assetti organizzativi concreti, che disciplinano sostanzialmente tutte le diverse fattispecie. Questo è importante perché ci fa capire in realtà quanto, anche nella prospettiva delle riforme istituzionali, sia importante attuare e realizzare le potenzialità, che sono date dagli approcci alle legislazioni ordinarie. Un assetto federale della nostra amministrazione, un assetto più compiutamente regionale e locale, non solo attua un principio costituzionale che già è contenuto nella nostra costituzione, ma che in qualche modo potrebbe avere il valore di incalzare e di rendere più necessario e più urgente quel successivo adeguamento sul piano dei principi costituzionali, che tante volte è stato ricordato e che altre volte è stato tentato senza la fortuna che il tentativo avrebbe meritato.

Vorrei indicare gli approcci che il gruppo di lavoro cerca di seguire, ma innanzitutto la ratio, l’esigenza che è sottostante alla istituzione di questo gruppo. Credo che la ratio sia duplice, da una parte quella di avere un luogo specifico che si occupi, con una visione unitaria e con una capacità di coordinamento dell’intera questione, del trasferimento delle risorse di personale alle regioni piuttosto che lasciare sostanzialmente l’iniziativa ai singoli ministeri. Si tratta dunque del tentativo da un lato di porre in essere una regia complessiva comune, dall’altro di introdurre un luogo che possa in qualche modo prevenire e, quando vi siano, contrastare proprio quei tentativi di parcellizzare e ostacolare nei fatti questo processo di trasformazione. E’ chiaro che, se infatti non si desse il compito ad una struttura di missione, come infatti può essere considerato il gruppo tecnico, non solo di avere la regia, ma di seguire le diverse fasi del trasferimento di risorse di personale, in realtà si rimarrebbe nell’ambito di una dialettica in cui il rapporto tra singole amministrazioni statali e il complesso delle amministrazioni regionali e locali di fatto non porterebbe - come è avvenuto sostanzialmente fino ad ora - ad un risultato utile.

La costituzione del gruppo serve a dare attuazione a quelle indicazioni contenute nel decreto legislativo n. 112 e in particolare nell’articolo 7, che fanno del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sostanzialmente uno degli strumenti che è oggetto di una scrittura in comune con il sistema delle regioni e delle autonomie. Questo postula un ruolo specifico di coloro i quali sono presenti all’interno del gruppo, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio e del Ministero del tesoro, perché queste due amministrazioni occupano un ruolo centrale e per certi versi anche arbitrale. Si tratta infatti dell’amministrazione – mi riferisco alla Presidenza del Consiglio dei ministri - che è deputata a mantenere un coordinamento sul piano generale e dell’amministrazione che, sul piano del Governo complessivo della risorsa finanziaria, è chiamata a realizzare questa operazione nei confronti del sistema delle altre amministrazioni statali e del sistema delle autonomie regionali e locali.

L’ottica del tavolo di coordinamento da una parte è quindi quella di coinvolgere tutti i diversi livelli di governo interessati, dall’altra di porre uno strumento di lavoro e di regia che non si identifica né con l’una né con l’altra parte, ma che tende a coagulare ciò che viene fuori dall’una e dall’altra. Voi capite che in questo tavolo un ruolo determinante è esercitato di fatto dalla stessa Ragioneria generale dello Stato, che assume nel quadro complessivo questa funzione. La Ragioneria dello Stato diventa uno degli strumenti nel trasferimento, proprio perché questo trasferimento non è attuato con riferimento ai funzionali interessi dell’amministrazione di settore, ma in relazione ad una operazione di tipo complessivo.

L’altro aspetto in cui si realizza questa natura concordata di documento scritto a più mani dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, che saranno adottati, si manifesta nel fatto che il tavolo di lavoro deve servire all’indicazione di alcune scelte di carattere generale, che riguardano le scelte giuridiche e finanziarie che devono sostanzialmente governare l’intero sistema del trasferimento e che, una volta concordate, devono diventare oggetto di un accordo esplicito tra Governo e sistema delle autonomie.

