Commissione Parlamentare Consultiva
in materia di riforma fiscale

RELAZIONE AL DECRETO LEGISLATIVO RECANTE RIORDINO DELLE IMPOSTE PERSONALI SUL REDDITO AL FINE DI FAVORIRE LA CAPITALIZZAZIONE DELLE IMPRESE, A NORMA DELL'ART. 3, COMMA 162, LETTERE A), B), C), D) ED F), DELLA LEGGE 23 DICEMBRE 1996 N. 662

In Italia, come del resto accade nei principali paesi del mondo economicamente più avanzati, il capitale di rischio è stato storicamente trattato, sotto il profilo fiscale in modo tendenzialmente più penalizzante rispetto al cosiddetto capitale di debito. Tale regime di disfavore, dovuto a varie ragioni, ha spinto ì governi dei principali paesi sviluppati, almeno negli anni più recenti, a tentare di porre rimedio alle distorsioni che questa situazione finisce per produrre. La misura prevalentemente adottata al riguardo è consistita nell'apposizione di una limitazione alla deducibilità degli interessi passivi al verificarsi di certi presupposti, intesi per tali l'alterazione del rapporto fisiologico fra capitale proprio ed indebitamento (strumenti adottati fra gli altri da Germania, Giappone, Gran Bretagna e Spagna) ovvero nel considerare capitale proprio, con le conseguenze che ne derivano, parte dei finanziamenti effettuati se eccedono certi rapporti percentuali (strumenti utilizzati tra l'altro dagli Stati Uniti, dall’Olanda e dal Lussemburgo).

Il problema è, peraltro, ben presente anche al legislatore tributario italiano, che deve per di più cimentarsi con una limitata consistenza del mercato mobiliare e con la tradizionale ritrosia ad una più adeguata capitalizzazione delle imprese, per ragioni non solo fiscali, ma che hanno trovato nel sistema fiscale ulteriore sostegno.

Con la legge 23 dicembre 1996, n. 662, il Governo è stato quindi delegato a dettare norme volte al riordino delle imposte personali sul reddito, al fine di favorire la capitalizzazione delle imprese. E ciò nella ulteriore considerazione che tale intervento dovesse arrecare un beneficio alla "efficienza, rafforzamento e razionalizzazione dell’apparato produttivo" (art. 3, comma 162) con previsione di norme di particolare favore, in tale contesto, per le società i cui titoli sono ammessi alla quotazione di borsa successivamente all'entrata in vigore dei decreti attuativi della delega in questione [art. 3, comma 162, lettera f)]. La legge delega delinea un sistema che divide il reddito imponibile in due fasce (da cui la denominazione "dual income tax" con cui la norma in questione è stata, nella pratica, conosciuta), la prima delle quali commisurata al rendimento ordinario dei nuovi apporti di capitale investito, applicando alla stessa fascia una aliquota ridotta, stabilita dal decreto delegato nella misura del 19 percento, rispetto a quella ordinaria prevista per la seconda fascia.

Rispetto al testo originario, accogliendo gli inviti ad una maggiore organicità provenienti dalla commissione parlamentare, sono state accorpate agli artt. 1 e 2 le norme applicabili alla generalità delle imprese soggette a Irpeg, mentre le cautele relative ai rapporti intragruppo sono state concentrate nell’apposito art. 3.

Nello sviluppare la materia delegata al Governo, il decreto delegato ha dovuto cimentarsi con problematiche di notevole complessità. Occorreva, innanzitutto, dettare norme che si rendessero applicabili tanto ai contribuenti costituiti secondo le forme della società od ente commerciale soggetto all'imposta sul reddito delle persone giuridiche (soggetti, dunque, ad aliquota proporzionale fissa), quanto a soggetti esercenti attività d'impresa ma rientranti nel campo di applicazione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (il che vuol dire soggetti ad aliquota variabile e progressiva).

La differenza tra imprese soggette a Irpeg ed altre imprese si ripercuoteva anche sulla misurazione del capitale investito attuale (nella specie: alla chiusura del periodo d'imposta in corso al 30 settembre 1996) e sulla determinazione dell'incremento dello stesso come parametro per la concessione dei benefici previsti dalla legge delega.

