Commissione Parlamentare Consultiva
in materia di riforma fiscale

RELAZIONE ILLUSTRATIVA DELLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE PRINCIPI GENERALI IN MATERIA DI SANZIONI AMMINISTRATIVE PER LE VIOLAZIONI DI NORME TRIBUTARIE.

L’art. 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 ha delegato il Governo della Repubblica ad emanare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni per la revisione organica e il completamento della disciplina del sistema sanzionatorio tributario non penale.

Il presente schema di decreto attua la delega nella parte riguardante il riordino della materia mediante l’adozione di princìpi e regole generali realizzando una disciplina largamente innovativa, centrata sulla adozione di un’unica specie di sanzione cui viene impresso uno stampo schiettamente penalistico.

I primi otto articoli configurano, appunto, la sanzione amministrativa, prevedendo criteri di commisurazione ispirati alle disposizioni del codice penale e della legge 24 novembre 1981, n. 689. Viene in tal modo eliminato ogni equivoco circa la natura apertamente repressiva ed intimidatoria della risposta amministrativa apprestata dall’ordinamento alla violazione tributaria.

L’innovazione comporta l’applicazione integrale delle garanzie oggettive offerte dai princìpi di legalità, imputabilità e colpevolezza, cui si riferiscono i primi articoli dello schema, in armonia con quanto è previsto da tutti gli ordinamenti degli Stati dell’Unione europea.

In particolare, l’art. 1 determina l’oggetto del decreto.

Il comma 1 dell’art. 2 individua nel pagamento di una somma di denaro la sanzione principale tipica in materia tributaria prevedendo la possibilità che ad essa si aggiungano, nei casi espressamente contemplati, le sanzioni accessorie individuate dal successivo art. 21.

Il comma 2 riferisce la sanzione alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione. E’ parso opportuno eliminare l’originario comma 3, in quanto, indicando tutte le possibili modalità di determinazione della sanzione, si configurava come norma priva di reale portata precettiva. La previsione, sostanzialmente coincidente, della legge delega, infatti, appare essere un criterio che il legislatore delegato è tenuto ad osservare più che nel disciplinare i princìpi generali della materia sanzionatoria, in occasione della determinazione delle singole sanzioni edittali.

Con il comma 3 viene sancito il principio per cui la sanzione non produce interessi moratori; principio non derogato nell’ipotesi, peraltro del tutto eccezionale, di rateazione del debito (art. 24).

Il comma 4, infine, con previsione analoga a quella dettata per le sanzioni relative alla infrazioni previste dal codice della strada, contempla l’adeguamento delle misure minime e massime della sanzione e della sanzione fissa alle variazioni dell’indice del costo della vita.

L’art. 3 consacra il "principio di legalità".

I commi 2 e 3 riferiscono il principio penalistico del favor rei alle ipotesi di soppressione della previsione punitiva e di successione di leggi che prevedono diverse misure della sanzione. In particolare, nel caso di violazione non più sanzionata, il provvedimento, ancorché definitivo, non costituisce titolo per la riscossione delle somme non ancora pagate, mentre è sembrato ragionevole tenere ferma l’efficacia del provvedimento divenuto definitivo nel caso di mutamento di entità della sanzione.

L’articolo 4 disciplina l’imputabilità dell’autore della violazione, rinviando ai criteri fissati nel codice penale.

L’articolo 5 regola l’elemento soggettivo, stabilendo, nel comma 1, che per la punibilità è sufficiente una condotta cosciente e volontaria, essendo indifferente la misura dell’elemento soggettivo (dolo o colpa). Tuttavia, in accoglimento di un espresso rilievo della commissione parlamentare riguardante il più ampio problema della responsabilità di soggetti che agiscono per conto altrui (persona fisica, associazione, società o ente, con o senza personalità giuridica), nel comma 2 si è ritenuto di introdurre una distinzione nell’ambito dell’elemento soggettivo, finalizzata a consentire la limitazione della responsabilità patrimoniale di detti soggetti. Invero, è previsto che quando la violazione non è commessa con dolo o con colpa grave, concetto, quest’ultimo, espressamente definito nel comma 3, per evitare dispute interpretative, l’autore della violazione, nei cui confronti viene comunque irrogata la sanzione (così come stabilisce la legge di delegazione), non è assoggettato a procedura esecutiva, per la riscossione dell’importo stabilito con la sanzione, se non entro il limite di cento milioni di lire. La norma trova applicazione anche quando la sanzione irrogata sia stata determinata tenendo conto della recidiva del responsabile, del concorso di violazioni e della continuazione fra le stesse. L’importo stabilito nel comma 2 è suscettibile di adeguamento alle variazioni del costo della vita ed è soggetto alla riduzione ad un quarto, secondo la previsione dell’art. 16, comma 3, in caso di definizione immediata.