Voi capite che la manovra, che va attuata con l’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, implica alcune scelte, quali quelle relative alle decorrenze ai fini dell’esercizio delle funzioni conferite, ai parametri da prendere a riferimento per la quantificazione delle risorse da trasferire, agli ambiti di riferimento su cui commisurare la indicazione, all’adozione di alcuni criteri per operare il riparto all’interno del sistema delle autonomie e all’interno dei sistemi diversi di governo. Tutta questa materia nella logica del gruppo di lavoro, sostanzialmente da una parte, è oggetto di un "concordamento" con regioni, province ed enti locali, dall’altra si dovrebbe in qualche modo tradurre in un vero e proprio accordo, che deve essere portato in Conferenza Stato-regioni, in modo che, una volta adottato, diventa un accordo a carattere normativo nei confronti di tutti gli altri soggetti a cascata, che in questo senso saranno interessati, vale a dire singole amministrazioni di settore, amministrazioni regionali e locali. Stabilite insieme le regole concrete del trasferimento, queste regole costituiranno un accordo tra Governo e sistemi delle autonomie all’interno della conferenza unificata, dopodiché questo andrà alla Commissione bicamerale, di cui anche è previsto un intervento e questa diventerà la cornice che regola tutta l’operazione di trasferimento. Questo approccio mi pare del tutto fedele al testo e allo spirito dell’articolo 7, in cui il sistema e lo schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è costruito in modo tale che debba registrare un previo accordo da parte delle varie componenti.

Tale "previo accordo" può essere riferito a ciascuno schema, ma può benissimo essere riferito ad un sistema di regole comuni che devono governare questo tipo di operazioni.

Per incamminarci su questa strada, innanzitutto è stata operata una summa divisio: da una parte sono state prese in considerazione tutte quelle procedure speciali, di trasferimento di funzioni che erano in itinere o comunque previste da normative speciali. Queste procedure speciali sono state in qualche modo inserite in una corsia diversa, perché si tratta di procedure che hanno già il loro corso, che si stanno svolgendo e per le quali non era opportuno tornare indietro, perché questo avrebbe avuto il significato di riscrivere punti di equilibrio che in qualche modo erano stati raggiunti. Si tratta in particolare dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che riguardano l’agricoltura, gli uffici metrici, il mercato del lavoro ed anche quello delle fiere e mercati, anche se quello relativo a quest’ultimo settore mi risulta che sia stato già adottato. Questi sono fuori da questa operazione e il tavolo li segue come operazione singulatim, nel tentativo di monitorare tutte le fasi e incrementare la velocità di attuazione.

Per quanto riguarda invece tutti gli altri trasferimenti, si è svolta una prima riunione del tavolo tecnico ed in quella occasione è stato distribuito ai rappresentanti delle regioni, degli enti locali e delle province un documento di lavoro, che contiene alcune ipotesi relative alle grandi scelte a cui accennavo poco fa e sul quale è descritto il percorso che si vorrebbe seguire per l’attuazione del trasferimento. Questo documento, che appunto contiene dei paragrafi specifici riguardanti il contenuto e gli oggetti essenziali dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, i criteri applicativi per il trasferimento delle risorse, la scelta del tempo (tre o cinque anni), la scelta della decorrenza dell’esercizio delle funzioni conferite, l’indicazione della modalità tecnica, per pervenire alla quantificazione del montante delle risorse da trasferire e delle ulteriori operazioni tecniche che servono per attualizzare sostanzialmente alla data odierna questo tipo di trasferimento, è stato distribuito ed è attualmente oggetto di esame da parte delle regioni e delle autonomie locali, che dovrebbero all’inizio della prossima settimana fornire le loro osservazioni sul documento stesso. Una volta che queste osservazioni saranno pervenute e saranno state da noi esaminate, pensiamo di convocare immediatamente il tavolo tecnico per vedere se dall’insieme dei contributi che la Presidenza del Consiglio, la Ragioneria generale dello Stato da una parte e il sistema delle regioni e delle autonomie dall’altro hanno dato, si possa pervenire alla redazione di queste regole generali per le operazioni di trasferimento che, se concordate, potrebbero essere portate alla prima Conferenza utile.