Con riferimento ai soggetti societari, il decreto doveva anche risolvere il problema del regime fiscale applicabile in sede di distribuzione degli utili soggetti ad aliquota agevolata. Al riguardo, la tendenziale equiparazione, prevista dalla legge delega.. tra regime fiscale degli interessi obbligazionari e dei frutti dell'investimento azionario è stata portata alle sue naturali conseguenze con riferimento alla distribuzione del reddito ai soci, evitando di vanificare a posteriori l'agevolazione. Questo inconveniente era tipico delle agevolazioni attuali, prime fra tutte la riduzione di 16 punti percentuali dell'Irpeg per le società neo-quotate, che venivano sostanzialmente annullate al momento della distribuzione dei redditi ai soci. I mercati finanziari (dietro i quali ci sono sempre, alla fin fine, delle persone fisiche) richiedono invece investimenti, anche in capitale di rischio, il cui rendimento finale sia effettivamente comparabile con quello ottenibile con il più comodo e meno rischioso (ma anche meno proficuo per la collettività) investimento in titoli di debito. A ciò risponde una norma, collocata nel parallelo decreto legislativo sul nuovo regime del credito d'imposta sui dividendi, che attribuisce lo speciale credito d'imposta limitato ivi previsto (senza diritto al rimborso ed equivalente nella sostanza a una detrazione d'imposta), anche a fronte della differenza tra l'aliquota Irpeg ordinaria e l'aliquota agevolata di cui al presente decreto. Questa problematica si pone (ai sensi della lettera a) del comma 162 dell'art. 3 della legge delega) in una posizione di specialità rispetto alla successiva previsione generale dello stesso comma. secondo cui il credito d'imposta non può eccedere l'Irpeg pagata dalla società erogante; comunque quest'ultima previsione viene sostanzialmente rispettata poiché il decreto non consente rimborsi al socio per tributi mai assolti dalla società erogante, e segue una logica del tutto analoga a quella vigente per i dividendi provenienti da società controllate residenti nella comunità europea e per le plusvalenze realizzate ai sensi del decreto legislativo sulle "ristrutturazioni aziendali", emanato anch'esso in base alla medesima legge di delegazione. In questo modo, viene prima di tutto eliminata la disparità di trattamento tra soci residenti e non residenti, per i quali la limitazione del credito d'imposta non avrebbe avuto alcun effetto. Viene anche attenuata la diversità di trattamento tra soci di società di capitali e soci di società di persone (nonché imprenditori individuali), per i quali il beneficio ha - sin dall'origine - carattere definitivo; anche se i soci di società di capitali dovranno dichiarare i dividendi in questione, il conguaglio d'imposta che dovranno eventualmente corrispondere riguarderà solo l'eccedenza tra l'aliquota Irpef applicabile nella fattispecie e l'ammontare del credito d'imposta.

L'esclusione dei settori bancario e assicurativo, prevista dall’art. 1, parte dal presupposto secondo cui le esigenze di efficienza e rafforzamento dell'apparato produttivo non costituiscono, per il legislatore delegato, una previsione da recepire meccanicamente con l'automatica estensione del beneficio a qualsiasi impresa. Il richiamo della delega al rafforzamento dell'apparato produttivo impone invece al governo di contemperare una pluralità di esigenze nel modo che meglio promuova lo sviluppo economico globale. Occorreva tra l'altro valutare il diverso grado di reattività dei vari settori economici, in termini di maggiori investimenti e di maggiore sviluppo, rispetto alla presente mitigazione dell'incidenza fiscale; ciò tenendo conto delle imprenditorialità esistenti nei vari comparti dell'economia, in modo da ottimizzare la perdita immediata di gettito per promuovere al meglio investimenti e sviluppo in tutto il sistema, considerando anche la presenza di regimi agevolativi ad hoc per determinate categorie d'imprese. Il legislatore non poteva quindi esimersi dal considerare che, se il provvedimento fosse stato indiscriminatamente applicato alla generalità delle imprese, l'effetto incentivante sull'apparato produttivo sarebbe stato minore, anche perché la portata dell'agevolazione sarebbe stata inevitabilmente più modesta.

