Commissione parlamentare per l'infanzia
RELAZIONE SULL'ATTIVITÀ SVOLTA DALLA COMMISSIONE
ai sensi dell'art. 1, comma 5 della legge 451/97,
approvata nella seduta del 13 febbraio 2001
I. Listituzione della Commissione parlamentare per linfanzia: lavori preparatori
La Commissione parlamentare per linfanzia è stata istituita
dallarticolo 1, comma 1, della legge 451 del 23 dicembre 1997, con "compiti
di indirizzo e di controllo sulla concreta attuazione degli accordi internazionali e della
legislazione relativi ai diritti e allo sviluppo dei soggetti in età evolutiva".
Liter di approvazione della legge ha preso le mosse dalla proposta di legge
Calzolaio ed altri, n. 417 che, presentata alla Camera dei Deputati allindomani
dellinizio della XIII legislatura, il 9 maggio 1996, con il titolo "Piano
nazionale dazione per linfanzia", fu assegnata alla Commissione affari
sociali, dove se ne iniziò lesame il 10 luglio seguente.
La proposta di legge si riallaccia allesperienza della precedente legislatura che
vide listituzione presso la Camera dei Deputati, nel luglio del 1995, di una
Commissione speciale per lesame in sede referente dei progetti di legge inerenti
allinfanzia, a carattere pluridisciplinare, in seguito allapprovazione quasi
unanime di unapposita risoluzione presentata dallon. Valerio Calzolaio
(6-00008 dell8 febbraio 1995). In tale sede, infatti, al di là delle funzioni
tipicamente referenti della Commissione speciale, si colse loccasione per affrontare
in modo organico questioni relative alle politiche per linfanzia e per
ladolescenza nonché problematiche di carattere istituzionale e culturale, grazie
alla fattiva collaborazione di tutti i gruppi parlamentari.
La proposta di legge Calzolaio, composta di cinque articoli, prevedeva non solo
listituzione della Commissione parlamentare per linfanzia, ma anche di due
importanti organismi, lOsservatorio nazionale per linfanzia (già istituito
con diversa denominazione con decreto 20 marzo 1995, presso il dipartimento degli affari
sociali) e, in funzione servente di questo, il Centro nazionale di documentazione e di
analisi per linfanzia, già esistente presso lIstituto degli Innocenti di
Firenze e convenzionato con lo stesso dipartimento dal 16 ottobre 1995.
La proposta, sintetizzando la relazione illustrativa dellonorevole Chiavacci,
intendeva da un lato, attraverso listituzione di tali organismi a livello
parlamentare e amministrativo, dare lavvio alla risoluzione dei problemi legati ai
soggetti in età evolutiva in modo organico, uscendo dalla logica dellemergenza,
programmando, anche con la predisposizione di un apposito piano, procedure, obbiettivi e
risorse; dallaltro, assicurare lintegrale rispetto delle convenzioni
internazionali, in particolar modo la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo
ratificata dallItalia nel 1991 e ritenuta fino ad allora troppo poco conosciuta
dalle istituzioni e dal paese reale, pur contenendo importanti prescrizioni in ordine ai
diritti che debbono essere garantiti alle bambine e ai bambini e che si aggiungono a
quelli già previsti dalla nostra Costituzione.
Dopo approfondito dibattito in sede referente, la Commissione accolse il 1° ottobre 1996
la proposta della Presidente Bolognesi di trasferire il progetto alla sede legislativa
dove fu approvato allunanimità nella seduta del 18 dicembre.
Trasmesso al Senato il 21 dicembre, il progetto, assunto il numero 1912, fu assegnato in
Commissione affari costituzionali, relatrice la senatrice Bucciarelli, e approvato in sede
deliberante, con modificazioni, nella seduta del 16 luglio 1997. Tornato alla Camera, il
provvedimento fu definitivamente approvato dalla Commissione affari sociali in sede
legislativa allunanimità il 16 dicembre 1997 con il titolo "Istituzione della
Commissione parlamentare per linfanzia e dellOsservatorio nazionale per
linfanzia".
Nel frattempo, il Senato, con delibera del 2 ottobre 1996, approvò alcune mozioni che
avevano per oggetto, tra laltro, listituzione di una Commissione speciale in
materia di infanzia, ai sensi dellarticolo 24 del suo regolamento.
Ciò comportò inizialmente dubbi interpretativi sulle sue funzioni, sui suoi rapporti con
listituenda Commissione bicamerale e sulla stessa opportunità di istituirla. In
realtà, le due commissioni svolgono funzioni affatto diverse, perché la Commissione
speciale del Senato ha competenze essenzialmente legislative. La sua istituzione è stata
infatti motivata dalla mancanza, in quel ramo del Parlamento, di un organo collegiale
omologo, quanto a sfera di competenza, alla Commissione affari sociali della Camera dei
Deputati. Si sarebbe così evitato che i progetti di legge concernenti linfanzia e
ladolescenza fossero deferiti a collegi non specializzati. La Commissione
parlamentare infanzia, invece, come espressamente enunciato dalla legge istitutiva, ha
funzioni di indirizzo e di controllo (articolo 1, comma 1, legge 451/97) e ha carattere
permanente.
II. Compiti istituzionali e organizzazione della Commissione parlamentare per linfanzia
La Commissione si è potuta costituire solo il 17 dicembre del 1998,
esattamente un anno dopo la pubblicazione della legge istitutiva, con lelezione
dellUfficio di Presidenza composto, a norma del comma 3 dellarticolo 1 della
legge, da un presidente, due vicepresidenti e due segretari.
La Commissione parlamentare per l'infanzia, secondo il comma 2 dellarticolo 1 della
legge, è composta da venti deputati e da venti senatori nominati dai Presidenti dei
rispettivi rami del Parlamento in proporzione alla consistenza numerica dei gruppi
parlamentari garantendo la rappresentanza di almeno un componente per ciascun gruppo.
Il combinato disposto dei commi 1 - istitutivo della Commissione - e dei commi 2, 4 e 5
dellarticolo 1 della legge 451/97, permette di definirne i compiti e lampiezza
dei poteri che possono schematicamente sintetizzarsi in poteri di controllo, di indirizzo
e, tra questi, di proposta alle Camere circa lopportunità di modifiche della
legislazione vigente, e consultivi.
Per quanto concerne i poteri di indirizzo e di controllo, la Commissione parlamentare per
l'infanzia li esercita sulla concreta attuazione sia degli accordi internazionali sia
della legislazione interna, relativi ai diritti e allo sviluppo dei soggetti in età
evolutiva (bambini e adolescenti), chiedendo informazioni, dati e documenti sui risultati
delle attività svolte da pubbliche amministrazioni e da organismi che si occupano di
questioni attinenti ai diritti o allo sviluppo dei soggetti in età evolutiva. Per
lesercizio del potere di indirizzo si è utilizzato lo strumento della risoluzione
ai sensi degli articoli 117 del Regolamento della Camera e 50 del Regolamento del Senato.
Sulla base degli elementi conoscitivi acquisiti, si è giunti allapprovazione di
cinque risoluzioni, (7-00842 Pozza Tasca e Valpiana: mutilazioni genitali femminili;
7-00879 Cavanna Scirea: forme di violenza di gruppo da parte dei minori, le cosiddette baby-gang;
7-00815 Pozza Tasca: divieto di utilizzare bambini-soldato; 7-00024 Athos De Luca:
rapporto tv minori; 7-01024 Cavanna Scirea ed altri, 7-00032 Montagnino ed altri:
iniziative in materia di pedofilia). Complessivamente risultano assegnate ma non ancora
esaminate cinque risoluzioni: 7-00022 Athos De Luca: baby calciatori; 7-00727 Pozza Tasca:
coinvolgimento dei minori nella guerra del Kosovo; 7-00939 Burani Procaccini:
partecipazione dei minori nei conflitti armati; 7-00941 Pozza Tasca: sottrazione
internazionale dei minori; 7-00976 Valpiana: allattamento materno.
Recentemente la Commissione è stata impegnata in una serie di audizioni concernenti il
fenomeno della pedofilia e della pedopornografia, in relazione al quale sono state
presentate numerose risoluzioni poi accorpate in un unico documento, che è stato l'esito
di una lunga attività svolta da un gruppo di lavoro che si è costituito ad hoc,
con la partecipazione e l'assenso di tutti i gruppi parlamentari.
In seno alla Commissione furono inizialmente costituiti, peraltro, sei gruppi di lavoro i
cui ambiti di competenza riguardavano, rispettivamente, le seguenti materie:
I gruppi di lavoro avevano prevalentemente funzioni istruttorie, di
proposta di audizioni, di missioni o di atti parlamentari che investissero la competenza
della Commissione.
Il 23 settembre 1999, la Commissione ha deliberato lavvio di una indagine
conoscitiva sull'attuazione della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (su
cui è imminente la presentazione del documento conclusivo). I temi oggetto della
Convenzione sono stati ripartiti in sei diversi capitoli di riferimento, riguardanti
ciascuno uno specifico profilo della tutela dei diritti dell'infanzia, al fine di affidare
gli stessi alla competenza, quanto ad istruttoria e programmazione delle audizioni, dei
corrispondenti gruppi di lavoro.
Inoltre, la Commissione ha proceduto anche ad altre audizioni, su diversi problemi
concernenti i soggetti in età evolutiva, invitando ad illustrarli 13 tra membri del
governo, responsabili di strutture sociosanitarie e rappresentanti delle istituzioni.
Il comma 5, dellarticolo 1 della legge istitutiva stabilisce che la Commissione
riferisca alle Camere con cadenza almeno annuale i risultati della propria attività, cosa
che consente alla Commissione anche lesercizio di un potere di osservazione sugli
effetti e sui limiti della legislazione vigente e di proposta sulleventuale
necessità di un suo adeguamento, in particolare per assicurarne la rispondenza alla
normativa della Unione europea e in riferimento ai diritti previsti dalla Convenzione sui
diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva con legge 27
maggio 1991, n. 176.
Quanto ai poteri consultivi ai sensi dellarticolo 2 della legge istitutiva, la
Commissione parlamentare per linfanzia esprime un parere obbligatorio sul Piano
nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti
in età evolutiva, che il Governo deve adottare ogni due anni e che costituisce il
documento programmatico che traduce in obbiettivi e in azioni concrete gli impegni assunti
relativamente ai diversi articoli della Convenzione di New York.
Per lespressione del parere sul Piano di azione per il biennio 2000-2001 - reso il
20 marzo 2000 - la Commissione infanzia ha svolto un approfondito esame assegnando a
singoli commissari lillustrazione di gruppi omogenei di problematiche, a conclusione
del quale è stato approvato un documento in cui si esprime parere favorevole sul Piano,
accompagnato dalla formulazione molto articolata di indirizzi specifici
(sullargomento vedi capitolo IV).
