Commissione Parlamentare Consultiva
in materia di riforma fiscale

RELAZIONE

Come è noto l’art. 3, comma 160, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, dà delega al Governo di procedere al riordino della disciplina tributaria dei redditi di capitale e dei redditi diversi derivanti da attività finanziarie con puntuale indicazione dei principi cui ci si deve attenere nell’opera di riforma.

Volendo in sintesi indicare i principi della delega in materia di riforma dei redditi finanziari, vanno in particolare sottolineati i seguenti punti.

I) Revisione della disciplina dei redditi di capitale e diversi secondo le seguenti linee direttive:

- definizione della categoria dei redditi di capitale e diversi secondo una nozione economico - strutturale delle due categorie in luogo di una definizione strettamente giuridico - formale di esse. La definizione di reddito di capitale non deve più necessariamente ripetere, secondo la delega, la nozione civilistica di frutto civile, ma può solo poggiare su tale definizione, riprendendo i caratteri strutturali della categoria civilistica di frutto civile, definendo, cioè, come reddito di capitale quei proventi derivanti da un impiego di capitale secondo uno schema produttivo analogo a quello civilistico del frutto. Tale scelta comporta altresì la necessità di procedere all'introduzione di norme di chiusura nella categoria dei redditi diversi, che abbiano la funzione di colpire forme di elusione e, ove necessario, di definire la categoria in contrapposizione con quella dei redditi di capitale;

- revisione delle singole fattispecie di reddito previste dall'attuale testo dell'articolo 41 del t.u.i.r. al fine di meglio definire il contenuto di ciascuna di esse in conformità alla definizione generale della categoria come sopra indicata e, dunque, in base ad una nozione economico - strutturale e non necessariamente formale - giuridica delle singole ipotesi reddituali;

- tassazione delle plusvalenze derivanti da qualunque forma di cessione di partecipazioni in società od enti, residenti o non residenti;

- estensione dell'imposizione alle plusvalenze derivanti da cessioni di ogni altro valore mobiliare, di valute e di metalli preziosi;

- estensione dell'imposizione ai proventi, redditi o differenziali derivanti dai nuovi strumenti finanziari, sia traslativi che non traslativi, sia con che senza attività sottostanti;

- introduzione, entro limiti di tempo e di importo prestabiliti, di franchigie per le plusvalenze derivanti da cessioni di valute ed eventualmente di obbligazioni, in modo da evitare l'assoggettamento ad imposta di operazioni non significative;

- distinta definizione delle basi imponibili per i redditi di capitale ed i redditi diversi - plusvalenze (guadagni di capitale), prevedendosi la conferma per i primi della tassazione al lordo, senza alcuna deduzione, e per i redditi diversi (guadagni di capitale) della tassazione al netto delle spese di produzione del reddito nonché delle eventuali minusvalenze o perdite realizzate;

II) distinzione, agli effetti della dichiarazione e del regime impositivo, delle plusvalenze e degli altri redditi diversi (guadagni di capitale) in due categorie: la prima comprendente le plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni qualificate (individuate, anziché in ragione dell'entità della partecipazione, in ragione del diritto di voto, eventualmente anche in via alternativa o concorrenziale), la seconda comprendente gli altri guadagni di capitale. Da tale distinzione derivano due "masse" distinte in cui separatamente confluiscono tutte le plusvalenze, minusvalenze e perdite realizzate nell'anno. L'eventuale eccedenza delle minusvalenze o perdite rispetto alle plusvalenze realizzate può essere, sempre distintamente per le due "masse" sopra indicate, portata in deduzione dalle plusvalenze della stessa specie realizzate negli anni solari successivi, ma non oltre il quarto;

III) sempre distintamente per le due "masse" sopra indicate, previsione di forme di imposizione sostitutiva per le plusvalenze nette realizzate nell'anno, applicando aliquote più elevate alle plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni qualificate. Per quanto concerne, invece, le altre plusvalenze o guadagni di capitale è prevista la possibilità di optare per una imposizione "a monte", senza obbligo di successiva dichiarazione, a condizione di avvalersi di intermediari autorizzati chiamati ad applicare l'imposta sostitutiva su ciascuna plusvalenza realizzata. Tale facoltà di opzione può essere concessa solo a certe condizioni volte ad evitare abusi, quale in particolare la stabilità del rapporto con l'intermediario incaricato del prelievo dell'imposta sostitutiva;

IV) sempre per i redditi di cui alla seconda "massa", viene prevista la possibilità di optare per una forma di tassazione "a monte" nel caso di patrimoni affidati in gestione ai soggetti di cui alla legge 23 luglio 1996, n. 415. In tal caso deve essere applicata la stessa imposta sostitutiva prevista al punto III) sui risultati netti maturati in ciascun periodo d'imposta. Nell'ambito di tale disciplina opzionale è prevista anche la possibilità di compensare i risultati negativi di un periodo d'imposta con quelli positivi dei successivi periodi, ovviamente non oltre il quarto;

V) al fine di rendere compatibile il regime di tassazione sui redditi maturati di cui al punto IV) con la tassazione sui redditi realizzati di cui al punto III), sono previsti dei meccanismi correttivi di equivalenza (cosiddetto equalizzatore) fra i due momenti impositivi. Tali meccanismi vanno introdotti a carico dei redditi tassati in base a realizzo;

VI) per ovvie ragioni perequative, è prevista l'estensione del regime di cui al punto IV) agli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari, con conseguente abolizione della disciplina "patrimoniale" attualmente vigente;

VII) per quanto concerne la revisione delle aliquote delle ritenute sui redditi di capitale e dell'imposizione sostitutiva sui redditi diversi, essa procede secondo i seguenti criteri direttivi:

- previsione per le ritenute sui redditi di capitale di tre aliquote, fra un minimo del 12,50 per cento ed un massimo del 27 per cento;

- differenziazione fra aliquote minima e massima in ragione della qualità del reddito, nel rispetto dei principi costituzionali in materia di tutela del risparmio (articolo 47 Costituzione) nonché favorendo gli investimenti a più lungo termine ed i prodotti finanziari oggetto di offerta al pubblico;

- applicazione della ritenuta a titolo d'imposta sui redditi di capitale solo nei confronti dei soggetti (persone fisiche o meno) non esercenti imprese commerciali e dei soggetti non residenti;

- applicazione delle medesime aliquote per le imposte sostitutive di cui al punto III) ed in particolare dell'aliquota più elevata sulle plusvalenze derivanti da cessioni qualificate e di quella minore su tutti gli altri guadagni di capitale, ivi compresi quelli conseguiti nelle forme di cui ai punti IV) ed V);

- possibilità per i soggetti non esercenti imprese commerciali di optare per l'applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, nella stessa misura prevista per l'aliquota più ridotta (12,50 per cento) sugli utili societari;

VIII) completamento della disciplina attraverso la revisione della normativa sul cosiddetto monitoraggio fiscale, introducendo tutte le modifiche necessarie a realizzare un effettivo controllo dei redditi di capitale e diversi, di fonte sia interna che estera;

IX) coordinamento, infine, della nuova disciplina non solo con la legge n. 102 del 25 marzo 1991 (sulla tassazione dei cosiddetti capital gains), con particolare riguardo alla soluzione dei problemi di carattere transitorio conseguenti al passaggio fra nuovo e precedente regime di tassazione dei capital gains, ma anche con le disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi, con il decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, e con il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

Premesso tale quadro generale, l’attuazione della delega ha seguito puntualmente le linee direttive sopra indicate. Di conseguenza, il testo predisposto è stato suddiviso in quattro titoli, riguardanti rispettivamente:

- il titolo I, la "riforma dei redditi di capitale e dei redditi diversi"

- il titolo II, la "disciplina dell’imposta sostitutiva sui redditi di capitale e sugli altri redditi"

- il titolo III, il "riordino delle ritenute e delle imposte sostitutive sui redditi di capitale"

- il titolo IV, le "disposizioni transitorie e finali".

Passando al commento dei singoli articoli si rileva relativamente a ciascuno di essi quanto segue.

Articolo 1: modifiche agli articoli 20 e 112 ed all’articolo 41 del t.u.i.r.

La formulazione della lettera f) dell’art. 20 del t.u.i.r. é stata integrata al fine di comprendere fra le partecipazioni che si considerano esistenti nel territorio dello Stato, per presunzione assoluta di legge, oltre alle partecipazioni in società a responsabilità limitata ed in accomandita semplice od in nome collettivo residenti, anche quelle in società per azioni od in accomandita per azioni, residenti. Attraverso tale modifica si é inteso attrarre alla sfera d’imposizione italiana le plusvalenze realizzate da non residenti sulle partecipazioni possedute in società residenti di ogni tipo, indipendentemente dal fatto che i titoli rappresentativi delle predette partecipazioni siano depositati in Italia. Per evitare che anche soggetti non residenti, privi di ogni rapporto di collegamento con il territorio dello Stato, debbano quivi pagare le imposte, qualora abbiano acquistato su mercati regolamentati italiani od esteri partecipazioni in società italiane, é previsto che la presunzione di territorialità così introdotta non opera in ogni caso per le partecipazioni non qualificate in società italiane, negoziate in mercati regolamentati, per le quali, dunque, vale in ogni caso la presunzione di extraterritorialità, anche nell’ipotesi in cui le partecipazioni quotate dovessero essere detenute (ad esempio, per effetto della loro negoziazione nella borsa italiana) dal soggetto non residente in Italia (in questo senso è la precisazione "anche se detenute nel territorio dello Stato" aggiunta per mere ragioni di chiarezza di formulazione nella stesura finale della norma). Con riguardo sempre alla lettera f) dell’art. 20 del t.u.i.r., deve altresì rilevarsi che l’osservazione formulata dalla Commissione parlamentare, nel senso di specificare che i mercati regolamentati cui si riferisce la disposizione in esame sono i mercati regolamentati "italiani ed esteri", è stata accolta procedendo, nel corpo dell’intero provvedimento normativo, ad utilizzare l’espressione "mercati regolamentati" tout court nel caso, per l’appunto, in cui ci si è voluti riferire ai mercati regolamentati "italiani ed esteri", e ad utilizzare invece l’espressione "mercati regolamenti italiani", laddove ci si è voluti riferire solo ai mercati italiani con esclusione di quelli esteri.

Di mero coordinamento con le modifiche introdotte alla lettera f) dell’art. 20 sono le modifiche apportate all’art. 112 del t.u.i.r..

Per quanto riguarda l’art. 41, contenete - come è noto - la definizione della categoria dei redditi di capitale, è stata mantenuta il più possibile la struttura e la formulazione dell'attuale articolo, apportando ad esso solo le modifiche necessarie ad attuare la delega. In particolare, l'art. 41 continua ad essere strutturato in un'elencazione di fattispecie "tipiche" produttive di redditi di capitale ed in una disposizione finale, avente funzione definitoria della categoria e di chiusura. In considerazione di ciò, sulla base della raccomandazione fatta dalla Commissione parlamentare di apportare al testo tutte le modifiche necessarie per attuare il miglior coordinamento possibile fra le disposizioni, nel riformulare le singole disposizioni dell’art. 41 contenenti l’individuazione della fattispecie tipiche, si è preferito eliminare eventuali norme di chiusura, che sarebbero risultate pleonastiche e ripetitive di quella generale contenuta nella lett. h), da un lato, indebolendo la funzione di quest’ultima e, dall’altro, potendo determinare sovrapposizioni di norme, foriere di incertezze interpretative.

Ciò premesso per quanto riguarda le fattispecie "tipiche" produttive di redditi di capitale si è cercato, laddove necessario, di dare una definizione economico - strutturale di esse <...>. <...>

In ordine alle fattispecie produttive di redditi di capitale si osserva ancora che sono state aggiunte alcune ipotesi con significato meramente sistematico (ad esempio, l'indicazione dei capitali rivenienti da contratti di assicurazione sulla vita), mentre in altri casi si è cercato di chiarire con una formulazione più ampia la portata della norma (ad esempio, in materia di gestioni collettive di patrimoni). E’ chiaro, inoltre, che non si è voluto stravolgere l’attuale sistematica normativa per rispondere ad esigenze meramente teoriche e, pertanto, nell’elencazione delle fattispecie produttive di redditi di capitale sono state ripetute tutte le ipotesi già presenti nell’attuale disposizione, pur nella consapevolezza per talune di esse della loro sostanziale estraneità alla nozione giuridico - tributaria di reddito di capitale; ciò, si intende, a condizione che la disciplina tipica della categoria in esame (imposizione al lordo) sia ad esse applicabile senza distorsioni.

Venendo alla norma di definizione e di chiusura di cui alla lett. h), si è utilizzata l'espressione "gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale", per sottolineare, dal punto di vista economico, che il reddito di capitale si caratterizza come tipica fattispecie di reddito prodotto (a differenza del reddito diverso - guadagno di capitale espressione economica di un reddito entrata) e, dal punto di vista giuridico, che per la produzione di un reddito (frutto economico del capitale) è necessaria l'esistenza di un atto (negozio od altro rapporto) di impiego del capitale.

Tale definizione è apparsa già sufficientemente chiara per escludere dalla categoria in esame tutte quelle somme che non siano frutto di un atto di impiego del capitale, quali, in particolare, i cosiddetti interessi compensativi dovuti a titolo di mera reintegrazione di una posizione di perdita patrimoniale. Si è ritenuto, pertanto, non necessario ripetere l'esclusione degli interessi compensativi, presente nell'attuale art. 41.

La locuzione utilizzata è apparsa anche sufficientemente chiara per esprimere la delimitazione della categoria ai frutti derivanti da un atto di impiego di un capitale "finanziario". In caso contrario la categoria dei redditi di capitale avrebbe potuto astrattamente considerarsi estensibile a fattispecie tipicamente ricondotte sotto il profilo fiscale ad altre categorie reddituali, quali, ad esempio, i proventi delle locazioni.

L'ultima parte della lettera h) ("esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi o negativi in dipendenza di un evento incerto", riformulata in aderenza ad una specifica osservazione della Commissione parlamentare) esclude dalla categoria dei redditi di capitale quei redditi che, pur derivando da un eventuale atto di impiego del capitale, non possono essere trattati come frutti del capitale, ma come guadagni eventuali ed incerti del capitale (e come tali, dunque, da ricondurre nella categoria dei redditi diversi). Si osservi, incidentalmente, che mentre la categoria reddito - frutto del capitale è tassata al lordo (art. 42), quella dei guadagni di capitale è tassata al netto delle spese di produzione e delle eventuali perdite di capitale (minusvalenze), regola questa rispondente alla natura giuridico - economica delle diverse fattispecie sottoposte ad imposizione.

Ciò detto nella categoria dei redditi di capitale rientrano tutti i redditi che si caratterizzano come frutti o proventi normali dell'impiego di capitale, ancorché non necessariamente (pre)determinati o (pre)determinabili (secondo la vecchia espressione della "misura definita"). Vi rientrano, pertanto, pure i proventi variabili ma non anche quelli incerti od aleatori, in cui la realizzazione del reddito è caratterizzata non solo, come per quelli variabili, dall'incertezza sul quantum, ma anche dall'incertezza sull'an (sul risultato), potendo l'impiego di capitale produrre, come effetto tipico, anziché un risultato positivo, un risultato negativo.

Tutto ciò si è ritenuto opportuno indicare con una formula descrittiva, anziché con il mero riferimento alla nozione di aleatorietà, sia per evitare dubbi interpretativi (con il rinvio ad una nozione civilistica oggetto di contrasti in dottrina e giurisprudenza) sia per utilizzare anche nella norma di chiusura una formulazione economico - strutturale, come è stato fatto per la maggior parte delle precedenti fattispecie, in modo da enfatizzare della fattispecie aleatoria il profilo dell'incertezza del risultato (incertezza sull'an della realizzazione del reddito) che ai fini tributari assume fondamentale rilevanza (vedi le considerazioni sopra svolte in materia di base imponibile) .

Articolo 2: modifiche all’articolo 42 del t.u.i.r.

Le modifiche apportate all'articolo 42 hanno un significato quasi esclusivamente tecnico - sistematico. In particolare la disposizione aggiunta al comma 1 racchiude in unica norma quanto precedentemente previsto nelle diverse lettere dell'articolo 41, in ordine all'inclusione fra i redditi di capitale anche delle differenze fra somme (o beni) impiegate e somme (o beni) ricevute alla scadenza.

Per quanto concerne le operazioni di pronti contro termine la Commissione parlamentare aveva suggerito di integrare la relativa disciplina, prevedendo di riconoscere la deducibilità delle somme retrocesse al soggetto venditore a pronti. Non essendo possibile accogliere tale suggerimento in considerazione del principio dell’indeducibilità delle spese ed oneri nell’ambito dei redditi di capitale, si è comunque esclusa, al fine di evitare una doppia imposizione, la tassazione del differenziale in capo al cedente a pronti, persona fisica.

Scendendo nel dettaglio, Le disposizioni riguardanti la determinazione della base imponibile delle operazioni pronti contro termine su titoli obbligazionari ricalcano, nella sostanza, la disciplina vigente. In particolare per tali operazioni il provento imponibile è pari alla differenza positiva fra i prezzi "tel quel" a termine e a pronti, diminuita degli interessi e degli altri proventi imponibili maturati sui titoli sottostanti nel periodo di durata del contratto. Analogo regime viene previsto per le operazioni aventi ad oggetto gli altri titoli diversi dalle partecipazioni (ad esempio: certificati di deposito). Per le operazioni pronti contro termine su titoli partecipativi la base imponibile è pari al differenziale positivo fra i prezzi a termine e a pronti, tenuto conto che i proventi sui titoli sottostanti, non maturando pro rata temporis, sono interamente tassati in capo al cessionario a pronti ove essi siano incassati nel corso dell’operazione.

Per quanto concerne le operazioni di prestito titoli, si è ritenuto opportuno inserire talune specifiche disposizioni volte a regolare la materia sulla base del suggerimento con cui in termini generali la Commissione parlamentare ha raccomandato di procedere al miglior coordinamento possibile delle disposizioni del decreto in esame con la disciplina vigente.

Per il prestito titoli, al fine di eliminare qualunque dubbio di carattere interpretativo, viene chiarito che, relativamente alle operazioni aventi ad oggetto titoli diversi dalle partecipazioni, nel compenso del prestito devono in ogni caso ritenersi compresi gli interessi ed altri proventi maturati sui titoli nel corso dell’operazione e ciò anche nell’ipotesi in cui gli stessi non vengano materialmente corrisposti dal mutuatario (ad esempio perché l’operazione si svolge all’interno del periodo di godimento di una medesima cedola, che quindi viene restituita al mutuante nella sua interezza): infatti durante il prestito di titoli gli interessi ed gli altri proventi maturati nel corso dell’operazione sono comunque tassabili in capo al mutuatario. Ciò vale sia per i titoli rientranti nella normativa del d. lgs. n. 239/96, sia per i titoli esclusi da tale disciplina. Va da sé che ove nel corso dell’operazione venga a scadenza una cedola e il mutuatario provveda a retrocedere al mutuante l’intero valore della cedola medesima, nessuna ritenuta andrà operata sulla quota parte della somma retrocessa al mutuante corrispondente agli interessi maturati prima dell’accensione del prestito.

Nel comma 2 viene riscritta la disposizione già contenuta nel comma 3 dell’articolo 7 del D.L. n. 6/96, convertito nella legge n. 110/96 e riguardante il regime fiscale dei beni dati in garanzia nell’ambito di un’operazione di prestito titoli. Con tale intervento si è inteso chiarire che il regime previsto nel citato comma 3 (applicazione sui frutti della garanzia del regime fiscale proprio del mutuatario) deve intendersi applicabile anche nel caso di garanzie prestate con somme di denaro, beninteso a condizione che il mutuante non disponga in alcun modo delle somme stesse nel corso dell’operazione di prestito titoli. Per eliminare qualunque perplessità sotto il profilo applicativo, viene altresì specificato che tale condizione si realizza anche nel caso in cui le somme in discorso vengano depositate in conti o depositi vincolati intestati al mutuante, sempreché essi non vengano utilizzati dal mutuante e siano esplicitamente riferibili al singolo mutuatario.