Si sottolinea che la colpa discende oltre che da negligenza, imprudenza o imperizia, dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (art. 43 cod. pen.), cosicché, di fronte ad una violazione tributaria, l’onere di dimostrarne l’inesistenza grava sull’autore della violazione. Naturalmente, stante la previsione del comma 1, purché la condotta sia cosciente e volontaria, non necessita di dimostrazione l’elemento soggettivo della colpa lieve (desumibile per differenza dalla colpa grave), spettando all’autore della violazione l’onere di dimostrare la carenza anche di tale grado minimo della colpa. Per converso grava sull’amministrazione finanziaria la prova dell’elemento soggettivo doloso o della colpa grave.

L’art. 6 disciplina le cause di non punibilità. Accanto all’errore incolpevole, il secondo comma menziona espressamente le violazioni determinate da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme e quelle che discendono da indeterminatezza dei modelli per le dichiarazioni o per il pagamento, ovvero delle richieste di informazioni. La norma riprende il contenuto dell’art. 8, decreto legislativo n. 546/92 e di altre previsioni disseminate nell’ordinamento, ma abbraccia un ambito più vasto. Considera infatti giustificate anche le violazioni causate da un comportamento dell’amministrazione e prevede che le sanzioni possano essere disapplicate anche dagli uffici e, per violazioni attinenti a liti non riconducibili alla giurisdizione delle commissioni tributarie, anche dal giudice ordinario.

Il comma 3 esclude la punibilità del contribuente, sostituto o responsabile d’imposta, quando il mancato pagamento del tributo è addebitabile esclusivamente a terzi a condizione che il fatto venga denunciato all’autorità giudiziaria. Si intendono così prevenire accordi fraudolenti diretti a conseguire l’impunità. La norma sottintende l’impossibilità di deleghe diverse da quelle concernenti il versamento del tributo e dovrebbe sollecitare la sorveglianza degli obbligati sull’esecuzione del pagamento ad altri rimesso.

Il comma 4 ammette, sia pur sul piano teorico, il rilievo dell’ignoranza inevitabile della previsione punitiva connettendosi al principio fissato dalla Corte costituzionale in materia penale. Il comma 5 configura come scriminante la sola ipotesi di forza maggiore. La limitazione si fonda sull’estrema difficoltà di configurare un caso fortuito determinante una violazione tributaria; del resto, quando una simile eventualità potesse verificarsi, si tradurrebbe comunque nell’esclusione dell’elemento soggettivo necessario per la punibilità. Per identica ragione non sono state richiamate le altre scriminanti previste dal codice penale.

L’art. 7 disciplina i criteri di determinazione della sanzione, riprendendo quelli dettati dall’art. 4 della legge n. 4 del 1929 in relazione alla pena pecuniaria e dall’art. 11 della legge n. 689 del 1981 in relazione alla sanzione amministrativa.

Il comma 3 disciplina la recidiva, prevedendo l’aumento della sanzione fino alla metà nei confronti di chi sia incorso, nei tre anni precedenti, in violazioni della stessa indole. L’aumento è tuttavia escluso quando le precedenti trasgressioni sono state definite ai sensi dell’art. 16 o in esito ad accertamento con adesione ovvero sono state rimosse in esito a ravvedimento (art. 13).

Riprendendo una previsione del d.m. 1 settembre 1931, che viene espressamente abrogato, il comma 4 ammette la riduzione della sanzione fino alla metà del minimo edittale qualora ricorrano eccezionali circostanze che rendano manifesta la sproporzione fra entità del tributo cui la violazione si riferisce e sanzione medesima.