Allo scopo di acquisire conoscenza in loco dei diversi problemi concernenti il suo ambito
di competenza, la Commissione ha effettuato tra il febbraio 1999 e il febbraio 2001 undici
missioni fuori sede (in Puglia, 17 e 18 febbraio 1999, per la verifica
dellaccoglienza dei minori clandestini; a Firenze, 3 marzo 1999, in visita al centro
nazionale di documentazione per linfanzia; a Torino, 25 marzo 1999, per la verifica
dellaccoglienza dei minori clandestini; a Comiso, 1 giugno 1999, per la verifica
dellaccoglienza dei minori profughi dal Kosovo; a Parigi, 14 e 15 ottobre 1999 in
visita presso gli organi parlamenti competenti in materia di infanzia e il Conseil
supérior de laudiovisuel; a Torino, 15 novembre 1999, in visita presso il carcere
minorile "Ferrante Aporti" e per linaugurazione del "treno per
linfanzia"; a Milano, 15 novembre 1999, per la partecipazione a due tavole
rotonde in materia di tossicodipendenza e maltrattamento; a Gela, 17 novembre 1999, per la
partecipazione a una tavola rotonda sulla devianza minorile; a Ginevra, 3 e 4 luglio 2000,
per un incontro con i rappresentanti dellOIL; a Palermo, 24 e 25 novembre 2000, per
un incontro con il Comitato per lordine e la sicurezza pubblica e con il Presidente
e il Procuratore del Tribunale per i minorenni di Palermo in ordine alle vicende di
pedofilia che hanno interessato il quartiere di Albergheria; a Stoccolma, 12 e 13 febbraio
2001, per partecipare a un convegno internazionale in materia di rapporti tra minori e
nuovi mezzi di comunicazione).
Larticolo 1 della legge 451/1997 istituisce la giornata italiana per i diritti
dellinfanzia e delladolescenza, da celebrare il 20 novembre di ogni anno,
nella ricorrenza della firma della Convenzione di New York. Le modalità di svolgimento
della giornata sono determinate dal Governo dintesa con la Commissione parlamentare
per linfanzia, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato. Inoltre,
larticolo 5 del regolamento di organizzazione del 5 ottobre 1998, n. 369, emanato a
norma dellarticolo 4, comma 1, della legge 451/1997, stabilisce, per quanto concerne
la parte di esclusiva competenza governativa, che il Piano nazionale di azione e di
interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva
definisca un programma di iniziative di promozione e di comunicazione da realizzarsi in
occasione della giornata.
Finora due sono state le iniziative per la celebrazione della giornata nazionale
dellinfanzia e delladolescenza: la prima, il 20 novembre 1999, nella sala
della Lupa di Palazzo Montecitorio, alla presenza delle più alte cariche dello Stato. La
seconda, il 20 novembre 2000, è avvenuta fuori del "Palazzo", nellambito
del processo di avvicinamento delle Istituzioni ai cittadini, anche più piccoli,
particolarmente intenso negli ultimi anni. Più di 2500 bambini e ragazzi provenienti da
scuole di Firenze, Roma e Napoli si sono ritrovati al Palazzetto dello sport di Roma a
conversare direttamente con le più alte cariche dello Stato in unatmosfera di gioia
e di speranza.
III. Convenzione sui diritti del fanciullo (New York, 20 novembre 1989)
LItalia ha ratificato e reso interamente esecutiva la Convenzione
delle Nazioni Unite del 1989 con la legge 27 maggio 1991, n. 176.
Questo atto internazionale costituisce il principale parametro di riferimento che la legge
451 del 1997 ha indicato per lo svolgimento dell'attività della Commissione parlamentare
per linfanzia che, in particolare, ha il compito di verificare se gli apparati
pubblici e gli organismi privati coinvolti in vario modo nella tutela dellinfanzia
conformino il loro operato alle prescrizioni enunciate dalla Convenzione.
Allo scopo di acquisire i necessari elementi informativi funzionali allesercizio del
controllo, la Commissione ha svolto una indagine conoscitiva sullapplicazione della
Convenzione.
La ratifica e piena esecuzione della Convenzione ha comportato labrogazione delle
eventuali norme interne con essa incompatibili, limmediata applicazione nel nostro
ordinamento delle sue norme con valore precettivo e una tutela rafforzata delle norme
interne conformi ai principi della Convenzione che diventano immodificabili in senso
contrario ai principi stessi, parte integrante, anche per il loro valore interpretativo,
dei principi generali dellordinamento giuridico dello Stato.
Compendio della filosofia dellintero provvedimento è rappresentato dal comma 1
dellarticolo 3 in cui si recita solennemente che "in tutte le decisioni
relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche che private di
assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi
legislativi, linteresse superiore del fanciullo deve essere una considerazione
preminente".
Eloquente segno della diffusione concreta della Convenzione, che a tutti gli effetti, in
virtù del recepimento, costituisce legge dello Stato, è il sempre più frequente
richiamo della giurisprudenza alle sue disposizioni.
Al di là della sua operatività giuridica, tuttavia, la piena applicazione della
Convenzione richiede lapprontamento di strutture adeguate, una rete integrata di
servizi territoriali, una cultura politica che ponga al centro dellattenzione e
delle cure dei Governi il soggetto in età evolutiva. Infatti, la Convenzione di New York
non consiste solo nellaffermazione teorica dei diritti delle giovani generazioni, ma
indica gli strumenti e le misure concrete che gli Stati debbono adottare per fare fronte
ai bisogni dei minori.
La Convenzione, composta di 54 articoli, è divisa in tre parti. La prima, di 41 articoli,
contiene le prescrizioni relative ai diritti dei fanciulli ed ai corrispondenti obblighi
gravanti sulle pubbliche autorità di ogni Paese e concernono tutti gli aspetti (sanitari,
educativi, affettivi, familiari e sociali) che concorrono a una crescita sana, sicura e
serena. In particolare, si ricordano il diritto alla vita e al completo sviluppo della
personalità; il diritto al ricongiungimento familiare nel caso di residenza
allestero dei genitori o nel caso si tratti di bambini rifugiati; il diritto di
esprimere le proprie opinioni, di essere adeguatamente informato e di esprimersi
liberamente; il diritto di cura, di istruzione adeguata, di avviamento professionale, di
spazi di socialità uguali agli altri, per i bambini affetti da problemi fisici o mentali;
il diritto a ricevere unadeguata educazione che sviluppi le capacità del minore e
gli insegni la pace, lamicizia, luguaglianza e il rispetto per lambiente
naturale; il divieto di sfruttamento sotto tutti gli aspetti, specie sessuali; il rispetto
della lingua, delle tradizioni e dei costumi dei bambini appartenenti a minoranze etniche;
il divieto di arruolamento nellesercito per i minori di 15 anni; il diritto a
trattamenti penali adeguati alla sua età, per il minore riconosciuto colpevole di un
reato.
La seconda parte, di 4 articoli, prevede, tra laltro, limpegno degli Stati a
diffondere la conoscenza della Convenzione con i mezzi più adeguati nonché
lobbligo di sottoporre rapporti periodici sui provvedimenti che essi avranno
adottato per dare effetto ai diritti riconosciuti nella Convenzione stessa e sui progressi
realizzati per il godimento di tali diritti, ad un Comitato delle Nazioni Unite per i
diritti dellinfanzia, organismo elettivo formato da dieci esperti in problemi
dellinfanzia.
La terza parte, infine, contiene prescrizioni relative alla ratifica e allentrata in
vigore della Convenzione e al procedimento per la sua eventuale modifica.
IV. Esame del Piano di azione nazionale 2000-2001 per linfanzia e ladolescenza.
La legge 23 dicembre 1997, n. 451 prevede allarticolo 2 che la
Commissione esprima un parere sul piano nazionale di azione e di interventi per la tutela
dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, con lobbiettivo di
conferire priorità ai programmi riferiti ai minori e di rafforzare la cooperazione per lo
sviluppo dellinfanzia nel mondo. Il Piano individua, altresì, le modalità di
finanziamento degli interventi da esso previsti nonché le forme di potenziamento e di
coordinamento delle azioni svolte dalle pubbliche amministrazioni, dalle regioni e dagli
enti locali.
Il Piano è stato assegnato alla Commissione il 20 gennaio 2000 ed è stato esaminato
nelle sedute del 1°, del 14, del 15, del 22 e del 28 marzo precedute da
unillustrazione da parte del Ministro per la solidarietà sociale Livia Turco
(audizione del 23 febbraio 2000).
Il Piano, dopo una parte generale, prevedeva tematiche specifiche. Per questo si è
affidato a vari commissari il compito di approfondire i diversi argomenti.
In particolare, allon. Dino Scantamburlo è stata affidata lillustrazione
della parte del piano relativa alla giustizia minorile, allon. Valentina Aprea, la
parte relativa ai percorsi formativi delladolescenza e al rapporto scuola famiglia,
allon. Piera Capitelli, la parte relativa alla solidarietà e alle problematiche
internazionali, allon. Tiziana Valpiana, la parte concernente la riqualificazione
ambientale e i tempi e gli spazi della città.
A conclusione dellesame, la Commissione ha espresso il 28 marzo 2000 un parere molto
articolato con indirizzi specifici, che per comodità di lettura, è riportato in
allegato.
Il piano è stato approvato definitivamente con decreto del Presidente della Repubblica 13
giugno 2000. Esso, così come era stato richiesto nel testo del parere, definisce in modo
dettagliato "le indicazioni metodologiche, gli aspetti operativi e i tempi degli
interventi". In particolare, oltre a contenere una parte generale, definisce azioni
mirate per il periodo maggio 2000 - giugno 2001.
Definisce altresì, le modalità di finanziamento degli interventi previsti, individuando
per il 2000 uno stanziamento di 320 miliardi da erogare con la legge 285 del 1997.
Raccoglie inoltre l'invito a provvedere urgentemente alla redazione di un testo unico dei
diritti dei minori, proposte formulate tra le priorità nell'ambito del parere stesso.
Il Piano di azione ha in particolare recepito i seguenti punti contenuti nel testo del
parere:
In relazione ai punti da 29 a 35 del parere relativi al rapporto tra
TV e minori, il Piano di azione si limita "a raccogliere le indicazioni più
specifiche della Commissione parlamentare per l'infanzia " in sede di attuazione.
Si osserva infine che il Piano d'azione non recepisce soltanto gli indirizzi contenuti nel
parere espresso dalla Commissione ai sensi dell'art. 2 della legge 451/97, bensì tiene
conto anche dell'attività svolta dalla Commissione ed in particolare dalle risoluzioni
approvate in materia di baby gang e di mutilazioni genitali femminili.