Questo è il percorso che stiamo seguendo e intendiamo seguire per il futuro. Contemporaneamente a questa operazione, una volta che queste regole comuni saranno state definite, oltre che concordate, si attiveranno dei tavoli tecnici per aree funzionali, che dovrebbero corrispondere alle stesse aree funzionali che sono state oggetto del trasferimento di funzioni nel decreto legislativo n. 112. L’idea che si fa strada è che si dovrebbero attivare contestualmente e contemporaneamente due tavoli tecnici, nei quali svolgere queste operazioni che vedono come protagonisti i rappresentanti delle regioni, delle province e delle autonomie e i rappresentanti dei singoli ministeri coinvolti nel trasferimento. Questi tavoli dovrebbero essere l'uno relativo alle attività produttive, e l'altro relativo all’area del territorio e dell’ambiente. In questo modo in questi due tavoli approderebbero le soluzioni in cui trovano applicazione le regole che abbiamo confezionato in sede generale. Una volta trovate le soluzioni concrete, queste dovrebbero passare per il gruppo di coordinamento generale e iniziare il proprio iter per la definizione formale del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, per il passaggio in Conferenza Stato-regioni, per il passaggio alla Commissione bicamerale, per la consultazione sindacale, eccetera.

Questo è l’ambito di lavoro e strategia che noi abbiamo seguito, cercando contemporaneamente di avere tra Stato, regioni, province e comuni regole comuni e valide per tutte le operazioni di trasferimento, in attuazione del principio di contestualità, senza il bisogno di passare ad una dimensione sequenziale per i singoli trasferimenti, una volta che contemporaneamente si attivano tavoli che riguardano le aree e che concernono sostanzialmente l’intera mappa delle funzioni trasferite, una volta che i criteri generali dei trasferimenti non sono più discutibili e inseriti nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Questo non significa che saranno necessariamente adottati soltanto tre decreti del Presidente del Consiglio dei ministri in corrispondenza delle aree di riferimento. Questa è una scelta che sarà rimessa alle opportunità e alle valutazioni che faremo insieme, però ha il valore di tentare di pensare insieme l’operazione e tentare di uscire da una logica sequenziale dell’operazione, che in qualche modo avrebbe significato impiegare un tempo più che triplo per effettuare questo tipo di operazione.

Se volete, anche questa è una applicazione del principio di semplificazione dei procedimenti, di cui la Commissione si è occupata. Quello che si può dire in questa sede è che riferiremo sullo stato di avanzamento di questi lavori, tutte le volte che la Commissione bicamerale per la riforma amministrativa ci chiederà di farlo.

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione. E’ possibile qualche riferimento sul timing?

Alessandro PAJNO. Per essere precisi su questo, aspetto la definizione della prima fase dell’operazione. Se, come penso, le cose vanno nel senso voluto, noi dovremmo avere entro l’inizio della prossima settimana la risposta da parte di regioni, province, enti locali ed autonomie, alle quali abbiamo dato un tempo congruo per riflettere su questo documento. Abbiamo iniziato la prima riunione il 9 marzo e da allora abbiamo lavorato per avere tutti gli approfondimenti necessari: se la risposta fosse positiva e le integrazioni fossero tali da completare in modo significativo il documento, noi potremmo nella prossima settimana tenere la riunione del tavolo tecnico che formalizza questo documento comune di lavoro ed andare alla Conferenza immediatamente successiva. Una volta ottenuta la formalizzazione, prima ancora della applicazione della Conferenza, potrebbero cominciare a lavorare i tavoli tecnici per aree.

In altri termini, se tutto va bene, alla fine della prossima settimana o dall’inizio di quella successiva potrebbero cominciare a riunirsi questi due tavoli tecnici. Ritengo che, per quanto riguarda l’area delle attività produttive, l’operazione è più avanti rispetto a quella dell’area del territorio dell’ambiente, quindi per quanto riguarda la prima forse si può pensare a provvedimenti che giungano nel termine di trenta-quaranta giorni dall’inizio sostanzialmente delle operazioni del tavolo tecnico. Naturalmente sono stime da verificare, ma tale verifica potrebbe essere più favorevole, nel senso di evidenziare la necessità di un tempo ancora minore.