Queste valutazioni avevano indotto da principio ad escludere dalla sfera di applicazione del provvedimento il settore bancario ed assicurativo, ricalcando scelte normative effettuate in precedenza, da ultimo in materia di agevolazioni per gli utili reinvestiti in beni strumentali. In considerazione delle osservazioni della commissione parlamentare e della necessita’ di un periodo di sperimentazione dell’istituto prima di generalizzarne l’applicazione ai settori suddetti, e’ stato stabilito in via di principio che il beneficio e’ applicabile anche ad essi, posticipando tuttavia la piena applicazione della normativa stessa al quarto periodo d’imposta successivo a quello in corso al 30 settembre 1996 (nella generalità dei casi l’anno 2000)

L'articolo 1 detta norme riservate ai "soggetti IRPEG", stabilendo innanzitutto che, ai fini dell'applicazione delle disposizioni in questione, il capitale investito deve essere ricondotto al concetto di patrimonio netto individuato dall'art. 2424 del codice civile. Ad un imponibile pari al rendimento ordinario dell'incremento del capitale investito si applica l'aliquota agevolata determinata nella misura del 19%, rispetto all'ordinaria aliquota IRPEG oggi fissata al 37% (comma 1).

La misurazione dell'incremento del capitale investito richiede una più attenta disamina dovendo tenere conto, algebricamente, di elementi che ne determinano l'incremento e di elementi che ne possono determinare il decremento (comma 2). Appartengono alla prima categoria (incrementi) non già tutte le variazioni in aumento del patrimonio netto contabile: bensì solo quelle che si risolvono:

1) in un ingresso di nuova liquidità per l’impresa ricevente a titolo di apporto di mezzi propri., anche diversi dall'aumento di capitale nominale, (oltre al caso classico del versamento di un sovrapprezzo, si pensi anche a versamenti a fondo perduto o per copertura di perdite pregresse; al contrario restano al contrario escluse le rinunce a crediti effettuate dai soci);

2) in un incremento delle riserve di utili mediante rinuncia alla loro distribuzione ed accantonamento nelle riserve a tale titolo costituite (ivi inclusa la quota destinata alla riserva legale). Sono state peraltro escluse, in accoglimento di una proposta della commissione parlamentare, le riserve indisponibili costituite a seguito della valutazione delle partecipazioni col metodo del patrimonio netto ai sensi dell’art. 2426 comma 1 n.4 c.c..

Gli incrementi patrimoniali rilevanti ai fini del presente decreto possono però anche venir meno per varie cause sopravvenute. Possono essere cause volontarie, come la distribuzione di dividendi o la riduzione del capitale o voci patrimoniali assimilate (fondo sovrapprezzo etc.). In questo caso si tratta di riduzioni volontarie, che provocano la fuoriuscita dall'impresa di risorse destinate ad altri soggetti. Ne discende che la base di computo dell’aliquota agevolata deve essere conseguentemente ridotta, come dispone la seconda parte del comma 2 dell’art. 1.

Non sono state invece considerate le riduzioni del patrimonio derivanti da fattori indipendenti dalla volontà dell'impresa, come le perdite di esercizio. In questo caso l'incremento patrimoniale resta fermo, e in pratica la perdita incide sul patrimonio non rilevante ai fini dell'incremento del capitale investito. Il patrimonio residuo, dopo la copertura delle perdite, viene perciò considerato in primo luogo proveniente dagli incrementi formatisi dopo la chiusura dell'esercizio in corso al 30 settembre 1996. La base di calcolo dell'aliquota agevolata trova però il logico limite dell'ammontare assoluto del patrimonio residuo, come dispone l'ultima parte del comma 2 dell’art. l; giunti a questo punto, tutto il patrimonio, infatti, si considera formato con `incrementi patrimoniali rilevanti ai fini dell'aliquota agevolata (in caso contrario si finirebbe per utilizzare un patrimonio non più esistente per dare luogo ad una eccedenza riportabile nei successivi esercizi ai sensi del comma 5).