V. Tematiche specifiche
Premessa
Il 29 settembre 1999, la Commissione Bicamerale per linfanzia ha
deliberato, col voto unanime di tutti i gruppi parlamentari, unindagine conoscitiva
sullapplicazione della Convenzione di New York. In tale ambito si sono affrontate
diverse tematiche, tra cui in particolare la giustizia minorile, il rapporto tra tv e
minori, il lavoro minorile, le adozioni e la pedofilia.
A latere dell'indagine conoscitiva si sono poi votate alcune risoluzioni,
che, traendo spunto dall'approfondimento svolto in sede di indagine conoscitiva, hanno
inteso focalizzare alcuni aspetti e definire alcuni impegni per il Governo.
La Commissione ha svolto su questo argomento alcune audizioni nellambito del gruppo di lavoro "Lavoro minorile e sfruttamento dei minori" (prima ancora che fosse deliberata lindagine conoscitiva), e numerose altre nel corso dellindagine conoscitiva sullattuazione della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo; una delegazione della Commissione si è inoltre recata a Ginevra (3 e 4 luglio 2000), per incontrare lAlto Commissario aggiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani ed alcuni responsabili dellOrganizzazione internazionale per il Lavoro, tra cui in particolare i dirigenti del programma IPEC, il programma internazionale per leliminazione del lavoro minorile. In particolare, nellambito del gruppo di lavoro sono state svolte le seguenti audizioni:
Nellambito dellindagine conoscitiva è stato invece audito
il Ministro pro-tempore per il commercio con lestero Piero Fassino.
Nello specifico, laudizione del Prof. Raffaele Ferrara, ha posto gli accenti sugli
elementi più rilevanti emersi dalla Conferenza internazionale dellOIL, svoltasi a
Ginevra nel giugno 1999, sede di stipula della Convenzione 182 (di cui si parlerà più
avanti), dal divieto di arruolamento dei minori nei conflitti (oggetto di una apposita
legge approvata dal Parlamento italiano l'8 gennaio 2001 "Abrogazione dell'articolo 3
della legge 31 maggio 1975, n. 191 in materia di arruolamento dei minorenni"),
allessenzialità dellistruzione dei minori come elemento forte di lotta alla
povertà, vista come substrato del lavoro minorile.
Laudizione della Prof.ssa Albertina Soliani ha fatto il punto sullimpegno del
Governo contro il lavoro minorile ad un anno dalla firma della Carta di impegni,
sottoscritta tra Governo e parti sociali. Tra gli elementi emersi con chiarezza nel corso
dellaudizione, si è evidenziata la complessità del fenomeno e le forme nuove che
esso assume in connessione con la realtà del lavoro sommerso, con le crescenti povertà
materiali e culturali, con gli eventi migratori e con il dramma della guerra. Nel corso
dellaudizione la Prof.ssa Soliani, sottolineando la necessità di istituire un
difensore civico per linfanzia, ha altresì rimarcato la necessità di promuovere
una maggiore educazione dei consumatori sul tema.
Con laudizione del Dott. Maurizio Sacconi sono emersi i settori maggiormente a
rischio nel nostro Paese; dalla prostituzione diretta al concorso indiretto attraverso il
turismo sessuale, dal coinvolgimento dei minori nella criminalità organizzata
allaccattonaggio dei bambini.
Dallanalisi della relazione conclusiva del Gruppo di lavoro si evince come gli Stati
nel loro insieme percepiscano il lavoro minorile come un disvalore da rimuovere, il che
consente di attivare politiche istituzionali, ma anche di dare nuova linfa ad importanti
iniziative nel settore privato.
La Commissione ha poi dedicato particolare attenzione allultima Convenzione
stipulata dallOIL nel giugno 1999, la n. 182 sulle forme peggiori di sfruttamento
del lavoro minorile, che reca in allegato una raccomandazione, la n. 190, assai rilevante.
Preme sottolineare la tempestività con cui lItalia ha proceduto alla ratifica della
Convenzione stessa (Legge 25 maggio 2000, n. 148), che ha in sé le potenzialità se non
di debellare, quanto meno di recare un significativo contributo alla lotta contro fenomeni
aberranti, tra cui in particolare lo sfruttamento sessuale dei minori (tale Convenzione,
al novembre 2000, risulta essere stata ratificata da 51 Paesi sui 175 che fanno parte
dellOIL).
Larticolo 3 della Convenzione include infatti tra le forme peggiori di lavoro
minorile "limpiego, lingaggio e lofferta del minore a fini di
prostituzione, di produzione di materiale pornografico o di spettacoli pornografici"
e nellallegata raccomandazione si prevedono, allarticolo 15, una serie di
provvedimenti specifici volti alla proibizione e alla eliminazione delle forme peggiori di
lavoro minorile.
Tali strumenti sono in parte già previsti dalla legislazione italiana, in particolare
dalla legge 269/98, che reca norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della
pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in
schiavitù: si può anzi notare come la legislazione italiana possa considerarsi
allavanguardia, visto che lo sfruttamento sessuale del minore è considerato non
semplicemente una "forma peggiore" di lavoro minorile bensì una forma di
"riduzione in schiavitù".
Daltra parte, anche in Commissione, è stato più volte rilevato come il lavoro
minorile si traduca spesso in una vera e propria forma di riduzione in schiavitù, se è
vero, come risulta da stime prodotte dallUnicef, che circa 120 milioni di bambini in
età compresa tra i 5 e i 14 anni sono impegnati in attività lavorative a tempo pieno.
Questo significa che sono privati del diritto ad una crescita sana ed equilibrata, fatta
quindi di frequenza scolastica, di momenti di gioco ricreativo, in un ambiente familiare
il più possibile funzionale a tale crescita.
Indubbiamente le cause economiche, quindi la povertà, rappresentano il principale fattore
che induce ad impiegare i minori in attività lavorative di vario genere: in famiglia, per
conto terzi, al posto della scuola, dopo la scuola, ecc. Tuttavia non si deve
sottovalutare lelemento culturale tra le cause che spingono a ritenere preferibile
che il minore sia impegnato in attività lavorative piuttosto che di studio e di crescita
personale. Solo così, infatti, si può comprendere come la piaga del lavoro minorile
riguardi non solo i paesi poveri del mondo, ma anche quelli industrializzati, senza
lasciare esente neanche lItalia.
La Commissione ha quindi auspicato, in occasione dell'audizione svolta il 10 febbraio
scorso dal ministro pro-tempore del commercio con l'estero Piero Fassino,
l'approvazione entro la fine della legislatura del progetto di legge concernente la
certificazione di conformità sociale dei prodotti realizzati senza l'utilizzo di lavoro
minorile, che costituirebbe un segnale molto forte, impegnativo e concreto, proprio sotto
il profilo culturale, verso l'eliminazione di questa piaga sociale. Pur trattandosi solo
di un primo importante passo, questo provvedimento intraprende la strada per improntare
lattività di impresa ad un principio di "qualità sociale" oltre che di
"qualità economica", se è vero che il lavoro minorile è indotto da un giro
daffari che spinge soprattutto le imprese occidentali ad importare dai paesi del
terzo mondo prodotti a bassissimo costo, perché realizzati con il lavoro minorile e a
localizzare altresì attività produttive nei paesi del terzi mondo, in particolare in
Asia, per usufruire dei vantaggi di legislazioni meno attente ai diritti dei minori o,
anche se attente, come quella dellIndia, spesso scarsamente attuate per le
condizioni di oggettiva povertà ed indigenza della popolazione.
Con riferimento ai temi oggetto del vertice di Seattle, si è discusso in particolare del
problema dell'abolizione dei dazi applicati alle importazioni che provengono dai paesi
più poveri del mondo e dell'eliminazione del debito pubblico, da collegare ad una
effettiva politica, da parte degli Stati interessati, di rispetto dei diritti fondamentali
dei cittadini e dei minori in particolare.
Anche sotto questo profilo, latto Camera 6126 ed abb. promuove incentivi ed
agevolazioni ai paesi in via di sviluppo che si impegnino ad impedire limpiego del
lavoro minorile da parte delle imprese ubicate nel proprio territorio. Lauspicio è
dunque che prosegua questo impegno economico e culturale da parte dei paesi più ricchi
verso quelli più poveri, sempre con unattenzione particolare ai problemi nazionali
che sono da riferire sia a minori italiani sia soprattutto, a minori stranieri. Per quanto
concerne i primi, linvito è a tenere sempre sotto controllo i fenomeni della
dispersione e dellevasione scolastica, sempre indice di disagio da monitorare con
costanza; per quanto concerne i secondi, si tratta di un fenomeno più complesso che la
Commissione auspica possa essere affrontato nella prossima legislatura, nel suo complesso
ed in tutti i suoi risvolti, visto che non cè minore che chieda lelemosina
che non abbia alle spalle una storia di sfruttamento e di emarginazione, senza arrivare ai
casi ancor più aberranti di sfruttamento del lavoro minorile. Il problema, infatti, è in
questo caso legato ai flussi migratori clandestini e alla tratta di esseri umani che le
organizzazioni criminali hanno posto in essere: dovrà quindi essere effettuato uno studio
accurato per avere una percezione ed una ricognizione anche quantitativa del fenomeno, al
fine di predisporre adeguati strumenti di prevenzione e di contrasto.
Si deve infine ricordare che la Convenzione di New York prevede, oltre
a specifiche disposizioni contro l'utilizzo del lavoro minorile, in particolare l'articolo
32, che vieta lo sfruttamento economico e lavorativo del fanciullo, cui non si deve
pregiudicare il diritto ad una crescita sana ed equilibrata, il divieto di utilizzare
"bambini soldato". L'art. 38, infatti, vieta l'utilizzo dei bambini nei
conflitti armati al di sotto dei 15 anni, limite al di sotto del quale gli Stati si
impegnano a non effettuare alcuna coscrizione obbligatoria.
Su questo tema, come si è ricordato sopra, la Commissione ha votato, il 28 ottobre 1999,
una risoluzione (7-00815 Pozza Tasca), finalizzata in particolare ad impegnare il Governo
a svolgere un ruolo propulsivo ed una campagna di sensibilizzazione per vietare il
reclutamento e la partecipazione ai conflitti armati di minori di anni 18.
Larruolamento obbligatorio al di sotto dei 15 anni di età rappresenta infatti ormai
un crimine contro lumanità, anche se in base a statistiche dellUnicef, più
di 300.000 bambini partecipano ai conflitti del mondo e vi è ragione di ritenere che
molti di essi siano davvero poco più che bambini.
