Commissione Parlamentare Consultiva
in materia di riforma fiscale

RELAZIONE AL DECRETO LEGISLATIVO DI REVISIONE ORGANICA DELLA DISCIPLINA DELL'ACCERTAMENTO CON ADESIONE E DELLA CONCILIAZIONE GIUDIZIALE EMANATO IN ESECUZIONE DELL’ARTICOLO 3, COMMA 120, DELLA LEGGE 23 DICEMBRE 1996, N. 662

L’articolo 3, comma 120, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, uno o più decreti legislativi per la revisione organica dell'istituto dell’accertamento con adesione del contribuente, di cui agli articoli 2-bis e 2-ter del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, e dell'istituto della conciliazione giudiziale, di cui all’articolo 48 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

Il presente provvedimento, in osservanza dei principi e dei criteri indicati nella legge di delega, tende a realizzare, da una parte, l’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto dell’accertamento con adesione, nella consapevolezza che lo stesso rappresenta un efficace strumento di deflazione del contenzioso tributario, coordinandolo con la disciplina della conciliazione giudiziale, e, dall’altra, il superamento di alcuni problemi interpretativi ed operativi, che ne hanno finora impedito un proficuo impiego da parte degli uffici e dei contribuenti.

Per quanto concerne l'armonizzazione tra adesione e conciliazione si è provveduto ad assumere la seconda (data la maggiore ampiezza del proprio ambito di applicazione) quale parametro cui ispirare l'ampliamento dell'accertamento con adesione. In tale ottica, non sono previsti parametri cui informare l'adesione, dal momento che essi mancano nella disciplina della conciliazione, e che non possono essere ripresi dalla formulazione dell'articolo 2-bis, che viene abrogato.

L'istituto dell'adesione, secondo la disciplina che si propone, responsabilizza maggiormente gli uffici attribuendo loro un più ampio margine di azione e di proposta al fine di giungere ad una rapida definizione, in contraddittorio con il contribuente, della pretesa tributaria ed ha un più ampio ambito di operatività, trovando ora applicazione nei confronti di tutti i contribuenti, inclusi i sostituti d’imposta, e di tutte le categorie reddituali.

Coerentemente con il suddetto obiettivo si è previsto, peraltro senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatice, che la definizione possa avere ad oggetto anche le rettifiche effettuate in base alla determinazione sintetica del reddito e sono state eliminate le cause di carattere penale che nella disciplina vigente impediscono la definizione.

In proposito la Commissione parlamentare, nel suo parere, ha invitato il Governo ad esercitare pienamente la delega nel punto in cui [lettera h) numero 2] prevede condizioni ostative alla definizione dell’accertamento o della conciliazione giudiziale. Ciò, secondo la Commissione, per evitare che in determinate fattispecie di pericolosità fiscale

si possano determinare indesiderati effetti premiali. Al riguardo deve osservarsi che la legge delega prevede il coordinamento della disciplina dell’accertamento con adesione con quella della conciliazione giudiziale e fissa, tra le altre, quale modalità per ottenere detto risultato, l’identità delle materie oggetto di definizione, nonché l’identità delle cause di esclusione (lettera b); nella lettera h) numero 2, l’indicazione di condizioni ostative alla definizione è contenuta nell’ambito del criterio relativo alla possibilità dell’esercizio di una ulteriore azione accertatrice. L’interpretazione delle due disposizioni, fra loro non perfettamente coordinate, non può prescindere dalla fondamentale considerazione che la disciplina dell’accertamento deve essere ispirata a quella della conciliazione giudiziale, per la quale non sono previste cause ostative né sono introducibili in questa sede attesi i precisi limiti entro i quali il legislatore delegato a modificare la disciplina della conciliazione stessa. Va, inoltre, rilevato che l’articolo 2 del provvedimento non esclude l’esercizio di una ulteriore azione accertatrice, in caso di definizione dell’accertamento, con ciò eliminando, in linea di massima, gli effetti premiali indesiderati adombrati dalla Commissione.

Quanto sopra non impedisce, peraltro, che il Governo si riservi, soprattutto se la pratica applicazione dei due istituti ne avrà evidenziato l'opportunità, un più attento esame in ordine alla possibilità di un successivo intervento legislativo, ai sensi dell'articolo 3, comma 17, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, al fine di introdurre cause ostative sia alla definizione dell'accertamento con adesione sia alla conciliazione giudiziale.

Sotto l'aspetto procedurale assume un profilo innovativo la possibilità data al contribuente di formulare istanza di accertamento con adesione anche quando abbia subito verifiche fiscali, prima che gli sia notificato l'avviso di accertamento.

L'intervento sull'istituto della conciliazione giudiziale, già disciplinato in maniera sufficientemente compiuta dalla normativa vigente, è volto essenzialmente a consentire la definizione della stessa anche in forma rateale, previa prestazione di idonea garanzia.  