Il momento in cui gli incrementi e i decrementi assumono rilievo varia in funzione della tipologia di operazione posta in essere (comma 3). Mentre per gli aumenti di capitale e di riserve di capitale rileva il momento (e la quantità) del versamento, per l'incremento di riserve costituite con utili rileva la data di inizio del periodo in cui la relativa delibera è stata adottata. I decrementi, cioè quelli che danno luogo a fuoriuscite di liquidità (cioè riduzioni, assegnazioni o distribuzioni di riserve), rilevano dall’'inizio dell'esercizio in cui viene deliberata la distribuzione.

Il nuovo sistema di tassazione del reddito d'impresa qui varato può prestarsi tuttavia a proliferazioni a cascata per le società controllate a loro volta da altre società. La questione presenta aspetti di straordinaria delicatezza per quanto attiene ai gruppi d’imprese (di fatto e di diritto) e richiede una grande attenzione onde evitare che la positività e lungimiranza del beneficio accordato possa trasformarsi in occasione di astute operazioni elusive tendenti ad abusare delle nuove opportunità che il legislatore tributario sta offrendo al mondo imprenditoriale. Per premiare solo i nuovi apporti di risorse nel sistema produttivo si sarebbero potute adottare norme particolarmente stringenti, tese a prendere in considerazione solo gli apporti di capitale proveniente da economie terze rispetto al comparto imprenditoriale (quindi., di fatto, solo da persone fisiche e soggetti non residenti) scartando i movimenti di capitale che intervenissero, fra imprese residenti. Questa ipotesi tuttavia, oltreché apparire restrittiva, avrebbe provocato notevoli difficoltà di controllo e avrebbe comportato intralci alla circolazione delle partecipazioni sociali, poco opportuni nel mentre si tenta di stimolare il mercato del capitale di rischio.

Si é preferito, quindi, dare spazio anche alle capitalizzazioni originate nel mondo delle imprese e limitare alcune distorsive moltiplicazioni del beneficio in discorso. A ciò provvede il comma 4, stabilendo che l'incremento del capitale investito in una impresa debba essere depurato dell'incremento (rispetto alle partecipazioni risultanti dal bilancio relativo all'esercizio in corso al 30 settembre 1996) delle partecipazioni in società controllate o controllanti. A rigore questa logica avrebbe dovuto essere applicata anche alle società collegate, se non a tutte le partecipazioni possedute, ma ciò si sarebbe risolto in una penalizzazione eccessiva, colpendo anche incrementi di partecipazioni del tutto occasionali e che, in ogni caso, non potevano essere il frutto di manovre volte a moltiplicare indebitamente la base del beneficio. Quest'ultima, infatti, può essere proficuamente perseguita solo esercitando il controllo sul punto di partenza e di arrivo dei capitali coinvolti.

Il correttivo originario, basato sull’incremento del valore delle partecipazioni, poneva difficoltà di controllo pressoché insuperabili, anche in base al decreto ministeriale che avrebbe dovuto essere emanato per considerare se le società partecipate godessero effettivamente dell’applicazione dell’aliquota ridotta; accogliendo l’invito, proveniente dalla commissione parlamentare, ad adottare un meccanismo meno macchinoso, si e’ preferito utilizzare il correttivo basato sull’effettuazione di conferimenti suscettibili di incrementare il reddito della società partecipata soggetto ad aliquota agevolata; ciò secondo il principio di base secondo cui chi effettua un conferimento in società attribuisce "base dit" alla società conferitaria e deve quindi corrispondentemente ridurre la propria "base dit", indipendentemente dalla successiva alienazione delle partecipazioni. Naturalmente il riferimento del correttivo ai conferimenti in società impone di prestare una certa attenzione ai conferimenti dall’estero, sia applicando la norma antielusiva di cui all’art. 37 del DPR 600 sia attraverso limitazioni specifiche che potranno essere adottate con successivi provvedimenti.

Per le stesse ragioni di simmetria è stata esclusa la rilevanza, ai fini della limitazione in discorso, delle partecipazioni acquisite mediante conferimenti non rilevanti ai fini in questione, come i conferimenti in natura.

