Commissione Parlamentare Consultiva
in materia di riforma fiscale

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DELEGHE TRIBUTARIE E NUOVA TASSAZIONE DELLE IMPRESE(1)

Direttrici della riforma

Mi inoltro immediatamente nel tema che mi è stato assegnato, asserendo che il senso di questa riforma appare più nitido oggi, al completamento dell’opera; certo, già all’epoca dell’approvazione delle deleghe fiscali si poteva delinearne il profilo, ma solo entrando nel merito dei singoli provvedimenti ed esaminando la loro articolazione sono emersi, anche a noi stessi, i vari tasselli di un disegno compiuto. Cerco di trarre un primo bilancio.

La riforma ha avuto tre direttrici. Essa ha puntato in primo luogo ad affrontare un aspetto propedeutico a qualsiasi tentativo di sanare gli altri caratteri distorti del sistema tributario italiano. Ovvero, ha puntato preliminarmente a rimuovere quell’insieme di particolarismi, di provvedimenti ad hoc, di eccezioni e frammentazioni delle norme generali, che costella tutta la costruzione fiscale. Quindi, un’opera di razionalizzazione che non è mai un’opera che raccoglie applausi o allarga il consenso elettorale, proprio perché deve eliminare particolarità e rimuovere privilegi incorporati all’interno della legislazione. E ancor meno raccoglie applausi quando la situazione è generalizzata e ogni categoria di contribuenti ha almeno una nicchia particolare dalla quale viene fatta uscire.

Il problema è che, non diversamente da come è stato costruito il nostro sistema di welfare e il sistema previdenziale, anche il sistema fiscale è stato costruito per categorie, con provvedimenti che si giustificavano solo in virtù della forza contrattuale e elettorale di alcune di esse, delle improvvisazioni del momento, della debolezza del Parlamento rispetto alle lobbies.

(Tavola 1 e 1-bis]

Basta dare uno sguardo alla tab. 1 per avere un’idea di quale frammentazione vi fosse dietro l’abolizione dei contributi sanitari. Sia per quelli classificati come tali in senso stretto, sia per i contributi minori (Enaoli e tubercolosi), categorie specifiche pagavano in modo diverso; altrettanto si pagava in modo diverso su base territoriale; l’agricoltura aveva aliquote ulteriormente differenziate. Non so quali inconvenienti presenti l’IRAP, ma certo possiede il pregio di aver fatto pulizia totale di questa giungla. Eppure, la Tab. 1 non è che in un esempio tra tanti che si potrebbero fare. In altri campi, ad esempio nel lavoro dipendente, vigevano indennità che non rilevavano ai fini previdenziali, alcune assoggettate a IRPEF e altre non assoggettate (o assoggettate in modo parziale). Per l’ILOR avevamo settori esenti e settori sottoposti, e, anche all’interno dello stesso settore, l’assoggettamento avveniva in relazione a una discriminazione arbitraria, com’è quella dei tre dipendenti. Si può continuare con l’IVA non pagata in base al bilancio, ma forfettariamente, da tutta l’agricoltura e con un’altra serie di particolarità riguardanti ancora l’IVA. La deducibilità dei tributi toglieva una buona fetta di trasparenza al sistema fiscale. Si potrebbe andare avanti all’infinito con questo tipo di richiami. Ci siamo trovati di fronte, come Commissione dei Trenta, ad un sistema che non sospettavamo (parlo per me, in realtà) fosse arrivato a questo grado di frammentazione.

Certamente l’opera di razionalizzazione è un’opera importante, se non altro perché elimina la corruzione mentale che si genera quando ogni categoria si sente impegnata a costruirsi il proprio fisco. E’ opera importante, perché è preliminare a qualsiasi programma di riduzione del carico fiscale; un programma che può essere intrapreso, pena l’accentuazione delle iniquità, solo dopo che il carico sia stato distribuito in modo equo e uniforme su tutti i contribuenti.

Questa impostazione non implica che non si possano più varare politiche settoriali, ma che tali politiche vanno impostate lasciando integra l’uniformità del sistema fiscale, e puntando su misure ad hoc, mirate allo scopo, temporanee, giustificate in modo trasparente dall’interesse collettivo. E’ un principio che ovviamente dovrà essere applicato anche al welfare e alla previdenza (anche se va osservato che nella previdenza il sistema a calcolo contributivo produrrà questo risultato, ma a partire dal 2010).

Il secondo obiettivo della riforma fiscale mirava alla semplificazione del sistema e a un rapporto più disteso tra fisco e contribuenti. Su questo non mi dilungo. Cito solo la riforma dell’accertamento (centrata sul contraddittorio col contribuente) e la riforma del sistema sanzionatorio, in qualche modo collegate tra loro. In più, vanno citate tante altre innovazioni legislative sorte a lato delle deleghe fiscali: l’autotutela, il diritto di interpello e lo statuto del contribuente. Quest’ultimo, già licenziato dal Senato, sarà varato dal Parlamento in breve tempo. Nell’ambito delle deleghe, la dichiarazione unificata e l’informatizzazione porteranno ulteriori elementi di semplificazione e civiltà (compattamento di debiti e crediti; esito entro un anno della dichiarazione presentata).

Valuteremo sul campo se tali misure sono in grado di portare ad una effettiva tranquillità per il contribuente. Certamente, tutte le proposte della Commissione sono state guidate dall’intento di rafforzare questa finalità, scontando che, come quando si interviene sulla viabilità per migliorare il traffico, il primo giorno si producono intasamenti e fastidi e solo col tempo appaiono i benefici.

Terzo aspetto della riforma - qui entro anche un po’ più nel merito del tema che mi è stato assegnato - è lo spostamento di carico contributivo. Uno spostamento, però, sui generis, che non corrisponde al tradizionale spostamento che si verifica nell’ambito di un sistema a tassazione progressiva.

C’è certamente un "più" e "meno", con una ratio specifica, nella distribuzione del carico fiscale.

Il "più" di entrate (il finanziamento) è insito, sia all’interno delle stesse deleghe sia all’esterno di esse, nella chiusura di una serie di valvole di elusione. I due aspetti di questa riforma prima citati (razionalizzazione da un lato e semplificazione dall’altro), per quanto perseguiti in sé, non sono neutri dal punto di vista del gettito. Inoltre, la revisione della tassazione delle rendite finanziarie e dei capital gain (provvedimento originale, su cui dirò qualcosa in seguito) va anch’essa annoverata tra i canali di redistribuzione del carico fiscale.