La disposizione contenuta nel terzo comma ha finalità antielusive in quanto elimina la possibilità che attraverso un’operazione pronti contro termine, di riporto o di prestito di titoli si possa comunque ottenere il credito d’imposta per gli utili distribuiti da società o enti, nel caso in cui detto credito non sarebbe spettato, neanche in via opzionale, al cedente a pronti ovvero al mutuante.

E’ stata infine aggiunta all’art. 42 una disposizione [comma 4-bis)] per disciplinare nel caso di cessione (riscatto o liquidazione) di quote di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (esclusi dunque i fondi immobiliari, soggetti ad un disciplina speciale) la tassazione delle eventuali plusvalenze realizzate. La disposizione introdotta all’art. 42 del t.u.i.r. ha lo scopo di individuare la parte costituente reddito di capitale già assoggettato ad imposta sostitutiva da quella (maggiore o minore) derivante dalla negoziazione (riscatto o liquidazione) e non assoggettata ad imposta e costituente, pertanto, plusvalenza (o minusvalenza). E’ appena il caso di soggiungere che ovviamente tale disposizione ha carattere di principio e perciò generale, trovando applicazione non solo nei confronti delle persone fisiche non esercenti imprese (per le quali la parte costituente reddito già assoggettato ad imposta sostitutiva non è ovviamente più soggetto ad alcuna imposta), ma anche nei confronti dei soggetti esercenti imprese, per i quali anche il suddetto reddito costituisce componente del reddito d’impresa spettando, peraltro, il credito d’imposta pari all’imposta sostitutiva pagata a monte dal fondo, da commisurare ovviamente alla somma che ai sensi della presente disposizione costituisce reddito di capitale.

Articolo 3: modifiche all’articolo 81 del t.u.i.r.

Modifiche di rilievo sono state apportate all'attuale formulazione dell'art.81 del t.u.i.r. e cioè alla norma che disciplina la categoria dei redditi diversi. In particolare, le disposizioni che riconducono a tassazione, rispettivamente, le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni sociali qualificate (lettera c), nonché le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di ogni altra partecipazione o diritto di natura partecipativa (lettera c-bis), pur avendo conservato l'originario ambito applicativo, sono state complessivamente riscritte. E' stata soppressa, per converso, la disposizione che nell'attuale formulazione della norma è volta a sottoporre ad imposizione i proventi derivanti dalla cessione a termine di valute, nonché dai contratti che prendono a riferimento valori a termine delle valute per la determinazione del corrispettivo (lettera c-ter). Al suo posto sono state introdotte tre nuove disposizioni identificate con le lettere c-ter), c-quater) e c-quinquies) per ricondurre a tassazione fra i redditi diversi anche le plusvalenze derivanti dalla cessione di titoli non partecipativi, di valute, e di metalli preziosi, la prima, i redditi conseguiti attraverso contratti derivati ed altri contratti a termine, la seconda, ed infine i proventi derivanti dalla cessione a titolo oneroso di contratti o di crediti, la terza.

Sulla base della nuova formulazione della lettera c) dell'art.81, comma 1, sono considerate cessioni di partecipazioni qualificate le cessioni di partecipazioni al capitale od al patrimonio di società di persone ed equiparate, con esclusione delle associazioni professionali, e di società ed enti soggetti all'IRPEG, con esclusione degli enti non commerciali, che rappresentino almeno il 2 od il 20 dei diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria, secondo che si tratti di titoli quotati ovvero di altre partecipazioni. Innovando rispetto all'attuale formulazione della norma che fa riferimento esclusivo alla partecipazione al capitale, è stato prescelto come criterio base per l'individuazione delle partecipazioni sociali qualificate quello dei diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria, avvalendosi della facoltà in tal senso concessa dalla disposizione di delega. Tale scelta (che ovviamente vale solo per gli enti, quali le società di capitali, forniti di organo assembleare rimanendo per gli altri soggetti, privi di organi assembleari, il criterio della partecipazione al capitale o patrimonio) si giustifica in quanto il criterio dei diritti di voto è quello che meglio consente di identificare le partecipazioni che, assicurando il comando ovvero il controllo sulla gestione della società o dell'ente partecipato, non possono essere considerate come un mero investimento di carattere finanziario, comportando un effettivo coinvolgimento nella gestione. E' attraverso l'esercizio dei diritti di voto e non attraverso la semplice partecipazione al capitale infatti che tale controllo o comando può essere esercitato. Chi acquisti azioni di risparmio (espressamente escluse dalla categoria in esame, recependo anche per tale punto un’espressa raccomandazione della Commissione parlamentare) pone in essere soltanto un investimento di carattere meramente finanziario, anche qualora tali azioni rappresentino una percentuale di partecipazione al capitale superiore ai limiti stabiliti dalla norma.

Per prevenire possibili manovre elusive (oltre che per le ragioni suddette relative alle società di persone) è stato stabilito, tuttavia, che costituiscono, comunque, cessioni di partecipazioni qualificate le cessioni di partecipazioni che rappresentano una percentuale di partecipazione al capitale della società partecipata particolarmente consistente e cioè superiore al 5 ovvero al 25 per cento, secondo che si tratti di titoli quotati ovvero di altre partecipazioni azionarie e non. Conseguentemente per la configurabilità di una cessione di partecipazioni qualificate sarà sufficiente che le partecipazioni cedute superino anche uno soltanto dei due limiti percentuali precedentemente enunciati. Tale disposizione appare particolarmente rilevante con riguardo alle azioni privilegiate (che danno diritto di voto solo nell’assemblea straordinaria), le quali possono comunque consentire un controllo della compagine sociale. Per le azioni privilegiate, pertanto, a differenza delle azioni di risparmio le cui cessioni sono comunque escluse - come sopra detto - dalla disposizione in esame per ricadere nella successiva lettera c-bis), potrà aversi una cessione di partecipazione qualificata laddove esse rappresentino una percentuale di partecipazione al capitale superiore al 5 o 25%.

Alla cessione di partecipazioni qualificate è equiparata la cessione di titoli, diritti o rapporti attraverso cui possono essere acquistate le predette partecipazioni e cioè partecipazioni che rappresentino almeno il 2 ovvero il 20 per cento dei diritti di voto ovvero una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 5 od al 25 per cento, secondo che si tratti di titoli quotati o di altre partecipazioni. Pertanto potrà configurarsi la cessione di una partecipazione qualificata anche qualora siano ceduti titoli, diritti o rapporti che, considerati autonomamente, ovvero, insieme alle partecipazioni cedute, rappresentino una percentuale di diritti di voto o di partecipazione superiore ai limiti indicati. Nel caso di cessione di titoli, diritti o rapporti attraverso cui possono essere acquisite partecipazioni la percentuale dei diritti di voto e di partecipazione dovrà essere calcolata prendendo a riferimento la percentuale dei diritti di voto e di partecipazione potenzialmente ricollegabile alle partecipazioni che possono essere acquisite attraverso i predetti titoli, diritti e rapporti.

Sempre per quanto attiene alla percentuale di diritti di voto e di partecipazione è stata riprodotta anche nella nuova formulazione della norma la regola secondo cui agli effetti della sua determinazione occorre tenere conto di tutte le cessioni effettuate nei dodici mesi, ancorché nei confronti di soggetti diversi. Conseguentemente in occasione di ogni cessione si devono considerare tutte le cessioni che hanno avuto luogo nei dodici mesi dalla data di essa, anche se in periodi d'imposta diversi. Recependo una raccomandazione della Commissione parlamentare, anche ai fini di semplificazione soprattutto nei rapporti con gli intermediari di cui ai successivi articoli 6 e 7, l’applicazione della regola che impone di tener conto di tutte le cessioni effettuate nei 12 mesi è stata subordinata alla condizione che il contribuente possieda (almeno per un giorno) una partecipazione superiore alle percentuali suindicate. Ciò significa che, fino al momento in cui il contribuente non possieda una partecipazione superiore a tali percentuali, tutte le cessioni effettuate nel corso dei dodici mesi, anche se complessivamente superiori alle predette percentuali per effetto di reiterate operazioni di acquisto e vendita, non potranno mai considerarsi cessioni di partecipazioni qualificate. Di converso, dal momento in cui sia superato come possesso una delle predette percentuali, le cessioni effettuate nei dodici mesi successivi, se a loro volta superiori alle percentuali stesse, saranno considerate cessioni di partecipazioni qualificate e ciò fino a che non siano trascorsi dodici mesi dal momento in cui il possesso della partecipazione da parte del contribuente sia sceso al di sotto della percentuale prevista dalla norma.

L’inserimento della condizione del possesso della partecipazione qualificata per l’applicazione della fattispecie di cui alla lettera c) in esame dovrebbe anche risolvere in pratica il problema dei cosiddetti titoli sottili, espressamente segnalato dalla Commissione parlamentare.

Qualora le partecipazioni, i titoli, i diritti od i rapporti ceduti rappresentino una percentuale complessiva di diritti di voto ovvero una percentuale di partecipazione al capitale, determinata con i criteri precedentemente stabiliti, pari od inferiore alle percentuali indicate, le plusvalenze realizzate attraverso la loro cessione, come nel regime attualmente vigente, pur non essendo qualificabili come partecipazioni qualificate, rimangono comunque imponibili sulla base della lettera c-bis). Tale disposizione è infatti volta a ricondurre a tassazione fra i redditi diversi le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di tutte quelle partecipazioni, nonché di tutti quei titoli, diritti o rapporti che danno diritto ad acquistare partecipazioni, le quali non risultano imponibili sulla base della lettera c), per il mancato raggiungimento delle percentuali minime di diritti di voto e di partecipazione ivi previste. Con riferimento alla lettera c-bis) va altresì rilevato che è stata nella sostanza recepita l’osservazione della Commissione parlamentare in ordine ad una più chiara formulazione della norma, inserendosi espressamente il riferimento ai soggetti di cui all’articolo 87 del t.u.i.r.. In ogni caso, dal combinato disposto delle lettere c) e c-bis) risulta con tutta evidenza che l’eventuale cessione di partecipazioni negli enti non commerciali [di cui all’art. 87, lett. c) del t.u.i.r.] ricade in via esclusiva nella disposizione in esame e non mai nella precedente lett. c). A proposito degli enti non commerciali non si è ritenuto, invece, opportuno dare attuazione in questa sede alla raccomandazione della Commissione parlamentare, volta a prevedere il coordinamento della disciplina in esame con l’emananda normativa sulle ONLUS. L’opera di coordinamento fra le diverse normative che sono o verranno emanate in attuazione delle deleghe previste dalla legge 662/96 va, infatti, demandata agli appositi decreti correttivi, che possono essere emanati in attuazione delle predette deleghe.

Portata innovativa presenta la lettera c-ter) la quale, in attuazione del criterio direttivo posto dalla lettera b) della disposizione di delega, comprende fra i redditi diversi anche le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso ovvero il rimborso di titoli o certificati di massa, diversi da quelli di natura partecipativa, esclusi soltanto i titoli rappresentativi di merci, nonché la cessione a titolo oneroso di metalli preziosi e di valute estere, rivenienti da depositi o conti correnti od oggetto di cessione a termine.

Attraverso l'introduzione del generico riferimento ai "titoli" si è inteso assoggettare ad imposizione fra i redditi diversi le plusvalenze derivanti dalla cessione di ogni tipo di titolo di natura non partecipativa, esclusi soltanto, come si è detto, i titoli rappresentativi delle merci, e quindi tanto titoli di massa, quali, ad esempio, obbligazioni e titoli similari, "titoli atipici", nonché titoli rappresentativi di quote di partecipazione a fondi comuni d'investimento mobiliare, quanto i titoli individuali, quali, ad esempio, certificati di deposito, cambiali ed accettazioni bancarie. Seguendo un criterio già adottato nella formulazione del comma 1 dell'art.41 si sono equiparati ai titoli veri e propri anche i certificati di massa e cioè quei documenti offerti in sottoscrizione al pubblico, che pur essendo rappresentativi di crediti, non costituiscono titoli. La ragione di tale equiparazione è da ricercare nel fatto che la cessione di tali certificati costituisce generalmente lo strumento per far circolare i crediti da essi rappresentati, senza le forme previste per la cessione.

L'espunzione dei titoli rappresentativi di merci dal novero dei titoli la cui cessione dà luogo a plusvalenze imponibili trova giustificazione nel fatto che, nel momento in cui si è stabilito di non sottoporre ad imposizione come redditi diversi le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di merci, sarebbe stato illogico attrarre ad imposizione le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso dei predetti titoli, essendo evidente che tali plusvalenze trovano fonte nel maggior valore assunto dalle merci.

Per le valute estere il criterio che si è prescelto è quello di assoggettare ad imposizione soltanto le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso delle valute di cui si sia acquisita ovvero mantenuta la disponibilità per finalità d'investimento. Dato che peraltro sarebbe risultato assai problematico accertare, volta per volta, quando la disponibilità di una determinata valuta sia stata acquisita o mantenuta per la predetta finalità, si è ritenuto preferibile introdurre una presunzione assoluta. In particolare, sulla base di tale presunzione la finalità d'investimento è ritenuta sussistente, ogniqualvolta le valute sono depositate su depositi o conti correnti ovvero hanno costituito oggetto di cessione a termine. Alla cessione a titolo oneroso della valuta è stato equiparato anche il prelievo dal conto corrente ovvero dal deposito. L'introduzione di tale equiparazione si è resa necessaria in quanto una volta che la valuta sia uscita dal conto corrente o dal deposito, non è più possibile stabilire se e quando essa è stata successivamente ceduta. Al fine comunque di evitare di attrarre a tassazione fattispecie non significative, con la disposizione aggiunta al comma 3 dell’art. 81, in attuazione della norma di delega che consente l’introduzione di franchigia, si è disposto che la tassazione delle cessioni di valute rivenienti da depositi o conti correnti si ha solo nel caso in cui la giacenza massima dei depositi intrattenuti dai contribuenti superi i 100 milioni per almeno sette giorni lavorativi continui.

Tra le attività la cui cessione a titolo oneroso dà luogo a plusvalenze imponibili come redditi diversi sono stati inclusi anche i metalli preziosi in attuazione della specifica indicazione fornita in questo senso dalla disposizione di delega.

Del tutto nuova, al pari della lettera c-ter), è anche la lettera c-quater) in quanto attrae per la prima volta ad imposizione in forma unitaria i redditi derivanti da quella particolare tipologia di contratti a termine, che sono comunemente conosciuti come "contratti derivati", nonché i redditi derivanti da ogni altro contratto a termine che, pur non essendo generalmente compreso fra i contratti derivati, presenta comunque la caratteristica di poter essere "chiuso" od eseguito in forma differenziale e cioè con il pagamento di semplici differenze di prezzo. In effetti, l'art.67 del decreto - legge 30 agosto 1993, n.331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n.427, ha da tempo incluso nel catalogo dei redditi diversi e, più precisamente, nella lettera c-ter) dell'attuale formulazione dell'art.81 anche i proventi conseguiti attraverso i contratti derivati che prendono a "...riferimento valori a termine delle valute per la determinazione del corrispettivo...". Tuttavia tale disposizione, come si desume dalla norma che determina la misura del provento imponibile, non si propone di sottoporre ad imposizione i differenziali positivi o negativi e gli altri redditi conseguiti attraverso tali contratti, che nell'attuale regime rimangono perciò non imponibili, ma soltanto una plusvalenza di carattere, per così dire, virtuale e cioè la plusvalenza che eventualmente emerga, confrontando il cambio a pronti vigente alla data di stipula del contratto con quello a termine preso a riferimento nel contratto stesso.

I contratti derivati e gli altri contratti a termine i cui redditi s'intendono sottoporre ad imposizione ai sensi della lettera c-quater) sono stati identificati attraverso il diretto riferimento agli effetti giuridici che ne scaturiscono, invece che utilizzando le mutevoli denominazioni che vengono solitamente utilizzate per individuarli. L'uso di tali denominazioni sarebbe stato fonte non solo di dubbi ma anche di equivoci in quanto esse risultano spesso prive di una precisa e compiuta accezione giuridica. Ed infatti nella prassi operativa le stesse denominazioni sono spesso utilizzate per indicare tipi di contratti a termine diversi od anche, per converso, denominazioni diverse per indicare gli stessi tipi di contratto. Sicuramente emblematico appare sotto questo profilo il caso della denominazione di "swap" la quale è utilizzata indifferentemente per indicare sia contratti che comportano un effettivo impiego di capitale, quale, in particolare il contratto di currency swap, che costituisce la versione anglosassone del nostro riporto o pronti contro termine su valuta, sia veri contratti differenziali, quale in particolare il contratto di interest rate swap (o contratto di swap su tassi di interesse) ovvero il contratto di cross currency swap (o swap incrociato su tassi d'interesse e su valute).

Sulla base degli effetti giuridici che ne scaturiscono sono state distinte due diverse categorie di contratti a termine e cioè quella dei contratti a termine che, pur presentando la configurazione giuridica di contratti di scambio, sono eseguibili in forma differenziale e quella dei contratti a termine "differenziali" e cioè dei contratti che possono essere eseguiti soltanto attraverso il pagamento di un differenziale in denaro. Rientrano nella prima categoria, oltre ai contratti future ed i contratti di opzione su titoli, valute, merci (ad esempio, grano, caffè, soia, rame, ecc.) o metalli preziosi, che prevedono la consegna dell'attività sottostante, e ad ogni altro consimile contratto, anche contratti di carattere più tradizionale, quali i contratti di compravendita a termine ovvero i contratti a premio, ogniqualvolta siano portati ad esecuzione attraverso il pagamento di un differenziale in denaro. Rientrano, invece, nella seconda categoria i contratti future ed i contratti di opzione su tassi d'interesse, indici od altri parametri di carattere finanziario, nonché i contratti di swap, con esclusione del solo contratto di currency swap (il nostro riporto o pronti contro termine su valuta), che è produttivo di redditi di capitale e, infine, i contratti di forward rate agreement (o contratti forward su tassi di interesse) ed ogni altro consimile contratto.

Nel secondo periodo della lettera c-quater) dell'art.81 si è stabilito che agli effetti dell'applicazione di tale disposizione si considerano strumenti finanziari anche i contratti a termine ivi indicati, siano essi contratti di scambio o contratti di tipo differenziale, in quanto si è inteso sottoporre ad imposizione come redditi diversi anche i redditi derivanti da quei contratti a termine che abbiano ad oggetto altri contratti a termine. L'estensione della sfera dell'imponibilità anche a tali contratti si rende necessaria in quanto questa nuova generazione di contratti sta registrando una sempre maggiore diffusione non solo sul mercato finanziario internazionale ma anche su quello domestico. E' oramai da tempo, infatti, che anche sul mercato italiano dei contratti future sono negoziati anche contratti di opzione su futures e cioè contratti a termine attraverso i quali il sottoscrittore può assicurarsi la facoltà di concludere a termine un contratto future su titoli di stato.

La lettera c-quater) non è volta a sottoporre ad imposizione ogni reddito comunque ricollegabile ai contratti a termine sopra menzionati ma, come si desume dalla sua formulazione, soltanto quei redditi che non sono riconducibili fra le fattispecie di redditi già precedentemente indicati. Pertanto, qualora in dipendenza dei contratti in parola venga posta in essere la cessione a titolo oneroso di titoli, certificati di massa, valute o metalli preziosi, le eventuali plusvalenze o minusvalenze realizzate attraverso la cessione devono essere sottoposte ad imposizione sulla base delle precedenti lettere c), c-bis) e c-ter). Naturalmente, dato che si è rinunciato a sottoporre ad imposizione le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di merci, qualora sia posta in essere una vendita di merci in esito ad un contratto a termine, l'eventuale plusvalenza così realizzata è destinata a rimanere non imponibile.