Qualora il valore come sopra determinato degli incrementi di conferimenti risulti inferiore al valore dell’incremento del capitale investito, quest’ultimo è ulteriormente ridotto:

a) dell'incremento dei crediti di finanziamento verso i soggetti controllati o controllanti in precedenza individuati;

b) del corrispettivo per l’acquisizione di una o più aziende appartenenti ai predetti soggetti controllanti o controllati;

c) del valore degli incrementi di titoli diversi dalle partecipazioni (obbligazioni e altri investimenti di tesoreria).

Per comprendere queste disposizioni bisogna partire dal presupposto secondo cui l'aliquota ridotta è stata attribuita anche a fronte di apporti di capitale che provengono dal mondo delle imprese, compresi quelli effettuati da società del medesimo gruppo. Ne discende il rischio che precedenti investimenti vengano collocati all'interno di società titolari di capitale formalmente "nuovo", come tale suscettibile dei benefici in discorso.

Un primo strumento per conseguire questo risultato è la concessione di finanziamento, cui si riferisce la lettera a) dell'articolo 1 comma 4. Attraverso la concessione di un finanziamento a una società del gruppo è infatti possibile evitare la sterilizzazione della remunerazione ordinaria della società creditrice, mentre la società debitrice potrà sottoscrivere un aumento di capitale, in altra società del gruppo, al quale il beneficio sarebbe applicabile senza limitazioni Per questo motivo la lettera a) considera, ai fini della riduzione della remunerazione ordinaria, l'incremento dei crediti di finanziamento verso società controllate o controllanti alla stessa stregua di un aumento di partecipazioni.

E' appena il caso di rilevare che la lettera b) tende ad evitare che aziende già possedute dallo stesso soggetto economico, attraverso manovre intragruppo, vengano attribuite a società abilitate a fruire dell’aliquota ridotta.

Ad analoghe considerazioni corrisponde la cautela, contenuta nella lettera c), riguardante gli elementi dell'attivo facilmente smobilizzabili, soprattutto quelli di tesoreria. Le società con ammontare significativi di titoli obbligazionari, depositi bancari, e altri investimenti finanziari facilmente liquidabili, non avrebbero difficoltà a monetizzare temporaneamente queste attività, trasferendo ì relativi importi, mediante conferimento in denaro, in società del gruppo: la società beneficiaria potrebbe, poi altrettanto facilmente procedere ad investimenti di tesoreria sostanzialmente analoghi a quelli smobilizzati dalla conferente. L'esclusione di tali impieghi di tesoreria si giustifica anche sul piano della finalità complessiva del provvedimento, che si propone di incentivare gli investimenti imprenditoriali rispetto a quelli meramente finanziari. Appare quindi ragionevole escludere l'agevolazione per questi ultimi impieghi, quand’anche effettuati da imprese, e ciò consente al complessivo intervento legislativo maggiori aperture alla generalità degli investimenti d'impresa.

E’ stata soppressa, in accoglimento della proposta della commissione parlamentare la norma di cui all’articolo 3, particolarmente complessa e superata dalle nuove disposizioni in materia di società controllanti e controllate.

Il comma 2 dell'articolo 1 individua, accogliendo le proposte della commissione parlamentare, le modalità di determinazione del tasso di remunerazione ordinaria del capitale investito delegando il Ministro delle Finanze, di concerto col Ministro del tesoro, a fissarla con proprio decreto.

Il comma 3 dell’articolo 1 intende evitare che la combinazione fra l'importo cui risulta applicabile l'aliquota ridotta e l'importo cui risulta applicabile l'aliquota ordinaria spinga le imprese ad appiattirsi, com'è intuitivo. verso l'aliquota minore con seria perdita di gettito per l'Erario. La norma fissa quindi una soglia minima, in termini di aliquota effettiva, al di sotto della quale non sia comunque possibile scendere. Tale aliquota, determinata nella misura del 27 %, non è una aliquota d'imposta, perché il reddito della società sarà soggetto esclusivamente alle aliquote del 19% (agevolata) e a quella del 37% (ordinaria). L'aliquota agevolata cesserà però di avere applicazione quando l'aliquota media raggiungerà il 27%. Il medesimo comma 3, peraltro, consente il riporto in avanti, per i cinque successiva periodi d'imposta, dell'eventuale eccedenza di imponibile soggetto ad aliquota ridotta per l'ipotesi in cui il beneficio non sia stato goduto appieno per effetto della limitazione indicata nella prima parte del comma stesso o per insufficienza di reddito imponibile.