A mio avviso, nelle deleghe che perseguono obbiettivi di razionalizzazione troviamo un gettito superiore a quanto preveda la relazione tecnica. Questo vale per la revisione della base imponibile del lavoro dipendente e per la revisione dell’IVA, ma anche per altre. Basti pensare (e prendo a caso dal corpo delle deleghe) che l’IVA va a bilancio per l’agricoltura, in sostituzione del regime forfettario, il commercio delle barre fiscali è stato chiuso con la normativa sulle ristrutturazioni, tutte le indennità e i fringe benefits nella retribuzione del lavoro dipendente rilevano ai fini della base imponibile previdenziale, e si può continuare con la revisione del pro rata IVA, il credito di imposta sui dividendi (che spetta al socio soltanto nella misura delle imposte pagate dall’impresa e non, come avveniva precedentemente, in misura piena e con conguaglio da accantonare in sospensione d’imposta presso l’impresa), ecc.

Anche la parte di semplificazione del sistema produrrà gettito di cassa non indifferente. La nuova procedura di accertamento con adesione contribuirà a ridurre il contenzioso, accelerando la definizione delle pendenze col fisco (aiutata in ciò dalla revisione del sistema sanzionatorio che consente abbattimenti delle sanzioni in caso di adesione e pone fine alla sproporzione tra infrazione, sanzione e capacità contributiva). Gli amministratori saranno meno deresponsabilizzati rispetto agli illeciti fiscali delle società, perché chiamati a risponderne in solido. La stessa unificazione degli adempimenti in regime di informatizzazione indurrà a maggiore fedeltà fiscale, perché la dichiarazione unica ai fini INPS, IVA, IRAP, IRPEF, INAIL, non potrà più dare cifre incoerenti tra loro ché queste, malgrado la diversità di base imponibile, balzerebbero subito in evidenza e verrebbero immediatamente riscontrate.

Fuori dalle deleghe, esiste un ventaglio di micro-tassazioni in aree che costituivano sostanzialmente delle zone franche. Vari provvedimenti, alcuni solo progettati, chiudono, con un’opera di bisturi sapientemente mirata, zone di elusione e consentono un maggior contrasto dell’evasione: lo scioglimento delle società di comodo (con l’attribuzione di un reddito presuntivo ai beni non strumentali); il computo dei trasferimenti pubblici nel reddito di impresa (non sarà più possibile dichiarare perdite quando in realtà si hanno profitti); l’obbligo di registrazione dei contratti di affitto e compra-vendita; la revisione del catasto; gli incentivi alla scoperta dell’evasione ICI; l’istituzione di nuovi sostituti d’imposta (amministratori di condominio), la normativa sui beni promiscui ecc. Altri provvedimenti mirano a far emergere redditi in nero e a riportare nella sfera personale cespiti e patrimoni che ora non lo sono. Tutto ciò produrrà gettito aggiuntivo.

Ai "più" delle entrate fiscali corrispondono dei "meno", che danno una impronta alla riforma. Quelle entrate addizionali andranno a finanziare una detassazione formale nel settore delle imprese, che è sicuramente più forte di quanto comunemente percepito.

La tassazione societaria è stata rivista essenzialmente con l’IRAP, la Dual Income Tax e il provvedimento sulle ristrutturazioni aziendali. Anche la nuova tassazione dei dividendi fa parte dell’insieme di provvedimenti destinati alla revisione dell’imposizione societaria. Nel suo complesso, questa parte della riforma è favorevole all’impresa: è finanziata, quindi, da entrate provenienti da coloro che indebitamente erano esclusi da principi generali di tassazione (talvolta le stesse imprese).

Il gettito IRAP

Perché parlo di detassazione con riferimento al complesso dei provvedimenti riferiti alla tassazione societaria? Per ciò che riguarda l’IRAP si è affermata una diffusa opinione contraria: ossia che costituisca sostanzialmente un aggravio per la maggioranza dei contribuenti o di intere categorie di contribuenti.

La Commissione dei Trenta ha esaminato la nuova imposta con particolare attenzione, con l’intento di vagliare tutte le possibili distorsioni, nonché tutte le possibili sistematicità di azione che in essa potevano essere insite; in primo luogo perché non le avrebbe accettate e avrebbe chiesto le dovute correzioni. La mia personale valutazione, che si basa su calcoli personali, è che l’IRAP, disegnata per mantenere "la parità di gettito" con i tributi soppressi, non rispetti tale "parità" ma dia gettito inferiore. L’imposta è stata ormai largamente studiata, dalla Morgan Stanley, dalla Banca di Roma, dal Credito Italiano, dalla Banca d’Italia, oltre che da singoli studiosi. Le mie valutazioni sono in linea con ciò che emerge da questi studi.

Faccio riferimento a quello dell’Ufficio Studi della Banca di Roma (autori: F. Cascone - S. Lugaresi – G. Oricchio), i cui risultati mi sembrano, più immediatamente percepibili ad occhio nudo. Il grafico 1 è riferito ad un settore a caso (materiali elettrici). Avrei potuto prendere a riferimento qualsiasi altro settore, producendo sempre lo stesso effetto visivo, (vedi grafico 2, 3, e 4, ancora scelti a caso) L’asse verticale dà la misura dell’incidenza della tassazione prima dell’entrata in vigore dell’IRAP, in proporzione del patrimonio netto di ogni singola impresa (i bilanci sono tratti dalla Centrale dei Bilanci 1995). Sull’asse orizzontale è misurata l’incidenza della tassazione complessiva che si sarebbe avuta lo stesso anno con una imposizione IRAP, sempre in proporzione dello stesso patrimonio netto. Quindi, il patrimonio netto è soltanto un fattore di omogeneizzazione, introdotto al puro scopo di compattare il grafico.

(Grafici 1 - 2 - 3 - 4)

La linea obliqua (bisettrice) segna il descimine di indifferenza tra nuova e vecchia tassazione; sopra di essa, la sostituzione delle vecchie imposte con l’IRAP è sfavorevole, sotto è favorevole. Come si può vedere, la maggior parte delle imprese si colloca sotto la linea, e tanto più sotto quanto più alta la è tassazione che aveva in precedenza (in relazione al patrimonio netto). C’è una nebulosa che appare in basso, con imprese che si trovano addensate attorno alla linea, in su e in giù. Si può vedere che anche sulla linea verticale, che corrisponde ad una tassazione precedente pari a zero, l’introduzione dell’IRAP non comporta solo peggioramenti, ma anche miglioramenti.