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della commissione. Per quanto concerne invece il documento generale, il decreto-quadro potrebbe andare allo Stato-regione già dalla prossima volta, ministro Bellillo?

 

Katia BELLILLO, Ministro per gli affari regionali. Se venisse definito nella prossima settimana, ci sarebbero i tempi per sottoporlo alla prossima Conferenza Stato-Regioni.

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione. Questo dovrebbe avvenire insieme al provvedimento relativo all’agricoltura. Se mi permette, vorrei fare mie, a nome di tutta la Commissione, le preoccupazioni del Presidente Chiti su questo punto, che coinvolge anche aspetti di carattere simbolico. Il Presidente Chiti ha espresso un concetto, che vorrei riprendere e sottolineare: se non passa questo decreto, non crediamo più all'attuazione del processo di riforma. Egli lo ha detto sostanzialmente come annotazione politica: la faccio veramente mia a nome di tutta la Commissione, ministro Bellillo. Il decreto sull’agricoltura deve essere inviato in Parlamento, ed in tale sede vedremo se ci sono delle questioni da approfondire. Lo attendiamo per dopo Pasqua.

Katia BELLILLO, Ministro per gli affari generali. Spero che il decreto dell’agricoltura possa essere sottoposto alla stessa Conferenza unificata, in cui verrà esaminato il quadro generale relativo al trasferimento delle risorse. Naturalmente sapete bene che ci sono due o tre nodi, su cui anche voi dovrete pronunziarvi e rispetto ai quali esistono posizioni in qualche modo non del tutto coincidenti. La mia idea, ma questa è soltanto una mia idea, è che il decreto debba essere portato avanti cercando di dare un’applicazione rigorosa delle indicazioni che vengono dalla legge, e penso che in questo senso sarà la proposta che avanzeremo per la Conferenza. Questo significa che poi occorrerà valutare la coerenza di questa impostazione con le indicazioni che pervengono in sede parlamentare.

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione. Io ho preso a nome della Commissione, per la giornata di domani, un appuntamento specifico con il ministro dell’agricoltura per parlare di questo problema.

Ringrazio il consigliere Pajno. Nel testo scritto cercheremo di dare una precisa schematizzazione a quanto è stato detto, in modo che si abbia l’itinerario logico che il gruppo di lavoro intende seguire.

A questo punto ho una richiesta di intervento dell’onorevole Malfatti, al quale do volentieri la parola, come a chiunque altro volesse intervenire. Faccio presente che ci sarà una seconda conferenza fra sei mesi, anzi ne faremo una ogni sei mesi in relazione al compito di monitoraggio, che la legge ci ha affidato. Siete già riconvocati per il 30 settembre, con i medesimi attori, vale a dire gli stessi ministri (non a caso li abbiamo invitati ed essi hanno cortesemente accolto l’invito) con competenze generali, cioè il ministro per la funzione pubblica e il ministro per gli affari regionali oltre al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

Proprio per quella logica, che testé indicava il dottor Pajno, riteniamo che la regia della riforma vada gestita a livello di Governo; poi ci sono i problemi dei singoli settori che vengono seguiti dai singoli ministeri, ma la riforma è segnatamente responsabilità della Presidenza del Consiglio dei ministri.

I ministri qui presenti, che ancora una volta ringrazio, reggono due dipartimenti della Presidenza: il sottosegretario Bassanini è il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri. La Commissione intende ribadire che è responsabilità del Governo nel suo complesso e della Presidenza in particolare quella di gestire il processo di riforma.

MALFATTI. Io fui d’accordo subito con la riforma Bassanini, fin da quando fu approvata la legge, e soprattutto fui d’accordo con quella specie di grimaldello dei decreti sostitutivi, che conteneva l'articolo 5, anche se mi rendevo conto, tenendo conto della situazione italiana e delle resistenze esistenti, che la cosa non era né agevole, né facile. Sono d’accordo anche sulle cose che ha detto Bassanini nel suo intervento, soprattutto su una, nel senso che, anche se non possiamo contare su grandi successi nei trasferimenti, però possiamo dire che il decreto sostitutivo ha spinto moltissime regioni a effettuare una ricognizione, ad operare raggruppamenti, a mettere in atto praticamente un processo di delegificazione, che si è rivelato molto utile.