L’art. 8 prevede, in linea con l’art. 7 della legge n. 689 del 1981, che non si trasmette agli eredi dell’obbligazione avente ad oggetto il pagamento della sanzione. Questa disposizione non fa venir meno la responsabilità dei soggetti per conto dei quali ha agito l’autore della violazione, che, come si dirà illustrando l’art. 11, assume particolare rilevanza nel nuovo sistema sanzionatorio anche quando la morte dell’autore della violazione si sia verificata anteriormente all’irrogazione della sanzione, secondo l’espressa prescrizione della delega.

I successivi due articoli disciplinano il concorso di più persone nella violazione tributaria ed il caso dell’autore mediato.

L’art. 9, in aderenza alle previsioni dell’art. 5 della legge n. 689 del 1981 e dell’art. 110 del codice penale, disciplina l’ipotesi del concorso di persone, stabilendo l’applicazione di un’autonoma sanzione ad ogni coautore della violazione. Al principio deroga, peraltro, il secondo periodo del comma 1, prevedendo per le violazioni consistenti nell’omissione di un comportamento cui sono obbligati più soggetti (caso tipico l’omissione della dichiarazione della successione), l’irrogazione di un’unica sanzione in modo che il pagamento di uno dei debitori liberi gli altri. Non è raro, infatti, che le leggi tributarie pongano a carico di più soggetti l’adempimento di un obbligo prevedendo che l’adempimento compiuto da uno qualsiasi di essi liberi gli altri. Come esempio evidente si può ricordare l’obbligo di presentazione della dichiarazione di successione ed anche l’obbligo di dichiarazione ai fini delle imposte dirette posto a carico dei soci (amministratori) delle società di persone. In questi casi l’irrogazione di altrettante sanzioni a ciascuno degli obbligati e la rigorosa applicazione del principio penalistico per il quale ciascuno dei trasgressori dovrebbe essere assoggettato ad autonoma sanzione appare incongruo rispetto alla disciplina sostanziale e condurrebbe a conseguenze manifestamente inique.

L’art. 10 prevede la responsabilità di colui che abbia indotto l’autore materiale in errore incolpevole o che si sia avvalso di persona incapace di intendere e di volere. Esso tende a reprimere comportamenti antigiuridici mediati: si può pensare al caso in cui un soggetto induca in errore il proprio rappresentante sottoponendogli documenti falsi in modo che questi, per esempio, presenti una dichiarazione infedele. La previsione deve poi essere coordinata con l’art. 6, comma 2, cosicché, per quanto specificamente riguarda il professionista, non è prospettabile responsabilità per i pareri resi e le indicazioni date nell’ambito della sua attività, se non nei casi di colpa grave. La disposizione tuttavia non esclude, ovviamente, la responsabilità dei coautori della violazione nelle ipotesi di concorso.

Gli artt. 11 e 12 riguardano due istituti fondamentali nell’economia della nuova disciplina.

In proposito, la commissione parlamentare ha formulato un’osservazione riguardante la problematica di coniugare il principio della responsabilità personale dell’autore della violazione, stabilito dalla legge di delegazione, con l’esigenza di non irrogare sanzioni di importo così elevato da trascendere la capacità contributiva del trasgressore, quando quest’ultimo abbia agito per conto o nell’interesse del contribuente, sul cui patrimonio si sono riversati i vantaggi economici della violazione. In proposito si è sviluppato un ampio dibattito, sul quale ha dominato il timore che la responsabilità personale di amministratori di società e di dipendenti comporti pesi insostenibili per le persone fisiche, con efficacia intimidatoria tale da paralizzare l’attività dei predetti soggetti, quando investiti di responsabilità in materia tributaria, soprattutto nelle società medie e grandi, determinandone l’ingessamento e compromettendone l’operatività. Ciò in quanto, nonostante la notevole generale attenuazione delle sanzioni, determinata non soltanto da congrue riduzioni delle loro misure edittali, ma anche e soprattutto dalla nuova disciplina del concorso e della continuazione, nonché dalla generalizzata possibilità di conseguire abbattimenti (artt. 13, 16 e 17), le sanzioni medesime, generalmente collegate all’ammontare del tributo evaso, possono raggiungere entità elevate, tanto da apparire incongrue rispetto alle situazioni economiche proprie delle persone fisiche, anche se titolari di redditi e di patrimoni notevoli.