Si tenga presente che questo grafico sovrastima gli effetti dell’IRAP, in quanto non tiene conto della soppressione dell’ICIAP, dell’esclusione dei premi INAIL dalla base imponibile e di ulteriori revisioni della base imponibile (apprendistato e formazione lavoro) introdotte dopo il parere della Commissione dei Trenta. Il grafico non tiene neppure conto della clausola di salvaguardia, che la Commissione dei Trenta ha voluto, fosse asimmetrica, riferita soltanto alle imprese sottoposte ad un salto di imposta verso l’alto e non pure a quelle con un salto di imposta verso il basso. Tale clausola opera (in primissima approssimazione) come una linea che slitti verso l’alto, parallelamente alla bisettrice tracciata nel grafico (si faccia riferimento alla Figura 4); linea che lascia al suo esterno quelle imprese, particolarmente colpite dall’introduzione dell’IRAP, per le quali la tassazione di competenza viene attenuata e riportata verso la linea di limitazione.

La Commissione avrebbe voluto che la salvaguardia fosse stata tale da lasciare sopra la linea (di salvaguardia) un numero alto di imprese, per le quali essa dovesse agire come limite per i pagamenti. Avrebbe voluto anche che essa rimanesse ferma per tre anni per dare alle imprese più esposte all’IRAP tempo effettivo per adeguarsi. La scelta del Ministero è stata di portare lo slittamento troppo in alto e di farlo salire ulteriormente verso l’alto nel corso dei tre anni di salvaguardia. Ritornerò poi sull’argomento.

La mia convinzione, al di là delle cifre ufficiali e pur nel rammarico di ciò che non è stato con la clausola di salvaguardia, l’introduzione dell’IRAP comporterà una perdita di gettito tra i due e i tremila miliardi. Se ho ragione, essa introduce, circa tremila miliardi di sgravi fiscali, essenzialmente nel settore delle imprese. Anche il Ministro comincia a dubitare che il 4,25% sia un’aliquota di equilibrio.

E’ vero che il grafico è riferito solo a società di capitali e non a coloro il cui reddito di impresa è tassato in sede IRPEF. In quest’ultimo caso, non si possiede un’estensione di studi indipendenti, come quella prodotta per le società di capitale. Abbiamo, però, dei campioni di dichiarazioni dei redditi chiesti dalla Commissione bicamerale Riforma Fiscale in sede di audizioni, ad artigiani, commercianti, mondo agricolo, categorie professionali e al mondo imprenditoriale in genere. Tale copiosa quantità di dati è stata esaminata con molta attenzione, perché, come detto, non si voleva che ci fossero modi sistematici (e quindi distorsioni) nell’operare della nuova imposizione. E’ ovvio che qualcuno pagherà in più e che qualcuno in meno, ma era importante per la Commissione che non fosse individuabile a priori chi fosse destinato a pagare di più e chi di meno; che non ci fosse, cioè, un’associazione stretta tra una classificazione delle imprese per tipologia o categoria e la loro collocazione in relazione agli effetti dell’imposta.

Questa massa di informazioni, prodotta dalle stesse categorie, conferma in grandi linee i dati che il Ministero cita nella relazione alla legge. Si verifica in media (tenendo conto delle nuove aliquote IRPEF e detrazioni) un miglioramento per coloro che hanno redditi tra lo 0 e 60 milioni, un sostanziale pareggio per chi ha redditi tra 60 e 135 milioni, e un aggravio per chi supera i 135, dove l’aggravio medio su quest’ultima categoria dovrebbe aggirarsi attorno ai due milioni. Se si tiene conto che il 95% di artigiani e commercianti e l’80% delle categorie professionali si colloca nella classe 0-60 milioni, si ha anche, per le società di persone e per i professionisti, una sostanziale conferma del quadro che emerge per le società di capitale; quadro di detassazione implicita del reddito d’impresa.

Certo, anche nel caso di società di persone la variabilità è enorme in ogni classe di reddito. E questo comporta che si riscontrino anche aggravi sostanziali per chi è tra 0 e 60 milioni.

Anche a causa di questa variabilità, sarebbe stato importante che la clausola di salvaguardia fosse stata posta in modo più stringente per dare la certezza a tutti che non ci sarebbe stato alcun salto significativo d’imposta nell’immediato, e che, in presenza di un tale esito finale, vi sarebbe stato un tempo di aggiustamento adeguato (tre anni).

Io non escludo che la debole salvaguardia incorporata nella "clausola" specifica varata dal Governo derivi anche dalla preoccupazione del Ministero per la possibile differenza di gettito tra imposte abolite e IRAP (inclusi i suoi effetti indiretti dovuti all’aumento dell’imponibile IRPEF e IRPEG).

Tuttavia, personalmente avrei dato, massima priorità all’obiettivo che l’IRAP entrasse in vigore in modo "dolce". Se vi erano preoccupazioni di allargare in tal modo una probabile scopertura di gettito, avrei scelto, piuttosto che rendere poco protettiva la clausola di salvaguardia (e sempre meno nei due anni successivi), la strada di renderla simmetrica, tanto per aggravi che per sgravi d’imposta; oppure, in alternativa e preferibilmente, avrei scelto la strada di finanziarla con un ritocco all’insù dell’aliquota. Di quanto? Tanto quanto necessario a far si che, data una soglia in valore assoluto comunque priva di salvaguardia e fissata per classi di imponibile, nessuno pagasse – se sopra di essa – oltre il 20 il 30% in più delle imposte abolite, al netto degli effetti di indeducibilità.

3. Processi di traslazione e di modificazione dei comportamenti.

La clausola di salvaguardia è rilevante per le code nei salti di tassazione e per quella parte d’imprese che subisce un aggravio. In generale, aggravi e sgravi individuali come stimati dai grafici 1-4 hanno rilevanza in relazione all’impatto immediato sui singoli contribuenti. Se allunghiamo la prospettiva, gli aggiustamenti che dovrebbero avvenire nel tempo rendono pertinente la domanda se effettivamente questa imposta verrà pagata in toto dalle società e dalle imprese individuali o verrà traslata.

Vari processi in questo senso dovrebbero verificarsi. Si pensi ai collaboratori in regime coordinato e continuativo: è lecito attendersi una ricontrattazione dei loro compensi che spinga verso di essi l’aggravio IRAP, che formalmente è subito da imprese e studi professionali. Si incaricherà il mercato di ciò, in assenza di una facoltà di rivalsa. "Facoltà di rivalsa" che, se non prevista esplicitamente, non è neppure preclusa da impedimenti giuridici e alla lunga potrà intervenire esplicitamente o implicitamente (salari più bassi di quanto sarebbe stato altrimenti) anche nei contratti di lavoro dipendente. I rapporti di forza contrattuale sono senz’altro favorevoli alle imprese.