La lettera c-quinquies) risponde ad una funzione di chiusura, essendo volta a ricomprendere fra i redditi diversi tutte quelle plusvalenze che, in quanto realizzate attraverso la cessione a titolo oneroso di rapporti contrattuali produttivi di redditi capitale, di crediti pecuniari non rappresentati da titoli, né da certificati di massa, o di strumenti finanziari nonché mediante rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi o negativi in dipendenza di un evento incerto non potrebbero essere ricondotti a tassazione come redditi diversi sulla base della precedente lettera c-ter) dell'art.81, la quale prende in considerazione, per l'appunto, soltanto le plusvalenze realizzate attraverso la cessione di titoli e certificati di massa, né come redditi di capitale sulla base della lettera h) dell'art.41, comma 1, non trovando fonte in un rapporto di impiego del capitale ma nell'incremento di valore di un credito o di un contratto, né, per quanto riguarda l’ultima parte della norma, nelle lettere c-ter e c-quater), trattandosi di strumenti finanziari o rapporti non denominati in tali disposizioni. La sua introduzione si è resa necessaria per garantire che le plusvalenze conseguite attraverso la cessione di rapporti contrattuali ovvero di crediti siano assoggettate ad imposizione, indipendentemente dalle modalità che il contribuente abbia prescelto per far circolare tali crediti e rapporti.

La scelta di ricondurre nell'alveo dei contratti la cui cessione a titolo oneroso dà luogo a plusvalenze imponibili sulla base della lettera c-quinquies) i soli contratti produttivi di redditi di capitale è stata dettata dall'esigenza di assicurare il rispetto della disposizione di delega, la quale consente di sottoporre ad imposizione come redditi diversi, oltre alle plusvalenze derivanti dalla cessione di valori mobiliari, valute e metalli preziosi e ai redditi dei nuovi strumenti finanziari, esclusivamente i redditi derivanti da fattispecie produttive di risultati economici equivalenti a quelle produttive di redditi diversi. Ora, comprendendo nell'orbita dell'imponibilità anche le plusvalenze derivanti dalla cessione di ogni tipo di contratto, si sarebbe finito con il ricondurre a tassazione anche plusvalenze derivanti da fattispecie non produttive di risultati economici equivalenti a quelle produttive di redditi diversi, quali, ad esempio, le plusvalenze realizzate attraverso la cessione di un contratto di locazione immobiliare ovvero di locazione finanziaria di durata pluriennale.

I crediti che sono considerati come produttivi di plusvalenze imponibili ai sensi della lettera c-quinquies) dell'art.81, comma 1, del t.u.i.r. sono costituiti soltanto dai crediti pecuniari e cioè dai crediti al pagamento di somme di denaro, siano essi già scaduti o meno. Non possono pertanto essere assoggettate ad imposizione come redditi diversi anche le plusvalenze derivanti dalla cessione di crediti di altra natura, quali, in particolare i crediti alla consegna di beni ovvero i crediti a prestazioni di fare, salvo che naturalmente tali crediti non derivino da contratti riconducibili fra quelli presi in considerazione dalla predetta disposizione ovvero della precedente lettera c-quater). In tal caso, infatti, tali plusvalenze entreranno nel calcolo delle plusvalenze derivanti dalla cessione di tali contratti.

In conclusione la lettera c-quinquies) in esame rappresenta una vera e propria norma di chiusura dell’intero sistema di tassazione dei redditi finanziari, sottoponendo a tassazione ogni ipotesi di negoziazione (alias cessione a titolo oneroso) di strumenti finanziari nonché ogni altro reddito realizzato attraverso contratti di natura finanziaria non risultanti fra quelli presi in considerazione dalla lettera c-quater). In questi termini la disposizione in esame, segnatamente nell’ultima parte aggiunta alla norma dello schema di decreto, risponde all’esigenza, segnalata anche dalla Commissione parlamentare, di predisporre un sistema normativo il più possibile esaustivo di tutti i fenomeni economici riconducibili alla categoria dei redditi finanziari.

Articolo 4: modifiche all’articolo 81 del t.u.i.r.

Come si può desumere dalla formulazione del nuovo comma 3 dell'art.82 i redditi indicati nelle lettere da c) a c-quinquies) dell'art.81, comma 1, del t.u.i.r. sono sottoposti ad imposizione in due masse distinte ed autonome. La prima è formata dalle plusvalenze e minusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate, la seconda da tutte le altre fattispecie di redditi diversi di natura finanziaria (guadagni di capitale) e quindi, nell'ordine, le plusvalenze e minusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate, di titoli o di certificati di massa, di valute e metalli preziosi, i differenziali positivi e negativi e gli altri proventi ed oneri realizzati mediante contratti derivati e altri contratti a termine di natura finanziaria, nonché, infine, le plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di contratti produttivi di redditi di capitale e di crediti pecuniari. Pertanto le minusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate non possono comunque essere portate in deduzione dalle plusvalenze e dagli altri proventi realizzati mediante la cessione a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate, di titoli, di certificati ovvero mediante contratti derivati ed altri contratti a termine.

Se nell'ambito di ciascuna delle masse così individuate la somma delle minusvalenze e perdite realizzate nel periodo d'imposta risulta superiore alla somma delle plusvalenze e dei redditi realizzati nello stesso periodo l'eccedenza può essere portata in deduzione, fino a concorrenza, dalle plusvalenze e dai redditi dei periodi d'imposta successivi ma non oltre il quarto, distintamente per ciascuna massa, a condizione che sia esposta nella dichiarazione relativa al periodo d'imposta in cui sia stata realizzata.

Per quanto concerne innanzitutto le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate, altre partecipazioni, titoli non partecipativi, certificati di massa, valute e metalli preziosi, nella definizione dei relativi criteri di determinazione, si è cercato di riprodurre, per quanto possibile, la disciplina attualmente vigente, apportandovi soltanto quelle integrazioni e modifiche che sono rese necessarie dalla riconduzione nella sfera dell'imponibilità anche di plusvalenze prima non imponibili.

Si è stabilito pertanto che le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalla cessione delle predette attività finanziarie sono costituite dalla differenza tra il corrispettivo percepito o la somma rimborsata ed il costo od il valore di acquisto, eventualmente aumentato di ogni altro costo che sia stato sostenuto per conseguirle, con esclusione degli interessi passivi ma compresa l'imposta di successione. L'introduzione di uno specifico riferimento, oltre che al costo anche al "valore di acquisto", si è reso necessario per chiarire che, qualora le attività finanziarie oggetto di cessione non siano state acquisite attraverso un atto di acquisto ma come reddito in natura, deve essere assunto quale base di calcolo della plusvalenza o della minusvalenza il valore che abbia eventualmente concorso a formare il reddito del cedente. Attraverso l'adozione di tale criterio si è inteso evitare di sottoporre ad imposizione sotto forma di plusvalenza anche redditi già sottoposti ad imposizione ad altro titolo presso il cedente.

Sebbene non sia stata fornita alcuna espressa indicazione in questo senso rimane inteso che per le partecipazioni qualificate e le altre partecipazioni il costo di acquisto deve intendersi comprensivo anche dei versamenti in denaro od in natura fatti a fondo perduto od in conto capitale, nonché di quello dei crediti a cui i soci od i partecipanti abbiano rinunciato, non potendo esservi dubbi sul fatto che anche tali versamenti o rinunce rientrano a pieno titolo nel costo della partecipazione ceduta.

E' stato confermato il principio per cui, nel caso di acquisto per successione, si assume come costo di acquisto il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti di tale imposta, mentre, nel caso di acquisto per donazione, il costo di acquisto del donante, aggiungendosi una norma apposita per il caso di titoli esenti dall’imposta di successione. Tale differenziazione di regime fra il caso di acquisto per successione e quello per donazione è stata mantenuta ferma per evitare che la donazione possa prestarsi ad essere utilizzata come strumento per elevare il costo di carico delle attività finanziarie.

Per quanto attiene in modo specifico alle plusvalenze e alle minusvalenze derivanti dalla cessione di titoli, nonché di certificati di massa si è espressamente stabilito che nel calcolo di tali plusvalenze e minusvalenze non si deve tenere conto anche dei redditi di capitale maturati ma non ancora riscossi in quanto tali redditi rimangono imponibili come redditi di capitale. Ed infatti, in forza di quanto stabilito dall'art.6, comma 2, primo periodo, del t.u.i.r., anche per i redditi di capitale l’incasso si deve considerare intervenuto anche qualora il relativo controvalore economico non sia conseguito presso il debitore originario ma dal cessionario sotto forma di maggior corrispettivo di cessione dei titoli ovvero dei certificati di massa su cui esso sia maturato.

Il principio da essa introdotto non è applicabile anche agli utili derivanti dalla cessione di partecipazioni a soggetti IRPEG in quanto, come emerge chiaramente sia dalla formulazione della disciplina delle comunicazioni allo schedario generale dei titoli azionari, che dall'art.14, comma 6-bis, del t.u.i.r., tali utili sono sempre imponibili esclusivamente a carico del socio che li abbia materialmente riscossi dalla società emittente, anche se quest'ultimo non rivestiva la qualifica di socio al momento di approvazione della delibera di distribuzione.

Per i contratti derivati e per gli altri contratti a termine che si siano conclusi con la cessione a titolo oneroso dell'attività sottostante il criterio che si è seguito è quello di trattarli alla stregua di ordinari contratti di scambio. E' apparso infatti illogico prefigurare la realizzazione di utili o perdite differenziali anche a carico di chi abbia stipulato tali contratti soltanto per porre in essere l'acquisto o la cessione delle attività sottostanti. Si è stabilito pertanto che per le cessioni a titolo oneroso poste in essere in dipendenza dei contratti derivati e degli altri contratti a termine, ai fini della determinazione delle plusvalenze o delle minusvalenze imponibili, deve essere assunto come corrispettivo il prezzo pagato per la cessione, e cioè il prezzo che le parti hanno originariamente concordato per la cessione. In tal modo si è inteso assicurare che i differenziali positivi o negativi latenti nel contratto a termine concorrano a formare il reddito, qualora tale contratto sia stato utilizzato per porre in essere la cessione dell'attività sottostante, come componenti delle plusvalenze o minusvalenze realizzate all'atto di tale cessione e, qualora invece sia stato utilizzato per acquistare l'attività sottostante, come componenti delle minusvalenze e plusvalenze realizzate attraverso la successiva cessione dell'attività così acquistata.

Regime analogo è stato adottato anche per i premi pagati e riscossi su opzioni di acquisto o di vendita che siano state esercitate entro il prescritto termine di scadenza. Si è stabilito, infatti, che tali premi non concorrono a formare il reddito in via autonoma ma costituiscono semplici elementi di calcolo delle plusvalenze o minusvalenze realizzate attraverso la vendita dell'attività sottostante, qualora l'opzione esercitata sia un'opzione di vendita, ovvero del costo di acquisto di tale attività, qualora invece l'opzione esercitata sia un'opzione d'acquisto.

Per quanto concerne i contratti derivati e gli altri contratti a termine presi in considerazione dalla lettera c-quater) dell'art.81 del t.u.i.r. il reddito da ricondurre a tassazione è stato direttamente identificato nel reddito complessivamente realizzato attraverso tali contratti anziché, invece, nei singoli utili o perdite percepiti o sostenuti su ciascun contratto. Tale reddito, deve essere determinato, sommando algebricamente gli utili e perdite, nonché gli altri proventi od oneri, riscossi e pagati su ciascun contratto. Come emerge dalla formulazione letterale della stessa lettera c-quater) dell'art.81, comma 1, del t.u.i.r. gli utili e le perdite, nonché i proventi ed oneri che devono essere presi in considerazione nel computo dell'utile o della perdita netta sono soltanto quelli "realizzati" e cioè quelli che, oltre ad essere riscossi o pagati, siano stati conseguiti o sostenuti a titolo definitivo. Non concorrono a formare tale utile o perdita pertanto anche tutti quei pagamenti ed incassi che adempiano ad una funzione di garanzia, quali, ad esempio, i pagamenti ed incassi che conseguano all'addebitamento od all'accreditamento dei cosiddetti margini, salvo che naturalmente non abbiano acquisito natura di pagamenti definitivi in quanto il contratto in relazione a cui siano stati pagati sia stato chiuso o ceduto.

Fra i proventi e gli oneri che concorrono a formare il reddito o la perdita complessiva derivante dai contratti derivati e dagli altri contratti a termine di cui alla lettera c-quater) sono compresi anche i premi pagati e riscossi su opzioni, costituendo anch'essi, in senso proprio, veri proventi ed oneri. Si è stabilito, peraltro, che tali premi non devono essere imputati alla formazione del reddito nel periodo d'imposta in cui sono stati pagati o riscossi, bensì in quello nel quale l'opzione sia stata esercitata ovvero sia scaduta, senza essere esercitata. E' soltanto con il venire meno dell'opzione infatti che può effettivamente considerarsi come compiuta l'operazione di carattere economico che è ad essa sottesa. L'applicabilità della regola d'imputazione così posta è stata esclusa, peraltro, per i premi pagati o riscossi su opzioni di vendita o di acquisto che siano state esercitate entro il prescritto termine di scadenza. Come infatti già si è visto tali premi non concorrono a formare il reddito in via autonoma ma come elementi di calcolo della plusvalenza o minusvalenza derivante dalla cessione dell'attività sottostante o del costo di acquisto di tale attività, secondo che l'opzione esercitata sia un'opzione di vendita o d'acquisto.

Criteri analoghi a quelli adottati per la determinazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni, titoli o certificati di massa di cui alle lettere c), c-bis) e c-ter) sono stati adottati anche per la determinazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso dei crediti ovvero dei contratti indicati dalla lettera c-quinquies). Si è infatti stabilito che tali plusvalenze sono costituite dalla differenza fra il corrispettivo percepito per la loro cessione ovvero le somme rimborsate e il corrispettivo pagato per il loro acquisto ovvero, qualora la titolarità del contratto ovvero del credito non sia stata acquistata a titolo derivativo, le somme corrisposte al debitore od al contraente ceduto. In tal caso, peraltro, non si è ammessa la deducibilità delle eventuali minusvalenze realizzate attraverso la cessione a titolo oneroso dei crediti o dei contratti in quanto la deducibilità di tali perdite potrebbe prestarsi ad essere utilizzata per possibili manovre elusive.

Dando specifica attuazione al criterio direttivo contenuto nella lettera h) della disposizione di delega, che prescrive l'introduzione di meccanismi correttivi volti a rendere equivalente la tassazione del risultato delle gestioni con quella dei redditi diversi conseguiti a seguito di realizzo, si è stabilito che le plusvalenze e le minusvalenze, i differenziali positivi e negativi, nonché i proventi ed oneri di cui alle lettere c-bis), c-ter), c-quater) e c-quinquies), per i quali il periodo intercorrente tra la data di acquisizione e quella di cessione, chiusura e rimborso della partecipazione, titolo, certificato, strumento finanziario, credito o rapporto devono essere rivalutati, moltiplicando il loro importo per un coefficiente di rettifica "finalizzato a rendere equivalente la tassazione in base alla realizzazione con quella in base alla maturazione". Tale coefficiente di rettifica (cosiddetto equalizzatore) viene determinato annualmente con decreto del Ministro delle finanze, tenendo conto di un serie di parametri ed elementi specificamente indicati nella norma che consentono di escludere una qualunque discrezionalità, non meramente tecnica, da parte della normativa secondaria. In tale ottica, accogliendo una precisa raccomandazione della Commissione parlamentare, si è riformulata la disposizione in termini più ampi rispetto allo schema di decreto.

Articolo 5

Una volta compiuta la scelta da parte della legge delega dell’applicazione di un’imposizione sostitutiva sui redditi finanziari (e, dunque, non solo sui redditi di capitale in senso stretto, quali gli interessi ed gli utili societari, ma anche sulle plusvalenze ed altri guadagni di capitale di cui all’articolo 81), i regimi previsti dalla medesima disposizione di delega possono ripartirsi in tre diverse discipline sia pure coordinate e collegate fra di loro.

 

Il regime della dichiarazione, caratterizzato: dalla tassazione al realizzo dei redditi di capitale (anche se prevalentemente attraverso l’applicazione di ritenute alla fonte od imposte sostitutive da parte di intermediari) e dei redditi finanziari di cui all’articolo 81 assoggettati ad imposta sostitutiva dovuta dal contribuente direttamente in dichiarazione, dalla compensazione fra plusvalenze e minusvalenze con riporto a nuovo delle eventuali minusvalenze eccedenti, dall'applicazione del meccanismo di equalizzazione disciplinato dall’articolo 82, dall’applicazione del monitoraggio fiscale, interno ed estero.

Il regime (opzionale) del risparmio amministrato, caratterizzato: anch’esso dalla tassazione al realizzo dei redditi di capitale (anche se prevalentemente con applicazione di ritenute alla fonte od imposte sostitutive) e dalla tassazione con applicazione dell’imposta sostitutiva dei redditi finanziari di cui all’articolo 81 realizzati sulla singola operazione ad opera degli intermediari presso i quali i titoli od altri strumenti finanziari sono depositati in custodia od amministrazione, dall'applicazione del meccanismo di equalizzazione in termini temporalmente diversificati rispetto al regime della dichiarazione, dall'esclusione del monitoraggio fiscale, interno ed estero. Tale regime ovviamente assicura al contribuente l’anonimato.

Il regime (opzionale) del risparmio gestito, caratterizzato: dalla tassazione alla maturazione del risultato netto afferente i redditi finanziari di cui all’articolo 81 imputati al patrimonio gestito, dalla tassazione alla maturazione del risultato afferente i redditi di capitale imputati al patrimonio gestito, dalla determinazione algebrica del risultato netto da assoggettare ad imposizione sostitutiva ad opera dell'intermediario con riporto a nuovo delle eventuali eccedenze negative, dall'esclusione del meccanismo di equalizzazione e del monitoraggio fiscale, interno ed esterno. Anche tale regime ovviamente assicura al contribuente l’anonimato.

Ciò detto in termini generali, l’articolo 5 in esame disciplina il regime della dichiarazione, mentre i successivi articoli 6 e 7 contengono la disciplina rispettivamente dei regimi opzionali del risparmio amministrato e gestito e, infine, l’articolo 8 quello degli organismi collettivi di risparmio.

Riguardo al regime della dichiarazione il primo e secondo comma dell’articolo 5 prevedono l’applicazione dell’imposta sostitutiva, dovuta, per l’appunto, in dichiarazione direttamente dal contribuente, rispettivamente per le plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni qualificate, di cui alla lettera c) dell’articolo 81 del t.u.i.r., e per le plusvalenze ed altri redditi previste dalle lettere da c-bis) a c-quinquies) del citato articolo 81. In aderenza alle previsioni della delega, nel primo caso è prevista l’applicazione dell’imposta sostitutiva nella misura del 27 per cento, mentre nel secondo caso l’imposta sostitutiva è applicata con l’aliquota del 12,50 per cento.

In conformità a quanto già previsto dall’articolo 82 del testo unico, la disposizione in esame precisa anche che le plusvalenze ed altri redditi di cui ai commi 1 e 2 devono essere distintamente indicati in dichiarazione (comma 3).

Sotto il profilo procedurale, il comma 4 prevede che l’imposta sostitutiva debba essere versata nei termini e nei modi previsti per il versamento delle imposte sui redditi dovute in base a dichiarazione, mentre per il controllo, l’accertamento e la riscossione si applicano le norme previste in materia di imposte sui redditi (comma 6). La stessa disposizione (comma 6) contiene anche la previsione di sanzioni nel caso di violazioni riguardanti la dichiarazione ed il versamento, riformulate - al pari di tutte le altre norme in tema di sanzioni contenute nel decreto - in modo da tener conto delle osservazioni della Commissione parlamentare. Recependo una osservazione della stessa Commissione, è stato operato un intervento di coordinamento agli emanandi decreti in materia sanzioni.