Non so se alcuni di voi erano presenti al discorso che fece il Presidente del Consiglio dei ministri nella sala Zuccari, quando fu presentato il federalismo fiscale. Innanzitutto l’onorevole D’Alema affermò che le leggi Bassanini sono buone leggi, ma che occorre stare attenti, perché potrebbero diventare pericolose senza una cornice istituzionale. Lui alludeva evidentemente all’indebolimento dell’autorità dello Stato centrale, che fra l’altro non è che goda buona salute. Quindi bisogna tenere conto di questo fatto, e il Governo ne ha tenuto conto perché ha presentato quello che viene definito come schema Amato, del quale evidentemente non si può né si deve parlare in questa sede, perché andremmo fuori dal tema. Qui infatti parliamo soltanto ed unicamente delle riforme a Costituzione invariata.

Mi colpì del discorso di D’Alema anche un’altra affermazione, che è molto importante e a cui accenno soltanto: il federalismo rappresenta il terreno politicamente più neutrale ed è veramente stupefacente come su questo non si sia potuto andare avanti.

Il federalismo rappresenta il tema più neutrale dal nostro punto di vista, non v’è dubbio. A voi parrà strano che lo dica io che appartengo alla sinistra, ma la norma più avanzata in materia di riforma dei consigli regionali e delle autonomie locali, è la proposta n. 3122 presentata alla Camera dei deputati dall’onorevole Berlusconi ed altri. E’ la più avanzata di tutti, perfino più avanzata rispetto a quella proposta dall’Emilia-Romagna.

Sul versante dell’attuazione regionale della riforma si registrano numerose proposte avanzate dalle regioni, la cui elaborazione è abbastanza buona.

Bisogna tuttavia rilevare che si tratta spesso di una normazione che necessita, perché possa diventare operativa, di ulteriori delicati momenti di attuazione soprattutto sul versante della politica di accorpamento e cooperazione degli enti locali minori. Questo sta alla base del fatto che il terzo comma della legge n. 118 non è stato attuato, cioè le deleghe non sono state date o sono state date in scarsa misura o sono fallite, a parte il fatto che lo stesso istituto della delega è superato dalla legge n. 59, nel senso che non si tratta più di delegare ma si tratta di attribuire.

Mi pare che questo sia uno dei punti nodali molto importanti. Vedo che il documento della Commissione fa riferimento all’articolo 4 della legge n. 59 e all’articolo 3 della legge n. 112, ma io vorrei ricordare al Presidente e ai membri della Commissione che prima della legge n. 59 c’è la legge n. 142. Essa è rivoluzionaria non solo per il suo articolo 3, in cui esplicita ciò che il terzo comma della legge n.118 rende implicito, ma anche perché poi, come corollario, spinge le regioni a creare un sistema che io chiamerei a rete, per attuare proprio il sistema delle autonomie. Pensate alle convenzioni, agli accordi di programma, ai consorzi volontari, alle aree metropolitane, all’unione e alla fusione dei comuni.

Vorrei rivolgere ora una domanda al mio amico e corregionale Presidente. Probabilmente la Toscana l’avrà fatto, ma la legge n. 142 stabilisce che le regioni devono fare un elenco quinquennale, da aggiornare anno per anno, in materia di fusione dei comuni e prevede anche incentivi in denaro da parte dello Stato. Siccome Chiti, oltre che essere Presidente della regione Toscana è in questa sede anche in veste di Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, sarebbe molto opportuno fare un’inchiesta per vedere quante siano le regioni che hanno redatto questo elenco. Mi rendo conto delle difficoltà che possono insorgere in questa direzione, quando si priva un comune del suo stendardo. Nella mia provincia dieci anni fa si misero sulle rotaie del treno e bloccarono a Querceto la linea Ventimiglia-Roma. solo perché si palesò non tanto l’ipotesi di un cambio di comune, ma addirittura di ospedale.