Il ragionamento può estendersi ai flussi d’interesse, che forse è il punto più delicato nella tassazione IRAP e dove i rapporti di forza sono sfavorevoli alle imprese? E’ vero che l’IRAP introduce una penalizzazione per chi è più indebitato. Nell’analisi congiunta con la Dual Income Tax emerge inequivocabile una certa predilezione del legislatore per le imprese patrimonializzate o che mirano a patrimonializzarsi: l’imposizione è premiante per esse. Tuttavia, con una l’aliquota IRAP che pesa per il 4,25% sul monte interessi, l’aggravio per chi è indebitato equivale ad un’addizione di 35-40 centesimi di punto sui tassi di interesse pagati effettivamente. Oggi, infatti, per una piccola impresa tali tassi possono aggirarsi attorno all’otto, otto e mezzo per cento (nel Sud sono molto più alti); moltiplicati per 4,25 danno un’addizione non discosta da 0,35 centesimi di punto in più. Le imprese si erano indebitate un anno fa a tassi almeno il 4% più alti di quelli attuali e, se lo aveva fatto, li avevano trovati sostenibili. Ora uno 0,35% che si innesta su una imponente caduta dei tassi passivi, non può comportare rischi di sopravvivenza neppure per le imprese più marginali, indebitate per necessità e non per comportamenti elusivi. la Commissione dei Trenta nel suo vaglio dell’IRAP ha tenuto come criterio guida che non vi fossero rischi per nessuno di andare fuori mercato.

Al lato del tema relativo alla limitatezza dell’aggravio del monte interessi, due altri fattori vanno considerati, sempre riferiti alla questione della tassazione degli interessi attraverso l’IRAP. In primo luogo, il fatto che, anche attraverso la performance fiscale, si sia arrivati a porre sotto controllo il bilancio pubblico, ha fatto della riforma nel suo complesso e dei provvedimenti fiscali aggiuntivi uno degli anelli nella catena causale che ha portato poi alla caduta dei tassi d’interesse (effetto-affidabilità). Gli ultimi due ritocchi del tasso di sconto sono stati cumulativamente dell’1,25%; nella misura in cui si siano trasmessi ai tassi bancari, il problema della tassazione degli interessi passivi operato dall’IRAP è abbondantemente già superato. Senza dire poi della rivalutazione complessiva che le imprese hanno avuto sia per le prospettive dei profitti (conseguenti alla ripresa) sia per la lievitazione dei valori degli stock (boom di borsa e sue diramazioni).

Non è questa, però, l’unica risposta al problema posto prima circa la traslazione e quindi circa il "chi paga" in ultima istanza. Se il mutamento dell’imposizione che ha introdotto l’IRAP e la Dual Income Tax funziona, avremo sicuramente che molti degli impieghi attuali del sistema finanziario verso le imprese saranno cancellati, perché diventeranno mezzi propri di quest’ultime; quindi, a parità di depositi, (perché i depositi nel sistema nel suo complesso non si cancellano) gli intermediari finanziari saranno indotti a maggiore concorrenza per trovare sostituti a quegli impieghi. Se è così, è lecito attendersi che si abbassi lo spread attuale tra i tassi bancari e i tassi di mercato (quale che sia l’andamento futuro di questi ultimi). La traslazione avverrà allora per azione del mercato, non della contrattazione (perché quest’ultima via è preclusa da rapporti di forza esistenti).

Certo, le imprese percepiranno individualmente tutto ciò come uno stato di natura, continueranno a sentirsi tassate sull’indebitamento e sarà difficile per loro ricondurre il processo di regressione dei tassi bancari verso quelli di mercato a una catena causale che ha come primo movens l’IRAP stessa; ma, chi ha capacità di vedere l’aspetto sistemico non può non commisurare i tassi di interesse pagati dalle imprese (benché tassati) con quelli (più alti) che avrebbero prevalso in assenza della nuova tassazione.

Questo argomento ci introduce ad un tema delicato e poco dibattuto, diverso dal tema del "chi perde, e chi guadagna", su cui si concentra l’attenzione oggi, ma che, date le cautele introdotte dal legislatore, finirà per essere rapidamente superato. Si tratta degli effetti che la nuova tassazione produrrà domani a livello di comportamenti microeconomici, quando si sarà perso il rapporto con la tassazione precedente; effetti che riguardano indistintamente coloro che avranno guadagnato e che avranno perso. Anche a parità di incidenza con le vecchie imposte, la percezione individuale sarà probabilmente di una tassazione gravante sul costo del lavoro e sull’indebitamento. Quest’ultima potrà portare a comportamenti virtuosi e, tra l’altro, all’apertura del capitale dell’impresa (non necessariamente l’apporto dei mezzi propri dell’imprenditore ma anche l’apertura a nuovi soci, al mercato dei capitali in senso lato, all’evoluzione verso strutture societarie giuridicamente più evolute).

Per quanto riguarda la tassazione sul costo del lavoro, reputo non superflua la domanda se stimolerà l’adozione di tecniche più meccanizzate e spingerà al risparmio di forza lavoro. Spero che si producano su questo punto studi altrettanto soddisfacenti e numerosi di quanti se ne sono prodotti sul "chi guadagna e chi perde".

La mia impressione è che l’IRAP non dovrebbe comportare, rispetto all’oggi, un mutamento sostanziale dei comportamenti imprenditoriali. Con l’introduzione dell’IRAP, il costo indiretto del lavoro non dovrebbe mutare molto nella media (a parte qualche percepibile riduzione nei settori dell’edilizia e del commercio). Se tale costo complessivo entra, come entra, nelle decisioni imprenditoriali e produce (ammesso che la relazione di causa–effetto sia stretta) la dinamica che riscontriamo nella domanda di lavoro, non c’è motivo di supporre che tale dinamica muti a causa dell’introduzione dell’IRAP, essendo il cuneo fiscale rimasto essenzialmente invariato. Ciò che è variata è la denominazione dei prelievi attraverso i quali viene estratta una pressoché identica imposizione indiretta, e non penso che la denominazione faccia differenza per gli imprenditori.

Il ragionamento potrebbe, però, non tanto riferirsi ai costi assoluti del lavoro quanto interessare il rapporto relativo di tassazione fra capitale e lavoro; implicando, cioè, una eventuale non neutralità nel passaggio dalla situazione di partenza alla nuova tassazione nel momento in cui venisse posta a confronto l’adozione di una tecnica più meccanizzata con quella di una meno meccanizzata.