L'articolo 4 estende alle società neocostituite, sia di capitali sia di persone, lo stesso regime applicabile alle società preesistenti rispetto alla data del 30 settembre 1996. Il legislatore delegante si era preoccupato di ipotizzare disposizioni speciali per le prime nel presupposto che il vantaggio delle stesse sarebbe stato di troppo rilevante dimensione rispetto alle società già esistenti. Sarebbe però sterile e formalistico discriminare le società di nuova costituzione quando è possibile effettuare nuovi investimenti utilizzando società preesistenti, ma inattive. Inoltre l'adozione dell'aliquota media minima indicata al comma 3 dell'articolo 1 stempera notevolmente tale potenziale vantaggio delle società neocostituite. Il vantaggio è poi in realtà solo apparente rispetto a quello che potrebbe trarsi effettuando l'investimento aggiuntivo in una profittevole società preesistente; la regola secondo cui il reddito imponibile è imputato in prima battuta alla remunerazione dell'incremento patrimoniale comporta che spesso, effettuando un investimento aggiuntivo in una società preesistente, sarà possibile beneficiare in pieno dell'aliquota agevolata, mentre effettuandolo in una società neocostituita ci si potrebbe più facilmente scontrare col già indicato limite secondo cui l'aliquota media non può essere inferiore al 27 %.

Accogliendo il parere della Commissione parlamentare è stata ammessa al beneficio anche l’impresa individuale a contabilità ordinaria per opzione, a condizione che tale opzione venga effettuata a tempo indeterminato e valga fino alla liquidazione e cessazione dell’impresa. L'articolo 5 detta, quindi, regole ad hoc per l’applicazione dell'aliquota ridotta alle imprese individuali ed alle società di persone. E ciò nella considerazione che occorrevano adattamenti particolari per trasferire, in capo a questi soggetti, una normativa originariamente concepita per esplicare i propri effetti per i soli soggetti IRPEG. L'estensione a tali forme giuridiche di esercizio dell'impresa, disposta con emendamento parlamentare all'originario disegno di legge delega, comporta la necessità di individuare una struttura del beneficio adeguata alle caratteristiche di questi ultimi contribuenti, caratterizzando la stessa con la massima semplicità applicativa.

Si è ritenuto, perciò, necessario introdurre un meccanismo di "tassazione separata" del reddito soggetto ad aliquota agevolata, che assume in questo caso, carattere definitivo, mancando per gli utili prodotti da tali soggetti il successivo conguaglio che si verifica per i soci di società soggette ad IRPEG in sede di percezione del dividendo. Peraltro, onde non avvantaggiare eccessivamente, sotto il profilo della progressività, gli imprenditori individuali ed i soci di società di persone titolari di altri redditi rispetto a quelli provenienti dall'attività beneficiata, è stato stabilito che la determinazione dell'aliquota su questi redditi ulteriori venga effettuata a partire dall'ammontare soggetto alla suddetta tassazione separata.

Per quanto riguarda poi, la base di commisurazione dell'aliquota agevolata, occorreva tenere conto che per le imprese individuali e le società di persone non esiste quel pieno dualismo della impresa/società rispetto alla persona fisica/socio che caratterizza le società di capitali; il patrimonio netto delle società di capitali ha, infatti, una propria caratterizzazione formale, sia a fini civilistici che fiscali, che manca al patrimonio di scopo delle attività imprenditoriali esercitate nelle forme qui trattate. Il patrimonio netto di questi soggetti, che pure astrattamente esiste, può, infatti, modificarsi di continuo a seguito di prelievi, versamenti diretti o comunque con passaggi non formalizzati rispetto alla sfera personale. Lo stesso avviene, con le dovute differenze, per le stabili organizzazioni in Italia di imprese estere, sprovviste di un capitale nominale ed il cui fondo di dotazione può continuamente modificarsi.