Ciò premesso, si deve subito notare, alla luce del contenuto della delega legislativa, che non si può mettere in discussione il principio di personalità della sanzione, l’adozione del quale risponde peraltro palesemente ad esigenze di giustizia oltre che all’esigenza di conferire al sistema sanzionatorio una efficacia intimidatoria effettiva, pressoché assente in quello fondato sulla responsabilità diretta della società e degli enti.

Per elidere il denunciato inconveniente, si ritiene praticabile una soluzione incentrata sulla distinzione tra violazioni commesse con dolo o colpa grave, e violazioni che, benché colpose, costituiscono invece espressione di comportamenti connessi ad interpretazioni della norma violata non irragionevoli, cioè di comportamenti che sono espressione di negligenza o di errore non evidenti o macroscopici. Le preoccupazioni innanzi accennate possono infatti essere ragionevolmente condivise rispetto a questa categoria di violazioni, mentre non meritano di essere raccolte rispetto ai comportamenti di mala fede o che sfiorano la mala fede, ossia a condotte caratterizzate dal dolo, costituenti attuazione del deliberato intento di violare la legge tributaria in funzione di evadere l’obbligo costituzionale di concorrere nelle spese pubbliche, ovvero rispetto ai comportamenti caratterizzati da colpa grave, cioè posti in essere con palese ed indiscutibile negligenza, violando norme il cui significato non può essere ragionevolmente messo in discussione.

Se, fino ad oggi, la giurisprudenza prevalente e buona parte della dottrina ritenevano che l’applicazione delle sanzioni tributarie potesse avvenire anche indipendentemente dall’esistenza di un elemento soggettivo che qualificasse il comportamento in violazione della norma, cosicché l’introduzione del principio di colpevolezza costituisce un’innovazione della riforma, par chiaro come non sia possibile giungere addirittura a limitare l’applicazione della sanzione alla colpa grave, come pure accade in altri ordinamenti europei (la colpa grave, per esempio, è considerata necessaria, nel diritto tedesco, dall’art. 378 della Abgabenordnung: legge generale per le imposte, per la repressione dell’evasione d’imposta costituente violazione amministrativa, in caso di dolo il fatto è considerato reato, ed analogo regime vige nei Paesi Bassi) e come sia invece necessario mantenere la punibilità con sanzione amministrativa anche in caso di colpa lieve, così come accade nel diritto spagnolo. E’ tuttavia possibile differenziare le fattispecie stabilendo una attenuazione rilevante della responsabilità nei casi di colpa non qualificata e limitando ad una somma massima l’entità della sanzione irrogabile in concreto ed anche eventualmente con il prevedere una generalizzata riduzione delle misure edittali. A queste misure mitigatrici si è ritenuto opportuno aggiungere la previsione della possibilità, sempre nei casi di infrazioni commesse senza dolo o colpa grave, di assunzione del debito dell’autore della violazione da parte della società o dell’ente.

L’applicazione di questi princìpi, come già anticipato in relazione all’art. 5, ha comportato l’introduzione dei commi 2 e 3 in quest’ultimo articolo (riguardanti la limitazione di responsabilità del trasgressore per le violazioni compiute senza dolo o colpa grave) e la riscrittura dell’art. 11 rispetto al testo licenziato dalla commissione parlamentare.

Il nuovo art. 11 disciplina il regime della responsabilità dei soggetti che hanno tratto vantaggio dalla violazione compiuta da altri. Nel comma 1, definiti i rapporti nell’ambito dei quali operano le previsioni innanzi accennate (rappresentanza legale o negoziale della persona fisica, rapporto di lavoro subordinato, di mandato, di preposizione institoria con società, associazioni o enti, con o senza personalità giuridica), è ribadito il principio della responsabilità personale dell’autore della violazione, cui si affianca l’obbligazione sussidiaria, sulla scorta del modulo legislativo della persona civilmente obbligata per la multa o per l’ammenda, dei soggetti che traggono vantaggio economico dalla violazione. Questi ultimi, infatti, sono obbligati al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata ed hanno diritto di regresso nei confronti dell’autore della violazione. Naturalmente, l’amministrazione finanziaria non potrà agire per la riscossione della sanzione nei confronti del responsabile se il soggetto obbligato in via sussidiaria ha adempiuto l’obbligazione.