Con la disposizione del comma 5 è stato introdotto un apposito regime di esenzione per i redditi indicati nelle lettere da c-bis) a c-quinquies) dell’art.81 percepiti da soggetti che risiedano in Stati che abbiano stipulato con l’Italia convenzioni contro le doppie imposizioni che ammettano lo scambio di informazioni. Tale regime è in tutto e per tutto analogo a quello previsto dall’art.6 del decreto legislativo 1° aprile 1996, n.239.

Non si è ritenuto, necessario prevedere alcuna disposizione specifica in materia di contenzioso tributario, ritenendosi sicuramente applicabile le norme sul contenzioso previste per le imposte sui redditi, data la natura meramente sostitutiva di esse dell’imposta in questione.

Si segnala, infine, che accogliendo un’osservazione della Commissione parlamentare è stato soppresso il comma 3 dell’art. 5 in esame, nel testo dello schema di decreto, trattandosi di disposizione in effetti pleonastica.

Articolo 6

L’articolo 6 contiene la disciplina del regime semplificato di riscossione dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sui proventi assimilati, la cui applicazione a scelta del contribuente è prevista dalla lett. f) del comma 160 della legge delega, che la subordina all’esistenza di uno stabile rapporto con l’intermediario "autorizzato" al quale spetta il compito di effettuare il prelievo fiscale sul reddito realizzato in ciascuna operazione.

Prima di entrare nel dettaglio tecnico della disciplina, conviene accennare alle soluzioni adottate in ordine all’interpretazione della delega con riguardo alla fattispecie in esame, dato che - di fronte ad una disposizione alquanto sintetica e, per alcuni versi, generica - si è dovuto far affidamento ad un’interpretazione sistematica con riferimento al complesso delle disciplina di delega.

Si è già detto che il sistema delineato dalla delega poggia su tre diverse discipline comunque fra loro coordinate. Tale coordinamento significa che tali discipline devono essere costruite in maniera tale da non determinare ingiustificate penalizzazioni a danno di una di esse.

Orbene nel caso di risparmio amministrato un’interpretazione meramente formalistica della delega potrebbe portare a conclusioni sicuramente contrarie alla sistematica, oltre che alla ratio, della delega stessa, determinando una penalizzazione dei redditi derivanti da titoli in amministrazione rispetto agli altri regimi previsti, ivi compreso quello "ordinario" di inclusione in dichiarazione dei redditi realizzati.

Invero, intendendo la delega nel senso meramente formale che il regime opzionale in esame consisterebbe solo nell’applicazione dell’imposta sostitutiva ad opera di intermediari sulla singola plusvalenza realizzata, il risparmio amministrato sarebbe l'unico nei cui confronti non opererebbe la compensazione fra plusvalenze e minusvalenze, applicandosi nel contempo (generando redditi tassati al realizzo) il meccanismo di equalizzazione. A fronte di tale penalizzazione sostanziale il risparmio amministrato goderebbe solo del beneficio dell'anonimato.

Certamente la delega voleva favorire la "intermediazione" (o canalizzazione) del risparmio non solo in gestione ma anche in amministrazione. Ciò per evidenti ragioni [esplicitate anche dalla lett. o), che esclude il monitoraggio delle attività finanziarie solo nel caso di risparmio gestito o amministrato] di maggior garanzia ai fini dei controlli di tale risparmio rispetto a quello individualmente amministrato dal contribuente. Se questa è (come è) la volontà della delega non si vede come possa essere ammessa una doppia penalizzazione per il risparmio amministrato, certamente non giustificabile in base al mero beneficio dell'anonimato.

In effetti, non appare necessaria (né sistematicamente corretta) un'interpretazione così rigorosa come quella inizialmente indicata.

In primo luogo, la norma di delega non nega di per sé la deducibilità delle minusvalenze. Certamente il riconoscimento delle minusvalenze non può avvenire in maniera generalizzata, a meno di introdurre meccanismi, non previsti dal nostro ordinamento e non espressamente indicati dalla delega, di riporto indietro dei risultati negativi realizzati a valere su quelli positivi precedentemente realizzati. Ciò non toglie, peraltro, che la minusvalenza realizzata possa essere calcolata dall'intermediario e da questi compensata con le plusvalenze successivamente realizzate per conto dello stesso contribuente, nel limite temporale dei cinque anni.

Tale soluzione porterebbe ad un'equiparazione sostanziale del regime di tassazione sulla singola operazione presso gli intermediari a quello di diretta tassazione in dichiarazione caratterizzato dalla compensabilità fra plusvalenze e minusvalenze. Conseguentemente non vi sarebbe più il rischio di una doppia penalizzazione, laddove - in tale ipotesi correttamente - fosse applicato anche sulle plusvalenze singolarmente tassate presso gli intermediari al loro realizzo il meccanismo di equalizzazione.

L'alternativa a tale soluzione, e cioè il disconoscimento in termini assoluti della deducibilità delle minusvalenze nel caso di opzione per la tassazione sulla singola operazione presso gli intermediari, determinerebbe l'incongruità dell'applicazione del correttivo di equalizzazione, rappresentando esso non più un meccanismo correttivo per rendere equivalente la tassazione sul realizzato a quella sul maturato, ma un'ingiustificata penalizzazione per il regime di tassazione in parola.

In effetti, la previsione contenuta nella lett. h) di "introduzione di meccanismi correttivi" ha la funzione, come è palese dal testo stesso della norma, di rendere equivalente l'incidenza dell'imposta gravante sui redditi tassati al realizzo e su quelli tassati alla maturazione. Ovviamente - rispondendo ciò al principio costituzionale di uguaglianza da sempre interpretato nel senso dell'uguaglianza "sostanziale", per cui a situazioni uguali deve corrispondere la medesima tassazione mentre a situazioni disuguali deve corrispondere una diversa tassazione - la necessità dell'equalizzazione fra realizzato e maturato si ha solo a condizione che siano sostanzialmente uguali i redditi tassati in base al realizzo e quelli tassati in base alla maturazione. Nel caso in cui, di converso, i redditi tassati in base al realizzo non siano sostanzialmente uguali a quelli tassati in base alla maturazione, non dovrebbe applicarsi alcun meccanismo di equalizzazione, pena la possibilità di un contrasto della relativa disciplina con il ricordato principio costituzionale di uguaglianza (articoli 3 e 53 della Costituzione).

In conclusione nel caso di risparmio amministrato, la soluzione maggiormente aderente alla sistematica delle delega è quella di consentire la compensazione fra plusvalenze e minusvalenze, applicando conseguentemente il meccanismo di equalizzazione.

Ciò premesso in termini generali, il comma 1 delinea il campo di applicazione di detto regime, specificando che:

- le fattispecie imponibili comprese sono tutte quelle contemplate dal comma 1 dell’articolo 81, del testo unico, nelle lettere da c-bis) a c-quinqies), con la sola esclusione delle plusvalenze derivanti da utilizzo di valute estere mediante prelievo da deposito o conto corrente (contemplate nella lett. c-ter), giustificata dalla particolare complessità ed onerosità che inevitabilmente presenterebbe la procedura di applicazione dell’imposta da parte degli intermediari in tale ipotesi. Rimane altresì estranea al regime in parola, in conformità al disposto della legge delega, la cessione di partecipazioni "qualificate";

- gli intermediari "abilitati" a ricevere l’incarico di effettuare il versamento dell’imposta dovuta sulla plusvalenza (o provento assimilato) realizzata sono le banche e le SIM, nonché quegli altri soggetti che potranno essere individuati con appositi decreti interministeriali;

- il presupposto per l’esercizio dell’opzione da parte del contribuente è l’esistenza di un rapporto di custodia e amministrazione titoli ovvero per le plusvalenze ed i proventi derivanti da operazioni non aventi ad oggetto i valori predetti (es.: redditi prodotti da strumenti derivati), l’esistenza di un rapporto di deposito o conto corrente.

Il comma 2 disciplina le modalità di esercizio dell’opzione da parte del contribuente, disponendo che una comunicazione in tal senso deve essere rilasciata all’intermediario all’atto stesso della costituzione dei rapporti dinanzi indicati ovvero, per i rapporti già in essere, in qualsiasi momento dell’anno con effetto, dal periodo d’imposta successivo; per le operazioni in strumenti derivati l’opzione è esercitabile anche all’atto della conclusione del primo contratto stipulato nel periodo d’imposta da cui l’intervento dell’intermediario trae origine. La scelta fatta dal contribuente è vincolante per l’intero periodo d’imposta e può essere revocata entro la scadenza del periodo stesso con effetto da quello successivo.

Il comma 3 prevede le modalità per l’applicazione dell’imposta sostitutiva da parte degli intermediari incaricati. In linea generale l’imposta sostitutiva è dovuta sulla singola plusvalenza (o provento) realizzata in ogni operazione. Nel caso in cui l’intermediario non sia in possesso di tutti i dati per calcolare l’ammontare della plusvalenza deve chiederli al contribuente, il quale è tenuto a trasmettere la documentazione relativa o, in mancanza, a produrre una dichiarazione sostitutiva; in ogni caso l’intermediario, fino a che non ottenga i dati richiesti può sospendere l’esecuzione delle prestazioni a cui è tenuto.

E’ inoltre previsto, in coerenza con il ruolo svolto dall’intermediario di mero incaricato del versamento dell’imposta dovuta dal contribuente, che l’erronea comunicazione dei dati necessari per la determinazione delle plusvalenze tassabili comporta il recupero dell’imposta non assolta esclusivamente a carico del contribuente, assolvendo l’intermediario il ruolo di mero incaricato del versamento.

Il comma 4 individua il criterio tecnico contabile di determinazione del valore di costo da assumere ai fini del calcolo della plusvalenza imponibile, allorquando titoli o altri valori mobiliari della medesima specie e con uguali caratteristiche (ad es.: azioni ordinarie della società Alfa, obbligazioni della società Beta rappresentative di una unica operazione di prestito, ecc.) vengano acquistati a più riprese ed a prezzi diversi. In tal caso è prevista l’adozione della media ponderata dei singoli prezzi di acquisizione, che consente all’intermediario di avere un unico valore di costo da prendere a riferimento ai fini dell’eventuale applicazione dell’imposta sostitutiva.

Soppresso il comma 5 presente nello schema di decreto (trattandosi di norma del tutto pleonastica, in quanto ripetitiva di una disposizione di carattere generale dell’articolo 82 del t.u.i.r.), il comma 5 disciplina la rilevanza, nell’ambito del regime semplificato, delle minusvalenze e perdite realizzate nelle singole operazioni, ammettendo la possibilità di computarne l’importo in diminuzione delle plusvalenze o dei proventi realizzati in un momento successivo a seguito di operazioni riconducibili al medesimo rapporto contrattuale. Nel caso in cui al termine del periodo d’imposta risultino minusvalenze o perdite non ancora compensate, il relativo importo potrà essere portato a nuovo nel successivo periodo d’imposta e, se necessario, anche nei successivi ma non oltre il quarto, sempreché permanga l’opzione per il regime semplificato. Per un miglior coordinamento con il regime ordinario è prevista la possibilità per il contribuente che revochi l’opzione o comunque chiuda il rapporto di utilizzare le minusvalenze in dichiarazione ovvero nell’ambito di un nuovo rapporto di amministrazione per il quale eserciti l’opzione. Tale previsione non prevista nello schema di decreto è apparsa necessaria per evitare ingiustificabili disparità di trattamento fra i contribuenti che scelgano il regime della dichiarazione od optino per il regime della gestione; a tal fine ci si è avvalsi della raccomandazione della Commissione parlamentare nel senso di operare il miglior coordinamento possibile fra le diverse norme del provvedimento.

L’ultima parte della disposizione in esame contiene, oltre a norme procedurali, anche norme di carattere sostanzialmente antielusivo, in quanto finalizzate ad evitare che attraverso il trasferimento dei titoli o altri valori mobiliari dal dossier in amministrazione presso un intermediario ad altro conto di deposito di pertinenza di soggetti diversi dal titolare del dossier di provenienza (trasferimento che si presume connesso ad operazioni di realizzo dei titoli e valori trasferiti) si verifichino dei salti d’imposta. Per ovviare a tale inconveniente, la fattispecie dinanzi descritta viene equiparata alla cessione e, quindi, si considera suscettibile di generare plusvalenze (ovvero minusvalenze) il cui ammontare va determinato sulla base del valore previsto dal successivo articolo 7 per l’applicazione dell’imposta sul risparmio gestito. Per ovvie ragioni di semplificazione nei rapporti fra intermediari è, poi, stato previsto che in ogni caso costituisce cessione a titolo oneroso il trasferimento di titoli in amministrazione ad un rapporto di gestione, con la conseguenza che le plusvalenze fino a tal momento maturate dovranno scontare l’imposta secondo i criteri previsti dall’art. 6 in esame (e, dunque, anche con l’applicazione dell’equalizzatore), mentre le eventuali minusvalenze maturate potranno essere dedotte dal contribuente in dichiarazione (o essere da esso fruite in un nuovo rapporto di amministrazione), non potendo comunque andare ad inquinare (né in termini sostanziali né in termini tributari) un rapporto di gestione. Anche l’inserimento di tale disposizione risponde all’esigenza (segnalata dalla Commissione parlamentare) di operare il miglior coordinamento possibile fra le varie disposizioni del provvedimento e, dunque, fra i diversi regimi da esso previsti.

Qualora, viceversa, il conto deposito di destinazione sia di pertinenza del medesimo soggetto che dispone il trasferimento, così come nel caso in cui il titolare del rapporto di deposito amministrato proceda al ritiro materiale dei titoli, non ricorrendo i presupposti per considerare realizzate le plusvalenze (o minusvalenze) insite nei beni oggetto di trasferimento o prelievo, è stabilito che le future eventuali plusvalenze (o minusvalenze) dovranno essere calcolate sulla base dei medesimi valori di costo determinati dall’intermediario presso cui era costituito il deposito amministrato di provenienza dei titoli.

Con il comma 8 si prende in considerazione l’ipotesi in cui il contribuente dovesse superare le percentuali di possesso previste dall’articolo 81 del t.u.i.r.. In tal caso sarà obbligo del contribuente comunicare tale superamento all’intermediario il quale non dovesse essere in possesso degli elementi per constatare ciò ed ovviamente compito sempre del contribuente indicare la plusvalenza "qualificata" nella relativa dichiarazione. La norma in esame, al pari della corrispondente disposizione di cui al comma 15 dell’art. 7 prevista nell’ambito del regime del risparmio gestito, è stata riformulata per coordinamento con le modifiche introdotte alla lett. c) dell’art. 81, di cui sopra si è detto.

Non si è ritenuto, invece, opportuno accogliere l’indicazione formulata dalla Commissione parlamentare nel senso dell’assimilazione anche delle cessioni a titolo gratuito a quelle a titolo oneroso, in quanto ciò avrebbe comportato un disallineamento con il regime ordinario di cui all’art. 5. Pertanto, sia agli effetti del regime del risparmio amministrato in esame che agli effetti del regime del risparmio gestito di cui al successivo art. 7, è stato confermato il principio della neutralità dei trasferimenti per successione o donazione.

Per quanto concerne il versamento dell’imposta sostitutiva da parte dell’intermediario, è previsto che essa deve essere versata, entro il quindicesimo giorno del secondo mese successivo a quello in cui è stata applicata, al concessionario della riscossione territorialmente competente. Nel caso poi di intermediari autorizzati ad operare nei mercati regolamentati l’operazione deve considerarsi effettuata, ai fini del versamento, entro il termine previsto per le relative liquidazioni periodiche. Infine è previsto che del versamento gli intermediari devono rilasciare attestazione al contribuente. Per rispondere ad una precisa osservazione della Commissione parlamentare, è stato anche chiarito che l’intermediario deve trattenere l’importo dell’imposta da versare o riceverne provvista dal contribuente al momento del realizzo di ciascun reddito.

E’ previsto che l’obbligo per gli intermediari di comunicare annualmente all’Amministrazione finanziaria, nei medesimi termini previsti per la dichiarazione dei sostituti d’imposta l’ammontare complessivo delle plusvalenze imponibili e delle relative imposte prelevate nell’anno solare precedente.

In materia di accertamento nei confronti degli intermediari si rinvia per il controllo, accertamento e riscossione alle disposizioni in materia di imposte sui redditi.

In materia di sanzioni sempre nei confronti degli intermediari, é disposta l’applicazione della sanzione amministrativa da una a due volte l’ammontare dell’imposta non dichiarata, aumentata da due a quattro volte nel caso di omessa dichiarazione di imposte per importi superiori a cinquanta milioni e la sanzione amministrativa del 50% nel caso di omesso od insufficiente versamento. Valgono in ordine al coordinamento con gli emanandi provvedimenti in materia di sanzioni le considerazioni in precedenza già svolte sub art. 5.

L’ultimo comma disciplina le modalità di applicazione, alle plusvalenze ed ai proventi realizzati nell’ambito del regime semplificato, del coefficiente di "rettifica" previsto dal comma 9 dell’articolo 82 del t.u.i.r. - come riformulato dall’articolo 4 del presente decreto - allo scopo di rendere equivalente sotto il profilo finanziario l’incidenza del prelievo fiscale gravante sui redditi diversi effettivamente realizzati (criterio di cassa) rispetto a quello che colpisce i medesimi redditi "maturati" nell’ambito delle gestioni personali e collettive di patrimoni.

A tal fine, nell’intento di minimizzare la quantità dei dati che gli intermediari debbono elaborare, è contemplato un criterio analogo a quello adottato per la identificazione del valore di costo da contrapporre ai corrispettivi conseguiti (media ponderata dei prezzi di acquisto), che consente di fare riferimento, per ogni categoria omogenea di titoli e valori mobiliari, ad una data "media" di acquisto in base alla quale individuare il coefficiente di equalizzazione da applicare in ciascuna operazione di realizzo. Se, ad esempio, il 1° gennaio dell’anno 2000 viene acquistato un titolo azionario, il 1° gennaio 2001 vengono acquistati altri tre titoli della stessa specie, e nel 2003 viene venduto uno di tali titoli, ai fini della determinazione del periodo temporale per l’applicazione dell’equalizzatore viene considerata la media temporale, e cioè il 30 settembre 2000.

Articolo 7

L’articolo 7 contiene la disciplina del regime opzionale per la tassazione del risultato maturato nel periodo di imposta nell’ambito di gestione individuale di patrimoni non relativi ad imprese, in attuazione delle previsioni delle lettere g) ed n) del comma 160 della legge delega.

Questo regime, per effetto della tassazione del reddito complessivo netto da gestione maturato, presenta i maggiori elementi di novità rispetto ai criteri impositivi previgenti. Le caratteristiche di tale regime opzionale, secondo le disposizioni della legge delega, sono le seguenti:

- la tassazione sul risultato di gestione maturato nel periodo di imposta ;

- l’esclusione dalla forma di tassazione opzionale delle plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni qualificate ;

- l’applicazione sul risultato di gestione di una imposta sostitutiva da applicarsi con l’aliquota minima del 12,5% ;

- la possibilità di compensare i risultati negativi di un periodo di imposta con quelli positivi dei successivi periodi ;

- la esclusione dal risultato di gestione dei redditi esenti, esclusi da tassazione o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva, per i quali rimane fermo il trattamento di esenzione o quello sostitutivo specificamente previsto.

Con riguardo all’ultimo aspetto, come anticipato nella relazione all’articolo 5, è stato necessario coordinare la disciplina dei redditi diversi con quella dei redditi di capitale, secondo la previsione contenuta nel secondo periodo della lettera n) del comma 160. Il risultato cui si è pervenuti nell’articolo 7 è frutto di un’interpretazione sistematica della norma di delega e precisamente di un’interpretazione che privilegia il coordinamento delle lettere g) ed i) del comma 160 (che si occupano specificamente delle gestioni individuali e collettive) con la successiva lettera n), seconda parte, che prevede il coordinamento fra "i trattamenti previsti alle lettere g) e i)" e "le disposizioni in materia di ritenute alla fonte sui redditi di capitale e di imposte sostitutive afferenti i medesimi redditi". Il coordinamento richiesto dal combinato disposto delle norme richiamate non deve avvenire sul piano meramente formale [altrimenti la disposizione sarebbe stata inserita nella successiva lettera q)], bensì su quello sostanziale, nel senso che la lettera n) impone nel caso di gestioni (individuali o collettive) che sia modificata non solo la disciplina procedurale ma anche quella sostanziale dei redditi di capitale in termini omogenei con quelli previsti per i redditi diversi.