Si deve tuttavia constatare il permanere di alcune delicate questioni tra Stati,
riguardanti in particolare la differenza tra coscrizione obbligatoria e coscrizione
volontaria, in quanto per la prima esiste a livello internazionale un divieto assoluto,
almeno per i minori di quindici anni, ma la possibilità che si ricorra alla seconda
consente di fatto di eludere il divieto.
Mass media, dichiarazioni giudiziali e minori
La Commissione ha dedicato particolare attenzione a questo tema, istituendo un apposito gruppo di lavoro dedicato all'argomento, svolgendo molte audizioni in materia e una specifica missione a Parigi per studiare un sistema, quello francese, che per molti aspetti appare più avanzato del nostro, sia sotto il profilo del controllo sulle trasmissioni, sia sulleventuale applicazione di sanzioni alle emittenti in caso di non ottemperanza delle regole per la messa in onda delle trasmissioni. In particolare, nellambito del gruppo di lavoro, sono state svolte le seguenti audizioni:
Sono state inoltre svolte, nellambito della Commissione plenaria, le seguenti audizioni:
L'attività che è stata svolta ha trovato poi una definizione organica
nel testo di una risoluzione (7-00024 Athos De Luca) approvata, come si è ricordato
sopra, dalla Commissione il 19 luglio 2000, dopo un lungo e approfondito esame.
La portata innovativa di questa tematica costituisce un dato di fatto: soprattutto i
giovani hanno un rapporto continuo con i mezzi di comunicazione e con le nuove tecnologie
la cui rilevanza deve quindi essere considerata non solo sotto un profilo quantitativo, ma
anche e soprattutto qualitativo.
La televisione ha infatti ormai acquisito un ruolo formativo per i giovani, sia per la
funzione mediatica che ha assunto, sia anche per la diffusione stessa del mezzo, ormai
presente in tutte le case; inoltre i giovani si trovano spesso a passare un gran numero di
ore davanti alla televisione per le mutate abitudini di vita della famiglia e, soprattutto
nelle grandi città, per la carenza di adeguati spazi ricreativi che mancano per ragioni
di sicurezza e di scarsa promozione di opportunità.
E bene ricordare che larticolo 17 della Convenzione di New York prevede che
" Gli Stati parti riconoscono limportanza della funzione esercitata dai
mass-media e vigilano affinchè il fanciullo possa accedere a una informazione e a
materiali provenienti da fonti nazionali e internazionali varie, soprattutto se
finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua
salute fisica e mentale. A tal fine, gli Stati parti:
La Commissione intende quindi riproporre in questa sede alcune
soluzioni, che, come si è detto, sono state l'esito di convincimenti maturati a
conclusione del lavoro svolto e sono stati tradotti anche in precisi impegni al Governo
con lapprovazione della menzionata risoluzione, nella convinzione che si debba
seguire da vicino un fenomeno, quello del rapporto tra Tv e minori, che incide da vicino
sulla coscienza e sulla formazione dei giovani.
In particolare, mutuando l'esperienza francese, la Commissione ha ritenuto importante che
si proceda ad una classificazione dei programmi televisivi che sia comune a tutte le
emittenti, prevedendo l'obbligo contestuale di informare preventivamente i telespettatori
di come sia stata classificata l'opera trasmessa ed agendo in sede di Unione europea per
ottenere in tempi brevi la predisposizione di adeguati sistemi di classificazione comuni a
tutti i paesi membri, come previsto dalla direttiva 97/36/CE . Si è visto, infatti, come
la classificazione dei programmi, cui deve corrispondere unapposita segnaletica,
svolga una funzione importante anche in termini di comunicazione e responsabilizzazione
dei genitori, considerando anche che in base alla classificazione dovrebbe poi essere
stabilita una fascia oraria di trasmissione, creandosi così una cultura di attenzione
alla programmazione televisiva. La classificazione, che risponde evidentemente ad
esigenze di controllo, si applica in Francia anche alla pubblicità che, in base al
contenuto, può essere trasmessa solo in determinati orari o non può essere trasmessa
affatto.
Laspetto inoltre del sistema francese che è apparso più convincente del nostro, è
che il rispetto dei codici di condotta, compreso quello di autodisciplina
pubblicitaria, è compreso tra le condizioni per il rilascio ed il rinnovo delle
concessioni televisive, elemento questo che, senza arrivare a dover applicare sanzioni
economiche alle emittenti che violano il divieto, risulta un deterrente efficace.
Per questo la Commissione ritiene importante inserire il rispetto dei codici e di altre
carte similari, compreso il codice di autodisciplina pubblicitaria, fra le condizioni per
il rilascio ed il rinnovo delle concessioni televisive, richiedendo altresì il rispetto
delle fasce orarie di programmazione protetta per i minori.
Anche il tema della pubblicità televisiva rivolta ai minori ha rappresentato un
momento di approfondimento da parte della Commissione che ritiene in particolare opportuno
vigilare con attenzione sulle forme di pubblicità ingannevole e occulta, vietando
comunque le interruzioni pubblicitarie nei programmi destinati ai minori aventi durata
inferiore ai 30 minuti, divieto questo che già esiste, ma che può essere
"aggirato" dalle emittenti attraverso la messa in onda di appositi
"programmi contenitori" di durata superiore ai 30 minuti. A questo proposito va
ricordato che, nel caso della missione di Stoccolma (12-13 febbraio 2001) la Commissione
ha potuto verificare come la legislazione svedese sia particolarmente avanzata in materia
di pubblicità televisiva, sancendo il divieto di "spot" aventi la
finalità di attrarre l'attenzione dei bambini sotto i 12 anni, il divieto di trasmettere spot
immediatamente prima o dopo i programmi per bambini nonché il divieto per presentatori di
programmi per bambini di apparire negli spot.
La Commissione ritiene inoltre importante valorizzare la cultura italiana incentivando ad
esempio la produzione nazionale di cartoni animati di qualità, mentre ragioni di
carattere economico e di minor costo dei programmi inducono ad importare dallestero
prodotti spesso di bassa qualità e soprattutto estranei alla nostra tradizione e cultura.
Su questi temi la Commissione auspica che si possa promuovere, ormai nella prossima
legislatura, un convegno ed un Osservatorio a livello istituzionale al fine di confrontare
le normative nazionali e di sintetizzare la pluralità di codici di autoregolamentazione
esistenti in un unico codice di disciplina europeo corredato da un sistema sanzionatorio
univoco, rapido ed efficace.
Questi sono i principali impegni che la Commissione ha ritenuto di rivolgere al Governo
nell'ambito della risoluzione sul rapporto tra Tv e minori e che riconferma in questa
sede, nellambito dei poteri di proposta che le competono ai sensi dell'art. 1, comma
5, della legge 451/97.
Preme sottolineare che si tratta di impegni riconosciuti in linea di principio anche nel
Piano d'azione per l'infanzia e l'adolescenza (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del
21/08/00 n. 194), su cui la Commissione ha espresso il previsto parere (ex art. 2
della legge 451/97) e che, come è noto, ha come obiettivo proprio quello di
"conferire priorità ai programmi riferiti ai minori" e di prevedere "forme
di potenziamento e di coordinamento delle azioni svolte dalle pubbliche amministrazioni,
dalle regioni e dagli enti locali".
L'auspicio è che queste valutazioni possano costituire nella prossima legislatura una
base di partenza dalla quale l'Italia possa farsi Paese promotore di un più ampio e
innovativo orientamento a livello comunitario, visto che l'Europa ha dimostrato di essere
particolarmente attenta a queste tematiche ed in particolare alle norme sulla pubblicità
televisiva.
1. Libertà del fanciullo e giustizia minorile
3.1 Devianza e giustizia minorile
Su questo tema, nelle sue diverse articolazioni, si sono tenute le seguenti audizioni:
Quanto al fenomeno della devianza minorile, si è inteso avviare uno
studio che, partendo dalla comprensione del fenomeno, avesse come obiettivo quello di
evidenziare le cause che portano alla formazione di una criminalità che vede come
soggetti attivi i minori stessi. Dalla considerazione di fondo che il fenomeno della
devianza e della criminalità minorile è una problematica che investe tutto il territorio
italiano e dalla contestuale scelta di non privilegiare le emergenze contingenti, si è
proceduto ad una serie di audizioni, che hanno visto alternarsi presidenti di tribunali
dei minori, direttori di carceri minorili, procuratori della Repubblica, il direttore
centrale per la giustizia minorile, pedagogisti ed esperti in comunicazione minorile, i
quali hanno riportato le loro esperienze e le loro preoccupazioni. Tante voci che hanno
parlato in coro, giacché il quadro delle problematiche e delle auspicate riforme atte a
dirimerle hanno tracciato il medesimo disegno generale.
Innanzitutto si è evidenziata la necessità di operare un distinguo tra devianza e
criminalità, che non sono sinonimi. La prima si può ricondurre a una
sintomatologia patologica del minore nei confronti dellambiente circostante, che lo
porta ad adottare comportamenti non convenzionali: solo quando questi raggiungono, per la
coincidenza di altri fattori esterni, unintensità particolare, il minore arriva a
delinquere passando nel circuito della criminalità.
Sin dall'inizio è emersa la causa a monte del disagio accusato dal minore:
"lambiente che lo circonda". Un ambiente che è composto dalla famiglia,
dalla scuola, dal territorio in cui vive. E emersa quindi la necessità di agire su
questi elementi soprattutto in termini di prevenzione. Soffermarsi da subito sulla
prevenzione significa aver ben presente che nel momento in cui il minore comincia a
delinquere ed entra nel sistema penale, anche se nella migliore delle ipotesi dovesse
uscirne, ne rimarrà sempre segnato.
Evitare che un minore passi attraverso il sistema penale significa dunque: togliere i
bambini e i ragazzi dalla strada e da un "isolamento culturale".
Un gran numero di bambini e adolescenti che vivono nel Sud del Paese crescono in
strade fatte di fango, senza una famiglia che li segua, senza andare a scuola, senza
assistenza da parte dei servizi sociali, "facili prede" della criminalità
organizzata che li arruola in vere e proprie "scuole criminali" dove vengono
indirizzati a commettere reati.
Ma non bisogna dimenticare né sottovalutare la solitudine e a volte lemarginazione
sociale in cui vivono molti ragazzi specialmente del Nord dellItalia, in città come
Milano o Torino, dove la mancanza di luoghi idonei e lassenza quotidiana della
famiglia, li pone davanti alla scelta di passare la giornata davanti alla Tv o in una sala
giochi, dove lo scarto tra aspettative e opportunità che il mondo offre cresce in senso
esponenziale e tutto questo, unito allesigenza di autoaffermazione e di "uscire
dal mucchio", crea comportamenti prevaricatori e violenti; difatti lincidenza
maggiore di casi quali il cosiddetto bullismo o le baby-gang dedite alla piccola
delinquenza, si riscontrano proprio nelle regioni del Nord.