Il comma 2 introduce una presunzione relativa di identificazione del responsabile della violazione, per agevolare l’azione della amministrazione finanziaria.

Nei commi 3, 4 e 5 si prevede che, nel caso di concorso di persone nella violazione, l’obbligazione sussidiaria è commisurata alla più grave delle sanzioni irrogate e prevedendo altresì che detta obbligazione si estingue con il pagamento della sanzione da parte del trasgressore. Quando invece la violazione non è commessa con dolo o con colpa grave il pagamento della sanzione più grave irrogata estingue tutte le obbligazioni dei concorrenti. In tal caso l’obbligazione sussidiaria è limitata alla parte eccedente il quantum a carico del trasgressore.

In applicazione dell’ulteriore misura di favore cui si è fatto cenno, nel comma 6 è previsto l’accollo del debito del trasgressore.

Infine il comma 7, dando attuazione ad un principio contenuto nella legge delega, prevede che la responsabilità dell’obbligato sussidiario permane anche quando il trasgressore sia deceduto prima dell’irrogazione della sanzione nei suoi confronti.

L’art. 12 detta la disciplina del concorso di violazioni e della continuazione. Questa costituisce sul piano pratico l’innovazione probabilmente più rilevante espressa nella nuova disciplina giacché rende obbligatoria l’applicazione di un’unica sanzione, congruamente elevata nell’ammontare, sia in presenza di plurime violazioni di una stessa disposizione di legge, sia in presenza di più violazioni di disposizioni diverse suscettibili di considerazione oggettivamente unitaria in quanto tendenti alla realizzazione di un’evasione e ciò così nel caso in cui il comportamento sia giunto a realizzarla, come nel caso in cui la progressione sia stata anticipatamente interrotta.

In armonia con la disciplina del concorso di reati di cui all’art. 81 del codice penale, qualora con una sola azione od omissione vengano violate diverse disposizioni, anche relative a tributi diversi, ovvero commesse, anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni della stessa disposizione, la sanzione è commisurata alla violazione più grave aumentata fino al doppio.

Per ciò che concerne la continuazione, non potendo utilizzare la nozione di "disegno criminoso", di cui all’art. 81 del codice penale, che sottintende necessariamente il dolo, si è valorizzata l’obiettiva convergenza di più trasgressioni tese all’evasione, in quanto pregiudicano la determinazione dell’imponibile o la liquidazione del tributo.

E’ parso infatti che nei casi di più violazioni formali "funzionali" alla dichiarazione infedele (evidente la progressione, in materia di I.V.A., tra omessa fatturazione, omessa registrazione e dichiarazione, così come, in materia di imposte dirette, tra irregolare tenuta delle scritture contabili e dichiarazione) la sanzione debba avere riguardo essenzialmente alla violazione sostanziale e, di conseguenza, questa soltanto (e cioè, negli esempi, l’infedele dichiarazione) debba formare oggetto di sanzione, anche se aumentata nella misura, per tener conto delle violazioni formali "assorbite". Nei casi in cui, poi, alle violazioni formali non faccia seguito la dichiarazione infedele, è ragionevole unificare le violazioni medesime benché, di fronte alla loro pluralità, quella irrogabile possa rivelarsi relativamente modesta. Si tende in questo modo ad incentivare la desistenza del contribuente da un comportamento volto a realizzare l’evasione.

Si è prevista l’applicazione dell’istituto anche alle violazioni commesse in diversi periodi d’imposta, stabilendo, tuttavia, che la continuazione viene interrotta dalla contestazione delle violazioni.

Infine, in sintonia con la previsione dell’ultimo comma dell’art. 81 del codice penale, il comma 6 stabilisce, facendo applicazione del princìpio del favor rei, che la sanzione da irrogare in applicazione delle disposizioni sul concorso di violazioni e sulle violazioni continuate non può comunque eccedere quella risultante dal cumulo materiale delle sanzioni previste per le singole violazioni, unificate quoad peonam.

L’art. 13 risponde alla specifica esigenza di consentire al trasgressore di rimuovere la violazione mediante ravvedimento ed individua fattispecie tipiche di riduzione automatica della sanzione.