Orbene, i tratti fondamentali della disciplina prevista per i redditi diversi [lettere g) ed i)] sono la tassazione a maturazione con imposizione sostitutiva applicata dal soggetto gestore sul risultato netto di gestione. Il predetto coordinamento impone, pertanto, che anche i redditi di capitale conseguiti nella gestione ed imputati, quindi, al patrimonio gestito siano assoggettati a tassazione in base al risultato complessivo maturato con applicazione dell'imposta sostitutiva ad opera del soggetto gestore.

In senso traslato e figurato, può ben affermarsi che, in base alla lettura combinata e sistematica della lettera g) e della lettera n), seconda parte, il risultato della gestione, civilisticamente unitario, è dal punto di vista fiscale inizialmente scomposto in due risultati complessivi determinati in base a maturazione, l'uno afferente i redditi diversi e l'altro afferente i redditi di capitale, che successivamente, ai fini dell'applicazione dell'imposta sostitutiva ad opera del gestore [seconda parte della lettera g)], si ricompongono in un risultato unitario netto, determinato in base alla somma algebrica fra i due risultati parziali.

Tale disciplina risponde all'esigenza, propria del sistema fiscale, di dover inizialmente estrapolare dal risultato unitario di gestione i redditi di capitale per determinare autonomamente il loro ammontare, al fine di poterli assoggettare (ad opera dello stesso gestore o di altri intermediari) alle diverse aliquote per essi previste. Una volta mantenuta la possibilità della previsione di aliquote diversificate per i redditi di capitale, a fronte dell'aliquota unica prevista per i redditi diversi, è stato gioco forza prevedere la determinazione separata, ancorché momentanea, del risultato di gestione afferente i redditi di capitale prodotti ed imputati al patrimonio gestito, al fine di tenere conto della predetta diversità di aliquote.

In conclusione, l'interpretazione sistematica della delega porta operativamente alla seguente ricostruzione della disciplina delle gestioni, individuali e collettive:

- determinazione del risultato, positivo o negativo, di gestione afferente i redditi diversi maturati, estrapolando, dunque, dal risultato unitario civilistico i redditi di capitale, secondo quanto previsto dalla lettera g);

- determinazione, sempre in base alla maturazione, del risultato di gestione afferente i redditi di capitale, soggetti alla medesima aliquota prevista per i redditi diversi e per i quali l'applicazione dell'imposta sostitutiva possa avvenire ad opera del gestore [si tratta dei redditi di capitale per i quali il coordinamento procedurale e sostanziale previsto dalla lettera n) può effettuarsi senza problemi];

- determinazione, ai sensi dell'ultima parte della lettera g), del risultato netto di gestione, su cui deve essere applicata l'imposta sostitutiva ad opera del gestore, attraverso la somma algebrica dei risultati "parziali";

- esclusione dal risultato di gestione dei redditi di capitale soggetti a ritenuta alla fonte o ad altre forme sostitutive di imposizione per i quali sia tecnicamente impossibile prevedere l'applicazione dell'imposta ad opera del gestore [si tratta dei redditi di capitale per i quali non è possibile il coordinamento procedurale e sostanziale previsto dalla lettera n) e che, dunque, anche se imputati al patrimonio gestito rimangono tassati alla fonte, in base al realizzo, secondo quanto previsto dall’ultima parte della lettera g)].

Ciò premesso in linea generale, si illustra di seguito il contenuto dei commi di cui si compone l’articolo 7.

Il comma 1 delinea il campo di applicazione del regime opzionale, che riguarda le sole gestioni di patrimoni non relative all’impresa per le quali il mandato di gestione sia stato conferito a una impresa di investimento abilitata ai sensi della legge n. 415/1996 attuativa della cosiddetta "direttiva Eurosim" ; resta quindi inteso che l’opzione non può essere esercitata nel caso di cointestazione del rapporto fra una persona fisica e una società o un ente commerciale. L’opzione riguarda in linea di principio tutti i redditi diversi e quelli di capitale che concorrono a formare il risultato della gestione, con la sola eccezione delle plusvalenze derivanti da cessione di partecipazione qualificate di cui alla lettera c) dell’articolo 81 del T.U.I.R. le quali quindi devono in ogni caso essere avulse dal risultato della gestione per essere tassate secondo il regime loro proprio.

Il comma 2 stabilisce le modalità per l’esercizio dell’opzione e della sua revoca, disciplinandone gli effetti. In particolare è stabilito che i soggetti interessati possano optare per il regime sostitutivo dandone apposita comunicazione scritta al soggetto gestore all’atto della stipula del contratto di gestione nel caso di mandati di gestione conferiti nel corso del periodo di imposta, ovvero nel caso di mandati già in essere in qualsiasi momento del periodo di imposta con effetti dal periodo di imposta successivo. L’opzione, che anche nel caso di intrattenimento di più rapporti di gestioni con lo stesso soggetto abilitato può essere esercitata limitatamente ad uno o più di essi, è vincolante per tutto il periodo di imposta e può essere revocata entro la scadenza del periodo stesso con effetto da quello successivo.

Un particolare coordinamento è previsto con il regime impositivo delle plusvalenze derivanti da partecipazioni qualificate. A tal fine, già il comma 1 stabilisce che per le partecipazioni qualificate non può essere esercitata l’opzione prevista per il risparmio gestito. Ciò significa che nell’ipotesi in cui il contribuente detenga partecipazioni in percentuale superiore a quelle previste dall’articolo 81, comma 1, lettera c), limitatamente ad esse, ancorché conferite in gestione, non potrà essere esercitata l’opzione di cui al comma 2. Nel caso in cui, per effetto delle operazioni poste in essere nell’ambito della gestione, le partecipazioni detenute vengano a superare le percentuali di possesso previste dall’articolo 81, le partecipazioni suddette dovranno essere escluse dalla determinazione del risultato di gestione soggetto all’imposta sostitutiva.

L’ultimo periodo del comma 2 demanda ad appositi decreti del Ministro delle finanze le modalità per l’esercizio e la revoca dell’opzione.

Il comma 3 dispone la esclusione dalle imposte sui redditi e dall’imposta sostitutiva sulle plusvalenze disciplinata dall’articolo 5 per tutti i redditi conseguiti nell’ambito della gestione individuale del patrimonio per la quale sia stata esercitata l’opzione prevista dal comma 2. Il secondo periodo introduce, in attuazione della previsione della lettera n) del comma 160 della legge delega, il necessario coordinamento fra la imposta sostitutiva sul patrimonio gestito e le ritenute e le imposte sostitutive sui redditi di capitale e diversi che concorrono a formare il risultato della gestione, disponendo che ai fini dell’applicazione di dette ritenute e imposte sostitutive la gestione non subisce i prelievi a monte soggetti alla medesima aliquota del 12,50 per cento applicata sul risultato di gestione. Rispondendo ad un’osservazione della Commissione parlamentare, si sono inoltre chiarite le condizioni in presenza delle quali la banca depositaria può dare applicazione alla disposizione in esame nel caso di rapporti di deposito o conto corrente intrattenuti dal gestore per conto dei propri clienti.

In tal modo si è evitato che nell’ambito di un risultato di gestione complessivamente tassato in base al criterio della maturazione i redditi di capitali continuassero in via generalizzata ad essere tassati per cassa.

Resta tuttavia stabilito che in tutti i casi non previsti dal presente comma continuano ad essere applicate le ritenute (a titolo d’imposta o d’acconto, secondo il regime generale) e, conseguentemente, i relativi redditi non concorrono a formare il risultato della gestione. In questi casi, infatti, il coordinamento anche sostanziale fra redditi diversi tassati in base alla loro maturazione e redditi di capitale non risulta possibile per la presenza (inevitabile) di una ritenuta alla fonte. In questo caso, infatti, il disposto dell’articolo 3, comma 160, lettera g) della legge delega ha imposto di estrapolare dal risultato di gestione i redditi che subiscono la ritenuta (metodo dell’esclusione) piuttosto che comprendere anche tali redditi nel risultato di gestione prevedendo lo scomputo delle ritenute subite dall’imposta sostitutiva dovuta sul risultato di gestione (metodo dell’imputazione).

Il comma 4 stabilisce che il risultato maturato della gestione è soggetto ad un’imposta sostitutiva delle imposte sul reddito con l’aliquota del 12,5% e fissa i criteri per la quantificazione di tale risultato ai fini impositivi. Il risultato di gestione, positivo o negativo, è costituito dalla differenza fra il valore del patrimonio gestito alla fine dell’anno solare e il valore dello stesso patrimonio all’inizio dell’anno solare, e apportando a tale differenza le seguenti rettifiche: in aumento, i prelievi effettuati nel corso del medesimo anno solare; in diminuzione, gli apporti in denaro o in natura effettuati nel medesimo periodo, nonché i redditi maturati nel medesimo periodo per i quali sia previsto un regime di esenzione o comunque di non imposizione ai fini delle imposte sul reddito ovvero l’applicazione di ritenute ovvero di altre imposte sostitutive, quali quelli derivanti dalle quote di partecipazione in organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di cui al successivo articolo 8 o in fondi comuni immobiliari di cui alla legge 25 gennaio 1994, n. 86, nonché i redditi che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente per i quali non è prevista l’applicazione di ritenute alla fonte. La ratio della esclusione di tali somme dal risultato di gestione, imposta dalla legge delega, è quello di evitare forme di doppia imposizione e comunque garantire in capo al percettore di tali redditi il trattamento fiscale per essi specificamente previsto, trattamento che solo il metodo dell’esclusione consente di preservare, mentre il metodo dell’imputazione avrebbe come risultato la generalizzata tassazione di tutti i redditi maturati all’interno della gestione (anche di quelli esenti) con la stessa aliquota unitaria.

E’ da rilevare come anche ai fini dell’esclusione dal risultato di gestione imponibile si faccia riferimento ai redditi maturati, piuttosto che a quelli incassati: questo al fine di raffrontare grandezze fra loro omogenee e, quindi, di semplificare la quantificazione della plusvalenza in capo agli intermediari.

Infine, è stabilito che il risultato di gestione debba essere assunto dopo avervi dedotto le commissioni addebitate per la gestione e la negoziazione del patrimonio gestito, nonché di ogni altro onere relativo all’acquisto e alla vendita ed in genere alla negoziazione degli strumenti finanziari in cui viene investito il patrimonio gestito, quali la tassa sui contratti di borsa ecc.

Il comma 5 dispone che il valore del patrimonio gestito all’inizio e alla fine del periodo di imposta da effettuare ai fini della determinazione del risultato di gestione di cui al comma precedente sia svolta secondo i criteri stabiliti dalla CONSOB in attuazione delle disposizioni di settore stabilite dalla legge n. 415 del 1996. E’ aggiunta una speciale disposizione con finalità quasi esclusivamente antielusive nel caso di gestioni aventi per oggetto anche titoli o partecipazioni non quotati, ammettendosi una franchigia del 10%, superata la quale tali titoli dovranno comunque concorrere al risultato maturato della gestione secondo il criterio fiscale del valore normale, salva la possibilità per il contribuente di revocare l’opzione anche solo limitatamente ai predetti titoli non quotati. Anche tale aggiunta trova fondamento nella necessità (raccomandata dalla Commissione parlamentare) di procedere al miglior coordinamento possibile fra le diverse norme del provvedimento, dovendo nell’ipotesi in esame individuarsi la necessità di coordinare il regime della gestione con l’applicazione negli altri regimi dell’equalizzatore sui redditi tassati al realizzo.

Il comma 6 è volto a disciplinare casi di gestioni che iniziano ovvero terminano in corso di anno, e dispone che in queste fattispecie debba essere assunto, rispettivamente, il valore del patrimonio all’inizio del rapporto di gestione in luogo del valore all’inizio dell’anno solare, e il valore del patrimonio al termine del contratto in luogo del valore al termine dell’anno solare.

Ai fini della determinazione del risultato di gestione, mentre il comma 5 fa rinvio ai criteri tecnici stabiliti dalla normativa di settore per stabilire i valori iniziali e finali del patrimonio gestito, i commi 7 e 8 dettano criteri specifici ai fini fiscali per la determinazione del valore dei conferimenti e dei prelievi di strumenti finanziari effettuati in natura, nel periodo di imposta in cui vengono effettuati. In particolare il comma 7 disciplina analiticamente i criteri di determinazione del valore fiscalmente riconosciuto dei conferimenti. Come regola generale per la determinazione del valore dei conferimenti in natura, viene stabilito il principio secondo cui il conferimento in gestione configura realizzo delle plusvalenze (o delle minusvalenze) insite negli strumenti finanziari conferiti, di modo che essi vengono valorizzati al costo fiscalmente riconosciuto all’atto del conferimento, stabilito secondo i criteri fissati all’articolo 6. Trattasi di principio nuovo rispetto allo schema di decreto introdotto per evitare possibili arbitraggi o distorsioni nell’applicazione del regime in esame e, dunque, per rispondere alle più volte ricordate esigenze di coordinamento fra le varie disposizioni del decreto.

Criteri particolari vengono fissati nei seguenti casi:

- quando gli strumenti finanziari conferiti provengono da un (altro) patrimonio gestito per il quale è stata esercita l’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva ai sensi dell’articolo 7. In questo caso si assume come valore del conferimento quello "di uscita" dal precedente contratto di gestione, che tiene quindi conto delle plusvalenze e minusvalenze maturate presso di esso ;

- quando gli strumenti finanziari conferiti sono oggetto di uno stabile rapporto con un intermediario autorizzato in relazione al quale è stata esercitata l’opzione per il regime cosiddetto "del risparmio amministrato" di cui all’articolo 6. In questo caso il costo al quale tali strumenti finanziari entrano a far parte del patrimonio gestito è quello determinato ai fini della quantificazione delle plusvalenze nell’ambito di tale regime.

Il comma 8 disciplina le conseguenze fiscali che si determinano in caso di prelievo (totale o parziale) degli strumenti finanziari facenti parte del patrimonio gestito, di loro trasferimento in altro rapporto stabile (di amministrazione o gestione) intrattenuto presso altro intermediario, o comunque di revoca dell’opzione esercitata ai sensi del comma 2 del presente articolo. Anche in questo caso, così come in quello disciplinato nel precedente articolo 6, si è scelto un trattamento volto ad evitare che attraverso tali operazioni possa verificarsi un salto d’imposta; pertanto in tutte queste ipotesi si verifica il presupposto per la tassazione delle plusvalenze maturate sugli strumenti finanziari suddetti fino alla data del loro prelievo, trasferimento o data di efficacia della revoca, da quantificarsi sulla base del valore degli strumenti finanziari determinato secondo i criteri di valutazione illustrati al precedente comma 5. Il comma 9 stabilisce che tale valore costituirà il costo fiscalmente riconosciuto nell’ambito di ciascuno dei regimi che tornerà applicabile (cioè quello cosiddetto "della dichiarazione" ovvero "del risparmio amministrato" ovvero "del risparmio gestito"); per assicurare la concreta applicazione di tale principio di continuità dei valori, il soggetto gestore deve rilasciare ai soggetti amministrati una apposita certificazione attestante il valore degli strumenti finanziari gestiti assunto ai fini della tassazione all’atto della loro fuoriuscita dalla gestione o dalla revoca dell’opzione. E’ appena il caso di precisare che, in caso di revoca dell’opzione di cui al comma 2, in relazione alle plusvalenze e minusvalenze conseguite nell’ambito della gestione troverà applicazione il regime ordinario cosiddetto "della dichiarazione" ovvero, in caso di esercizio dell’opzione di cui all’articolo 6, quello cosiddetto "del risparmio amministrato", essendo pur sempre anche la gestione un rapporto stabile intrattenuto con un intermediario abilitato.

Il comma 10 stabilisce che l’eventuale risultato negativo di gestione conseguito in un periodo di imposta può essere portato in diminuzione del risultato positivo conseguito nell’ambito della medesima gestione dei periodi di imposta successivi ma non oltre il quinto, ovviamente per l’intero importo che trovi capienza in essi. Non è consentito invece portare tale risultato in diminuzione del risultato positivo conseguito nel medesimo periodo di imposta in altre gestioni eventualmente intrattenute dal medesimo soggetto presso lo stesso o altri intermediari.

Il comma 11 disciplina i criteri di prelevamento dal patrimonio gestito e di versamento all’Erario dell’imposta sostitutiva da parte dell’intermediario. Il prelevamento delle somme corrispondenti all’imposta dovuta sul patrimonio gestito deve essere effettuato entro il 28 febbraio di ciascun anno in relazione al risultato di gestione imponibile dell’anno solare precedente ovvero, nel caso di revoca del mandato di gestione, entro il termine del secondo mese solare successivo a quello in cui il rapporto è cessato; il versamento deve essere effettuato entro i medesimi termini presso la sezione di tesoreria provinciale dello Stato. Nel caso in cui le disponibilità liquide esistenti nel patrimonio gestito all’epoca in cui deve essere prelevata l’imposta sostitutiva dal patrimonio gestito siano di importo inferiore a quello della suddetta imposta, il soggetto gestore può procedere ai disinvestimenti di strumenti finanziari presenti nel patrimonio gestito necessari a conseguire la liquidità sufficiente a provvedere al relativo pagamento. In alternativa è data facoltà al contribuente gestito di fornire al soggetto le disponibilità liquide mancanti entro il 15 del mese in cui il versamento deve essere effettuato. Nelle ipotesi di prelievo, trasferimento e revoca dell’opzione previsti dal comma 8, nell’ambito dei quali le risorse facenti parti del patrimonio gestito possono ridursi significativamente, il soggetto gestore può sospendere l’esecuzione del prelievo, del trasferimento o della revoca fino al momento in cui ottenga dal contribuente la provvista necessaria.

Accogliendo anche su tale punto una precisa indicazione della Commissione parlamentare, si è proceduto a sopprimere la disposizione, contenuta nel comma 12 dell’art. 7 dello schema di provvedimento, relativa all’obbligo di versamento da parte delle gestioni di un acconto. Ovviamente analoghe modifiche sono state apportate anche nel successivo articolo 8, con riguardo agli obblighi di acconto originariamente previsti per gli organismi collettivi di investimento del risparmio. La soppressione dell’acconto è stata resa possibile considerando che l’entrata in vigore a metà anno del provvedimento consente (come previsto al successivo art. 15) di avere nel corso del 1998 il versamento dell’imposta patrimoniale sostitutiva, soppressa a partire dal 1° luglio 1998, relativa al primo semestre del predetto anno, il che consente di evitare il verificarsi di situazioni di deficit finanziario nel bilancio dello Stato.

Il comma 12 prevede che entro il 28 febbraio, termine ordinario previsto per il versamento dell’imposta sostitutiva a saldo, il soggetto gestore presenti una dichiarazione relativa all’imposta sostitutiva complessivamente dovuta nell’anno solare precedente sui patrimoni da esso gestiti e per i quali sia stata esercitata l’opzione di cui al comma 2 ; alla dichiarazione deve essere allegata copia della documentazione comprovante il pagamento dell’imposta sostitutiva. Per la presentazione della dichiarazione e il versamento dell’imposta sostitutiva si applicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi.

Il comma 13 disciplina le modalità di utilizzo del risultato negativo di gestione che emerga all’atto dell’uscita dallo speciale regime opzionale sia per scadenza del contratto di gestione, che per revoca dell’opzione stessa. In questo caso, essendo impossibile il riporto del risultato negativo all’interno della medesima gestione che lo ha generato, viene data la possibilità di imputare tale risultato negativo alle plusvalenze dichiarate in sede di dichiarazione dei redditi, secondo le modalità previste dal comma 4 dell’articolo 82 del t.u.i.r., ovvero, nel caso in caso di intrattenimento o di successiva apertura, da parte del medesimo contribuente, di altro

rapporto di gestione per il quale egli abbia esercitato l’opzione prevista dal comma 2, al risultato positivo conseguito in tale altro rapporto di gestione.