Insomma, mi rendo conto di cosa sia il campanilismo, però bisogna far capire ai comuni che da lì si deve passare, non si può continuare con la polvere dei comuni, come la definì il professor Giannini. Se continueremo in questo modo, non solo non sono passate le deleghe di cui all'articolo 118, ma non passeranno neanche le attribuzioni a Costituzione invariata . E’ vero che si può ricorrere al decreto regionale sostitutivo, ma non è una cosa meccanica, non si possono dare degli ordini, quindi il problema - mi rendo conto - è particolarmente delicato.

Per avviarmi alla conclusione e non abusare, vorrei introdurre un ultimo elemento, dato che qui c’è il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni. Ho la vaga impressione che qualche volta si stia perdendo di vista l’obiettivo principale, probabilmente non da parte del Presidente Chiti, che su queste posizioni è molto avanzato, ma da parte forse di qualche suo collega. A parte il fatto che qui il problema non si pone, perché siamo a Costituzione invariata, bisognerebbe modificare l'articolo 117, ma ogni tanto si perde di vista che l’obiettivo principale della riforma non è affatto il trasferimento di funzioni dallo Stato alle regioni. Il Presidente Chiti sa perfettamente che fenomeni di centralismo regionali ci sono, che le regioni non sono tutte uguali e che su questo terreno il rapporto fra regioni e comuni alle volte è conflittuale. In conclusione secondo me l’obiettivo principale è la costruzione di un efficiente sistema delle autonomie locali al servizio dello sviluppo economico, sociale e civile. Oltretutto in questa ottima formulazione del terzo comma dell’articolo 3 della legge 142, c’è anche la saldatura con il patto sociale di Natale, perché c’è questo richiamo al servizio dello sviluppo economico e sociale del Paese. Le riforme sono una cosa astratta; sono qualcosa che invece si lega al concreto dello sviluppo del Paese, quindi secondo me al Consiglio regionale delle autonomie locali, ma qui entrerei nella Costituzione variata e quindi sono costretto a fermarmi. Comunque non serve, anche se è importante, il consiglio delle autonomie istituito in Toscana. E non servono neanche le conferenze Stato-regioni o la conferenza unificata per saldare, per creare un potere periferico che non esiste. Il federalismo è un potere duale, formato dal potere centrale e da quello autonomistico periferico: se dei due ne mancasse uno sarebbe il caos.

In definitiva per costruire il federalismo abbiamo bisogno del potere duale, ma lo Stato centrale c’è, nel bene e nel male, magari più nel male che nel bene, ma il potere periferico dove sta? Vi sono venti regioni non unite. Non le lega certamente Chiti, con la nuova carica temporanea che ha assunto: esse non sono legate per nulla. Lo stesso discorso è valido per le cento e più province e gli ottomila comuni sparsi, legati qualche volta da qualche consorzio per i servizi.

Il potere periferico dunque non esiste. Questa è una tragedia, ma è anche un aspetto della democrazia zoppa.

Mi fermo qui, perché a questo punto dovrei entrare nel grande campo della Costituzione variata. Vi ringrazio.

Vincenzo CERULLI IRELLI, Presidente della Commissione. Sono io che ringrazio l’onorevole Malfatti. A questo punto credo che possiamo chiudere positivamente questa prima Conferenza, nel senso che abbiamo fatto quello che ritenevamo si dovesse fare, cioè acquisire tutti i dati della situazione nella quale ci troviamo, valutare le difficoltà, affrontare i rimedi insieme con tutti gli attori sociali e istituzionali coinvolti, cioè le regioni, i comuni, le province, le comunità montane insieme al Governo.

In una società complessa qual è questa il Parlamento svolge questo ruolo di mediazione complessiva, di stimolo, di guida, di impulso, poi sono gli altri, gli attori, che devono effettivamente realizzare il processo. Il punto che adesso emerge e sul quale, credo si giochi nei prossimi due-tre mesi il futuro della riforma, è proprio questo tavolo di lavoro che è stato istituito dal Governo, insieme alle regioni e agli enti locali, che coordina il nostro amico dottor Pajno, con la sua competenza tecnica, il quale mi pare sia partito bene, con il piede giusto. Questo però dovremo valutarlo tra due-tre mesi, quando avremo i risultati. Nel frattempo vediamo come impatterà il federalismo fiscale, perché può essere che l’entrata in vigore delle norme sul federalismo fiscale, che presto saranno esaminate dalla Camera dei deputati, modifichi in parte la situazione. Mi diceva il Presidente Chiti che la loro organizzazione sta studiando adesso i modi, i termini ed anche le quantità, che questo impatto produrrà. Nel frattempo uno studio analogo verrà portato avanti dal Ministero del tesoro; quindi tra un paio di mesi potremo avere questi risultati.