La logica conseguenza di questo problema, evidenzia altre considerazioni importantissime e
dalle quali non si può prescindere:
Quanto al primo aspetto, occorre dire che il fenomeno della
"dispersione scolastica" è uno dei mali che incide più degli altri
sullaumento del disagio psichico del minore e non a caso è stata definita come
lanticamera della devianza. Ci si è chiesti, durante il corso delle varie
audizioni, di "chi siano figli" i ragazzi che non vanno a scuola ma,
soprattutto, è stato segnalato un comportamento talvolta omissivo da parte degli
educatori scolastici, che non segnalano i casi in cui lo studente si assenta spesso o
manca completamente da scuola. Una maggiore attenzione probabilmente permetterebbe ai
servizi sociali o ai tribunali per i minori di intervenire subito in caso di situazioni a
rischio.
Quanto al secondo aspetto, una zona degradata produce degrado sociale, per questo
occorrono una serie di provvedimenti che rendano più vivibile lambiente da parte
della comunità minorile e adolescenziale. Proprio questultima fascia di ragazzi tra
i 14 e i 17 anni, nonostante siano state assunte numerose iniziative per migliorare le
strutture a favore dei minori, è stata spesso dimenticata. Rendere un territorio vivibile
significa pensare anche a spazi idonei, fornendo servizi degli enti territoriali per la
comunità o luoghi dincontro, anche autogestiti, per i ragazzi.
Al riguardo appare doveroso segnalare un problema che è stato posto in Commissione,
quello cioè della diversità delle strutture territoriali. In effetti con il DPR 616/77
sono state decentrate alle regioni e ai comuni le competenze per creare strutture
territoriali socio-educative per i minori. Tuttavia, mentre alcuni enti territoriali hanno
ottemperato alle carenze strutturali del loro territorio, molti altri, (ed ancora una
volta bisogna purtroppo segnalare la difficile situazione di gran parte del Mezzogiorno),
si trovano assai indietro rispetto alle esigenze della comunità. Sulla base delle
considerazioni esposte, la Commissione ha definito alcuni "fattori di rischio",
che possono causare la devianza minorile, in particolare la dispersione scolastica, la
mancanza di strutture territoriali, il fenomeno dellinfanzia abbandonata.
Un aspetto su cui bisogna impegnarsi, perché fondamentale per la crescita del ragazzo, è
quindi la scuola, che deve essere ripensata non solo come luogo dove lo studente riceve
educazione; linsegnante, soprattutto in contesti sociali particolarmente delicati,
non dovrebbe essere solo un educatore, ma dovrebbe cercare di essere anche e soprattutto
una guida che sappia rilevare le eventuali situazioni di rischio. La scuola deve essere in
grado di creare nuovi spazi che stimolino la mente del ragazzo, che occupino il suo tempo
oltre il normale svolgimento dellorario scolastico, eventualmente coinvolgendo anche
altre professionalità, in modo da sopperire alleventuale assenza delle famiglie,
cercando di evitare che minori ed adolescenti che vivono un disagio familiare finiscano
sulla strada.
Per questo gli istituti scolastici, pur nell'ambito dell'autonomia che ne caratterizza
l'organizzazione, dovrebbero forse valutare con attenzione lopportunità di
sperimentare un percorso di scuola a tempo pieno, con attività integrative che possano
andare dallo sport, al teatro, ad attività formative nonché al "volontariato",
per insegnare al giovane a vivere in società con spirito di solidarietà verso il
prossimo.
E naturale che questo sforzo non si possa chiedere soltanto agli insegnanti, ed
emerge allora lopportunità di creare figure specializzate che siano di supporto a
queste attività.
Lazione territoriale è l'aspetto che secondo la Commissione necessita di interventi
più incisivi perché è forse l'elemento principale da cui nascono patologie devianti; si
è ritenuto che gli enti territoriali debbano farsi promotori diniziative volte alla
creazione di strutture e servizi, sia per il minore sia per la famiglia.
Al riguardo, è bene ricordare che la L. 285/97 consente agli enti privati e in
particolare alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) di avere un
ruolo attivo nella definizione dei piani di intervento elaborati dagli enti locali.
La Commissione è convinta, quindi, che unazione di promozione da parte dello Stato
stesso sul territorio possa stimolare la creazione di nuove strutture e sia di aiuto ad un
corretto uso della legge e dei finanziamenti.
E' stato anche osservato che, pur rispettando le competenze delle regioni e degli enti
territoriali, questi non vengano lasciati soli nella valutazione delle scelte.
La Commissione auspica pertanto la creazione di osservatori sulle problematiche
dell'infanzia articolati anche a livello provinciale, che costituiscano una rete integrata
tra gli operatori sociali (prefettura, ASL, provveditorato agli studi, tribunale dei
minori, organizzazioni no-profit), che intervengono sui problemi sull'infanzia ai
fini di un migliore e più efficace coordinamento tra i vari soggetti istituzionali.
In questo modo, sarebbe possibile avere un quadro complessivo dellassetto
territoriale, sotto il profilo dei servizi, di tutte le regioni, si potrebbe monitorare
lapplicazione e la realizzazione delle opere create per mezzo della legge 285/97,
stimolare eventualmente la presentazione di nuovi piani dintervento, e, nel caso,
intervenire centralmente ove si riscontri una inerzia da parte delle autonomie locali.
Per quel che attiene in particolare alla tipologia degli interventi, registrata la carenza
dei presidi territoriali e di strutture sanitarie, si riterrebbe importante la creazione,
specialmente in quelle regioni del sud colpite da degrado ambientale e dove la delinquenza
minorile sul territorio risulta una componente costante, di centri di risocializzazione
nei quartieri a rischio e di centri di accoglienza per i minori. Questo anche per
ovviare al grande problema costituito da quei 45 mila minori che delinquono ma che
non sono punibili dalla giustizia perché al di sotto della soglia dei quattordici anni;
se i giovani non vengono aiutati a reinserirsi nella società, prima o poi entreranno di
nuovo nel circuito penale.
I centri di risocializzazione e di accoglienza dei minori devono essere diretti da
personale qualificato, mediante corsi di specializzazione e di aggiornamento
professionale.
3.2 Dalla devianza alla criminalità
Più complesso è il discorso che riguarda la giustizia minorile, con
particolare riferimento allipotesi dei minori imputabili, cioè maggiori di
quattordici anni, che commettono un reato e ne siano perciò penalmente responsabili.
Prima di affrontare questo complesso discorso, è opportuno ricordare alcuni brani della
Convenzione sui diritti del Fanciullo del 1989, che allart. 3 recita: "In tutte
le decisioni relative al fanciullo, di competenza dellautorità giudiziaria,
amministrativa o legislativa, linteresse superiore del fanciullo deve essere una
considerazione preminente"; e allart. 37 lettera b) recita:
"Larresto, la detenzione o limprigionamento di un fanciullo devono essere
effettuati in conformità della legge, costituire un provvedimento di ultima risorsa ed
avere durata più breve possibile", che in altre parole significa non solo che la
detenzione deve essere l'extrema ratio, ma che ogni provvedimento inflitto
al minore deve tendere alla sua rieducazione e al reinserimento nella società.
Il sistema penale relativo ai minori in Italia è assai complesso in quanto non esiste una
normativa omogenea, bensì provvedimenti legislativi diversi e disorganici che ne rendono
spesso difficile unapplicazione uniforme.
Visti i principi fondamentali, la residualità della detenzione, la rieducazione e la
risocializzazione del reo, che in base alla Convenzione di New York devono ispirare la
legislazione giudiziaria indirizzata ai minori, si può dire, riguardo al primo punto, che
lordinamento italiano ha compiuto notevoli passi avanti ancor prima che venisse
approvata la Convenzione di New York, con lapprovazione delle disposizioni sul
processo penale a carico di imputati minorenni (DPR 448/88) per cui si può senz'altro
sostenere che la residualità della detenzione è nel nostro ordinamento un fatto già
esistente.
Difatti, seguendo le misure stabilite dal citato decreto legislativo, al minore che entra
nel registro degli indagati si applicano:
se si trova nella fase istruttoria del processo, una serie di peculiari misure cautelari,
e cioè:
se si trova, invece, nella fase esecutiva del processo, si applicano misure sostitutive alla pena detentiva e cioè:
Un'altra misura che si è rivelata uno strumento idoneo per il recupero
del minore, nel senso di evitargli il travaglio di un processo penale, è la "messa
alla prova". Lart. 28, primo comma, del DPR 448/88, stabilisce che il giudice,
quando ritiene di dover applicare tale procedura, può disporre la sospensione del
processo con ordinanza, con la quale affida altresì il minorenne ai servizi minorili
dellamministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con
i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con
la medesima ordinanza, il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le
conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa
dal reato. In base a questa procedura, al minore, normalmente sin dalla fase istruttoria,
viene evitata la sottoposizione al processo penale, in base ad un progetto messo a punto
dai servizi sociali: decorso il periodo di sospensione, il giudice, se ritiene che la
prova abbia dato esito positivo, tenuto conto del comportamento del minore e della
evoluzione della sua personalità, dichiara con sentenza estinto il reato.
Sul piano amministrativo, inoltre, i giudici sovente utilizzano una misura prevista
dallart. 25 del RDL del 1934, (istitutivo dei Tribunali dei minori) finalizzata a
monitorare la vita del minore a rischio quando su di esso non si può procedere
penalmente. In base a questarticolo, il giudice può affidare il minore o ai servizi
sociali o prevederne il ricovero in una casa di cura, ma visto che queste ultime sono
state chiuse nel 1978, residua solo lopportunità dei servizi sociali che, come si
è detto, sono spesso territorialmente carenti.
Questo è un problema che molti procuratori della repubblica auditi hanno sollevato in
commissione, in quanto lart. 25 è uno strumento che ben si adatta ad essere
applicato ai minori non imputabili, ovvero quando il fatto, pur irrilevante penalmente è
indice di una situazione a rischio.
In base alla vigenza di queste norme, si è rilevato statisticamente che la popolazione
minorile presente nelle nostre carceri è scesa dal 1991 ad oggi da 6.000 ingressi
giornalieri a 430/450 in tutto il territorio italiano.
Tuttavia, è necessario svolgere al riguardo alcune considerazioni. Dai dati che sono
stati esposti in Commissione, il numero dei reati commessi da minori non sembra cresciuto
notevolmente negli ultimi anni, ma ne è senza dubbio peggiorata la qualità, nel senso
che è più elevato il numero dei reati gravi e delle recidive, segno, quindi, che non
hanno ben funzionato i sistemi per la rieducazione.