L’argomento porterebbe ad entrare in questioni dottrinarie e a cercare definizioni all’interno di complessi modelli congetturali, dove la risposta è quasi sempre insita nelle ipotesi di partenza e varia con esse: forza lavoro e capitale sono sostituibili l’uno all’altro o complementari? Quanto profitto produce un lavoratore aggiuntivo, che non si sarebbe altrimenti generato? Tale profitto è zero e quel lavoratore produce al margine solo i suoi costi?

Per carità, non entriamo nell’argomento e affidiamoci a considerazioni di buon senso, le quali inducono a ritenere plausibile che il risparmio relativo di forza lavoro non derivi da variazioni marginali della tassazione del lavoro e del capitale: le tecnologie che si offrono, a risparmio di forza lavoro, sono tali da dominare le precedenti quasi a qualsiasi costo relativo del lavoro. In più, lievi variazioni di costo relativo contano ancora meno se il confronto è fatto con i Paesi dove il costo del lavoro è dieci volte inferiore al nostro. In conclusione, a meno che la crescita del reddito non s’impenni, e che politiche di sviluppo funzionino, mi aspetto un trend sfavorevole alla crescita dell’occupazione, ma mi aspetto anche che su quel trend sia del tutto ininfluente l’introduzione dell’IRAP.

Un conto è affermare che sarebbe stato desiderabile che il carico fiscale sulla retribuzione del lavoro diminuisse (e l’IRAP nella sostanza non raggiunge a pieno questo obiettivo), un altro è affermare che l’IRAP provochi in sé disincentivi all’occupazione. Quest’ultima affermazione è non sequitur, la prima è seria e certamente non risolta, ponendo un problema sacrosanto che rimane nell’agenda del legislatore. Il passo resta da compiere e, quando la situazione lo consentirà, la detassazione già prevista nei documenti ufficiali dovrà, a mio avviso, essere mirata sui contributi indiretti che gravano sul lavoro dipendente e che sono costi per le imprese.

4. La detassazione degli utili prima e dopo.

Fin qui si è parlato di IRAP. La riforma della tassazione delle imprese è, però, congegnata in modo tale da consentire alle imprese che subiscono aggravi fiscali a causa dell’IRAP, soprattutto per la loro struttura di bilancio (perché, per esempio, sono altamente indebitate, o hanno bassa redditività o sono sottocapitalizzate), di essere anche le imprese che maggiormente possano sfruttare la Dual Income Tax e compensare gli effetti. Anche il provvedimento sulla Dual Income Tax comporterà dei sacrifici per il bilancio dello Stato e vantaggi per le imprese in quanto riconosce una tassazione agevolata (del 19% anziché del 37%) a quella parte di profitti che corrisponde figurativamente al rendimento attribuito ai nuovi apporti di capitale (inclusi gli utili reinvestiti). Il rendimento figurativo è almeno equiparabile a quello dei titoli di stato e può essere fissato ad un livello superiore (fino a 3 punti in più) per tener conto del rischio d’impresa. L’originario provvedimento, che limitava a due punti il rendimento addizionale, è stato corretto su indicazione della Commissione.

Abbiamo sollecitato il Ministro a dare forte incisività alla Dual Income Tax per due scopi. Da un lato per andare oltre l’obiettivo di rendere neutrale il fisco rispetto alle fonti di finanziamento delle imprese e stabilire di conseguenza una condizione di maggior favore per il finanziamento con mezzi propri. La Dual Income Tax rimuove, infatti, la convenienza a tenere fuori dall’impresa fondi disponibili all’imprenditore per utilizzarli, invece, come collaterali all’indebitamento delle imprese. Per la Commissione sarebbe opportuno che, qualora fossero tali fondi impegnati all’interno dell’impresa, il rendimento non fosse solo equivalente, ma percettibilmente maggiore.

(Tavola 2)

E’ bene sottolineare che la Dual Income Tax non penalizza chi è indebitato ma semplicemente premia chi si patrimonializza (e si patrimonializza non soltanto per realizzare investimenti, ma anche per acquisire nuovi partecipazioni e abbattere l’indebitamento). Il meccanismo è più potente di quello messo in piedi dalla legge Tremonti (che considero comunque una legge meritoria): a) perché non è condizionato né commisurato ad un incremento degli investimenti, difficile da realizzare con continuità, e (ciononostante) b) il beneficio è permanente; c) è contestuale ad un rafforzamento patrimoniale delle imprese (almeno per le società di capitale); d) è accoppiato ad una riduzione dell’aliquota formale sui profitti (dal 53,2% al 37%, senza tener conto dell’abolizione della patrimoniale); e) non è rimangiato, in caso di distribuzione degli utili, dal meccanismo della maggiorazione di conguaglio; f) non si presta a comportamenti opportunistici.

Il secondo motivo per la richiesta di un più alto riconoscimento dell’agevolazione risiede nel fatto che, malgrado queste proprietà, la Dual Income Tax opera lentamente all’inizio. Opera con sempre più forza man mano che si procede nella capitalizzazione e quindi aumenta la parte dei profitti attribuiti figurativamente al rendimento del nuovo capitale (cumulativo) rispetto alla restante parte dei profitti.

Ma ci vogliono comunque molti anni prima che la parte agevolata dei profitti diventi preponderante e la tassazione media raggiunga il 27%, ossia il plafond minimo sotto il quale la tassazione in sede IRPEG non può comunque andare. L’unica accelerazione possibile si verifica quando l’investimento riguardi una società di nuova costituzione, per la quale il capitale è interamente costituito con nuovi apporti e di conseguenza il 27% di tassazione dei profitti opera da subito. Non è poco e probabilmente indurrà comportamenti consequenziali, rafforzati dal fatto che per le società di nuova costituzione il riporto annuo delle perdite è a tempo indefinito (come previsto dal provvedimento sulle ristrutturazioni aziendali).

La Commissione, proprio considerando ciò, avrebbe preferito un meccanismo più rapido anche se con un plafond più alto, però facilmente raggiungibile.

In pratica sarebbe possibile raggiungere un meccanismo più rapido di azione della Dual Income Tax abbassando ulteriormente l’aliquota agevolata di tassazione dei profitti (prevista ora al 19%, invece che al 37%), oppure alzando il rendimento figurativo riconosciuto. La Commissione ha ritenuto quest’ultima via sicuramente preferibile, perché la prima avrebbe presentato inconvenienti: nel caso in cui si dovesse arrivare ad una aliquota unica di tassazione sostitutiva dei rendimenti finanziari (aliquota per ora fissata al 12,50 per i titoli di stato e 27% per depositi e altri titoli) e dei capital gain (12,5%), tale aliquota singola non può che essere unificata anche a quella che si applica al rendimento figurativo degli apporti di capitale nelle aziende (e quindi aggirarsi attorno al 19%, dov’è ora per la tassazione agevolata dei profitti).