Il comma da 14 contiene norme di natura antielusiva disposte al fine di evitare che le plusvalenze derivanti da partecipazioni qualificate possano essere conseguite nell’ambito della gestione di patrimoni mobiliari per i quali sia stata esercitata l’opzione prevista dal comma 2, venendo in tal modo assoggettate ad un più favorevole regime impositivo rispetto a quello per esse previsto. Nella sostanza la norma ricalca l’analoga disposizione prevista nel comma 8 dell’art. 6 nel caso di rapporto di amministrazione.

Il comma 15 rinvia alle disposizioni in tema di imposte sui redditi per quanto concerne la disciplina del controllo, dell’accertamento e della riscossione delle imposte sostitutive non dichiarate o non versate e stabilisce l’entità della sanzione amministrativa da comminarsi in relazione all’imposta non dichiarata o non versata, prevedendole in misura raddoppiata rispetto a quella ordinaria nel caso in cui essa sia di importo superiore ai cinquanta milioni di lire.

Il comma 16 rinvia a uno o più decreti del Ministro delle finanze per l’approvazione del modello di dichiarazione che dovrà essere presentato dai soggetti gestori e per la determinazione delle altre modalità necessarie per l’attuazione dello speciale regime impositivo per i patrimoni gestiti.

Si segnala, da ultimo, che non si è ritenuto necessario recepire con norma l’osservazione della Commissione parlamentare in ordine alla "qualificazione giuridica del gestore", essendo invero già chiaro dal contesto normativo che il gestore non assume in alcun modo la veste di sostituto d’imposta bensì quella di mero incaricato della liquidazione e del versamento dell’imposta sostitutiva.

Articolo 8

L’articolo 8 contiene le disposizioni attinenti la riforma del regime tributario degli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari.

Il primo comma sostituisce l’articolo 9 della legge 23 marzo 1983, n. 77 concernente il regime tributario dei fondi comuni di investimento mobiliare aperti di diritto nazionale

Con il primo comma dell’articolo 9 della legge n. 77/83 viene disposto che il fondo comune di investimento non è soggetto passivo delle imposte sui redditi. Per effetto dell’elencazione contenuta nella disposizione in esame e del collegamento con il successivo articolo 12 il fondo comune è nella sostanza equiparato alle società commerciali nel momento della percezione dei proventi delle attività finanziarie detenute; ciò consente al fondo di conseguire i proventi medesimi senza applicazione della ritenuta del 12,50 per cento, assumendo la qualifica di soggetto "lordista" non soltanto per i proventi dei titoli indicati nel decreto legislativo 1 aprile 1996, n. 239 (titoli di Stato, obbligazioni bancarie, obbligazioni emesse da società quotate ecc.), ma anche per tutti gli altri proventi del pari soggetti a ritenuta nella medesima misura del 12,50 per cento (proventi delle operazioni di pronti contro termine in titoli e valute, interessi premi ed altri frutti su obbligazioni e titoli similari emessi all’estero); le ritenute invece continuano ad essere a titolo d’imposta in tutti gli altri casi in cui sono applicate.

Il secondo comma dell’articolo 9 della legge n. 77/83 attua il disposto dell’articolo 3, comma 160, lettere i) e n) della legge n. 662/96 prevedendo l’imposizione del risultato annuo di gestione maturato in capo al fondo. In particolare si prevede: a) che la società di gestione versa a titolo di imposta sostitutiva, prelevandola dal patrimonio del fondo, un ammontare pari al 12,50 per cento del risultato della gestione maturato in ciascun anno solare; b) il risultato è pari al valore del patrimonio netto del fondo alla fine di ciascun anno - aumentato dell’imposta sostitutiva accantonata nel passivo del fondo nonché dei rimborsi e dei proventi eventualmente distribuiti e diminuito delle sottoscrizioni effettuate nel corso dell’anno, al netto di tutti i redditi maturati nel medesimo periodo e soggetti a ritenuta a titolo d’imposta o esenti, al netto dei proventi, comunque conseguiti, degli organismi di investimento collettivo del risparmio già soggetti a imposta sostitutiva, nonché - ovviamente - del patrimonio netto all’inizio dell’anno; c) i valori del patrimonio all’inizio e alla fine dell’anno nonché l’ammontare dell’imposta sostitutiva accantonata devono essere desunti dai prospetti di cui alla lettera d) dell’articolo 5 della legge n. 77/83 relativi alla fine dell’anno; d) nel caso di fondi avviati o chiusi in corso d’anno, va assunto il valore del patrimonio netto all’inizio o alla chiusura del fondo; e) la società di gestione versa l’imposta sostitutiva entro il 28 febbraio di ogni anno.

Il comma 2-bis dell’articolo 9 della legge n.77/83 disciplina il caso in cui il risultato di gestione del fondo dovesse risultare negativo, disponendo che esso può essere computato in diminuzione dei risultati di gestione dei periodi d’imposta successivi, senza limiti temporali, ovvero ceduto ad altri fondi gestiti dalla medesima società di gestione che potranno portarlo in diminuzione del loro risultato, ai fini della determinazione dell’imposta sostitutiva, già a partire dal periodo d’imposta in cui è maturato il risultato negativo ceduto. Tale disciplina mira ad assicurare pronta liquidabilità al risparmio d’imposta conseguente al manifestarsi di un risultato di gestione negativo e a costituire le condizioni affinché, in presenza di diminuzioni di valore del patrimonio in gestione sia possibile iscrivere, tra le attività del fondo, un’attività corrispondente al risparmio d’imposta prospettico. Invero, la natura dei fondi comuni impone la necessità di misurare quotidianamente il risultato del fondo attraverso il calcolo giornaliero del valore delle quote. Tale calcolo non può non tenere conto, in caso di risultato negativo, della circostanza che quest’ultimo si compenserà con i successivi risultati positivi e quindi comporterà, nei limiti della compensazione, un beneficio. Se questo beneficio non fosse misurato e non concorresse al valore delle quote, si produrrebbero indebiti vantaggi a favore di quei partecipanti che, avendo sottoscritto le quote in un periodo di gestione negativa, le mantenessero in un periodo con risultati positivi che non danno luogo a imposte perché compensati con le perdite pregresse.

La possibilità di cedere il risultato negativo della gestione subìto in un periodo d’imposta ad altro fondo gestito dalla medesima società di gestione consente al fondo di non attendere futuri risultati positivi, ma di monetizzare questa attività attraverso la cessione ad altro fondo che può utilizzarla per la definizione del suo imponibile.

Il comma 3 dell’articolo 9 della legge n. 77/83 prevede che i proventi, comunque conseguiti, delle partecipazioni ai fondi, che non siano conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali, non concorrono a formare il reddito imponibile dei partecipanti. Nel caso in cui i proventi siano conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali, al fine di evitare una doppia imposizione di proventi che hanno già scontato una imposta nella misura del 12,50 per cento in capo al fondo, è riconosciuto un credito d’imposta che è computato in aumento del reddito imponibile ai fini dell’imposta personale e successivamente, per il medesimo importo, in diminuzione dall’imposta lorda dovuta.

Il comma 4 dell’articolo 9 della legge n. 77/83 disciplina gli obblighi di dichiarazione del risultato di gestione soggetto ad imposta sostitutiva, le norme applicabili per l’accertamento e la riscossione dell’imposta nonché le disposizioni in materia di sanzioni.

Il comma 2 dell’articolo 8 modifica le disposizioni dell’articolo 14 del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 84 che riguardano il regime tributario delle SICAV.

I commi 1 e 2 dell’articolo 14 del d.lgs. n. 84/92 estendono alla SICAV lo stesso regime tributario previsto dall’articolo 9 della legge n. 77/83 per i fondi comuni di investimento italiani., confermando l’equiparazione già vigente. In ragione della circostanza che la SICAV rappresenta comunque un tipo della più ampia specie degli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari. è confermata, al comma 3, l’inapplicabilità delle disposizioni vigenti in tema di ritenuta sui dividendi, ivi comprese le disposizioni in tema di rilevazioni e segnalazioni allo schedario generale dei titoli azionari, con specifico riferimento ai proventi comunque erogati dalla SICAV.

Con il terzo comma si procede, tenendo comunque conto delle caratteristiche degli organismi, alle stesse modifiche sopra indicate per quanto concerne il regime tributario dei fondi comuni di investimento mobiliare chiusi previsto dall’articolo 11 della legge 14 agosto 1993, n. 344. La nuova disciplina elimina, in ragione delle nuove modalità di tassazione del risultato della gestione stabilite dalla delega, le vigenti disposizioni in materia di credito d’imposta per i proventi erogati dai fondi chiusi .

Con il quarto comma viene riformata la disciplina fiscale dei fondi esteri soggetti al regime dell’articolo 11-bis del decreto legge 30 settembre 1983, n. 512 convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre 1983, n. 649. Come già previsto dalle disposizioni vigenti, il regime di questi organismi viene uniformato a quello dei fondi di diritto italiano, anche con riferimento al credito d’imposta da riconoscere alle imprese residenti che realizzano i relativi proventi.

Il comma quinto sostituisce i commi da 1 a 6 dell’articolo 10-ter della legge 23 marzo 1983, n. 77 che disciplinano il regime tributario dei proventi derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di tipo aperto di diritto estero. Viene confermato che per i proventi relativi a quote o azioni collocate nel territorio dello Stato si applica una ritenuta, mentre per i proventi relativi a quote o azioni acquistate o sottoscritte all’estero il contribuente è tenuto ad indicare il provento nella dichiarazione annuale dei redditi e a liquidare le imposte con le modalità e nei termini previsti per il versamento a saldo delle imposte sui redditi dovute in base alla dichiarazione.

Così come già previsto, nel caso di quote o azioni di organismi di investimento di diritto estero situati in Stati membri dell’Unione Europea e conformi alle direttive comunitarie, il prelievo sul provento è a titolo definitivo, mentre in tutti gli altri casi il provento concorre a formare il reddito imponibile del partecipante e la ritenuta, ove applicata, assume natura di acconto.

Al fine di assicurare la necessaria neutralità della fiscalità dei proventi da partecipazione a organismi di investimento collettivo, è prevista l’applicazione dell’equalizzatore di cui all’art. 82, comma 9, del t.u.i.r., che deve assicurare sostanziale equivalenza di prelievo sul partecipante, rispetto alla tassazione subita a monte da un omologo organismo di diritto italiano.

Il comma 6 sostituisce il comma 3 dell’articolo 63 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con il d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, unificando il regime di deducibilità degli interessi passivi in presenza di proventi derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari.

Articolo 9

La norma tende ad evitare che le quote di organismi di investimento di diritto italiano sottoscritte da non residenti subiscano un trattamento penalizzato rispetto all’investimento diretto in altri valori mobiliari.

La prima parte riconosce al soggetto non residente un rimborso d’imposta corrispondente alle imposte già assolte dall’organismo italiano soggetto all’imposta sostitutiva, la seconda parte prevede invece il caso di fondi partecipati esclusivamente da soggetti non residenti ai quali viene riconosciuta l’esenzione dall’imposta sostitutiva. Detti regimi sono riservati ai soggetti residenti in Stati con i quali l’Italia ha stipulato convenzioni contro le doppie imposizioni, sempreché tali convenzioni consentano lo scambio di informazioni tra Amministrazioni finanziarie e sempreché lo Stato estero non preveda regimi fiscali privilegiati. Specifiche cautele sono poi previste ad evitare l’uso indebito dello strumento.

Articolo 10

L’articolo 10 contiene disposizioni che mirano a garantire all’Amministrazione finanziaria l’acquisizione di informazioni utili per controllare il comportamento dei contribuenti che hanno effettuato operazioni idonee a generare plusvalenze imponibili ed altri redditi diversi di cui alle lettere da c) a c-quinquies) dell’articolo 81 del t.u.i.r.. A tal fine la norma impone ai soggetti che intervengono nelle citate operazioni di comunicare al fisco entro il 30 aprile di ciascun anno alcuni dati riguardanti le operazioni citate.

Sotto il profilo soggettivo, in analogia a quanto già previsto dall’articolo 4 del decreto - legge 28 gennaio 1991, n. 27, convertito dalla legge 25 marzo 1991, n. 102, recante disposizioni relative all’assoggettamento ad imposta di talune plusvalenze, sono tenuti alle predette segnalazioni gli intermediari professionali, i notai e le società emittenti che intervengano, anche in qualità di acquirenti, nelle operazioni in argomento. Per intermediari professionali si intendono a questi fini le banche, le società di intermediazione mobiliare, le società fiduciarie e gli agenti di cambio.

Sotto il profilo oggettivo, devono essere segnalate tutte le cessioni e le altre operazioni che siano idonee a determinare in capo al soggetto che le pone in essere plusvalenze o proventi da inserire nella propria dichiarazione annuale dei redditi. L’obbligo di segnalazione, dunque, non sussiste per tutte le operazioni relative a rapporti per i quali il contribuente abbia optato per il regime di prelievo semplificato di cui agli articoli 6 e 7 del decreto in esame, per le operazioni effettuate da organismi di investimento collettivo del risparmio di cui al successivo articolo 8. Relativamente ai soggetti non residenti è necessario segnalare le operazioni relative a cessioni di partecipazioni qualificate di cui alla lettera c) dell’articolo 81 del t.u.i.r., mentre nessuna comunicazione deve essere effettuata per le operazioni di cui alle lettere da c-bis) a c-quinquies) che non generano per tali soggetti proventi o redditi imponibili. Parimenti nessun obbligo di segnalazione sussiste per le operazioni poste in essere nell’ambito di un’attività d’impresa.

Le modalità per eseguire le predette comunicazioni, nonché il contenuto delle certificazioni che i soggetti tenuti alle comunicazioni in argomento sono tenuti a rilasciare alle parti, verranno stabilite con apposito decreto dirigenziale.

Il comma 2 dell’articolo in esame dispone altresì l’obbligo di segnalare:

- le operazioni di prelievo fisico di titoli o di altri strumenti finanziari che dovessero essere effettuate nell’ambito dei rapporti per i quali il contribuente abbia optato per il regime di tassazione semplificata di cui agli articoli 6 e 7 del decreto in esame. La segnalazione di tali operazioni, che da sole non sono suscettibili di generare plusvalenze o redditi imponibili, si rende necessaria dal momento che con l’avvenuto prelievo i titoli e gli altri valori escono dal circuito degli intermediari residenti e pertanto eventuali successive cessioni degli stessi potrebbero non essere oggetto di ulteriori segnalazioni al Fisco;

- le generalità dei soggetti che nel corso dell’anno abbiano detenuto conti e depositi in valuta estera. Tale segnalazione si rende necessaria considerato che tali rapporti possono dar luogo al realizzo di plusvalenze che, come previsto dagli articoli che precedono, subiscono il prelievo esclusivamente in sede di dichiarazione annuale dei redditi. Al fine di consentire al fisco di acquisire soltanto le informazioni idonee a individuare potenziali plusvalenze di rilevo, la norma prevede che non debbano essere oggetto di segnalazione i rapporti di deposito che nel corso dell’anno abbiano fatto registrare giacenze giornaliere sempre inferiori al controvalore di cento milioni di lire. In tal modo si evita all’Amministrazione di dover gestire un elevato numero di informazioni, prive di concreta utilità, in quanto riferite a conti o depositi di ammontare non elevato che vengono utilizzati non tanto per investire in valute estere, quanto come strumenti per l’esecuzione di pagamenti in valuta. Esigenze di semplificazione per gli intermediari obbligati alla comunicazione hanno indotto ad adottare, ai fini dell’individuazione della predetta soglia, il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento. Nessuna segnalazione deve essere effettuata con riferimento ai soggetti non residenti o a soggetti residenti, diversi dalle persone fisiche, che intrattengono i conti e depositi in valuta nell’esercizio di un’attività di impresa.

L’ultimo comma dell’articolo in esame, infine, esclude l’obbligo del monitoraggio fiscale di cui all’articolo 1 del decreto legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, con la legge 4 agosto 1990, n. 227, per i trasferimenti da e verso l’estero relativi ad operazioni effettuate nell’ambito dei contratti e dei rapporti di cui agli articoli 6 e 7 del decreto in esame, relativamente ai quali il contribuente abbia optato per il regime di prelievo semplificato previsto negli articoli stessi. In tutti i casi citati, infatti, la tassazione viene operata direttamente dall’intermediario e, non sussistendo l’obbligo di dichiarazione a carico del contribuente, la segnalazione al fisco è priva di concreta utilità.

Articolo 11

La legge delega nell’ambito della riforma del regime impositivo delle rendite finanziarie, prevede anche la revisione della disciplina contenuta nel decreto legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, recante norme concernenti la rilevazione a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori.

L’art. 11, nel dare attuazione alla richiamata previsione, apporta alcuni correttivi ed integrazioni alla normativa sul monitoraggio fiscale finalizzati sia a renderne più chiaro l’ambito di applicazione, sia a razionalizzare gli obblighi a carico degli intermediari e dei contribuenti.

Con le modifiche introdotte nell’art. 1 del D.L. n. 167/90 viene innanzitutto riformulata l’indicazione dei soggetti tenuti ad effettuare le predette rilevazioni, includendovi anche l’ente Poste Italiane. Per quel che invece concerne l’aspetto oggettivo, sono stati espressamente attratti nell’ambito dei controlli, anche i pagamenti effettuati mediante assegni postali, bancari e circolari, purché ovviamente di importo superiore a lire venti milioni.

Si ricorda che all’atto della emanazione del citato D.L. n. 167/90, l’allora vigente regime di circolazione degli assegni rendeva estremamente problematico l’accertamento, da parte della banca tenuta ad onorare il pagamento dell’assegno stesso, sia dell’effettiva destinazione delle somme di denaro - all’estero ovvero all’interno del territorio dello Stato - sia della causale del trasferimento così effettuato.

Attualmente invece - in virtù della intervenuta emanazione della legge n. 197/91 (c.d. "antiriciclaggio") con la quale, tra l’altro, si è disposto che per la circolazione degli assegni bancari e circolari di importo superiore a lire venti milioni deve essere indicato il nome o la ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità - detta rilevazione è consentita. Naturalmente la sussistenza di tali requisiti (vale a dire, l’indicazione del beneficiario e la clausola di non trasferibilità) costituisce condizione necessaria per l’assolvimento da parte degli intermediari degli obblighi di rilevazione agli stessi affidati.

Infine, allo scopo di limitare l’afflusso di informazioni alle sole ipotesi per le quali non esistono riscontri di tipo contabile, viene stabilito che, oltre che nei confronti di persone fisiche ed enti non commerciali, l’attività di rilevazione dei trasferimenti in parola debba essere svolta in relazione alle operazioni delle sole società semplici e delle associazioni equiparate ai sensi dell’art. 5 del T.U.I.R., con ciò escludendo gli altri soggetti di cui al medesimo art. 5 nel presupposto che questi ultimi, svolgendo attività commerciale, possono documentare, al pari dei soggetti IRPEG, le proprie movimentazioni sulla base dei dati di bilancio.

Per evitare l'acquisizione di informazioni che potrebbero non rivestire alcuna utilità agli effetti dei controlli si è cercato di individuare in maniera più circostanziata e precisa di quanto non si fosse fatto nel passato le attività estere di natura finanziaria e gli investimenti all'estero che, ai sensi dell'art.4 del decreto legge n.167 citato, i soggetti sottoposti a monitoraggio hanno l'obbligo di dichiarare nel quadro W della dichiarazione dei redditi. Attraverso la riformulazione del primo comma di tale disposizione è stato chiarito, in particolare, che un tale obbligo sorge soltanto per le attività estere di natura finanziaria e per gli investimenti all'estero attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera che risultano imponibili in Italia. Si è ritenuto infatti che non può sussistere alcun interesse dell'amministrazione finanziaria a sottoporre a controllo anche quelle attività estere di natura finanziaria ovvero quegli investimenti all'estero che sono produttivi di redditi non soggetti ad imposizione in Italia.