La lettera a) del comma 1 si riferisce alle ipotesi di ritardato pagamento del tributo o di un acconto ed abbatte la sanzione ad un ottavo del minimo nell’ipotesi in cui il pagamento venga eseguito nel termine di trenta giorni. La lettera b) contempla le ipotesi di errori ed omissioni non incidenti sulla determinazione e sul pagamento del tributo dovuto e anch’esso l’abbatte ad un ottavo del minimo nell’ipotesi di regolarizzazione attuata entro tre mesi. La lettera c) riduce la sanzione ad un sesto del minimo nei casi di regolarizzazione di errori ed omissioni, anche se incidenti sull’ammontare o sul pagamento del tributo, se la regolarizzazione viene attuata entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, ovvero, se non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall’omissione o dall’errore. Finalmente, la lettera d) riduce ad un ottavo la sanzione minima prevista per l’omissione della dichiarazione quando questa venga presentata con un ritardo non superiore a trenta giorni.

Le varie previsioni e, in particolare, quella di cui alla lettera c) intendono incentivare il ravvedimento operoso già previsto in materia di imposte dirette, estendendolo a tutti i tributi ed accentuandone in modo notevole la convenienza.

In accoglimento di uno specifico suggerimento della commissione parlamentare, si è ritenuto opportuno non esercitare la delega legislativa riguardo il principio di specialità. Infatti, si è ritenuto che, anche in previsione della riforma della disciplina dei reati tributari ormai avviata, sia migliore soluzione quella di non alterare la normativa vigente, lasciando all’intervento penale la scelta di una eventuale introduzione del principio in questione.

. L’art. 14 riafferma il principio già fissato dall’art. 19 della legge n. 4 del 1929: esso, tuttavia, migliora il sistema previgente, giacché equipara alla certificazione negativa il mancato rilascio, entro un termine ragionevole, da parte degli uffici dell’amministrazione finanziaria e dell’ente locale, dell’attestazione circa la sussistenza di contestazioni e di debiti per sanzioni.

L’art. 15 prevede la successione della società risultante dalla trasformazione o fusione nei debiti di quella originaria, ferma la responsabilità illimitata dei soci in relazione a debiti per sanzioni relative ad infrazioni commesse prima della trasformazione della società di persone in società di capitali secondo e con i limiti previsti dall’art. 2499 del codice civile.

Per il caso di scissione, è parso necessario prevedere la responsabilità solidale delle società ed enti risultanti.

L’art. 16 disciplina il procedimento di contestazione e irrogazione della sanzione da parte dell’ufficio competente all’accertamento del tributo.

Il contraddittorio anticipato rispetto al provvedimento di irrogazione è assicurato dalla notificazione di un atto di contestazione, dopo la quale il trasgressore e i soggetti obbligati in via sussidiaria ai sensi dell’art. 11, comma 1, possono definire la controversia con il pagamento della sanzione in misura ridotta, ovvero produrre deduzioni difensive. Se gli obbligati non intendono definire la controversia, né presentare deduzioni, è senz’altro possibile il ricorso contro l’atto di contestazione che in tal caso si considera provvedimento di irrogazione.

Proposte le deduzioni, se l’ufficio o l’ente le ritiene infondate emana provvedimento di irrogazione motivato anche in ordine al loro contenuto.

Ai sensi dell’art. 17, in accoglimento di un’osservazione della commissione parlamentare, la sanzione, correlata all’ammontare del tributo può essere irrogata contestualmente all’avviso di accertamento o di rettifica. L’esclusione del contraddittorio anticipato si connette alle previsioni concernenti l’accertamento con adesione che opera in tali fattispecie. Anche in tal caso è ammessa la definizione agevolata prevista nell’art. 16 comma 3.

Il comma 3 prevede l’immediata iscrizione a ruolo della sanzione relativa a mancato o ritardato pagamento dei tributi, anche se risultante da liquidazioni eseguite ai sensi delle disposizioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto: in questo caso non trova applicazione l’istituto della definizione agevolata.

L’art. 18 disciplina il ricorso avanti alle commissioni tributarie per le violazioni inerenti a tributi che rientrano nella loro giurisdizione. Per le altre ipotesi, contempla ricorso amministrativo nonché azione avanti all’autorità giudiziaria ordinaria. Tenuto conto dell’orientamento più volte espresso dalla Corte costituzionale, il ricorso amministrativo è alternativo all’azione giudiziaria e tende ad assicurare una tutela accelerata rispetto a quella del giudice.