Malgrado la soddisfazione normativa alle posizioni della Commissione (che ha portato alla correzione verso l'alto del rendimento addizionale riconosciuto), per il primo calcolo dei profitti soggetti a tassazione agevolata (esercizio 1997) il Ministero ha fissato al 7% il rendimento normale dei nuovi apporti di capitale (contro un rendimento medio dei titoli di Stato a lungo termine che è stato circa del 6,5% nell’anno). La fissazione di tale rendimento è condivisibile solo perché si applica a decisioni di capitalizzazione già prese prima ancora dell'entrata in vigore della Dual Income Tax, in un certo senso, l’abbassamento della tassazione d’impresa che ne consegue rappresenta per le imprese che ne usufruiscono un guadagno insperato (un guadagno, che, non dimentichiamolo, rimarrà permanente). L'altezza fissata per quel rendimento non va bene, però, se dovessimo prenderla come indicazione dei criteri a cui si atterrà in futuro il Ministero. E’ opportuno, invece, che, con la Dual Income Tax a regime e pienamente in opera come riferimento ex-ante per le decisioni d’impresa, il rendimento riconosciuto sia o si avvicini a quell’extra di 3% che è il massimo previsto dalla legge. La convenienza degli imprenditori a investire su sé stessi deve essere sensibilmente percepibile.

Questi orientamenti sono rafforzati dalle considerazioni che suscitano i particolari meccanismi previsti per le società di persone allorché il reddito d’impresa è tassato in sede IRPEF.

In questo caso, sicuramente l’effetto della Dual Income Tax è inizialmente molto debole. Sulla prima tranche riconosciuta ai fini della Dual Income Tax, la tassazione agevolata del 19% corrisponde esattamente a quello che si sarebbe pagato comunque nel primo scaglione di reddito. L’agevolazione emerge solo man mano che cresce il reddito attribuito figurativamente ai mezzi propri (con la crescita di questi ultimi) e una volta superato il reddito che corrisponde al primo scaglione. A poco a poco, cresce la distanza tra l’aliquota marginale (che virtualmente può arrivare al 46%) e il 19%, aliquota alla quale il reddito figurativo prodotto dall’investimento cumulativo (o dalle poste riconosciute ai fini DIT) rimane ancorato ai fini della tassazione in sede IRPEF.

La tavola 3 riporta il risparmio d’imposta corrispondente a vari livelli di apporti di capitale (che beninteso possono essere raggiunti cumulativamente nel tempo). Il vantaggio in termini di risparmio d’imposta è progressivamente più forte, ma bisogna arrivare ad apporti alti.

(Tavola 3)

Questo mi fa ritenere che anche per le società di persone sarebbe stato opportuno predisporre meccanismi che consentissero un’accelerazione all’inizio della DIT, a costo di qualche rallentamento successivo. Quando si arriva, ad esempio, a due miliardi di nuovo capitale cumulativo il risparmio d’imposta è di 27 milioni l’anno: poiché è permanente, è come se l’imprenditore godesse in corrispondenza di una rendita costante di 27 milioni l’anno, che, al 5% di tasso di interesse (usato per comodità di calcolo), dà un valore attualizzato di 540 milioni. Quindi è come se lo Stato avesse contribuito per un quarto a quell’apporto di capitale.

Qui vale la pena di ricordare che per le società di persone anche l'acquisto di beni strumentali (ancorché effettuato in sostituzione e non in aggiunta di quelli esistenti) rileva ai fini della Dual Income Tax, introducendo una nuova differenza di maggior favore per l’imprenditore rispetto alla vecchia legge di agevolazione Tremonti. Fra l’altro, la legge non sembra escludere, (a meno che si tratti di una svista commessa sia dal Ministero che dalla Commissione che non l’ha rilevata) che l’agevolazione si applichi qualora l’acquisto dei beni strumentali avvenga con indebitamento. Quindi, se i due miliardi del nostro esempio corrispondono ad acquisto di beni strumentali, il 25% circa di quell’acquisto è finanziato a fondo perduto dallo Stato.

Vi è da dire, tuttavia, che quel 25% di finanziamento si ottiene nel tempo, come rendita perpetua, e che è tale solo quando si raggiunga quella cifra. Per i primi duecento milioni, per esempio, praticamente non si risparmia nulla e per i secondi 200 milioni l’incentivazione statale, misurata come rendita perpetua, è di poco superiore al 5% degli acquisti di beni strumentali.

La portata della Dual Income Tax per le imprese personali va valutata anche in relazione al altri aspetti e va inquadrata nel contesto di facilitazione fiscale e giuridica alla trasformazione delle imprese e, soprattutto, all’evoluzione da società di persone verso società di capitale. In primo luogo, su richiesta della Commissione il sistema si estende anche alle società in contabilità ordinaria per le opzioni, purché irreversibili. In secondo luogo, sono stati eliminati i costi di trasformazione delle società individuali in società di capitale, agevolando l’evoluzione verso forme di impresa più complesse. Il provvedimento fiscale di delega sulle ristrutturazioni aziendali consente, infatti, la neutralità fiscale (cioè il mantenimento dei valori) nel conferimento dalla vecchia alla nuova società. L’imprenditore non perde la sua qualifica anche se conferisce l’unica azienda. Tuttavia, le imprese individuali in possesso di immobili, rischiano di incappare comunque nell’INVIM decennale, in spese di perizia e altre spese accessorie. Il problema, segnalato dalla Commissione, è stato risolto in un successivo importante provvedimento di semplificazione fiscale, che è assurto impropriamente all’onore delle cronache per un articolo di legge riguardante l’anticipo sul finanziamento pubblico dei partiti: l’INVIM viene calcolata sulla stessa base usata per la liquidazione dell’imposta di successione, e quindi in modo di fatto forfettario; in più, il Governo si è impegnato a prevedere spese ridotte a metà per la perizia giudiziaria, che potrebbe, in realtà, essere eliminata nel caso di mantenimento dei valori di libro.

