Commissione parlamentare per l'infanzia

 

Risoluzione n. 7-00815 Pozza Tasca: divieto di utilizzare bambini-soldato

La Commissione parlamentare per l’infanzia,

premesso che:

la Convenzione dell’ONU sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989,, all’articolo 38, commi 1 e 2 prevede che " Gli Stati parti si impegnano a rispettare e a far rispettare le regole del diritto umanitario internazionale loro applicabili in caso di conflitto armato, la cui protezione si estende anche ai fanciulli, ed adottano ogni misura possibile a livello pratico per vigilare che le persone che non hanno raggiunto l’età di quindici anni non partecipino direttamente alle ostilità ";

la stessa Convenzione, all’articolo 38, comma 3 prevede che " In conformità con l’obbligo che spetta loro in virtù del diritto umanitario internazionale di proteggere la popolazione civile in caso di conflitto armato, gli Stati parti adottano ogni misura possibile a livello pratico affinché i fanciulli coinvolti in un conflitto armato possano beneficiare di cure e protezione ";

il rapporto promosso dalle Nazioni unite sull’impatto della guerra nei bambini, redatto nel 1996 da Gracha Machal, raccomanda a tutti gli Stati di smettere di reclutare ed utilizzare minori per raggiungere obiettivi militari, congedando i bambini soldato e reinserendoli nella società civile;

in base alle statistiche condotte dall’UNICEF, più di 300.000 bambini partecipano ai conflitti nel mondo: citando solo pochi esempi, in Uganda l’Esercito di resistenza nazionale aveva tra le sue file, secondo le stime, 3.000 adolescenti; in Sierra Leone i ribelli golpisti del Ruf hanno rapito 2mila bambini tra i 7 ed i 14 anni per obbligarli a combattere;

secondo le stime rese note dalle Nazioni unite il bilancio degli ultimi dieci anni relativo ai bambini vittime di guerra è il seguente: 2 milioni uccisi; 4-5 milioni mutilati; 12 milioni rimasti senza tetto; più di 1 milione rimasti orfani; circa 10 milioni traumatizzati a livello psicologico;

negli ultimi giorni nel conflitto in Kosovo abbiamo assistito a nuove forme di sfruttamento dei minori nei conflitti; alcuni nelle miniere di carbone che alimentavano la centrale elettrica di Pristina, altri usati come scudi umani, altri ancora come banche del sangue per i feriti serbi;

a Ginevra è sorta una coalizione, " Stop using child soldiers ", cui hanno aderito 47 paesi europei, che sta sensibilizzando i Governi ad elevare l’età di arruolamento a 18 anni, e che vuole per l‘Europa un ruolo guida nella lotta allo sradicamento di tale drammatico fenomeno;

lo statuto del Tribunale penale internazionale, adottato a Roma nel luglio 1998, prevede che l’utilizzo ed il reclutamento dei minori di anni 18 sia considerato un crimine contro l’umanità;

la Risoluzione 1260 delle Nazioni unite del 25 agosto 1999, rinnovando la condanna nei confronti degli Stati che utilizzano i bambini nei conflitti armati, ha altresì raccomandato alla Commissione dei diritti dell’uomo di redigere un progetto di protocollo facoltativo alla Convenzione dei diritti del fanciullo del 1989, per elevare l’età di arruolamento a 18 anni;

impegna il Governo

a svolgere un ruolo propulsivo presso gli organismi internazionali affinché sia prevista:

  1. l’adozione di un protocollo aggiuntivo alla Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo che vieti il reclutamento e la partecipazione ai conflitti armati di minori di 18 anni;
  2. l’elaborazione di un protocollo facoltativo alla Convenzione dei diritti del fanciullo che preveda una azione comune per vietare l’utilizzo dei minori nei conflitti;
  3. l’adozione di misure necessarie affinché all’interno di ciascun stato membro siano istituiti dei comitati volti a promuovere, anche con l’aiuto delle Ong, il non utilizzo dei minori nei conflitti, e a destinare risorse a tale progetto;
  4. la predisposizione di politiche di aiuto allo sviluppo con quei paesi in guerra che smettano di reclutare o di utilizzare i bambini per raggiungere obiettivi militari, che congedino i bambini soldato e li reintegrino nella vita civile; proteggano i non combattenti, soprattutto donne e bambini, nelle zone di conflitto;
  5. la promozione dell’educazione alla pace ed alla tolleranza attraverso campagne di sensibilizzazione nei paesi a più alto rischio di conflitti.

              

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