Inoltre, le presenze negli istituti di detenzione minorile sono notevolmente scese negli
ultimi anni grazie ad una serie di strumenti che evitano al minore di scontare la pena in
detenzione; secondo stime della Direzione Centrale per la giustizia minorile sono 25.000
in Italia i minori condannati o in corso di essere giudicati da un tribunale che si
trovano fuori dal carcere.
Si tratta però di valutare come questi minori che hanno commesso reati, ma ai quali è
permesso di scontare la pena fuori dal carcere, vengono poi seguiti. Si deve quindi
nuovamente parlare della carenza o almeno della non omogeneità delle strutture
territoriali presenti nel paese per la rieducazione del reo.
D'altra parte, solo il 30-40% dei minori delinque per debolezza o trascuratezza, mentre il
restante 60% commette reati su istigazione del maggiorenne, o, meglio, sono le
organizzazioni criminali che li arruolano perché è ben noto che un minore è punito in
maniera diversa per il reato commesso e inoltre costituisce una "manovalanza" a
costi più bassi.
La situazione tra il nord e il sud del Paese è comunque molto differenziata. Al sud si è
registrata una forte componente minorile allinterno delle organizzazioni criminali,
si sta parlando di minori imputati per concorso in associazione mafiosa o per
pluriomicidio, mentre al nord è più grave il coinvolgimento dei minori nello spaccio di
sostanze stupefacenti: a Milano un ragazzo guadagna 2-3 milioni a settimana spacciando
droga, a Gela un ragazzo per 500 mila lire può uccidere una persona. Si deve tuttavia
riflettere sul fatto che rinchiudere in un istituto penitenziario un minore che si è
macchiato di certi reati non fa altro che aumentare la sua aggressività. Egli ben presto
diverrà, come è stato detto da autorevoli psicologi in Commissione, un leader
allinterno della stessa struttura carceraria; ma quale misura alternativa gli si
può applicare sperando nel buon esito della stessa, se mancano strutture e personale? E
come si fa a pensare di rimandare il minore nello stesso ambiente familiare, se è da lì
che parte limpulso a delinquere?
Il modo di pensare la detenzione carceraria dei minori in Italia, peraltro, è molto
allavanguardia rispetto anche a paesi come la Francia o lInghilterra perché
le strutture improntano la loro attività sulla rieducazione.
Il minore soggiorna nelle celle solo per dormire, mentre dalla mattina alla sera è
occupato con una serie di attività di recupero, di svago e di preparazione professionale.
Degno di citazione lesempio che ha portato in Commissione il direttore del carcere
di Airola (NA), ove si sta per creare, in unala esterna della struttura carceraria,
una sezione della scuola alberghiera di Stato di Benevento, per permettere ai giovani
detenuti dimparare una vera professione da poter esercitare una volta scontata la
pena.
Enormi sforzi, perché il personale allinterno delle carceri, tra tecnici,
educatori, assistenti sociali solo per citarne alcuni, è molto carente: dovrebbero
essere, secondo il centro di giustizia minorile, 1.249, mentre ne sono operativi 684,
senza poi parlare del personale amministrativo e direttivo.
Un altro problema presente con incidenza al nord è quello della forte presenza dei minori
stranieri.
Il fatto che in strutture come quelle di Torino o Milano la percentuale di stranieri sia
superiore al 50% non vuol dire, però, che questi stranieri delinquono di più di quelli
italiani, significa al contrario che ad un minore straniero entrato clandestinamente e del
quale si ignorano le esatte generalità, non si possono applicare le misure alternative
alla detenzione in carcere.
Purtroppo sembra che le strutture italiane si siano trovate impreparate ad affrontare
questo afflusso di minori stranieri. Mancano strumenti di supporto per una loro
rieducazione, personale specializzato che conosca la loro cultura (ed infatti la
reiterazione del reato da parte degli stranieri è molto diffusa) e che sappia comprendere
le realtà da dove provengono.
Cosciente che il quadro delineato non ricomprende tutta la problematica della giustizia
minorile, la Commissione ritiene di poter avanzare alcune proposte, auspicando se non per
questa, per la prossima legislatura, lapprovazione di provvedimenti di grande
importanza.
In particolare, la Commissione auspica che:
I contenuti dellanalisi e delle proposte sviluppate sopra possono essere sintetizzati nello schema allegato.
Tabella 1.
Schema delle proposte conclusive in materia di giustizia minorile
FATTORI DI
RISCHIO DELLA DEVIANZA MINORILE |
PROPOSTE DI
PREVENZIONE DEL FENOMENO DELLA DEVIANZA MINORILE |
Dispersione scolastica | Introduzione nella scuola di
figure specializzate che integrino il ruolo dellinsegnante Scuola a tempo pieno con attività integrative |
Degrado territoriale | Promozione degli interventi
proposti dalla legge n. 285/97 Creazione di Osservatori sulle problematiche dellinfanzia , di centri di risocializzazione nei quartieri a rischio e di centri di accoglienza per i minori Ampli amento del personale qualificato sul territorio |
Abbandono familiare | Azione di supporto alle famiglie tramite i servizi sociali e le scuole |
PROBLEMATICHE RELATIVE ALLA CRIMINALITÀ MINORILE |
PROVVEDIMENTI
DI RECUPERO |
Legislazione per i minori disorganica | Approvazione di un testo unico
comprensivo di tutta la materia relativa alla giustizia minorile Approvazione dellordinamento per i servizi minorili |
Aumento dei reati gravi commessi da minori | Istituzione di un Tribunale per la famiglia in sostituzione dellattuale tribunale per i minori |
Esistenza di vere e proprie scuole criminali per minori | Inserimento di un magistrato competente in giustizia minorile nelle organizzazioni antimafia ed anticamorra |
Forte presenza di minori stranieri nelle carceri minorili | Potenziamento del personale degli istituti penitenziari minorili e massima specializzazione per far fronte alle esigenze dei minori stranieri |
4. Affidamento, affido e adozioni
Su questo tema si sono svolte le seguenti audizioni:
Nel corso dellindagine conoscitiva sullattuazione della
Convenzione di New York, la Commissione bicamerale per linfanzia ha ritenuto di
approfondire la materia delle adozioni e degli affidi. In particolare la legge di ratifica
della Convenzione fatta a LAja il 29 maggio 1993 (legge n. 476/98) ha
sostanzialmente modificato il quadro precedente e ha imposto alcune riflessioni.
La prima normativa italiana sulle adozioni risale alla legge n. 431 del 1967 perfezionata
in seguito dalla legge n .184 del 1983 attualmente in vigore, che ha introdotto nel nostro
ordinamento listituto delladozione legittimante, rivoluzionando il concetto di
adozione esistente sino a quel momento, in quanto ladozione è stata concepita come
strumento a totale interesse del minore e non degli adulti, che fino a quel momento
avevano addirittura potuto "scegliere" il minore in istituto.
"Il minore ha diritto ad essere educato nellambito della propria
famiglia": con questa citazione si apre tutto il lungo iter della legge n.
184, che ha riguardato la disciplina dellaffidamento dei minori, laffidamento
preadottivo, ladozione internazionale.
Pur riconoscendo la legge n.184 come un valido e buono strumento normativo, il legislatore
in questi ultimi anni ha compiuto una positiva riflessione per introdurre alcuni
accorgimenti dettati dallesperienza del poi. Difatti, non solo tutta la delicata
normativa sulle adozioni internazionali è stata rivista, ma un lungo lavoro si sta
compiendo anche per novellare il restante testo della legge n..184, in special modo per
linnalzamento della differenza detà tra adottato ed adottanti, per quanto
riguarda le informazioni concernenti lidentità dei genitori biologici, e al fine di
perfezionare lo strumento dellaffidamento familiare.
La Commissione, nel rispetto dei suoi poteri dindirizzo e controllo, ha dato luogo,
nel corso del suo mandato, ad alcune audizioni specificatamente sul tema
dellapplicazione della nuova normativa sulle adozioni internazionali. Si è ritenuto
opportuno, infatti, non esprimere valutazioni sulla riforma della legge n. 184 nella sua
globalità, in quanto il suo iter legislativo era già in corso nelle aule del
Senato.
Il 31 dicembre 1998, è dunque entrata in vigore nel nostro Paese la legge n. 476 di
ratifica della Convenzione in materia di adozioni internazionali fatta a LAja il 29
maggio 1993, novellando così la precedente legge n.184/83.
Con questa legge di ratifica lItalia ha assolto un importante dovere di adattamento
della propria legislazione sui minori ai principi sanciti a livello internazionale,
creando forti aspettative verso un sistema incentrato su una maggiore facilitazione e
legalità, nell'interesse superiore del minore.
La modifica sostanziale al precedente sistema riguarda:
Il vecchio art. 38 della legge n.184/83 disciplinava in poche righe che
"Il Ministro per gli Affari Esteri, di concerto con il Ministro di Grazia e
Giustizia, può autorizzare enti pubblici o altre organizzazioni idonee allo svolgimento
delle pratiche inerenti alle adozioni internazionali", mentre solo nel giugno del
1985 si è giunti ad un regolamento di attuazione con il decreto interministeriale
intitolato appunto "Principi e criteri per il rilascio dellautorizzazione allo
svolgimento delle pratiche inerenti alladozione di minori stranieri da parti di enti
ed organizzazioni". I requisiti per ottenere lautorizzazione erano precisati
nellavere personalità giuridica, e nel fatto che vi fosse mancanza di ogni
finalità di lucro e unadeguata struttura organizzativa ed operativa.
Il fatto che il citato art. 38 della legge n. 184 non prevedesse lobbligatorietà
dellautorizzazione per procedere allattività dintermediazione e
considerando che lo stesso decreto interministeriale del 1985, pur buono
nellindividuazione dei principi che poneva come requisiti per gli enti, comportava
una eccessiva lunghezza di tempi e di procedure (specialmente per il riconoscimento della
personalità giuridica) è una premessa importante per comprendere quanto è avvenuto in
seguito.
Alla fine del 1986 solo quattro enti avevano chiesto ed ottenuto lautorizzazione per
lintero territorio internazionale e nel 1995 , anno in cui lItalia firmò la
Convenzione dellAja, gli enti che avevano un riconoscimento formale
alladozione internazionale erano solamente 10.
Un dato ancora da segnalare è che dallentrata in vigore della legge n.476, quindi
dal 31 dicembre 1998 fino al 2 maggio di questanno, quando cioè la Commissione per
le adozioni internazionali è divenuta operativa, gli enti sono aumentati a 31.