5. Problemi aperti

Fermo qui, per non eccedere, la segnalazione dei punti salienti della nuova tassazione societaria e prendo spunto dalla Dual Income Tax per aprire, invece, il capitolo di ciò che è, a mio avviso, in agenda per la tassazione societaria a partire dal punto cui si è arrivati con l’esercizio delle deleghe.

La Dual Income Tax poteva essere anche orientata su principi diversi, ossia riconoscendo non all’incremento delle riserve ma a tutto lo stock di riserve già accumulato un rendimento figurativo, da tassare poi in modo agevolato. Se il criterio adottato fosse stato questo, avrebbe comportato una catena di opzioni successive, ad esso consequenziali. Per esempio, tutte le plusvalenze avrebbero dovuto essere rilevanti ai fini della determinazione dei profitti, perché qualora fossero emerse, avrebbero dovuto essere tassate ad aliquota piena come una sorta di biglietto d’ingresso nel nuovo sistema, visto che da allora in poi avrebbero rilevato ai fini della Dual Income Tax. Ma, con il provvedimento sulle ristrutturazioni di aziende e complessi di aziende, si è scelto, invece, di sottoporre le corrispondenti plusvalenze ad una aliquota sostitutiva. E, similmente, la scelta di una tassazione sostitutiva è stata adottata per la liberazione delle riserve schiave della maggiorazione di conguaglio. Tale affrancamento è stato, si’, reso obbligatorio ma con una aliquota agevolata.

Un’altra conseguenza che sarebbe seguita all’applicazione della Dual Income Tax allo stock di riserve avrebbe riguardato la cancellazione del credito di imposta sui dividendi considerando, in tal modo, l’impresa come soggetto autonomo dai soci (persone fisiche) che la posseggono. Così si sarebbe garantito un finanziamento al sistema che, poiché molto costoso, avrebbe altrimenti potuto riconoscere alle riserve solo un rendimento molto basso, anziché un rendimento pieno equiparabile a titoli di Stato. Anche su questo punto le scelte sono state fatte, in coerenza con l’impostazione seguita di riconoscere un rendimento figurativo soltanto all’incremento delle riserve, e tutta la materia del credito di imposta è stata rivista su una base diversa.

Bene inteso, la scelta di far operare la Dual Income Tax solo sui nuovi flussi di capitale è la più efficace, in quanto consente di porre tutte le imprese su uno stesso piano e far partire il sistema da subito per tutti. L’altra è più elegante, perché conduce a pulire i bilanci e a ricongiungere, almeno su questo punto, quelli civilistici a quelli fiscali, ma è costosa e finisce per far operare la storia pregressa in modo diverso per le varie imprese. Per quelle più patrimonializzate e meno redditizie, la Dual Income Tax, sebbene abbassi la tassazione dei profitti, finisce per non operare dinamicamente.

Ciononostante, penso che prima o poi si porrà il problema di trattare uniformemente il reddito che scaturisce dalle riserve.

Un altro problema che rimane ancora aperto è la tassazione dei gruppi. Su questo punto si sono fatti passi avanti rilevanti nell’esercizio delle deleghe. Nel provvedimento sulle ristrutturazioni aziendali si è chiusa la possibilità di utilizzare le cosidette bare fiscali; ma ciò non riguarda i gruppi, cui è riconosciuta la possibilità di utilizzare le perdite di una società su qualsiasi altra società che ne faccia parte. Similmente, il disavanzo di fusione o di concambio assumono di nuovo rilevanza fiscale nel caso in cui la società incorporata sia in grado di dimostrare che le plusvalenze sono già state tassate. Inoltre, crediti e debiti d’imposta possono essere compattati (si veda il provvedimento sulle semplificazioni) all’interno del gruppo.

Sulla tassazione del gruppo bisognerà andare molto avanti, forse arrivando a una IVA di gruppo e comunque riconoscendo che si è di fronte ad un unico soggetto fiscale.

Va citato poi il problema della tassazione delle piccole imprese, ossia una tassazione specificamente mirata con a base criteri ad hoc di bilancio. Nel sistema delle nostre imprese circa il 90% ha meno di venti addetti, il che impone criteri di tassazione idonei e semplificati, non necessariamente uniformati, con modalità univoche, a quelli vigenti per le grandi imprese. Meglio se una certa semplificazione coincida anche con una detassazione.

Un altro problema da affrontare in sede fiscale è il cuneo tra retribuzione netta e retribuzione lorda. Ne ho già fatto cenno. Il primo spazio che si aprirà per ridurre il carico fiscale dovrà essere indirizzato proprio qui, a beneficio contemporaneo di imprese e famiglie.

Invece, - come ho già detto in apertura – le imprese non potranno più attendersi norme mirate a privilegiare categorie o settori. E’ proprio della riforma il mutamento nella filosofia di intervento settoriale. Questo dovrà essere ad hoc, mirato e temporaneo, ma non può spezzare l’universalità del sistema fiscale. Universalità che tanto meno può essere spezzata con concessioni di carattere lobbistico o strumentale. Bisogna, anzi, procedere ulteriormente sulla strada intrapresa rendendo questo sistema sempre più universale e trasparente, rimuovendo, se sono rimaste, le residue frammentazioni che incorpora.

6. Un nuovo scenario

Per finire, è opportuno inquadrare la riforma all’interno di uno scenario trasformato dal risanamento macroeconomico.

Oggi il deficit pubblico è sotto controllo; in altre parole, lo Stato ricorrerà meno al risparmio del pubblico e avrà meno bisogno di stabilire un sistema privilegiato per il suo finanziamento. Sistema privilegiato che ha prodotto alcuni danni, perché ha impedito che nel nostro Paese si sviluppasse un mercato dei capitali propriamente detto e, quindi, ha abituato le imprese al debito bancario. Se lo stock di debito pubblico, rimarrà fermo ai livelli attuali, se le privatizzazioni continueranno (e non ho dubbi che ciò avverrà), se i tassi di interesse scenderanno e se tutto si comporterà secondo previsioni, raggiungeremo presto livelli di rapporto tra debito e PIL prima impensabili. Al 100% di tale rapporto ad esempio (quindi nell’arco di 6 – 7 anni), vi saranno 400mila miliardi aggiuntivi di disponibilità finanziarie di famiglie e imprese, che avrebbero, in altre circostanze, dovuto essere attratti verso l'impiego in titoli pubblici. I portafogli degli operatori si reindirizzeranno verso altri strumenti finanziari, in parte verso titoli esteri, in parte verso titoli interni, con maggiore sofisticazione e diversificazione di quella che avevamo in precedenza. Quindi esistono le condizioni per rinvigorire il nostro mercato dei capitali.