Il comma 3 fissa la disciplina del concorso di azioni amministrative e giurisdizionali ed il comma 4 prevede l’immediata esecutività delle decisioni degli organi investiti del giudizio.

Anche questa è una innovazione di carattere fondamentale, visto che, fino ad oggi, l’esecuzione delle sanzioni amministrative (specificamente della pena pecuniaria) è rinviata al momento in cui il provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo. L’esecuzione (parziale) in base a sentenza di primo grado (o a decisione amministrativa) è ampiamente giustificata non potendosi cogliere alcuna differenza realmente significativa tra esecuzione provvisoria della pretesa tributaria ed esecuzione provvisoria della sanzione. E’ logico presumere che la nuova disciplina concorrerà in maniera sensibile sia a sfoltire le controversie in grado di appello, sia ad incentivare l’utilizzazione delle varie forme di definizione agevolata, sia, infine, a restituire serietà al sistema sanzionatorio il cui funzionamento è stato finora del tutto insoddisfacente anche a causa dei tempi lunghissimi frapposti all’esecuzione delle sanzioni, del resto quasi sempre evitate in grazia dei frequenti provvedimenti di clemenza.

D’altra parte, l’esecuzione provvisoria è circondata da garanzie specifiche (possibilità di sospensione giudiziaria e, addirittura, sospensione assicurata dalla prestazione di idonea garanzia). Ed infatti l’art. 19 richiama le disposizioni dettate dall’art. 68, primo e secondo comma, del D. lgs. n. 546 del 1992 inerenti al pagamento del tributo in corso di giudizio, riferendo la disciplina ivi espressa alla sanzione. Nello stesso tempo, la norma conferisce alle commissioni tributarie regionali il potere di sospendere l’esecuzione obbligandole alla sospensione se viene offerta idonea garanzia. Regole simili sono dettate per l’esecuzione delle decisioni dell’autorità amministrativa e delle sentenze del giudice ordinario. L’esecuzione delle sanzioni accessorie è invece ammessa soltanto quando il provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo.

L’art. 20 stabilisce il termine di decadenza per la contestazione della sanzione ovvero per la sua irrogazione (artt. 16 e 17). Il comma 2 contempla la proroga di un anno del termine medesimo se la notificazione dell’atto o del provvedimento è stata eseguita ad almeno uno degli autori della violazione o degli obbligati in via sussidiaria. Si intende così consentire all’Amministrazione di intraprendere tempestivamente il procedimento di irrogazione anche nei confronti del soggetto indicato come vero autore nelle difese svolte da colui nei cui confronti sia stata attuata la contestazione.

La norma, infine, disciplina il termine prescrizionale del diritto alla riscossione della sanzione, interrotto, con effetto permanente, dall’impugnazione del provvedimento che la irroga.

L’art. 21 individua le sanzioni accessorie rinviando alle singole leggi d’imposta per la previsione dei casi in cui esse si applicano e la determinazione dei loro limiti temporali in relazione alla gravità dell’infrazione e alle misure edittali della sanzione principale.

L’art. 22 disciplina l’iscrizione di ipoteca e l’esecuzione del sequestro conservativo, rimettendo i relativi poteri al giudice speciale tributario e, in mancanza della sua giurisdizione, al tribunale, competente in ragione della sede dell’ufficio richiedente.

Il comma 6 prevede che l’esecuzione delle misure cautelari possa essere evitata con la prestazione di idonea garanzia; il comma 7 impone all’ufficio di intraprendere il procedimento di irrogazione della sanzione nel termine massimo di centoventi giorni, pena la perdita di efficacia dei provvedimenti cautelari. Seguendo una sollecitazione della commissione parlamentare si è ritenuto utile prevedere un procedimento per la cancellazione dell’ipoteca quando il giudizio di merito non si concluda con sentenza. Se il ricorso o la domanda riguardante il merito sono accolti solo parzialmente è prevista una proporzionale riduzione della misura cautelare imposta, che, su istanza di parte, viene stabilita dal giudice che ha pronunciato la sentenza: in caso di accoglimento parziale, ma senza rinvio, del ricorso per cassazione provvede il giudice la cui sentenza è stata impugnata con tale mezzo di gravame.