Una crescita esponenziale di richieste di autorizzazioni, probabilmente da addursi al
timore degli enti, che fino a quel momento avevano operato liberamente, di vedersi negata
liscrizione allalbo.
Se si pensa che nel quinquennio 1995/1999 il numero delle adozioni internazionali
realizzate nel nostro Paese è stato di 12.479, delle quali per la quasi totalità
rimangono sconosciute le procedure utilizzate, è comprensibile lallarmismo che ha
spinto il legislatore alla ratifica della Convenzione dellAja.
In effetti la nuova normativa prevista dalla legge n. 476/98 ruota intorno alla figura di
questa commissione centrale che non solo procede a controlli periodici sugli enti
autorizzati per riscontrarne la capacità strutturale e tecnica, ma effettua anche un non
facile monitoraggio su tutte le adozioni da questi enti effettuate.
Se il principio della Convenzione è stato, infatti, quello di trasformare latto
delladozione in uno strumento di solidarietà e di sostegno ad un minore in stato di
abbandono e povertà, e non in un mezzo per il soddisfacimento dei bisogni di una coppia
di adulti, allora, prima di sradicare un minore dalla propria terra è necessario sapere
con esattezza da dove provenga il bambino, se sia stato adottato nei suoi confronti un
decreto di adottabilità dal Paese dorigine e se le eventuali condizioni di
indigenza e povertà in cui vivono le famiglie di questi bambini siano condizione
sufficiente per affidarli ad una famiglia "benestante".
Per anni infatti è esistito un "mercato di bambini", come giustamente è
stato definito, mentre la nuova normativa opera affinché questa dizione venga dimenticata
per sempre.
Al riguardo sembra che ancora oggi le adozioni avvengano in Paesi che non hanno né
firmato né ratificato la Convenzione dellAja, e purtroppo si deve constatare che
spesso i minori vengono ricercati in questi Paesi perché le procedure sono più facili.
Se questo è vero la Commissione auspica che lorgano centrale di controllo eserciti
tutta la sua autorità per controllare che ladozione si perfezioni secondo regole
certe e conformi ai principi della Convenzione.
Il 1° dicembre 1999, è stato emanato, col D.P.R. n. 492, il Regolamento recante le norme
per la costituzione, lorganizzazione ed il funzionamento della Commissione per le
adozioni Internazionali, che di fatto ha reso operativa la legge n. 476.
Occorre ricordare che i requisiti richiesti dallart. 39-ter della legge n.
476/98 per considerare un ente autorizzato a svolgere le adozioni internazionali sono i
seguenti:
E subito evidente che con la nuova normativa è scomparso il
requisito della personalità giuridica.
Altro elemento da sottolineare è che lart. 39-bis evidenzia un ruolo
importante per le Province e per le Regioni.
Questi Enti, infatti, con la nuova legge dovranno svolgere, oltre ad interventi di
formazione, una funzione di rete tra i servizi territoriali sociosanitari, gli enti
autorizzati ed i tribunali dei minori, privilegiando lo strumento dei "protocolli
operativi". In effetti, risulta che, alla data del 5 novembre 1999, già dieci
regioni o Province autonome si erano attivate per dare applicazione alla legge 476/98 e
garantire "livelli adeguati dintervento".
Un altro organo che entra a far parte del circuito per il perfezionamento
delladozione internazionale è il Tribunale dei minori, al quale gli aspiranti
genitori adottivi presentano la "dichiarazione di disponibilità" ad
"accogliere" un minore straniero; il tribunale stesso, avvalendosi delle
relazioni fornite dagli esperti dei servizi socioassistenziali non solo rilascia il
decreto didoneità o non idoneità alladozione, ma verifica e valuta, nel
corso dei procedimenti successivi, la documentazione italiana e estera, la regolarità
degli stessi procedimenti ed ordina la trascrizione del provvedimento di adozione nei
registri di stato civile.
Sono stati così individuati tutti gli organi preposti dalla legge al concorso
dellavviamento e del perfezionamento delladozione internazionale:
Ricostruito il momento procedurale delladozione internazionale
secondo la nuova normativa, la Commissione bicamerale per linfanzia, nel corso delle
audizioni dei rappresentanti degli enti autorizzati e non, di Presidenti dei tribunali per
i minori, dei rappresentanti degli enti locali e del Presidente della Commissione per le
adozioni internazionali, ha rilevato alcuni aspetti problematici che i rappresentanti
delle varie categorie hanno evidenziato nel corso delle loro relazioni alla commissione.
Appare in questa sede doveroso segnalare che il collegamento territoriale che la legge ha
voluto fortemente valorizzare è lontano nella maggior parte del Paese dallessere
una realtà concreta: manca spesso, in altri termini, un coordinamento soprattutto tra i
servizi territoriali e gli enti autorizzati che si sentono entrambi detentori delle
medesime competenze e restii ad una seria collaborazione. A farne le spese sono purtroppo
le famiglie costrette a volte a dover ripetere gli esami ed i colloqui con gli psicologi
sia per i servizi territoriali che per lente, con un incremento di spese, ma
soprattutto di complicazioni a livello emotivo.
E pur vero che in molte regioni, specialmente nei comuni più piccoli, è stata
registrata una forte carenza di servizi che non solo incide in senso negativo riguardo
alla cooperazione con gli enti, ma rallenta notevolmente anche le procedure per ottenere
il decreto didoneità da parte del Tribunale: è infatti in base alla relazione
stipulata dai servizi che il tribunale decide lidoneità o la non idoneità
alladozione.
Per ovviare a questi inconvenienti, appare necessario un intervento tempestivo delle
regioni, che stimolino tavole rotonde tra enti, servizi e rappresentanti del tribunali per
stilare protocolli operativi, ed intervenire là dove le carenze strutturali siano
maggiormente evidenti.
Inoltre sarebbe opportuno che le Regioni facessero una scelta di partecipazione o di
compartecipazione alle spese sostenute dalle famiglie necessarie per la stesura della
documentazione che va al tribunale, secondo un principio di sussidiarietà che si evince
dalla Convenzione stessa. Attualmente solo 5 Regioni hanno disposto la partecipazione alle
spese per le prestazioni sostenute dalle famiglie.
Con la nuova normativa, lintervento delle regioni è divenuto quasi un obbligo nei
confronti della comunità , in quanto la legge n. 476/98 impone alle famiglie che
intendono avanzare una richiesta di adozione di avvalersi soltanto degli enti e delle
strutture della loro regione: un comportamento omissivo rischia quindi di creare delle
discriminazioni territoriali riguardo alle opportunità offerte alle famiglie.
Sempre con riferimento alle Regioni, si è riscontrato, con la pubblicazione
dellalbo degli enti autorizzati, (deliberazione 18 ottobre 2000 della Commissione
per le adozioni internazionali, pubblicata nel S.O., n. 179 alla G.U n. 255 del 31 ottobre
2000) che purtroppo due regioni, il Molise e la Valle dAosta non dispongono di enti,
perché nel primo caso è stata negata lautorizzazione ad un ente e nellaltro
non sono state presentate richieste. Dato che lart. 39-bis dà facoltà alle
regioni di istituire un proprio servizio che abbia le stesse caratteristiche e svolga la
medesima attività degli enti autorizzati, sarebbe auspicabile che le regioni in questione
attivassero il menzionato articolo.
Per il momento la nuova realtà delle adozioni internazionali e dellalbo degli enti
autorizzati è ancora in divenire, sta crescendo ed ha bisogno di crescere.
Si tratterà, allora, di creare quella rete di servizi di cui prima si è accennato,
assicurando che in tutte le regioni sia possibile disporre di almeno un ente che permetta
adozioni internazionali in tutti i paesi stranieri; sarà altresì necessario procedere ad
accordi bilaterali con quei Paesi che non hanno sottoscritto né ratificato la Convenzione
dellAja, e aiutare e sostenere la famiglia che ha effettuato unadozione a
costruire una nuova identità familiare con un bambino di un paese diverso.
A conclusione di questa breve panoramica sulle adozioni internazionali, è bene ricordare
nuovamente che lart.1 della legge n.184 stabilisce che "Ogni bambino ha diritto
di essere educato nellambito della propria famiglia".
Così un bambino straniero ha diritto di crescere nellambito della propria terra e
del proprio Paese dorigine; così alladozione internazionale è giusto
ricorrere unicamente quando nel paese dorigine tutto si è cercato di fare affinché
il bambino in abbandono trovi nella sua patria la famiglia sostitutiva che gli è venuta a
mancare.
5. Il fenomeno della pedofilia
Su questo tema sono state svolte le seguenti audizioni:
Gli eventi bellici che hanno scosso i Balcani e le conseguenti
ripercussioni sulle migliaia di profughi, in particolare minori, sono stati occasione di
dibattito anche allinterno della Commissione bicamerale per linfanzia, che ha
effettuato una missione nel giugno 1999 presso il campo profughi di Comiso, al fine di
conoscere più da vicino le problematiche connesse ai flussi migratori sul nostro
territorio, verificando altresì quali fossero le condizioni di permanenza nei campi di
accoglienza.
Si è quindi avuto modo di riflettere sul legame purtroppo esistente tra immigrazione e
tratta delle persone, con particolare riferimento a donne e minori, destinati al mercato
dello sfruttamento sessuale e della prostituzione. In questo delicato quadro, anche il
fenomeno dei minori scomparsi è apparso strettamente correlato a queste tematiche.
A conclusione di un lavoro di approfondimento effettuato soprattutto con audizioni di
esperti, tra cui anche i responsabili della polizia postale e delle comunicazioni, che è
il corpo di polizia specializzato nella lotta alla pedofilia via internet, la Commissione
ha messo a punto una risoluzione in materia di pedofilia il cui testo è stato concordato
tra tutti i gruppi parlamentari.
Il percorso si è svolto lungo le seguenti linee direttrici:
Per ciò che concerne il sistema dei minori scomparsi, i dati forniti
dal Ministero dellInterno parlano di 6.870 denunce di scomparsa di minori tra il
1998/1999, di cui 3380 nel 1998 e 3.490 nel 1999; 5202 sono stati rintracciati o sono
ritornati spontaneamente a casa (circa l80%), mentre 1668 sono ancora irreperibili.
Rispetto a questi dati, occorre svolgere alcune considerazioni.
La grande maggioranza dei minori scomparsi sono stranieri entrati nella quasi totalità
dei casi in Italia clandestinamente che si allontanano dai centri di accoglienza.
Dei 1668 minori ancora da rintracciare, infatti, 1448 sono minori stranieri per lo più
albanesi e marocchini, mentre solo 240 sono rappresentati da minori italiani; inoltre,
l80% degli scomparsi italiani si sono volontariamente allontanati dal proprio
domicilio e alcuni sono stati sottratti da uno dei coniugi durante il procedimento di
separazione.