La previsione di esonero dagli obblighi dichiarati prevista dal comma 4 dell'art.4 è stata riformulata in maniera tale da sopprimere l'obbligo di dichiarazione tutte le volte in cui non sussista un'effettiva esigenza d'accertamento in quanto il contribuente abbia dato incarico ad un intermediario residente di "curargli" l’incasso dei redditi conseguibili attraverso le attività estere di natura finanziaria di cui disponga. In tal caso infatti sarà tale intermediario a sottoporre ad imposizione tali redditi, nonché a comunicare all’amministrazione finanziaria le informazioni relative alle operazioni poste in essere dal contribuente. Si è stabilito pertanto che l’obbligo di dichiarazione delle "consistenze" delle attività estere di natura finanziaria, nonché quello di dichiarazione dei relativi trasferimenti non sussistono per i certificati in serie o di massa ed i titoli affidati in gestione od in amministrazione ad intermediari residenti, per i contratti conclusi attraverso il loro intervento, nonché per i depositi ed i conti correnti, a condizione che i redditi derivanti da tali cespiti siano riscossi attraverso degli intermediari stessi.

Con il comma 5 si è disposta la soppressione della norma contenuta nell’art.5-bis del decreto legge n.167 la quale, come si ricorderà, escludeva la sussistenza degli obblighi dichiarativi previsti dal precedente art.4 di tale decreto "...per gli investimenti, le attività di natura finanziaria, ed i trasferimenti operati all’interno dell’Unione europea, fatta eccezione per i trasferimenti da e per l’Italia...". Tale norma rischiava infatti di spingere i contribuenti a mantenere all’estero le proprie attività di natura finanziaria ed investimenti nel momento in cui manteneva comunque fermo l’obbligo di dichiarare i trasferimenti effettuati dagli Stati dell’Unione Europea verso l’Italia.

Articolo 12

La lettera l) dà delega al Governo di procedere alla razionalizzazione ed accorpamento delle aliquote delle ritenute e delle imposte sostitutive sui redditi di capitale su non più di tre livelli compresi fra un minimo del 12,50 per cento ed un massimo del 27 per cento.

Certamente una riforma, quale quella delineata dalla delega prevista dal comma 160, articolo 3 della legge n. 662, ispirata non solo alla completezza ed efficienza della tassazione dei redditi finanziari, ma anche alla neutralità del relativo regime impositivo, avrebbe dovuto prevedere l’applicazione di un’aliquota unica. In tal modo si supererebbe, fra l’altro, l’attuale segmentazione nel trattamento fiscale delle diverse forme di attività finanziarie nonché la discriminazione fondata sulla durata degli strumenti, non più significativa nell’ambito di un mercato che sempre più va incentrandosi sull’intermediazione finanziaria che svolge sistematicamente una funzione di trasformazione delle scadenze. Sono, peraltro, troppo evidenti le ragioni che non hanno consentito il raggiungimento immediato di tale obbiettivo; nondimeno la delega esaminata nel suo complesso appare chiaramente tendere nel medio periodo verso l’aliquota unica, rappresentando l’attuale fase un passaggio verso tale obbiettivo. Particolarmente significativa in tale direzione è la scelta compiuta in tema di gestioni (tanto individuali che collettive) ove la tassazione del risultato complessivo di gestione maturato presuppone l’aliquota unica, dovendo oggi escludersi da tale nuovo regime impositivo i redditi che concorrono a formare il risultato di gestione soggetti ad aliquota diversa dal 12,50 per cento. Ciò impone, nel dare attuazione alla delega, scelte coerenti con l’obbiettivo di medio periodo dell’aliquota unica, privilegiando sotto il profilo tecnico l’accorpamento delle aliquote delle ritenute e delle imposte sostitutive sui redditi di capitale su due anziché su tre livelli, in piena armonia con le scelte puntuali fatte dalla delega in materia di aliquote dell’imposta sostitutiva sui redditi diversi; la scelta delle due aliquote consente anche una più piena realizzazione dell’obbiettivo della tassazione unitaria del risultato complessivo di gestione.

Coerentemente con le scelte fatte dal nostro ordinamento fin dalla riforma tributaria del 1971, la delega privilegia per la tassazione delle persone fisiche non esercenti attività d’impresa forme di imposizione sostitutiva o di ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. La delega rafforza tale principio attraverso il richiamo all’articolo 47 della Costituzione, che, nel prevedere al primo comma la tutela del risparmio in tutte le sue forme, pone al legislatore ordinario il compito di garantirne la stabilità, che sotto il profilo fiscale si traduce nell’esigenza di tener conto nella determinazione del regime impositivo dei redditi da risparmio dell’erosione da questo subito per effetto dell’inflazione. Tecnicamente tale tutela costituzionale può essere perseguita sia assoggettando ad imposta solo il reddito da capitale reale e non anche quello nominale, sia, pur se con carattere chiaramente forfetario, assoggettando il predetto reddito (nominale) ad un prelievo sostitutivo la cui misura tenga conto dell’erosione del risparmio per effetto dell’inflazione. Indubbiamente anche tale scelta dovrebbe presupporre l’aliquota unica la cui misura dovrebbe essere fissata su un livello che mediamente corrisponda ad una tassazione ordinaria su una base imponibile corretta dall’inflazione, ovviamente tenendo conto, stante il processo di globalizzazione dei mercati finanziari, del contesto internazionale. L’aliquota unica inoltre dovrebbe essere applicata non solo in maniera uniforme su tutti i redditi di capitale, ma anche in modo da non creare discriminazioni fra tipologie di investimento, dovendo gli investimenti in capitale di rischio scontare complessivamente il medesimo prelievo cui sono soggetti gli investimenti in capitale di debito.

Nella fase di passaggio verso l’aliquota unica, la delega ha scelto di accorpare le aliquote attualmente vigenti delle imposte sostitutive e delle ritenute alla fonte sui redditi di capitale intorno alle due misure del 12,50 per cento e del 27, che rispondono, rispettivamente, ad un livello agevolativo e ad un livello medio - alto rispetto all’ordinaria imposizione personale sul reddito, tenendo conto di quanto sopra espresso. D’altro canto, trattandosi come premesso di una manovra di razionalizzazione ed accorpamento delle aliquote vigenti, tale scelta è quella più neutrale e coerente, considerando che il nostro ordinamento si è già indirizzato soprattutto negli ultimi anni verso una discriminazione del livello di imposizione dei redditi di capitale fra aliquote ridotte di effetto agevolativo (quelle pari od inferiori al 15 per cento) ed aliquote maggiorate (quelle superiori al 15 per cento); il riordino di che trattasi, pertanto, può essere realizzato attraverso l’accorpamento alla misura del 12,50 per cento delle aliquote pari od inferiori al 15 per cento e l’accorpamento alla misura del 27 per cento delle aliquote superiori al 15 per cento, tenendo conto del carattere agevolativo dell’aliquota del 12,50 per cento e che, dunque, tale aliquota va confermata o prevista solo per quei redditi che rispondano a finalità agevolative espressamente indicate o riconosciute dalla stessa delega.

Come è noto, la norma di delega fa riferimento all’articolo 47 della Costituzione (e, dunque, non solo al primo comma - tutela del risparmio - che giustifica la scelta dell’imposizione sostitutiva, ma anche al secondo comma che riconosce un particolare favore per il risparmio popolare, fra l’altro destinato all’investimento diretto ed indiretto nei grandi complessi produttivi del Paese), soggiungendo che deve tenersi conto della durata degli strumenti, favorendo quelli a più lungo termine, nonché del fatto che si tratti di strumenti trattati nei mercati regolamentati od oggetto di offerta al pubblico. Tenendo conto del complessivo richiamo all’articolo 47 della Costituzione (primo e secondo comma) e degli ulteriori specifici elementi indicati dalla norma di delega, i criteri in base ai quali deve procedersi alla verifica in ordine all’applicazione dell’aliquota agevolata del 12,50 per cento (e cioè, in concreto, se tutti i redditi di capitale che per effetto dell’accorpamento si troverebbero tassati con l’aliquota ridotta del 12,50 per cento rispondano ai criteri di agevolazione fatti propri dalla delega, e, viceversa, se alcuni dei redditi di capitale che per effetto dell’accorpamento si troverebbero tassati con l’aliquota del 27 per cento non siano invece meritevoli di un trattamento agevolato) appaiono i seguenti:

- deve trattarsi di risparmio delle famiglie o popolare

- deve trattarsi di risparmio produttivo (investito nei grandi complessi produttivi del Paese)

- deve trattarsi di risparmio impiegato in strumenti più a lungo termine

- deve trattarsi di risparmio rispondente a criteri di trasparenza, e cioè, di regola e stando all’esemplificazione della stessa delega, di risparmio investito in strumenti trattati nei mercati regolamentati o offerti al pubblico.

Indubbiamente il favore per il risparmio popolare o delle famiglie e per il risparmio produttivo risponde in generale a scelte storicamente compiute dal nostro ordinamento e alla stessa impostazione sistematica della delega in materia di tassazione di tutti i redditi finanziari. Invero, il risparmio delle famiglie è innanzitutto tutelato attraverso la fissazione dell’aliquota agevolata per i titoli pubblici, in cui storicamente si è sempre concentrato il risparmio popolare. Il risparmio produttivo è favorito anche attraverso l’applicazione di una cedolare secca nella misura agevolata del 12,50 per cento sugli utili societari nonché, più in generale, attraverso la fissazione di un’aliquota nella misura ridotta del 12,50 per cento per la tassazione dei redditi diversi (capital gains), con la nota sola esclusione delle cessioni di partecipazioni qualificate, non potendo esse chiaramente considerarsi un mero investimento di risparmio. A tali criteri di base (anche rispondenti, come detto, ai principi espressi dal secondo comma dell’articolo 47 della Costituzione), la delega ha aggiunto i criteri dell’impiego del risparmio in strumenti più a lungo termine e della trasparenza. Trattasi a ben vedere di criteri aggiuntivi, nel senso che - tenendo conto dell’intera impostazione sistematica della delega - non appaiono di per sé idonei a giustificare un trattamento agevolativo. In altri termini, l’agevolazione non sembra poter essere riconosciuta, ad esempio, al risparmio a lungo termine in sé considerato, ma solo al risparmio a lungo temine che sia innanzitutto risparmio o delle famiglie o produttivo; di converso, il risparmio delle famiglie o produttivo può anche essere suscettibile di un trattamento agevolativo seppure non a lungo termine.

La stessa formulazione della norma di delega, anche per effetto del rinvio all’articolo 47 della Costituzione, norma notoriamente programmatica e non precettiva, porta a dover intendere i criteri di discrimine sopraindicati come meramente programmatici e non tassativi, eccetto ovviamente le scelte già positivamente compiute dalla delega (titoli di Stato, utili societari, capital gains). Ciò significa che nell’opera di verifica e revisione dei risultati dell’accorpamento delle aliquote vigenti sui due livelli, del 27 per cento e (agevolato) del 12,50 per cento, tendente a confrontare tali risultati con i criteri di agevolazione sposati dalla delega anche attraverso il rinvio ai principi programmatici dell’articolo 47 della Costituzione, il legislatore delegato gode di un certo margine di discrezionalità, potendo valutare caso per caso se il riconoscimento dell’aliquota agevolata risponda o meno alle linee di politica economica perseguite dal Governo. Tuttavia nell’esercizio di tale facoltà discrezionale il legislatore delegato non può non tenere conto del principio, pure contenuto nella delega nella parte in cui prevede il riordino ed accorpamento delle aliquote vigenti, della continuità fra il precedente e il nuovo regime, per cui gli scostamenti dalla mera manovra di accorpamento vanno attentamente valutati e motivati. In altri termini, una volta accorpate le aliquote sui due predetti livelli, prendendo, in ossequio al predetto principio di continuità, come limite discriminante la vigente aliquota del 15 per cento, le variazioni rispetto a tale operazione di riordino e razionalizzazione - passaggio intermedio ed obbligato verso l’aliquota unica - devono essere estremamente circoscritte in termini quantitativi e selezionate in termini qualitativi.

In conclusione, l’attuazione della delega di cui alla lettera l) dell’articolo 3, comma 160, appare poter seguire le seguenti linee:

- accorpamento delle aliquote vigenti alle misure del 27 per cento e, agevolata, del 12,50 per cento, e, in particolare, accorpamento al 27 per cento delle aliquote superiori al 15 per cento ed accorpamento al 12,50 per cento delle aliquote pari od inferiori al 15 per cento;

- conseguente implicita conferma nella discriminazione fra aliquota maggiorata ed aliquota agevolata delle scelte fondamentali già operate dal nostro ordinamento tendenti a favorire, con l’applicazione di un’aliquota ridotta, gli investimenti di risparmio delle famiglie e produttivi e, dunque, oltre che in titoli di Stato, in titoli obbligazionari privati; conferma altresì per questi ultimi del requisito della durata (oltre i 18 mesi) nonché, per i titoli emessi da soggetti a ristretta base sociale, di quello delle trasparenza (offerta al pubblico); applicazione del medesimo trattamento previsto per i titoli obbligazionari privati anche a tutti i titoli esteri; conferma dell’attuale disciplina di imposizione sostitutiva, in luogo della ritenuta alla fonte, di cui al d.lgs. 1° aprile 1996, n. 239, per tutti i titoli ivi previsti ed eventuale sua estensione ad altri prodotti finanziari tipici cui sia riconosciuta l’applicazione dell’aliquota agevolata del 12,50 per cento;

- la manovra di accorpamento porta automaticamente la conferma dell’aliquota del 27 per cento nei confronti di tutti i redditi di capitale già assoggettati a tale misura o ad aliquota maggiore, ivi compresi gli interessi derivanti dalla raccolta bancaria vincolata anche se a medio o lungo termine (ad esempio, certificati di deposito o depositi bancari vincolati), non essendosi ritenuto di per sé sufficiente a giustificare l’applicazione dell’aliquota agevolata il mero requisito della durata; l’unica apertura, che al momento non si è peraltro ritenuto opportuno attuare, che traspare dai principi della delega potrebbe riguardare i certificati di deposito (e buoni fruttiferi) per i quali potrebbe ipotizzarsi l’applicazione dell’aliquota agevolata nel caso in cui per le loro caratteristiche di emissione (certificati in serie) possano rappresentare uno strumento di investimento del risparmio delle famiglie analogo ad altri strumenti di massa offerti dal mercato (titoli di Stato od obbligazionari privati); per i depositi bancari, a loro volta, potrebbe riflettersi se non rappresentino anch’essi un veicolo di raccolta del risparmio popolare nell’ipotesi in cui il vincolo sia di tale durata (tre, cinque anni, ad esempio) da manifestare una funzione previdenziale, ancorché individuale;

- accorpamento della ritenuta d’acconto di cui all’ultimo comma dell’articolo 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, alla misura del 12,50 per cento e della ritenuta d’imposta prevista dalla medesima disposizione nei confronti dei soggetti non residenti, ad esclusione di quelli residenti nei cosiddetti Paradisi fiscali per i quali viene fissata l’aliquota del 27 per cento;

- conferma dell’aliquota agevolata del 12,50 per cento ai nuovi strumenti di raccolta di capitali da parte delle imprese, quali i certificati d’investimento rientranti - come è noto - nella categoria dei titoli similari alle obbligazioni, certamente meritevoli del trattamento agevolato per la finalizzazione produttiva del risparmio attraverso di essi raccolto, a condizione di non essere a breve termine e di rispettare alcuni requisiti di trasparenza (ad esempio, di essere offerti al pubblico o di non superare certi parametri ordinari di rendimento);

- per quanto concerne gli altri strumenti di raccolta diretta del risparmio da parte delle imprese, quali le cambiali finanziarie e le accettazioni bancarie, che per effetto del mero accorpamento si vedrebbero applicata l’aliquota agevolata del 12,50 per cento, mentre per le accettazioni bancarie non è sembrato opportuno confermare l’aliquota agevolata del 12,50 per cento, trattandosi di titoli individuali (non rispettosi, quindi, del requisito della trasparenza) e in ogni caso, nell’esperienza applicativa, non destinati a raccogliere il risparmio delle famiglie (per le accettazioni bancarie, pertanto, è prevista l’applicazione dell’aliquota del 27 per cento), per quanto concerne le cambiali finanziarie, nonostante il loro carattere di titoli a breve termine, si è ritenuto opportuno confermare l’aliquota agevolata del 12,50 per cento, considerando sia la loro finalizzazione produttiva sia il fatto che trattasi comunque di titoli emessi in serie e di massa, dunque, destinati alla circolazione sul mercato;

- applicazione a strumenti, quali i pronti contro termine ed analoghi negozi o le operazioni di prestito titoli, della medesima aliquota prevista per i redditi dei titoli oggetto dei predetti negozi, secondo un naturale criterio di accessorietà;

- conferma della disciplina antielusiva delle obbligazioni emesse da società non quotate, valutando l’eventuale opportunità di meglio perseguire tale finalità attraverso l’indeducibilità assoluta dell’intero importo degli interessi passivi in capo alla società, anziché la differenziazione di aliquota; in ogni caso appare necessario modificare l’attuale disciplina nel senso di prevedere una percentuale nel rapporto fra il tasso di rendimento ed il TUS; ovviamente, tale disciplina antielusiva va applicata a tutti gli strumenti similari o comunque assimilati nel trattamento alle obbligazioni (ad esempio, certificati di investimento, cambiali finanziarie);

- conferma dell’attuale ripartizione fra ritenute a titolo d’acconto e ritenute a titolo d’imposta in ragione della qualità del percettore, impresa o persona fisica non imprenditore, portando a principio tale regime applicativo in modo da eliminare ogni possibile, spesso inconsapevole, deroga;

- soppressione delle ritenute a titolo d’acconto sugli utili societari, ferma restando l’applicazione sugli utili corrisposti a soggetti residenti della ritenuta a titolo d’imposta prevista per le persone fisiche dalla lettera m) della disposizione di delega;

- esclusione dell’applicazione delle ritenute alla fonte sui redditi che concorrono a formare il risultato delle gestioni patrimoniali o dei fondi comuni, ovviamente sempreché fissate nella misura del 12,50 per cento; possibilità di escludere l’applicazione della ritenuta alla fonte, e conseguente inclusione nel risultato della gestione soggetto all’imposta sostitutiva del 12,50 per cento, sugli interessi dei conti correnti utilizzati per la gestione delle liquidità, a condizione che la giacenza media dei conti afferenti la gestione non sia superiore al 5 per cento del valore del patrimonio gestito;

- conferma comunque di tutte le esenzioni od esclusioni dall’applicazione della ritenuta o dell’imposta sostitutiva previste da discipline speciali di cui sia riscontrata la validità.

L’attuazione della manovra ora delineata è realizzata nell’articolo 12 del decreto attraverso la puntuale revisione degli artt. 26 e 27 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e delle altre norme in tema di aliquote.