Si è, infine, inciso sulle misure sanzionatorie in modo da creare una graduazione nelle stesse che induca il contribuente ad addivenire alla definizione della propria situazione. Infatti, nei confronti del contribuente che aderisce, le sanzioni comminate dalla legge trovano applicazione nella misura di un quarto, mentre, ove la definizione della lite fiscale intervenga nel corso della prima udienza, con l'istituto della conciliazione giudiziale, le sanzioni si applicano nella misura di in terzo delle somme irrogate. Coerentemente, si è modificata anche la disciplina sanzionatoria nel caso in cui la definizione dell'accertamento intervenga per acquiescenza, stabilendo che le sanzioni irrogate sono ridotte ad un quarto.

Le disposizioni procedurali contenute nelle fonti regolamentari, che in precedenza si rendevano inevitabili per sopperire alla laconicità del testo legislativo, sono state semplificate, anche per favorire un più diretto accesso all'adesione, e inserite direttamente nel testo del decreto delegato, corrispondendo così allo spirito della legge delega. Si è previsto, inoltre, che con norma regolamentare potranno essere introdotte integrazioni o modifiche agli aspetti procedurali dell'istituto, disciplinati dai capi secondo e terzo del titolo primo del decreto.

Inoltre, al fine di rendere organica la nuova disciplina dell’istituto dell’accertamento con adesione, sono stati abrogati gli articoli 2-bis e 2-ter del citato decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564; conseguentemente devono ritenersi caducati le disposizioni regolamentari emanate, in attuazione delle citate norme, con decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1996, n. 316, e con decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1996, n. 460. Resta, in ogni caso, priva di efficacia la disposizione, già abrogata dal comma 7 del citato articolo 2-bis, dell'articolo 62-sexies del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, relativa alle quote di capacità operativa riservate ai contribuenti soggetti all'applicazione del contributo diretto lavorativo.

Il presente decreto è suddiviso in due titoli, dei quali il primo contiene la nuova disciplina dell'accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale e il secondo regola gli effetti connessi all'adozione della nuova disciplina.

Nell'ambito del titolo primo, il capo I (articoli 1-3) riguarda l'ambito di applicazione e gli effetti dell'adesione, disciplinando l'operatività dell'istituto, notevolmente ampliata rispetto al passato; il capo II regola il procedimento per la definizione nell'ambito delle imposte sui redditi e dell'imposta sul valore aggiunto in modo tendenzialmente unitario, salvo il caso in cui essa avvenga successivamente alla notificazione dell'avviso di accertamento; il capo III concerne il procedimento per la definizione nelle altre imposte indirette, mentre il capo IV contiene la nuova formulazione della conciliazione giudiziale, che resta inserita nel corpo del decreto delegato sul nuovo processo tributario (decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546) mediante la sostituzione del nuovo testo al previgente articolo 48.

L’articolo 1, comma 1, e l'articolo 2 del decreto legislativo, nel rispetto dei criteri e dei principi contenuti nelle lettere a) e b) del comma 120, dell’articolo 3, della citata legge n. 662 del 1996, estendono l’applicazione dell’accertamento con adesione nei riguardi di tutti i contribuenti e di tutte le categorie di reddito possedute dai medesimi. E’ stata soppressa, pertanto, la prevista limitazione, contenuta nel citato articolo 2-bis, della possibilità di definizione dei soli redditi derivanti dall’esercizio di attività di impresa o di arti e professioni con riferimento esclusivo a specifici elementi (esistenza, stima, inerenza e imputazione a periodo) che caratterizzano la determinazione di tali tipologie reddituali, consentendo, invece, l’accertamento con adesione anche ai contribuenti che possiedono categorie reddituali diverse da quelle prima menzionate ed anche in caso di accertamento sintetico del reddito complessivo. Per effetto di tale modifica si è, quindi, coordinata la disciplina dell’accertamento con adesione con quella della conciliazione giudiziale, che consente di definire in sede contenziosa tutte le controversie tributarie, a prescindere dall’oggetto delle medesime. Sono state, altresì, soppresse le disposizioni che prevedono cause ostative alla definizione: ne discende che, come per la conciliazione giudiziale, non esistono situazioni preclusive della possibilità di definizione. Per effetto delle disposizioni introdotte, accertamento con adesione e conciliazione giudiziale costituiranno, quindi, con riferimento all’ambito applicativo, possibilità di definizione negoziata della pretesa tributaria tra loro del tutto simili: la prima esperibile in sede amministrativa, la seconda in sede giudiziale.

Il mancato riferimento, nell'articolo 1 comma 1, rispetto alla formulazione attuale dell'articolo 2-bis, al contraddittorio e all'unicità dell'atto non significa abbandono di tali principi, ma rispondono all'esigenza sistematica di definire tali aspetti dell'istituto nella parte relativa all'ambito procedimentale, in cui si evidenzia la tendenziale unicità dell'adesione sia ai fini delle imposte sui redditi sia ai fini dell'IVA e l'assoluta necessità del contraddittorio, anteriore o successivo all'atto di accertamento, sollecitato dall'ufficio ovvero dal contribuente stesso.

L'articolo 2, in osservanza del principio contenuto nella lettera c) del citato articolo 3, comma 120, dispone che la definizione ai fini delle imposte sui redditi ha effetto anche per l’imposta sul valore aggiunto solo per la parte rilevante ai fini di quest'ultima. Ne consegue che se la definizione concerne elementi rilevanti ai soli fini delle imposte sui redditi (ad esempio, ripresa a tassazione di ammortamenti dedotti in misura superiore a quella fiscalmente consentita), il maggior imponibile definito non esplica alcun effetto ai fini dell’IVA. Vengono, altresì, stabilite le modalità di calcolo dell’aliquota media da applicare al maggior imponibile rilevante ai fini dell’IVA, in conformità a quanto già previsto in passato con riferimento alle disposizioni relative all’accertamento con adesione per il 1994 e all’applicazione dei parametri di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 gennaio 1996. E’, inoltre, espressamente previsto che la definizione può riguardare anche fattispecie rilevanti ai soli fini dell’imposta sul valore aggiunto.

Al comma 3 dell'articolo 2 viene confermata la definitività dell’accertamento con adesione, già contenuta nell’abrogato articolo 2-bis citato, e la sua irrilevanza ai fini dell’ICIAP e ai fini extratributari. E’ stabilito, altresì, in attuazione del principio contenuto nella lettera h) del citato comma 120, che la definizione rileva ai fini dei contributi assistenziali e previdenziali, la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi. Al medesimo comma 3 è previsto che la definizione esclude, anche con effetto retroattivo, peraltro limitatamente ai fatti che hanno costituito oggetto di accertamento, la punibilità per i reati previsti dal decreto-legge n. 429 del 1982, convertito dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, tranne quelli di cui all'articolo 2, comma 3, e all'articolo 4, del medesimo decreto-legge. Pertanto, ferma restando la punibilità dei reati connotati da intento fraudolento, viene prevista la non punibilità per quelli colposi aventi natura contravvenzionale. Tuttavia la causa di non punibilità non opera per fatti che non sono direttamente connessi con quelli sui quali si è fondato l'accertamento, nonché per fatti, scoperti successivamente a quest'ultimo, per i quali si esercita una nuova azione penale.

Con riferimento agli effetti derivanti dalla definizione, non è stata riproposta la disposizione prevista nell’abrogato articolo 2-bis, comma 8, che eliminava l’obbligo di conservazione delle scritture e dei documenti contabili relativi all’esercizio oggetto dell’accertamento, con la sola esclusione dei registri IVA. Tale scelta è derivata dalla considerazione che le predette scritture rilevano anche ai fini di talune attività di controllo poste in essere dall’amministrazione, quale, ad esempio, lo scambio di informazioni tra Paesi diversi previsto nelle convenzioni internazionali contro la doppia imposizione. Le predette scritture rendono altresì concretamente applicabile l’ipotesi di ulteriore azione accertatrice prevista dall’articolo 2, comma 4, lett. a), del decreto legislativo in esame.

Il comma 4 introduce disposizioni finalizzate a non pregiudicare ogni possibilità per gli uffici finanziari di effettuare ulteriori accertamenti successivi alla avvenuta definizione, contemperando, sulla base delle direttive della delega, l'interesse del privato a "chiudere" in modo assolutamente certo la propria posizione fiscale per un determinato periodo d'imposta, con l'interesse pubblico a recuperare a tassazione forme macroscopiche di evasione non percepibili al momento dell'adesione, ovvero a proseguire l'azione accertatrice, quando l'atto posto a base della definizione abbia per sua natura effetti solo parziali. E’ stabilito, infatti, che l’intervenuta definizione (la quale ora potrà riguardare tutte le tipologie di accertamento) non pregiudica l’esercizio di una successiva azione accertatrice quando:

Al comma 5 è prevista la riduzione delle sanzioni applicabili a seguito dell’accertamento con adesione, in misura corrispondente ad un quarto del minimo edittale. La riduzione, funzionale ad attuare una graduazione delle riduzioni delle sanzioni, rispetto alle ipotesi dell'acquiescenza all'accertamento e della conciliazione (per le quali è prevista una minore riduzione proprio per incentivare il ricorso all'adesione), si applica con riferimento alle sanzioni per le violazioni concernenti i tributi oggetto dell’adesione commesse nel periodo di imposta nonché per le violazioni concernenti il contenuto delle dichiarazioni relative allo stesso periodo, ad eccezione di quelle applicate in sede di liquidazione delle dichiarazioni ai sensi dell’articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e di quelle concernenti l’articolo 60, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e di quelle concernenti la mancata, incompleta o non veritiera risposta alle richieste formulate dall’ufficio. E’, inoltre, previsto che sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali di cui al comma 3 non si applicano sanzioni e interessi.

Nel corso del dibattito innanzi la Commissione parlamentare è stata evidenziata l'opportunità di coordinare la disposizione riguardante l'applicazione delle sanzioni con le nuove norme in materia di sanzioni amministrative per violazioni delle leggi tributarie, previste nel decreto legislativo da emanare in attuazione della delega prevista dal'articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. La stessa Commissione parlamentare, nel parere reso sul presente schema di decreto legislativo, ha auspicato un concreto coordinamento dei due testi normativi, peraltro con esclusivo riferimento alla misura delle sanzioni da applicare in sede di conciliazione giudiziale. Quanto al primo aspetto, il Governo condivide quanto segnalato dalla Commissione e ritiene che la questione prospettata possa trovare agevole soluzione disponendo l'entrata in vigore del decreto legislativo riguardante le sanzioni amministrative in epoca prossima a quella del presente decreto, così da evitare che l'accertamento con adesione non sia appetibile per il contribuente a causa del meno favorevole trattamento sanzionatorio previsto dalla legislazione vigente rispetto a quello che sarà applicato secondo le nuove disposizioni. Relativamente al secondo punto, si rileva che volutamente la misura delle sanzioni da applicare in sede di conciliazione giudiziale è rapportata all'operato degli uffici e non al minimo edittale, come è invece per l'accertamento con adesione, in considerazione della finalità deflattiva del contenzioso tributario che si è voluta attribuire all'accertamento stesso.

Il comma 6 prevede che l’accertamento con adesione si applica anche con riferimento ai periodi di imposta per i quali era astrattamente applicabile la definizione ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, e dell'articolo 2, comma 137, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e per i quali essa non sia stata in concreto effettuata, sempre che, naturalmente, non si è verificata la decadenza dall’azione accertatrice. Il comma 7 dispone, infine, l'applicabilità delle norme sulla definizione per adesione anche ai sostituti d'imposta.

Coerente con gli scopi della delega ed armonica con il sistema disegnato per le imposte sui redditi è la disciplina dei presupposti e degli effetti dell'adesione nelle altre imposte indirette. L'articolo 1 comma 2 del decreto legislativo disciplina l'istituto dell'accertamento con adesione con riferimento alle imposte sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecaria, catastale e comunale sull'incremento di valore degli immobili (compresa quella decennale).

Data la particolarità dei tributi in argomento, in relazione ai quali è possibile la presenza di più obbligati allo stesso titolo, il comma in esame stabilisce che la definizione può essere chiesta ed ottenuta anche da uno solo degli obbligati: in tal caso, mentre l'effetto estintivo si realizza per i tributi oggetto della definizione, l'ufficio dovrà porre a base dell'attività di accertamento che riguardi i tributi collegati ed i soggetti passivi di tali tributi il valore concordato con l'accertamento per adesione, restando impregiudicata la possibilità per tali soggetti passivi di contestare, senza limiti, la pretesa dell'ufficio e, naturalmente, quella di conformare diversamente i rapporti privati tra le parti.

Poiché da un unico atto può derivare per il contribuente l'obbligo al pagamento di più tributi, nell'articolo 3, comma 1, è precisato che l'adesione ha effetto per tutti i tributi dovuti dal contribuente in relazione ai beni indicati in ciascun atto o denuncia o dichiarazione, mentre non è consentita adesione parziale.

In linea con i principi generali che regolano l'imposta di registro, il comma 2 dell'articolo 3 stabilisce che, se un atto contiene più disposizioni autonome fra loro, ciascuna di esse può formare oggetto di definizione come se fosse un atto distinto.

La definizione per adesione comporta, anche in questo caso, la riduzione ad un quarto del minimo edittale delle sanzioni.

Gli articoli da 4 a 9 contengono disposizioni procedurali. Il comma 1 dell'articolo 4 attribuisce la competenza in ordine alla definizione all’ufficio delle entrate. In attesa dell’istituzione del menzionato ufficio e dell’unificazione della dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto e delle relative procedure di accertamento previste dall’articolo 3, comma 134, della citata legge n. 662 del 1996, si è reso necessario prevedere, in via transitoria, con il comma 3 del medesimo articolo 4, la competenza dell’ufficio distrettuale delle imposte dirette come ufficio guida nella redazione dell’atto di accertamento con adesione, con la previsione dell’obbligo di interessare l’ufficio IVA per l’acquisizione degli elementi utili alla definizione relativamente a questo tributo. Viene, peraltro, riservata all'ufficio IVA la competenza alla definizione limitatamente ai casi in cui la stessa definizione abbia ad oggetto esclusivamente fattispecie rilevanti ai soli fini dell’IVA e riguardi contribuenti nei cui confronti sia stato già notificato un avviso di accertamento non preceduto dall'invito a comparire di cui all'articolo 5. Naturalmente non si è potuta ignorare l’attuale normativa che consente agli uffici IVA di agire autonomamente, per quanto di competenza, in materia di controlli e di accertamenti, per cui si è riconosciuto un potere di iniziativa anche ai menzionati uffici laddove siano in possesso di elementi istruttori rilevanti anche ai fini delle imposte sui redditi validi per la formulazione di avvisi di rettifica; in tal caso gli uffici IVA dovranno interessare gli uffici delle imposte che restano titolari del potere di iniziativa verso il contribuente. E’ stabilito, infatti, che l’ufficio delle imposte dirette invita il contribuente a comparire dandone comunicazione all’ufficio IVA, che può delegare un proprio funzionario a partecipare al procedimento.

Al comma 2 dell'articolo 4 è data attuazione alla lettera g) del citato comma 120 che prevede un’unica procedura di definizione nei riguardi delle società di persone, delle associazioni tra persone fisiche esercenti arti e professioni, del titolare dell’azienda coniugale non gestita in forma societaria e dei soci o associati nonché del coniuge, da effettuare presso l’ufficio competente all’accertamento nei riguardi della società o associazione o del titolare dell’azienda coniugale. Tale disposizione semplifica le procedure previste dall’abrogato articolo 2-bis per effetto del quale il socio o associato doveva definire la propria posizione con l’ufficio competente in base al proprio domicilio fiscale, spesso diverso da quello della società o associazione partecipata.

Al riguardo si è previsto che l’ufficio competente all’accertamento nei riguardi della società, dell’associazione o del titolare dell’azienda coniugale effettua, con un unico atto e in contraddittorio con ciascuno dei soggetti, anche la definizione del reddito attribuibile ai soci, agli associati o al coniuge che hanno aderito all’accertamento. Pur se in generale la definizione deve tendere alla chiusura di tutte le posizioni dei soggetti coinvolti, al fine di ampliare l’ambito applicativo dell’istituto è stato tuttavia consentito che la definizione possa intervenire anche solo per alcuni dei menzionati soggetti, previa comunque la conoscenza da parte di tutti della possibilità di definizione per adesione. La definizione può, pertanto, riguardare la posizione della società anche se nessuno dei soci abbia prestato adesione all’accertamento, ovvero la posizione di uno o più soci anche in assenza di adesione da parte della società. In tal caso, nei confronti dei soggetti che non hanno inteso aderire, compresi quelli che, quantunque invitati a comparire, non si sono presentati, resta impregiudicata la possibilità per gli uffici di emettere atti di accertamento che devono comunque tenere conto delle risultanze della definizione intervenuta nei confronti degli altri soggetti, ma con i quali si provvederà all’irrogazione delle sanzioni in misura ordinaria in quanto non trovano applicazione le riduzioni previste dal comma 5 dell'articolo 2 e dal comma 1 dell’articolo 15 del decreto legislativo in esame.

L'articolo 5 detta le regole per l’avvio del procedimento della definizione. E’, al riguardo, previsto l’invio, senza particolari formalità, di un semplice "invito a comparire" indirizzato al contribuente. Tale invito ha carattere meramente informativo della possibilità di aderire; parimenti, in caso di accertamento induttivo mediante coefficienti presuntivi, si è ritenuto di dover utilizzare, senza ulteriori formalità, lo strumento della richiesta di chiarimenti, già esistente per questo tipo di procedura.

L'articolo 6 disciplina la definizione a seguito di istanza del contribuente e si riferisce a due ipotesi distinte: quella della definizione chiesta dopo aver subito indagini da parte degli organi preposti alle verifiche ed agli accessi e quella della definizione chiesta dopo la notifica dell'atto di accertamento (quando, cioè, sia mancata la instaurazione del contraddittorio ai sensi dell'articolo 5). Per quanto attiene alla prima ipotesi, si tratta di una semplificazione procedurale che attribuisce ai contribuenti un potere di impulso dell’attività di accertamento degli uffici finanziari finalizzata ad accelerare i tempi dell’eventuale definizione.

I commi 2, 3 e 4 dello stesso articolo 6 disciplinano in maniera puntuale la procedura in caso di avvenuta notifica di avviso di accertamento stabilendo che se la definizione non si formalizza nel lasso di tempo intercorrente fra la notifica dell’accertamento e il termine di scadenza per la relativa impugnazione, la proposizione di quest'ultima comporta rinuncia all’istanza di accertamento con adesione. Al riguardo, in ottemperanza a quanto previsto alla lettera b), del comma 120, del citato articolo 3, al fine di non penalizzare il contribuente che abbia potuto presentare istanza di adesione solo successivamente alla notifica di un provvedimento esecutorio, è stabilita la sospensione per un periodo di 90 giorni dalla data di presentazione dell'istanza, del termine per l’impugnazione dell’atto di accertamento dinanzi alla commissione tributaria provinciale e di quello di pagamento di cui all’articolo 60, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972; in tali casi, l’iscrizione a titolo provvisorio di cui all’articolo 15, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ove ne ricorrano i presupposti, è effettuata successivamente alla scadenza del detto termine di sospensione. In tal modo, il contribuente che intenda anteporre alla via giurisdizionale un tentativo di composizione in via amministrativa, non avendone avuto la possibilità in fase istruttoria, può perseguire questa strada senza l'incombente timore di incorrere nella decadenza dall'impugnativa al decorso dei sessanta giorni. Solo in questo caso, come detto, si prevede che l'adesione abbia effetto limitato al tributo oggetto dell'accertamento, e ciò al fine di far prevalere l'esigenza di celerità su quella di completezza della definizione.

L'articolo 7 detta le modalità concrete per la redazione dell’atto di adesione e degli elementi che deve contenere. Al riguardo, in riferimento alla rappresentanza del contribuente presso l’ufficio finanziario, trovano applicazione le disposizioni contenute nell’articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.

L'articolo 8 stabilisce le modalità di pagamento delle somme dovute a seguito dell’adesione del contribuente, coordinandole con quelle previste in caso di conciliazione. Il comma 2, in particolare, prevede la possibilità di rateizzare il versamento delle somme dovute in un massimo di otto rate trimestrali (per le somme fino a cento milioni di lire) ovvero in un massimo di dodici rate trimestrali (per le somme superiori a cento milioni di lire).

Ai sensi dell'articolo 9, il pagamento susseguente alla redazione dell'atto di cui all'articolo 7, perfeziona la definizione; effetto equipollente sortisce il pagamento della prima rata, accompagnato dalla prestazione della garanzia per le rate successive. Si è stabilito di applicare il sistema di pagamento attualmente in vigore per i versamenti risultanti dalle dichiarazioni, con esclusione del servizio postale data la specificità dei pagamenti di cui trattasi e la necessità di evitare appesantimenti procedurali anche nei riguardi dell’amministrazione finanziaria. In attuazione del principio contenuto nella lettera i) della delega, sono state, altresì, individuate le modalità da seguire per il pagamento in forma rateale con prestazione di idonee garanzie.

Nel capo III si rinvengono le disposizioni relative alla procedura di definizione nelle altre imposte indirette.

La competenza in ordine alla definizione con adesione è attribuita agli uffici delle entrate e, fino alla loro entrata in funzione, agli uffici del registro.

Per quel che concerne le regole procedurali per l'attuazione della definizione (articoli da 11 a 13), si rinvia a quanto già precisato ai fini delle imposte sul reddito (capo II).

L'articolo 12, in particolare, regola l'ipotesi in cui la definizione con adesione venga chiesta dal contribuente dopo la notifica di un avviso di accertamento. Va tenuto conto che, con riferimento ai tributi in argomento, la sospensione dei termini per la proposizione del ricorso opera nei confronti di tutti i coobbligati, al fine di non favorire la formazione di un contenzioso inutile, che potrebbe essere vanificato dalla definizione dell'accertamento con adesione nei confronti di almeno uno tra i coobbligati, mentre la rinunzia alla richiesta di definizione, insita nella proposizione del ricorso, vale per il solo soggetto ricorrente e non preclude agli altri la possibilità di conseguire la definizione per adesione.

Anche per i tributi di cui si tratta (articolo 13) valgono gli stessi termini e le stesse modalità previsti per la definizione nelle imposte sui redditi con la sola eccezione della individuazione degli uffici presso i quali deve essere eseguito il pagamento, che sono gli uffici del registro. A tal proposito si fa osservare che tale previsione avrà efficacia fino a quando gli uffici del registro svolgeranno funzioni di cassa e, cioè, fino a quando non verrà data attuazione alla delega contenuta nell'articolo 3, comma 138, della legge n. 662 citata che delega il Governo a modificare la disciplina in materia di servizi autonomi di cassa. Per tutto quanto non espressamente stabilito, valgono anche per le imposte indirette le disposizioni relative all'atto di adesione (articolo 7), al versamento unico o rateale (articolo 8), al perfezionamento dell'adesione (articolo 9).

Il capo IV del titolo I contiene, all'articolo 14, la nuova disciplina della conciliazione giudiziale, inserita nel corpo del processo tributario, e resa coerente e tendenzialmente uniforme a quella dell'adesione, rispetto alla quale si caratterizza soprattutto per la diversa collocazione sequenziale.

Con l'articolato formulato in tema di conciliazione giudiziale si è proposta una modifica normativa dell'articolo 48 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546, già disciplinante il predetto istituto.

Tale intervento ha la finalità di incidere sulla attuale formulazione della norma, (introdotta dall'articolo 12 del decreto-legge 8 agosto 1996, n. 437, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 ottobre 1996, n. 556) dando attuazione ai principi della legge delega recati dall'articolo 3, comma 120, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. In particolare l'intervento è stato effettuato al fine di consentire la definizione della conciliazione giudiziale anche con versamenti in forma rateale previa prestazione di idonea garanzia. Partendo infatti dalla valutazione preliminare che il vigente articolo 48 del decreto legislativo n. 546 del 1992 è già in grado di rispondere all'esigenza di assicurare un ampio margine di applicazione dell'istituto per la mancanza di condizioni ostative alla sua esperibilità in ogni tipo di lite instaurata dinanzi alla commissione tributaria provinciale, si è prevista la sola possibilità di consentire che la definizione della conciliazione giudiziale possa avvenire anche attraverso la riscossione rateale delle somme dovute a seguito dell'accordo conciliativo.

Per raggiungere questo obiettivo si è stabilito che il perfezionamento della conciliazione giudiziale si può realizzare anche con un versamento effettuabile in forma rateale in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo, comprensive degli interessi legali calcolati con riferimento alla data dell'udienza durante la quale viene redatto l'apposito processo verbale. Nel caso in cui l'ammontare della somma determinata a seguito di conciliazione sia superiore a cento milioni di lire, la dilazione del pagamento può raggiungere le dodici rate trimestrali. Condizione pregiudiziale per poter accedere a tale modalità di versamento è la prestazione da parte del contribuente di una idonea garanzia a copertura dell'importo dovuto con le rate successive alla prima e per un lasso di tempo pari al periodo di rateazione concesso, aumentato di un anno.

Circa la modalità di costituzione della garanzia, l'articolato proposto fa un espresso rinvio all'articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che dispone la prestazione di una cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, al valore di borsa ovvero di una fideiussione rilasciata da un'azienda o istituto di credito.

Per quanto riguarda invece le modalità di riscossione delle somme dovute, tanto in unica soluzione quanto in forma rateale, la disposizione proposta mutua i meccanismi di versamento degli importi conciliati dettagliatamente previsti dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1994, n. 592. Le predette modalità di riscossione possono essere modificate con decreto del Ministro delle finanze di concerto con il Ministro del tesoro.

La mancata effettuazione dei versamenti dovuti nei termini stabiliti ha come conseguenza il recupero delle somme presso il garante attraverso il meccanismo della cauzione o della fideiussione. La presenza di una garanzia immediatamente attivabile rende non necessario riproporre la disposizione recata dall'ultimo periodo del comma 3 del predetto articolo 48 attualmente vigente, che prevede l'iscrizione a ruolo quale strumento di recupero delle somme dovute e non versate. Tale procedura, infatti, risulta superflua alla luce delle garanzie prestate. Lo stesso ragionamento vale nei confronti dell'applicazione per intero delle sanzioni, circostanza che trovava giustificazione nell'ulteriore attività di iscrizione a ruolo imposta all'ufficio dal comportamento scorretto del contribuente.

Si è inoltre ritenuto di eliminare la disposizione secondo la quale la conciliazione, comunque, non dà luogo alla restituzione delle somme già versate all'ente impositore. Tale intervento è stato suggerito dalla valutazione di opportunità di fissare i presupposti della conciliazione in termini più ampi degli attuali ed incentivarne l'adozione come strumento per la risoluzione delle liti in fase contenziosa: la vigente formulazione, infatti, limita l'applicazione dell'istituto in numerose fattispecie, come ad esempio, nel caso di controversie instaurate dal contribuente per ottenere rimborsi.

Si prevede inoltre la modifica della locuzione " nella misura di un terzo del minimo delle somme dovute" relativa all'applicazione delle sanzioni amministrative, con la locuzione "nella misura di un terzo delle somme irrogate". Tale intervento è stato imposto dalla constatazione che l'attuale non corretta formulazione della norma (riferita, in realtà, ad un parametro inesistente: le somme dovute in conseguenza della irrogazione delle sanzioni sono quantificate in cifra fissa e non evidenziano più un minimo) può creare difficoltà sul piano pratico-applicativo laddove l'ufficio, tra il minimo ed il massimo edittali, abbia optato per una via intermedia.

Non si è ritenuto di accogliere l’osservazione della Commissione parlamentare, relativa alla previsione dell’esperibilità della conciliazione giudiziale, limitatamente alle controversie incardinate prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina sul contenzioso tributario (decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546), anche dopo la prima udienza innanzi le Commissioni tributarie provinciali e innanzi le Commissioni tributarie regionali, in quanto una tale disposizione sembra eccedere i principi e i criteri direttivi indicati dalla legge di delega, che stabiliscono la revisione dell’istituto soltanto per quanto attiene al versamento, in forma rateale, delle somme stabilite.

Per effetto della modifica normativa recata dal comma 2 del medesimo articolo 14, si stabilisce che i funzionari che rappresentano in giudizio l'amministrazione finanziaria valutano e definiscono le proposte conciliative sulla base delle indicazioni e delle condizioni fissate dal responsabile dell'ufficio autore dell'atto impugnato.

Nel titolo II, l’articolo 15 contiene disposizioni che modificano la disciplina delle sanzioni applicabili in caso di definizione dell’accertamento per mancata impugnazione, sia nelle imposte dirette che nelle indirette. Si è infatti previsto che se il reddito netto o il valore del bene è definito per rinuncia all'impugnazione dell’avviso di accertamento o di liquidazione e non è formulata istanza di accertamento con adesione, le sanzioni irrogate sono ridotte a un quarto e le somme dovute possono essere versate anche ratealmente.

Tale disposizione, naturalmente, ha comportato l'espressa abrogazione (articolo 17) dell'articolo 71, comma 2, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n.131, e dell'articolo 50, comma 3, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, approvato con decreto legislativo 31 ottobre 1990, n.346, al fine di disegnare un sistema coerente della riduzione delle sanzioni che, dall'adesione fino alla conciliazione, passando per l'acquiescenza, realizzi una gradualità razionale delle riduzioni, essenziale al fine di coordinare la disciplina dei due istituti.

La possibilità di accertamento non è preclusa dalla indisponibilità, per l'ufficio, dell'originale della dichiarazione presentata dal contribuente ed in quest'ottica l'articolo 16 prevede l'obbligo di conservazione della copia per talune categorie di contribuenti, e le sanzioni applicabili in caso di sopravvenuta constatazione della difformità tra copia e originale. Si tratta di una soluzione temporanea la cui efficacia verrà meno con l’attuazione della delega concernente le modalità di presentazione e di trasmissione delle dichiarazioni anche per via telematica, che consentirà agli uffici di conoscere molto più rapidamente di quanto è ora possibile, il contenuto delle dichiarazioni presentate dai contribuenti. Con le attuali procedure l’amministrazione finanziaria ha, infatti, difficoltà a convertire rapidamente in atti di accertamento i controlli effettuati sulle annualità più recenti a causa dei tempi tecnici necessari per l’acquisizione dei dati contenuti nelle predette dichiarazioni. La disposizione in esame introduce l’obbligo per gli esercenti attività di impresa, arti e professioni di conservare una copia della dichiarazione, di cui l’amministrazione può servirsi per emettere un atto di accertamento a seguito del quale il contribuente può, eventualmente, richiedere la definizione. La disposizione introdotta prevede altresì che gli uffici possono integrare, modificare o revocare gli atti già notificati nonché irrogare o revocare le relative sanzioni qualora, successivamente all’accertamento (incluso quello definito con adesione), le dichiarazioni presentate risultino difformi alle copie acquisite nel corso dell’attività di controllo ovvero ne risulti omessa la presentazione.

L'articolo 17 prevede, coerentemente con l'intento di disegnare un sistema coerente, l'abrogazione dell’articolo 5, commi 2 e 3, del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 1990, n. 165, che consente di definire le pendenze tributarie entro sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento con il pagamento di una somma pari all’80 per cento dei tributi accertati, delle soprattasse e delle pene pecuniarie, quando l’importo complessivo non è superiore a cinque milioni di lire.

Peraltro, le modifiche appena commentate non assicurano, da sole, la coerenza del sistema sanzionatorio in quanto occorrerebbe ridurre, altresì, le sanzioni dovute per le violazioni rilevate a seguito dei controlli formali delle dichiarazioni dei redditi e delle dichiarazioni ai fini IVA. Infatti, allo stato attuale, la misura delle menzionate sanzioni appare elevata considerato che, in questi casi, il contribuente non occulta materia imponibile ma si limita a non versare un’imposta dichiarata.

Considerato che l’articolo 3, comma 133, della citata legge n. 662 del 1996 ha delegato il Governo a emanare decreti delegati per la revisione organica e il completamento della disciplina delle sanzioni tributarie non penali, la razionalizzazione e il coordinamento della misura delle menzionate sanzioni sarà effettuata nell’ambito di tale delega.

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