Nel frattempo le leggi regionali sono ormai quasi tutte in dirittura d’arrivo. Credo poco ai provvedimenti sostitutivi. Essi rappresentano uno stimolo, come prima è stato detto, ma non possono effettivamente sostituire l’iter normale. In questo ambito resta aperto il problema dell’associazionismo, in riferimento al quale credo poco, anzi non credo per nulla, alla incidenza del potere sostitutivo delle regioni. Come dicevo prima, ho avuto una serie di incontri in Francia su questo problema. Il sistema francese è avanzatissimo, mi è stato detto che il potere sostitutivo non esiste perché in realtà l’associativismo forzato non funziona. Quindi anche nel nostro Paese esiste un sistema di stimoli, di incentivazioni, di programmazione finanziaria da parte delle regioni, che adesso è espressamente previsto nella nuova legge n. 142, sulla quale ogni regione potrà far fronte, anche con una sua autonoma iniziativa. Adesso i 180 giorni, che orientativamente quasi tutte le leggi regionali hanno dato, via via scadranno e vedremo che cosa succederà. Io utilizzo ancora questo tavolo per chiedere all’ANCI e all’UPI un particolare sforzo in questo settore al servizio e a supporto di piccoli comuni, anche perché una soluzione alternativa, che suggeriva il Presidente Lepidi, potrebbe essere, nei casi in cui l’associativismo non si formi e non ci siano le comunità montane, costituita dalla provincia, che gestisce le funzioni e i compiti. Fino a che il processo associativo non si sia formato, questa potrebbe essere una soluzione che potremmo anche studiare, vedendo come impatta la prima sulla quale certamente le resistenze, che bene ricordava l’onorevole Malfatti derivano dalla tradizione del Paese e in particolare dalla grande tradizione municipale e certamente pesano.

In definitiva, è un problema che noi riteniamo sicuramente difficile, che abbiamo affrontato nella consapevolezza di tale difficoltà, ma siamo altrettanto consapevoli della ineludibilità di esso.

Chiudo qui i lavori, ringraziando tutti i presenti, a partire da quelli che stanno seduti a questo tavolo, ringraziando il Vicepresidente Carrara, che con me gestisce questa Commissione. Debbo qui notare che nella nostra Commissione il rapporto con l’opposizione è di massima collaborazione e apporto.

L’opposizione certo fa il suo mestiere, però nell’ambito della Commissione bicamerale cerca sempre di dare un contributo che serve per operare meglio, anche perché essa sa che sulla riforma amministrativa si gioca il futuro e sa che prima o poi governerà, quindi ha bisogno di una amministrazione che funzioni meglio di quella che abbiamo.

Richiamo a questo punto le due considerazioni che facevo all’inizio e che poi i ministri ed anche il sottosegretario Bassanini hanno ripreso. Mi riferisco alla necessità di procedere con l’attribuzione delle risorse contestualmente all’attribuzione delle funzioni. Questo è un punto fondamentale della riforma, che ripara ad un errore degli anni settanta e a cui è legata la questione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e quindi il tavolo che adesso è partito.

E mi riferisco anche al problema dell’attribuzione delle funzioni dalle regioni e agli enti locali, anch’esso contestuale al trasferimento delle risorse, sul quale stanno provvedendo le regioni e che ripara un altro degli errori degli anni settanta, quando si procedette affidando interamente, a differenza di adesso, alle regioni, piuttosto orientate in senso centralistico, le future scelte circa l’allocazione territoriale delle funzioni. Questo è il quadro. Con queste parole e ringraziando ancora tutti, vi do appuntamento al 30 settembre 1999, cioè tra sei mesi, giorno nel quale terremo la seconda Conferenza, in coincidenza con il terzo semestre del nostro monitoraggio sul processo attuativo della riforma.

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