Lattività di contrasto del Ministero dellInterno italiano per i minori
scomparsi prevede:
Quando arriva una segnalazione di scomparsa, le generalità anche
somatiche del minore vengono inserite in una banca dati disponibile a tutte le forze di
polizia, dopo di che viene data comunicazione della scomparsa a tutti gli uffici
territoriali tramite telex (se occorre anche su territorio internazionale mediante
lInterpol); le sezioni specializzate si attivano invece solo in un secondo momento
in azioni di ricerca ed investigazione.
Secondo il Ministero dellInterno (cfr. audizione del Ministro Bianco del 25 ottobre
2000), dagli attuali riscontri operativi non si sono evidenziati sul territorio nazionale
casi di sottrazione di minori da parte delle organizzazioni criminali per il successivo
sfruttamento sessuale, escludendosi altresì lesistenza di un traffico di minori
finalizzato al commercio di organi umani.
Riguardo al contrasto alla pedofilia on-line, esiste nella sede centrale
della Direzione del Servizio di polizia postale e delle comunicazioni, una sede operativa
per il solo contrasto della pedofilia on-line, e più di 19 compartimenti
territoriali, quasi uno per ogni Regione.
Alla data del 10 ottobre 2000 sono stati monitorati 3.363 siti che hanno portato a
19 arresti, 28 persone sottoposte a provvedimenti restrittivi, 281 persone sottoposte ad
indagini e 177 a perquisizioni, 465 segnalazioni a servizi investigativi stranieri per un
totale di 791 fascicoli trattati.
Questi risultati sono stati ottenuti anche grazie allattività di copertura
prevista dalla L.269/98, che permette, su delega del magistrato, di ricorrere,
ad alcuni "agenti provocatori" per ottenere scambi di materiale.
Attualmente non sono stati registrati siti italiani che vendono materiale a contenuto
pedopornografico, per questo le ricerche della sezione antipedofilia su Internet vengono
concentrate
sullindividuazione dei soggetti che comprano il materiale e sul monitoraggio di chat
e newsgroup create per ladescamento di minori.
Attività che, sempre dalle informazioni fornite dal ministro, consistono prevalentemente
nellintercettazione dellutenza telefonica che ha effettuato la chiamata per il
collegamento per poi arrivare allidentificazione della persona. A questo proposito
è stato segnalata la necessità del coinvolgimento in queste attività delle grandi
aziende di provider, in quanto sono loro che conservano nei cosiddetti file di log
il CALLER ID (identificatore del chiamante) per identificare lutenza telefonica
nonché delle grandi aziende di software ed hardware per cercare di inserire
attività di filtro.
Nel corso delle audizioni, tuttavia, pur avendo avuto conferma del fenomeno crescente
della pedofilia su Internet e del commercio di bambini che vi è dietro per la creazione
di materiale da inserire nella rete, ci si è resi conto che in realtà la pedofilia su
Internet non è che una piccola parte di un fenomeno più complesso.
In effetti, unanalisi più attenta, mette in luce due aspetti che bisogna tenere ben
distinti:
In particolare, per quanto riguarda il secondo aspetto, sono stati evidenziate in Commissione alcune difficoltà che ostano al raggiungimento di un buon sistema di prevenzione:
Quanto alle cause che inducono a comportamenti pedofili, mentre per
alcuni studiosi si tratta di una psicopatologia ossessiva legata a disturbi di natura
sessuale, altri la spiegano in riferimento ad eventi e relazioni traumatiche vissute dal
soggetto soprattutto in età infantile, o a gravi carenze nella formazione della propria
identità.
La distinzione più comune è quella fra:
In Italia ancora non si è iniziato a prevedere una cura specifica per
i pedofili anche se, come il ministro della Sanità ha ben spiegato in Commissione, si sta
cercando di avviare uno studio che, partendo dalla considerazione di base per cui la gran
parte dei pedofili detenuti in Italia presentano una psicopatologia ossessiva con una
forte carica di aggressività puramente sessuale, sperimenti una cura che inibisca questi
stimoli agendo a livello subcerebrale. Daltro canto lart. 17 della L. 269/98
prevede programmi di recupero per coloro che, riconosciuti responsabili dei delitti di
pedofilia, ne facciano apposita richiesta.
A conclusione degli approfondimenti svolti, la Commissione ha ritenuto di formulare le
seguenti proposte, tradotte anche in specifici impegni al Governo (risoluzioni n. 7-01024
Cavanna Scirea ed altri e 7-00032 Montagnino ed altri: iniziative in materia di
pedofilia):
CONCLUSIONI
I temi concernenti l'infanzia sono molteplici, la Commissione non ha
avuto la possibilità di affrontarli tutti e, del resto, come emerge dalla tabella
allegata, sono ancora molti i provvedimenti all'esame delle Commissioni di merito, il cui iter
probabilmente non si concluderà entro la fine della legislatura.
L'auspicio è che le misure contenute in tali progetti di legge possano essere esaminate
con la massima urgenza dalle nuove Camere.
L'auspicio è altresì che si addivenga alla costituzione della Commissione parlamentare
per l'infanzia sin dall'inizio della legislatura, senza ritardi che mal si conciliano con
le esigenze dell'infanzia e dell'adolescenza, una materia che ha visto tutti i gruppi
parlamentari lavorare sostanzialmente in sintonia con impegno costante e con l'obiettivo
comune di rendere la Commissione un osservatorio parlamentare specifico e un punto di
riferimento rispetto ad una materia che davvero necessita di un'attenzione particolare e
specializzata.
Allegato 1
TABELLA RIASSUNTIVA DEI PROGETTI DI RILIEVO IN ITINERE
Adozione ed affidamento dei minori (C. 79 Bolognesi, C.
187 Guidi, C. 1781 Melandri, C. 2379 Gambato, C. 3142 Storace, C. 3573 Dalla Rosa, C. 4636
Scoca, C. 4993 Gambato, C. 6056 Galletti, C. 6343 Grimaldi, C. 6423 Cè e C. 7487
relatore on. Serafini), approvato dal Senato e approvato, con modificazioni, dalla
Commissione giustizia della Camera dei deputati, in sede redigente, il 20 febbraio 2001.
Difensore civico per l'infanzia (C. 4344 Pozza Tasca, C. 5411 Biricotti, C. 7158 Paissan e
C. 7388 Governo - relatore on. Scoca), in discussione, in prima lettura, presso la
Commissione affari costituzionali, in sede referente, costituito un comitato ristretto.
Violenza nelle relazioni familiari (S. 2675/B Governo), approvato dal Senato il 29 aprile
1999, approvato, con modificazioni, dalla Camera, nella seduta del 30 gennaio 2001,
assegnato in Commissione giustizia del Senato, ove non è ancora iniziato lesame.
Certificazione di conformità sociale (C. 6126 e abbinate C. 3269 Paissan, C. 5436 Rizza,
C. 5823 Valetto Bitelli, C. 5984 Leccese, C. 6135 Labate, C. 6152 Gardiol relatore
on. Ruggeri), approvato dal Senato, in discussione presso la Camera dei Deputati in
Assemblea.
Misure contro la pornografia minorile (C. 5103 Butti, C. 7321 Volonté, C. 7343 Mussolini
e C. 7499 Simeone - relatore on Serafini), in discussione, in prima lettura, presso la
Commissione giustizia della Camera, in sede referente.
Tratta di persone (C. 5350 Pozza Tasca, C. 5839 Governo, C. 5881 Albanese al 12 febbraio
2001 - relatore on. Finocchiaro), in discussione, in prima lettura, alla Camera in
Assemblea (esame degli emendamenti).
Interventi di contrasto alla criminalità minorile (C. 7224 Governo) presentato il 17
luglio 2000, non ancora esaminato.
Applicazione ai minorenni delle sanzioni penali (C. 7225 Governo) presentato
il 17 luglio 2000, non ancora esaminato.
Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sullesercizio dei diritti dei
fanciulli (C. 7411), approvato dal Senato il 2 novembre 2000, non ancora esaminato
alla Camera.
Asili nido (Testo unificato C. 888 Giacco, C. 2803 Dedoni, C. 3893 Schmid, C. 4383
Valpiana, C. 5847 Burani Procaccini e C. 5838 Governo - relatore on. Chiavacci) approvato
un testo unificato da parte della Commissione affari sociali della Camera e affidato
mandato al relatore a riferire favorevolmente allAssemblea.
Norme per la prevenzione degli abusi sui minori e contro la pedofilia (S. 3045 Mazzuca
Poggiolini, S. 4823 Rescaglio e altri, S. 4847 Carla Castellani e altri, S. 4871
Bruno Ganeri, S. 4898 Athos De Luca - relatore sen. Bruno Ganeri), in corso di esame, in
prima lettura, presso la Commissione speciale in materia dinfanzia del Senato.
Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori (C.
4426/B Governo, C. 5722 Buffo), approvato dalla Camera il 27 luglio 2000, trasmesso dal
Senato con modificazioni il 7 febbraio 2001, non ancora iniziato lesame in
Commissione giustizia della Camera.
Norme per l'inserimento di messaggi pubblicitari durante la programmazione radiotelevisiva
dedicata ai minori (S. 3694 Athos DE LUCA - relatore sen. Petruccioli) in
corso di esame presso la Commissione lavori pubblici e comunicazioni del Senato in sede
referente.
Psicologo scolastico (S. 2967 Salvato e Capaldi, S. 2888 Scopelliti e Pera, S. 1829
Florino e altri, S. 3345 Athos De Luca e altri, S. 3620 Lo Curzio e altri, S. 3866
Monticone e Rescaglio - relatore sen. Daniele Galdi), in stato di relazione presso il
Senato, approvata la richiesta della sede deliberante.
Allegato 2
Testo del parere della Commissione parlamentare per linfanzia sul Piano dazione nazionale 2000-2001 per linfanzia e ladolescenza, ai sensi dellart. 2, della legge 23 dicembre 1997, n. 451, espresso nella seduta del 28 marzo 2000.
La Commissione parlamentare per linfanzia premesso che il Piano:
rivolge
rileva
osserva
sottolinea
ESPRIME PARERE FAVOREVOLE FORMULANDO I SEGUENTI INDIRIZZI:
In tema di servizi per linfanzia, riqualificazione dellambiente, degli spazi e dei tempi della città:
in tema di percorsi formativi delladolescenza e rapporto scuola famiglia:
in tema solidarietà internazionale e adozione internazionale:
in tema di rapporto fra minori, tv e mass media:
in tema di giustizia minorile: