Commissione Parlamentare Consultiva
in materia di riforma fiscale

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Rassegna Sindacale n. 31
14 settembre 1999

PENSIONI Intervista a Salvatore Biasco

UNA PROPOSTA PONTE

Pro rata per tutti ma riconoscendo a chi "scampò" alla riforma Dini un rendimento che al massimo è pari a quello medio garantito dal sistema retributivo.
"Un passaggio più morbido rispetto all’applicazione per tutti del contributivo"

Tutti nel sistema contributivo pro-rata a partire dal 2001? L’intervista di Sergio Cofferati a Repubblica ha smosso ulteriormente le acque, del resto già abbastanza agitate, di questa calda estate delle pensioni. Le elaborazioni del sindacato pensionati Cgil (vedi a pagina 8 e 9) testimoniano che l’estensione del calcolo contributivo anche a chi ne era stato esentato dalla riforma Dini colpisce (in modo diverso a seconda degli anni che mancano alla pensione) abbastanza chi va in pensione a 57 anni, molto meno chi va in pensione a 62 anni (mentre per chi smette di lavorare a 65 anni ci sono addirittura dei vantaggi). Del resto, proprio per evitare penalizzazioni ulteriori, il segretario generale della Cgil propone da un lato la generalizzazione della previdenza complementare, dall’altro lo smobilizzo dei fondi accantonati per il tfr con l’erogazione progressiva in busta paga delle somme maturate. E se la Cisl non vuole neppure che si parli , di pensioni, fino al 2001, Confindustria invece ritiene ancora troppo poco il passaggio generalizzato al contributivo ed esagerata la proposta di toccare il tfr.

In questa situazione fluida c’è anche una nuova proposta, finalizzata non solo a far transitare più agevolmente tutti gli attivi al calcolo contributivo ma anche a correggere sin d’ora, con un approccio «sistemico», ingiustificati privilegi . La spiega l’economista Salvatore Biasco che chiarisce in premessa di averla elaborata al di fuori del suo incarico istituzionale di presidente della Commissione bicamerale per la riforma fiscale.

Rassegna Qual è la ratio di questo ulteriore intervento che lei propone in materia?

Biasco Progredire in direzione della trasparenza e dell’uniformità dei diversi regimi pensionistici. Dove trasparenza vuol dire rendere unico il principio secondo il quale vengono tradotti in pensione i contributi che vengono versati. Equità vuol dire che per ciascuno (a parte i casi socialmente riconosciuti come quelli relativi ai lavori usuranti) i contributi versati si traducono in pensione con gli stessi tassi di accumulazione, in modo che la pensione sia rapportata ai contributi e collegata agli anni che restano da vivere. Sono convinto che al di fuori di un principio uniformante, qual è quello tracciato dalla riforma Dini, qualsiasi intervento sugli attuali schemi pensionistici esistenti sarebbe per sua natura frammentato e discrezionale e, come tale, interpretabile come arbitrariamente vessatorio nei confronti di coloro ai quali si applica. Anche l’apparente oggettività di un’aliquota contributiva unica non sfuggirebbe a questo limite perché andrebbe applicata su prestazioni e condizioni normative che sono tuttora molto differenziate. Non dimentichiamoci che esistono ancora una quarantina di schemi pensionistici diversi per dipendenti, autonomi, professionisti, parasubordinati. Rassegna Uniformare quindi i rendimenti, anziché uniformare le aliquote contributive?

Biasco Sì, applicando un criterio oggettivo e universalistico che mette in rapporto i contributi alle prestazioni: il principio della riforma Dini, che tuttavia si applica solo a coloro che nel 1995 avevano meno di 18 anni di anzianità lavorativa. Per tutti gli altri, che oggi hanno 22 anni di anzianità contributiva e oltre, si applica il metodo del calcolo retributivo in base al quale i contributi (qualora siano visti come un risparmio che rende finanziariamente ed è fruito come rendita vitalizia) hanno i più svariati rendimenti impliciti, che divergono a seconda della categoria del lavoratore (dipendenti privati o pubblici, autonomi, professionisti). Non solo. All’interno della stessa categoria quei rendimenti impliciti variano anche in base all’anzianità e al tipo di evoluzione salariale, a seconda che essa sia più o meno statica o dinamica. Non c’è alcuna ragione al mondo (con l’eccezione dei lavori usuranti) per tali differenziazioni. Per cui è ragionevole applicare un rendimento uguale per tutti – questa volta esplicito – con il criterio del pro-rata portando all’interno dello schema Dini anche coloro che ne sono stati tenuti fuori. Da una certa data in avanti i contributi versati avrebbero un rendimento uniforme in termini finanziari, così come uniforme per tutti è il rendimento dei Bot o della stessa polizza vita quale che sia l’età o la professione di chi li acquista. Con l’unica differenza che si tratterebbe di rendimenti figurativi perché l’intero sistema rimane a ripartizione: l’accumulo a cui danno luogo i contributi, e la loro rivalutazione, non vanno a costituire le riserve ma sono un fondo dal quale si traggono le risorse per pagare le pensioni in essere.

Rassegna Ma la riforma Dini aveva lasciato fuori i lavoratori con più di 18 anni d’anzianità contributiva perché non avevano il tempo di costituirsi una pensione integrativa e quindi avrebbero subito una penalizzazione più pesante...

Biasco La mia proposta dà un qualche riconoscimento a quest’obiezione. È vero che nel vecchio schema pensionistico è implicito un rendimento più alto di quello valevole per tutti gli altri cui si applica il sistema di calcolo contributivo, stimabile all’1,5 per cento reale annuo. Ma io propongo di fare riferimento al rendimento medio implicito assicurato dal sistema di calcolo retributivo, quello cioè che darebbe luogo all’invarianza di esborso per l’insieme di questi lavoratori. Da primi calcoli (che tengono conto di una quarantina di schemi esistenti tra casse professionali e fondi speciali, oltre che delle diversità legate al tipo di carriera) risulta che tale valore è attorno allo 0,7-0,8 per cento in più annuo, vale a dire al 2,2 o 2,3 per cento. Riconoscere questo extra di rendimento, in aggiunta all’1,5 per cento, significa realizzare una redistribuzione di risorse nei confronti di questi lavoratori, che non avranno il tempo di costruirsi una pensione integrativa. Però nel momento in cui si riconosce loro tale rendimento medio pre riforma Dini, si stabilisce anche che nessuno possa avere neppure lo 0,01 per cento in più rispetto ad esso. Quindi chi avrebbe rendimenti impliciti superiori al 2,2 per cento, che già di per sé è un tasso privilegiato, dovrà regredire alla media. E chi li avrebbe avuti inferiori manterrebbe gli schemi pensionistici in essere. Si può aggiungere un ulteriore correttivo: per chi avrà una pensione superiore a determinate soglie, per esempio 120-150 milioni annui, si applicherà il rendimento previsto dalla riforma Dini per i più giovani, l’1,5 per cento, anziché quello medio assicurato dal sistema di calcolo retributivo. Non si tratta di un tetto al valore della pensione, ma di un intervento perequativo che allinea il rendimento a quello riconosciuto alle giovani generazioni. Io mi sentirei anche di sostenere, sebbene ne veda le complicazioni, che vi sono motivi per non riconoscere l’extra di rendimento anche a coloro che hanno già usufruito di notevoli risorse pubbliche attraverso la permanenza nell’istruzione universitaria, risorse di cui comparativamente gli altri lavoratori non hanno usufruito.

Rassegna Quanti sono e a quali categorie interessate dalla riforma?

Biasco Si tratta di sette-otto milioni di attivi: più della metà però (visto che il 2,2 per cento è una media ponderata) manterrebbe la pensione cui ha diritto oggi. Hanno attualmente un rendimento implicito inferiore alla media in generale coloro che hanno una progressione retributiva «piatta». Figure del lavoro dipendente come operai e impiegati a basso reddito sono fra costoro. E per loro non cambierebbe nulla. Al contrario, hanno rendimenti superiori alla media coloro che hanno carriere più rapide o hanno un reddito rapidamente crescente. Sono superiori alla media le categorie con schemi favorevoli (regimi speciali, elettrici, gran parte degli autonomi ecc.)

Rassegna Questa riforma rappresenta un intervento soft di perequazione?

Biasco Sì, perché rende oggettivi i problemi e assoggetta tutti a un unico metodo. E rappresenta un passaggio più morbido rispetto all’applicazione diretta per tutti del sistema di calcolo contributivo. I risparmi possibili con questa riforma sono modesti, i suoi vantaggi sono altri.

Rassegna Quali?

Biasco Essenzialmente quello di pulizia del sistema, perché rende chiaro a tutti qual è il rendimento assicurato dal sistema, mentre adesso si tratta di un dato inintelligibile. Inoltre viene posto un tetto a tale rendimento, pari al valore medio che avevano questi schemi prima del passaggio al nuovo metodo. Qualunque ulteriore intervento non dovrà inseguire le singole gestioni, ma potrà avvenire sul rendimento implicito assicurato dal sistema. Se il livello di pensione che si prospetta per i lavoratori più giovani sarà giudicato tale da non tollerare che un contributo renda l’1,5 per cento e un altro il 2,2 per cento, si potrà intervenire individuando un percorso di perequazione per portare tutti ai rendimenti assicurati dalla riforma Dini, che sono poi quelli di equilibrio del sistema. 

Rassegna Cosa succederebbe alle pensioni di anzianità?

Biasco Anche per queste si prefigura un atterraggio morbido. Intanto si può stabilire che, per la parte pro-rata e tenendo conto delle aspettative di vita (e quindi di percepimento della pensione) il rendimento dei contributi non debba superare quello medio riconosciuto (2,2 per cento) dato che le pensioni di anzianità oggi sono quelle a più alto rendimento . Ciò riguarderà ovviamente solo i pochi anni che mancano a ciascuno per raggiungere i requisiti. Tali requisiti è bene che non siano diversi da quelli stabiliti per gli altri lavoratori dalla riforma Dini (da 57 anni in poi di età anagrafica), ma si può stabilire un percorso che porti a tale uniformazione. Ovviamente il processo (di perequazione pro-rata e di riforma delle pensioni di anzianità) è modulare. Se non ci sono le condizioni di accordo politico con il sindacato per intervenire sulle pensioni prima del 2001, intanto si potrebbe realizzare questa riforma perequativa, che non penalizza se non chi ha oggi «un premio nel premio».

Rassegna Tutto questo è in alternativa con la riforma del tfr?

Biasco No, è aggiuntivo e dà più opzioni al trattamento (fiscale e non fiscale) del tfr.

Anna Avitabile

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