In questi casi è apparso, dunque, preferibile, anziché irrigidire questa fisiologica variabilità del patrimonio netto, commisurare il beneficio non solo all'incremento del patrimonio netto contabile, ma anche all’attivo patrimoniale. Si tratta, più specificamente, delle acquisizioni di beni strumentali nuovi che non rilevano in modo incrementale rispetto ai vecchi investimenti dismessi, ma costituiscono uno stock; ad esempio, l'agevolazione spetterebbe anche a chi non aumentasse il valore dei propri beni strumentali, ma si limitasse a rimpiazzarli con beni strumentali nuovi. A questo importo "agevolabile" si aggiunge il secondo parametro suscettibile di riscontro analitico, cioé la riduzione dell'indebitamento

L'articolo 6 detta le caratteristiche con cui la norma agevolativa sopra illustrata trova applicazione, con un maggiore beneficio, nei confronti delle società che richiedono la quotazione in un mercato mobiliare regolamentato nazionale. E ciò nella considerazione che l'allargamento del listino risponde sotto più profili ad un migliore interesse della collettività. Innanzitutto sotto il profilo del rafforzamento dell'apparato produttivo, visto che l'accesso in borsa si congiunge, normalmente. con buone prospettive di crescita di un'impresa che non può non interessare la crescita economica ed occupazionale dell'ambiente circostante. La quotazione costringe infatti le imprese ad assoggettarsi ad un sistema di controlli e di diffusione dell'informazione da un lato più moderno, dall'altro più rispondente a quella trasparenza cui il sistema fiscale non può non essere interessato.

La norma riduce ulteriormente, per un periodo triennale, le aliquote indicate nell'articolo 1, ed applica tale riduzione sull'intero incremento di patrimonio, anche anteriore alla quotazione in borsa. Ciò prima di tutto per le già indicate considerazioni sulla meritevolezza delle quotazioni di borsa, ma anche perché le società che richiedono la quotazione provvedono spesso a capitalizzarsi (per adeguarsi ai coefficienti patrimoniali previsti dalla normativa in materia) negli esercizi antecedenti alla richiesta di quotazione.

Oltre a queste ragioni premiali, esistono motivi squisitamente tecnico tributari per applicare le aliquote ridotte all'intero incremento patrimoniale (ancorché costituito prima della quotazione), poiché la gestione di tre aliquote (quella ordinaria, quella agevolata generale e quella agevolata per le società quotate) e di tre incrementi patrimoniali (stock al 1996, incremento prima della quotazione ed incremento ad essa successivo) appesantirebbe oltremisura l'applicazione della normativa.

L'articolo 6 ultimo comma parte dalla considerazione che numerose sono le scappatoie e gli espedienti tendenti a canalizzare attività già esistenti su società di nuova costituzione od opportunamente ricapitalizzate cosi da fruire della riduzione di aliquota senza che si sia fatto luogo ad investimenti aggiuntivi. Le clausole sostanziali indicate all’articolo 2 sono probabilmente inidonee a neutralizzare tutte le possibili scappatoie cui si potrebbe ricorrere per aggirare le prescrizioni contenute nel decreto, vanificandone così gli intenti sostanziali. Basti pensare all'affitto di azienda posto in essere da un'impresa preesistente ad una società abilitata a fruire dell'aliquota ridotta. E', quindi, opportuno un richiamo specifico alla norma antielusiva, collocata nell'articolo 37-bis del decreto 29 settembre 1973, n 600, in modo da rendere chiaro che i principi dettati dall'articolo 2 e dall’art. 3 costituiscono criteri informatori del sistema qui introdotto. Le manovre tendenti ad aggirare tali principi mediante operazioni realizzate con lo scopo di non incorrere nelle restrizioni ivi indicate, conseguendo però i medesimi risultati che il legislatore ha, invece, inteso prevenire, comportano il disconoscimento del vantaggio fiscale.

.In considerazione dell’entrata in vigore delle modifiche alle sanzioni amministrative per infedele dichiarazione, che sono applicabili anche a questa fattispecie, e’ stato soppresso l’art. 7 in materia di sanzioni per indebita applicazione del beneficio.

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