In particolare:

- il comma 1 sostituisce l’art. 26 del d.P.R. n. 600, in modo da realizzare l’accorpamento delle aliquote sugli interessi dei titoli e dei depositi e conti correnti e disciplinare l’applicazione delle ritenute sui pronti contro termine e sulle operazioni di prestito titoli. Si è colta anche l’occasione per risistemare e razionalizzare la disciplina in parola, introducendo come normativa a sistema tutte le disposizioni speciali oggi esistenti. Fra l’altro, si segnala: (a) l’inserimento nel primo comma dell’art. 26 delle cambiali finanziarie, (b) la modifica, sempre al primo comma, della condizione prevista per l’applicazione dell’aliquota del 12,50 per cento sugli interessi dei titoli emessi da società non quotate (escluse le banche) per cui si fa riferimento ad una percentuale del TUS e non più ad una misura fissa, oggi del tutto inadeguata in eccesso, (c) l’allargamento del regime di esclusione della ritenuta, già previsto per i depositi e conti correnti interbancari, ai depositi e conti correnti intrattenuti dalle banche preso l’Ente poste e viceversa, (d) la conferma della non applicazione della ritenuta sugli interessi di qualunque tipo e sugli altri proventi corrisposti da banche italiane a banche estere nonché sugli interessi maturati su depositi e conti intestati al Ministero del tesoro ovvero sul fondo di ammortamento dei titoli di Stato e sugli altri fondi finalizzati alla gestione del debito pubblico, (e) la normazione, al comma 3-bis, del criterio dell’accessorietà per i proventi dei pronti contro termine e delle operazioni di prestito titoli, (f) la riformulazione dell’ultimo comma dell’art. 26 anche con riguardo alle cosiddette operazioni conduit. Non viene replica la disposizione di esclusione dalla ritenuta riguardante gli interessi corrisposti dalla Banca d’Italia su depositi e conti correnti di pertinenza di altre banche in quanto la stessa è ormai ricompresa nel generalizzato regime di esonero previsto per i rapporti interbancari;

- il comma 2 introduce nel d.P.R. n. 600 un articolo 26-bis), che esenta dall’imposizione sui redditi gli interessi ed altri proventi dei depositi e conti correnti, anche non bancari, dei pronti contro termine, dei riporti ,dei mutui di titoli garantiti nonché delle fideiussioni e di ogni altra garanzia percepiti da non residenti, con norma del tutto analoga a quella già prevista dal d.lgs. n. 239 del 1996. In ogni caso rimangono soggetti ad imposta gli interessi ed altri proventi dei prestiti in denaro, anche per logico coordinamento con la disposizione di cui all’ultimo periodo del comma 5 dell’art. 26 sulle cosiddette operazioni conduit, nonché i proventi dei riporti, pronti contro termine e prestiti di azioni e titoli similari per la parte corrispondente all’ammontare degli utili messi in pagamento nel periodo di durata del contratto;

- il comma 3 riformula il comma 1 dell’art. 1 del d.lgs. n. 239. In accoglimento di un’osservazione della Commissione parlamentare è stato chiarito che non sono soggetti alla ritenuta del 12,50% bensì ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con la stessa aliquota anche gli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e titoli similari emessi da enti pubblici trasformati in base a disposizione di legge. Per assicurare la migliore realizzazione delle finalità che si intendevano perseguire mediante l’introduzione del regime di imposizione sostitutiva di cui al d.lgs. n. 239, sono stati esclusi dal suo ambito di applicazione sia le cambiali finanziarie che le obbligazioni e titoli similari ammessi alla negoziazione, al momento di emissione, esclusivamente in mercati regolamentati esteri;

- i commi 4, 5, 6 e 7 attuano il necessario coordinamento con le norme del d.lgs. n. 239 del 1996. Si segnala, in particolare, la modifica al comma 1 dell’art. 2 del citato d.lgs. n. 239 (comma 5 del provvedimento in esame) che rende "lordisti" i fondi comuni nonché quella che rende invece "nettisti" i soggetti che godono di esenzione dall’IRPEG;

- il comma 8 sostituisce l’art. 27 del d.P.R. n. 600, nei termini già sopra esposti: abolizione della ritenuta d’acconto e previsione per tutti gli utili societari (ivi compresi quelli delle azioni di risparmio, delle cooperative e banche popolari) di una ritenuta opzionale a titolo d’imposta di cui possono avvalersi i soggetti non esercenti attività d’impresa. La soppressione della ritenuta a titolo d’imposta, ovviamente, vale anche nei confronti dei fondi comuni di cui al precedente art. 8, mentre rimane ferma la disciplina vigente per i fondi immobiliari ed i fondi pensione, anche per quanto concerne le ritenute sui titoli esteri. In attuazione di una specifica raccomandazione della Commissione parlamentare è stata confermata l’applicazione della ritenuta del 12,50% anche sugli utili corrisposti ad azionisti di risparmio non residenti. Si segnala, infine, che è stato riformulato il comma 4 dell’art. 27, al fine di una più chiara individuazione dei casi nei quali deve essere operata la ritenuta ivi prevista;

- i commi 9 e 10, sulla base di un’indicazione della Commissione parlamentare, introducono una speciale disciplina per i dividendi relativi ad azioni immesse nel sistema del deposito accentrato gestito dalla Monte Titoli S.p.A., che consente di dare piena attuazione alle norme contenute nel d.lgs. n. 415/96 (c.d. decreto EUROSIM) in materia di adesione degli intermediari non residenti ai sistemi di deposito accentrato di titoli. La nuova disciplina è ispirata agli stessi principi contenuti nella normativa introdotta lo scorso anno dal d.lgs. n. 239/96 per gli interessi dei titoli obbligazionari (effettuazione del prelievo da parte degli intermediari anziché degli emittenti) e consente ai depositari non residenti di eseguire tutti gli adempimenti necessari, anche in tema di segnalazioni all’Amministrazione finanziaria, attraverso un proprio rappresentante fiscale in Italia; inoltre, come suggerito dalla predetta Commissione, vengono introdotte modalità semplificate per l’applicazione da parte degli intermediari delle minori ritenute alla fonte sui dividendi previste da normative convenzionali ovvero dalla disciplina sulle cosiddette società "madri - figlie";

- con il comma 11 si è inteso confermare che il diritto al rimborso del credito d’imposta sui dividendi, accordato ai soggetti non residenti su base convenzionale, spetta anche se gli utili, per effetto del nuovo articolo 27, sono assoggettati in via ordinaria a ritenuta a titolo d’imposta;

- i commi 12, 13 e 14 introducono le necessarie modifiche di coordinamento alle norme sui titoli atipici di cui al decreto legge n. 512 del 30 settembre 1983, convertito con la legge 25 novembre 1983, n. 649. Sono state appartate alcune correzioni di carattere formale anche in attuazione di alcune osservazioni formulate dalla Commissione parlamentare;

- il comma 15 prevede l’applicazione dell’aliquota del 27 per cento nei confronti della accettazioni bancarie per le ragioni già sopra evidenziate, ferma restando in ordine al versamento della ritenuta l’applicazione della disposizione prevista dalla lettera f) del comma 2 dell’art. 3 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602;

- il comma 16 è norma meramente tecnica di coordinamento con le modifiche apportate al comma 1 dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 in tema di titoli obbligazionari emessi da società non quotate, diverse dalle banche;

- i commi 17 e 18 introducono le necessarie modifiche alla disciplina dei versamenti di cui al d.P.R. n. 602 del 1973;

- il comma 19 delega il Ministro delle finanze a modificare le modalità di effettuazione delle comunicazioni all’Amministrazione finanziaria di cui alla legge 1745 del 1962.

Articolo 13

Le disposizioni recate dall’articolo 13 hanno la finalità di equiparare, sotto il profilo finanziario, il prelievo sui redditi di capitale derivanti dai titoli obbligazionari senza cedola (cosiddetti "zero coupon") a seconda che essi siano inseriti nell’ambito di forme di risparmio gestito, individuali o collettive - che subiscono il prelievo in base alla maturazione dei proventi (artt. 7 e 8) - ovvero siano detenuti in depositi amministrati presso gli intermediari nazionali ovvero al di fuori di tale circuito, nel qual caso la tassazione viene effettuata al momento del realizzo (artt. 5 e 6). Si tratta di intervento che nel colpire eventuali fenomeni di arbitraggio fiscale rientra nei criteri di delega previsti dall’art. 3, comma 160, della legge n. 662, tenendo, in particolare, conto del combinato disposto delle lettere c) ed h) della predetta disposizione.

Perseguendo le medesime finalità previste dall’art. 82, comma 9, del t.u.i.r. per la tassazione al realizzo delle plusvalenze, anche per i citati redditi di capitale viene, pertanto, prevista l’applicazione di uno specifico sistema di equalizzazione, tendente a rendere il rendimento netto dei titoli senza cedola uguale a quello di analoghi titoli con cedola, nell’ipotesi in cui gli interessi siano immediatamente reinvestiti dal risparmiatore allo stesso tasso di rendimento del titolo all’emissione. In altri termini, l’ammontare della ritenuta sarà pari alla differenza fra gli interessi calcolati in regime di capitalizzazione composta in base al tasso lordo all’emissione e quelli calcolati, con lo stesso regime di capitalizzazione, in base al tasso netto all’emissione. A titolo esemplificativo, con il citato sistema di tassazione, gli interessi netti di uno "zero coupon" emesso al tasso lordo del 10% risulteranno sempre parametrati al tasso dell’8,75% (cioè 10% lordo diminuito di 1,25% e cioè della misura del prelievo del 12,50% sugli interessi lordi).

Lo stesso regime previsto per i redditi di capitale prodotti dai titoli obbligazionari senza cedola viene esteso anche agli "scarti di emissione" dei titoli con cedola, ove gli scarti medesimi costituiscano una parte di rilievo nel complessivo rendimento del titolo.

Ai fini di semplificazione, viene altresì previsto che la speciale disciplina in esame non trovi comunque applicazione per i redditi di capitale derivanti da titoli, con cedola o senza cedola, aventi durata inferiore ai diciotto mesi. In tal caso, infatti, la differenza in termini finanziari fra tassazione sul "maturato" e quella sul "realizzato" risulta assai contenuta.

Articolo 14

Le disposizioni transitorie contenute nell’articolo in esame sono fondate sul criterio dell’applicazione della nuova disciplina ai redditi (plusvalenze o redditi di capitale) realizzati (o maturati) e percepiti a partire dalla sua data di entrata in vigore, fissata - in conformità alla delega - al 1° luglio 1998.

Alcune norme particolari, ispirate a quanto già a suo tempo previsto in occasione dell’entrata in vigore della legge n. 102 del 1991, sono dettate per le ipotesi in cui le plusvalenze assoggettate dalla nuova disciplina ad imposta erano in precedenza escluse dall’imposizione.

Per quanto concerne, invece, i redditi di capitale - anche in considerazione del fatto che in tema di aliquote la delega prevedeva una mera manovra di accorpamento - si è ritenuto opportuno disporre senz’altro l’applicazione delle nuove disposizione su tutti i redditi percepiti dopo il 1° luglio 1998.

Una disciplina speciale ed opzionale è stata prevista per le plusvalenze e minusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni possedute alla data di entrata in vigore del decreto. In particolare, si è cercato di evitare nel contempo penalizzazioni (anche in considerazione del fatto che, come è noto, per le plusvalenze non qualificate derivanti da titoli quotati la tassazione era stata sospesa) e salti d’imposta. Pertanto, si è concessa la facoltà di assumere, in luogo del costo o valore di acquisto determinato sulla base dei criteri ordinari:

a) il valore alla data di entrata in vigore del presente decreto, a condizione che sulle plusvalenze implicite nel predetto valore sia pagata l’imposta sostitutiva di cui alla citata legge n. 102 che si sarebbe resa dovuta qualora la partecipazione fosse stata ceduta prima del 1° luglio 1998. Pertanto, mentre nel caso di partecipazioni non qualificate l’imposta potrà essere liquidata applicando alternativamente il regime analitico o forfetario, nel caso di partecipazioni qualificate dovrà essere obbligatoriamente liquidata in base al regime analitico;

b) il valore alla data di entrata in vigore della legge n. 102.

Agli effetti della determinazione dei valori di cui alle precedenti lettere a) e b) è, infine, prevista la possibilità di determinare non già il valore contabile della partecipazione ma il suo valore effettivo, sulla base di apposita perizia giurata di stima, che può essere richiesta, anziché dal singolo socio, dalla società, sostenendone il costo, di cui è prevista la deducibilità in cinque esercizi dal reddito d’impresa.

Articolo 15

L’articolo 15 prevede le disposizioni transitorie per le gestioni individuali e collettive. Tali disposizioni disciplinano il regime tributario dei proventi in corso di maturazione alla data di entrata in vigore del decreto legislativo.

Il passaggio dal vigente regime impositivo dei redditi di capitale e diversi conseguiti nell’ambito delle gestioni - che prevede che le ritenute sui redditi di capitale e diversi vengano operate all’atto della percezione del provento - ad un nuovo regime che tassa il risultato complessivo della gestione del patrimonio, impone di disciplinare il regime tributario dei proventi in corso di maturazione alla data di entrata in vigore del decreto legislativo che saranno percepiti successivamente alla medesima data, nonché i criteri di individuazione del patrimonio fiscalmente rilevante alla data di entrata in vigore della riforma. Ciò in ragione della considerazione che a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo i proventi che maturano, ancorché non realizzati, concorrono a formare il risultato della gestione soggetto alle disposizioni degli articoli 7 e 8, e sui medesimi proventi non sono più applicate ritenute o imposte sostitutive (salvo talune specifiche eccezioni quali ad esempio le obbligazioni emesse da società per azioni residenti non quotate nei mercati regolamentati).

Conseguentemente il comma 1 prevede che la ritenuta sugli interessi premi ed altri frutti di fonte estera, prevista dall’articolo 26, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, continua ad applicarsi ai soli proventi delle obbligazioni e dei titoli similari emessi all’estero e detenuti dai fondi e dalle gestioni che siano maturati fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo e che la ritenuta continua ad essere operata dal sostituto d’imposta soltanto all’atto della percezione dei proventi.

Il comma 2 prevede l’imposizione con ritenuta dei proventi conseguiti dai fondi e dalle gestioni relativi a conti correnti bancari, cessioni a termine di obbligazioni e titoli similari, cessioni a termine di valute estere e contratti che assumono valori a termine della valuta per la determinazione del corrispettivo, prestiti di titoli. Anche per queste fattispecie il prelievo è commisurato ai soli proventi maturati fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo.

Il comma 3 disciplina l’applicazione delle disposizioni del d.lgs. 1° aprile 1996, n. 239 disponendo che per i titoli detenuti dai fondi e dalle gestioni alla data di entrata in vigore del decreto legislativo le operazioni di accreditamento e addebitamento del conto unico di cui all’articolo 3 del medesimo d.lgs. n. 239 del 1996 continuano ad essere eseguite nei casi ivi contemplati (es. cessione dei titoli, incasso delle cedole) ma limitatamente ai proventi maturati in capo al possessore fino alla data di entrata in vigore del decreto. I proventi che maturano successivamente alla predetta data, infatti, concorrono a formare il risultato della gestione.

Il comma 4 disciplina l’applicazione della ritenuta prevista dall’articolo 10-ter, commi 1 e 6, della legge 23 marzo 1983, n. 77 sui proventi relativi a quote o azioni di OICVM di diritto estero commercializzati nel territorio dello Stato detenuti dai fondi e dalle gestioni soggetti ad imposta sostitutiva sul risultato della gestione. E’ previsto che la banca depositaria dei fondi o delle società di investimento di cui all’articolo 8, commi 1, 2, 3, il soggetto incaricato del collocamento in Italia dei fondi di cui all’articolo 8, comma 4, nonché il soggetto gestore di cui all’articolo 7 sono tenuti ad operare la ritenuta del 12,50 per cento sui proventi delle quote o azioni maturati fino alla data di entrata in vigore del decreto, determinati a norma dell’articolo 10-ter, comma 1. La ritenuta deve essere versata dal sostituto d’imposta entro il 30 settembre 1998.

Il comma 5 reca una disposizione di coordinamento con i precedenti commi e prevede che il patrimonio iniziale, che deve assunto alla data di entrata in vigore del presente decreto quale patrimonio che rileva, per il primo esercizio, ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva sul risultato della gestione disciplinata dai successivi articoli 7 e 8, è computato al netto delle ritenute e delle imposte dovute ai sensi dei commi 1, 2, 3 e 4.

Il comma 6 prevede che l’imposta patrimoniale sostitutiva dovuta dai fondi e dalle società di investimento ed abrogata per effetto dell’entrata in vigore delle disposizioni dell’articolo 8, commi 1, 2, 3 e 4 si applica fino al 30 giugno 1998. Pertanto il patrimonio esistente a tale data è considerato alla stregua del patrimonio di un fondo cessato in corso d’anno e pertanto, ai fini della determinazione della media annua dei patrimoni netti, cui si applicano le diverse aliquote dell’imposta sostitutiva, devono essere computati anche i mesi nei quali viene applicata l’imposta sostitutiva sul risultato della gestione di cui all’articolo 8, commi da 1 a 4. L’imposta patrimoniale così determinata è versata dalla società di gestione dei fondi, dalla SICAV, o dal soggetto incaricato del collocamento in Italia dei fondi soggetti alle disposizioni dell’articolo 11-bis del decreto legge n. 512 del 1983, entro il 30 settembre 1998.

Articolo 16

Prevede la soppressione di tutte le disposizioni incompatibili con la nuova disciplina e fissa, in conformità alla delega, la sua entrata in vigore al 1° luglio 1998.

In particolare è stata disposta l'abrogazione espressa delle disposizioni che possono oramai ritenersi integralmente assorbite dall'art.12 del presente decreto. Trattasi delle seguenti disposizioni: articolo 20, commi 1, 3, 5 e 6 (ritenute sugli utili attribuiti sulle azioni di risparmio, esonero dalle comunicazioni allo schedario generale, modalità di versamento delle ritenute), del decreto legge 8 aprile 1974, n.95, convertito, dalla legge 7 giugno 1974, n.216, articoli 5 (inapplicabilità della ritenuta d'acconto sugli interessi corrisposti da aziende di credito sui depositi e conti correnti intrattenuti con istituti centrali di categoria) e 6 (interessi sui depositi e conti correnti in valuta estera di soggetti non residenti), della legge 26 aprile 1982, n.181; articolo 33, comma 6, (applicabilità della ritenuta prevista dall'art.27 del d.p.r. n.600 anche sugli utili distribuiti dai soggetti di cui alla lettera b) del t.u.i.r.), del d.p.r. 4 febbraio 1988, n.42; articolo 32, commi 2 (elevazione al 30 per cento della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari) e 3 (applicazione a titolo di acconto delle ritenute operate su taluni redditi di capitale corrisposti alle società di cui all'art.5 del t.u.i.r.), del decreto legge 2 marzo 1989, n.69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 marzo 1989, n.154; articolo 8 (tassazione dei redditi di capitale prodotti all'estero), del decreto legge 28 giugno 1990, n.167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n.227; articoli 2, 3 e 4 (ritenuta a titolo d'imposta sui proventi derivanti dalla cessione a termine di obbligazioni e titoli similari, ritenuta a titolo d'imposta sulle plusvalenze realizzate mediante cessione a termine di valute estere, modalità di versamento delle ritenute), del decreto legge 17 settembre 1992, n.378, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n.437; articolo 4, comma 7, (inapplicabilità della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti intrattenuti tra aziende ed istituti di credito), del decreto legge 23 gennaio 1993, n.16, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1993, n.75; articolo 67, commi 2, 3, 4 e 5 (disposizioni in materia di imposizione fiscale delle cessioni a termine), del decreto legge 30 agosto 1993, n.331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n.427; articolo 1, commi 2 e 3, del decreto legge 30 dicembre 1993, n.557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n.133; articolo 3 (ritenuta sui proventi delle cambiali finanziarie), della legge 13 gennaio 1994, n.43; articolo 4, comma 1, (dividendi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta) del decreto legge 10 giugno 1994, n.357, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1994, n.489; articolo 5, comma 1, (ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari emesse da società non quotate) della legge 23 dicembre 1994, n.725; articolo 6 e articolo 7, commi 1, 3, 4 e 5, del decreto legge 8 gennaio 1996, n.6, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 marzo 1996, n.110 (interessi a favore del Tesoro sui depositi e sui conti intestati al Ministero del tesoro nonché gli interessi sul fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato; ritenuta sui proventi derivanti da operazioni di prestito titoli).

E' soppresso, infine, il decreto legge 28 gennaio 1991, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1991, n. 102, l'art.7 (esclusioni da imposta sostitutiva) del decreto legge 1992, n.372, convertito, con modificazioni dal dalla legge 5 novembre 1992, n.429, ed ogni altra disposizione incompatibile con l'applicazione del presente decreto.

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