L’art. 23 prevede che, ove intervenga la contestazione di una violazione, il pagamento del credito per rimborso vantato dal trasgressore o dagli obbligati sussidiari possa essere sospeso. La sospensione é tuttavia limitata all’ammontare della sanzione indicata nell’atto ovvero a quello risultante dalla sentenza o dalla decisione amministrativa. Il comma 2 contempla la compensazione fra debito per sanzioni risultante da provvedimento definitivo e credito per rimborso. Sono assicurati, in ogni caso, il rimedio giurisdizionale e la possibilità di sospensione dei provvedimenti.

L’art. 24 richiama, per la riscossione, le disposizioni riguardanti l’esazione dei tributi cui la violazione si riferisce e prevede la possibilità di rateazione del pagamento a favore di chi versi in condizioni economiche disagiate. Non si è ritenuto di accogliere un suggerimento della commissione parlamentare finalizzato a prevedere che la riscossione della sanzione possa avvenire solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ovvero dopo la pronuncia di una sentenza ricorribile solo per cassazione. Ciò in quanto la delega legislativa stabilisce che la disciplina della riscossione della sanzione deve conformarsi a quella dei tributi. Neppure è stato accolto l’ulteriore suggerimento della medesima commissione di eseguire la sanzione nei confronti dell’autore della violazione solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza che decide sulla violazione, consentendo fino a tale momento di riscuotere la sanzione nei confronti del contribuente. Invero, a parte l’osservazione che in moltissimi casi contribuente e autore della violazione possono coincidere, una norma quale quella suggerita dalla commissione parlamentare comprometterebbe del tutto il principio di personalità della sanzione.

Gli artt. da 25 a 29 dettano previsioni transitorie e di coordinamento con la disciplina previgente all’entrata in vigore del decreto. In particolare, l’art. 25, connette l’applicazione delle nuove norme alle violazioni non ancora contestate o irrogate alla data di entrata in vigore del decreto medesimo, salva però l’applicazione immediata delle regole inerenti al principio di legalità, all’imputabilità, all’elemento soggettivo, alle cause di non punibilità, al concorso formale e alla continuazione. Il comma 3 ammette la definizione dei procedimenti caratterizzati dalla non definitività del provvedimento mediante il pagamento di un quarto della sanzione irrogata dall’ufficio o risultante dall’ultima sentenza o decisione amministrativa. Si consente così di definire in maniera agevolata i procedimenti ancor non esauriti in modo da minimizzare le disparità di trattamento pur non rilevanti, da un punto di vista giuridico, in quanto connesse necessariamente al mutamento della disciplina generale delle sanzioni.

L’art. 26 sostituisce il riferimento alle sanzioni della pena pecuniaria e della soprattassa con il riferimento alla sanzione amministrativa pecuniaria, precisando altresì che il riferimento a disposizioni e istituti abrogati, contenuti nelle singole leggi d’imposta, si intende effettuato ai corrispondenti istituti e previsioni introdotti con il presente decreto. L’art. 27 trasforma le violazioni finora riferite alle società, associazioni o enti commesse dopo l’entrata in vigore del decreto in sanzioni riferite alla o alle persone fisiche autrici della violazione.

L’art. 28 richiama l’esigenza che vengano disciplinate prima dell’entrata in vigore del decreto, le modalità per il pagamento delle somme dovute a titolo di sanzione tenuto conto, in particolare, che, fin da quest’ultima data, deve essere possibile avvalersi della definizione agevolata di cui all’art. 25, comma 3, e degli abbattimenti per ravvedimento di cui all’art. 13.

L’art. 29 abroga le norme incompatibili con quelle del decreto ed espressamente, fra le altre, quelle comprese nella legge n. 4 del 1929 e nel d.m. 1 settembre 1931.

In accoglimento di un suggerimento della commissione parlamentare, si è abbreviato l’originario termine dell’entrata in vigore del decreto legislativo, fissandola, nell’art. 30, per la data del 1° aprile 1998: il termine dilatorio é necessario perché l’amministrazione finanziaria e gli enti impositori possano predisporsi ad applicare le nuove norme.

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