Il processo ovviamente va curato, guidato e perseguito; per questo abbiamo bisogno di agire su più fronti. Innanzi tutto su quello normativo, non solo definendo sempre più estesamente le regole di governo societario e di tutela delle minoranze, ma favorendo la socializzazione del risparmio attraverso la piena operatività di intermediari quali i fondi di investimento, fondi pensioni, e fondi chiusi; attraverso i mercati telematici locali, facendo nascere altre figure di intermediari e dando un fortissimo impulso al merchant banking e al venture capital. Va creato un sistema ad hoc per le nostre imprese.

Si può fare della finanza un punto di forza del nostro sistema produttivo, ma è necessario trovare le imprese pronte a questa trasformazione. Il che implica anche la costruzione di un sistema fiscale capace di eliminare l’ingerenza e la discriminazione del fisco tra debito e capitale proprio o qualsiasi altra forma alternativa di finanziamento.

Ciò che oggi viene percepito come una penalizzazione dell’indebitamento non è altro che il ritiro del fisco da una discriminazione impropria a favore di un tipo di finanziamento. Si è raggiunta attualmente una neutralità tra impiego di mezzi propri e indebitamento con qualche vantaggio, ma limitato, per il primo canale. E questo stimolo fiscale ai comportamenti micro economici virtuosi disegna un assetto che pagherà nel lungo periodo. Le imprese saranno stimolate ad essere più patrimonializzate e meno fragili da un punto di vista finanziario.

Il fisco interviene nel nuovo scenario anche reimpostando il quadro fiscale dell'intermediazione finanziaria e della trattazione del risparmio. Tra le deleghe fiscali una riguardava la tassazione delle rendite finanziarie e dei guadagni in conto capitale. Qui ci troviamo di fronte a un pezzo originale del ridisegno del sistema fiscale operato dal Governo. Originale, perché riconosce plusvalenze e minusvalenze, le tassa in modo moderato e sostitutivo, lascia agli operatori la scelta tra mantenere l’anonimato o non mantenerlo e, nel primo caso, di farsi amministrare o gestire il patrimonio da intermediari specializzati. Spinge quindi i risparmiatori verso questi ultimi, con ovvio vantaggio sistemico per la stabilità e l’efficienza dei circuiti finanziari, ma anche con ovvio vantaggio per il fisco, che pone, in capo agli intermediari, come sostituti d’imposta, il calcolo, la determinazione e il pagamento di quanto dovuto. La parte più innovativa del provvedimento riguarda la tassazione di quanto maturato nel risultato di gestione (rendite e guadagni capitale insieme), sia per i fondi sia per le gestioni individuali. E’ un disegno giudicato positivamente da tutti gli intermediari da noi interpellati e accolto favorevolmente dai mercati finanziari, tanto è vero che non ha ostacolato il boom della borsa. E’ anche un tassello di una costruzione complessa, posta attorno alle imprese per portarle ad un mercato aperto in condizioni ottimali, facendo dei mercati finanziari un punto di forza per il nostro sistema produttivo. A ragione penso che questo provvedimento, apparentemente estraneo, vada citato tra quelli cui riferirsi in sede di valutazione del nuovo quadro di tassazione societaria.

La Comunità Europea, che nella fase di avvicinamento alla moneta unica è stata particolarmente severa e diffidente nei nostri confronti, quando ha esaminato il piano di convergenza dell’Italia ha dedicato un capitolo specifico alla riforma fiscale. Verso di essa si è sorprendentemente sbilanciata in elogi e giudizi lusinghieri, che vale la pena citare, almeno nelle frasi di sintesi, visto che la valutazione che la Comunità dà della riforma è poco nota ed è stata disattentamente colta dagli organi di informazione. "Le attività, l’investimento dell’impresa trarranno verosimilmente beneficio dal nuovo sistema fiscale". "Le misure introdotte nella tassazione riflettono un grande sforzo di razionalizzazione del sistema fiscale e tracciano la strada per guadagni di rendimento, che diverranno chiaramente visibili in un lungo periodo. Infatti, la riforma affronta un numero di distorsioni che ha caratterizzato il sistema fiscale nelle ultime decade e favorisce la competitività del sistema economico" e continua affermando che "la riforma fiscale sembra totalmente in accordo con gli orientamenti espressi di recente dalla Commissione in campo di politiche fiscali".

A mio avviso, vi è certo ancora molto da correggere, e molto ancora da fare, ma partiamo da un sistema che oggi ci consente una base solida di aggiustamento e che, sostanzialmente, è stato orientato in una direzione che sento di condividere. Questi aggiustamenti, debbono essere compiuti con le categorie produttive e professionali, assieme alle quali la Commissione bicamerale ha esaminato i vari passaggi della riforma. Nell’esperienza della Commissione dei Trenta abbiamo visto che tutto ciò può essere realizzato al di fuori di un rapporto lobbistico. E’ stato un punto di massimo interesse della mia esperienza constatare che, di fronte ad obiettivi chiaramente discernibili e trasparenti e in un indirizzo di conduzione pubblica che non lascia più spazio al "mercato politico", le categorie assumono una visione generale. Svolgono allora – e ciò è divenuto sempre più predominante e prorompente strada facendo - una funzione di segnalazione di aspetti problematici e di simulazione ex-ante degli effetti dei provvedimenti, che è cruciale per il legislatore. Sui pareri che la Commissione è andata via via esprimendo si è condensato tutto il dibattito sugli schemi governativi, che, in altre circostanze, si sarebbe sviluppato attorno ad un Libro Bianco in merito. La funzione di cerniera tra categorie produttive e professionali e Governo è stata forse il contributo maggiore che la Commissione Riforma Fiscale ha dato alla riforma.

Salvatore Biasco

(1) Testo (rivisto dall'autore) della relazione introduttiva esposta in occasione del Convegno tenuto dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dall'Ordine di Roma il 4 marzo 1998. L'autore desidera ringraziare il Prof. Baldassarri per le utili osservazioni che gli hanno consentito di precisare meglio il proprio pensiero.

Tavola 1
Fiscalizzazione oneri sociali dal 1° gennaio 1997

Soggetti beneficiari

Aziende operanti nel Centro Nord ed Abruzzo

 

Tbe

Enaoli

Ass. Pens.

Ssn

Tot.

Imprese manifatturiere ed estrattive (industriali ed artigiane); impiantistiche dei settori metalmeccanico; armatoriali; di autotrasporto per c/t nel rapporto tra autisti e dipendenti da 1 a 5; di installazione di impianti per l’edilizia, indipendentemente dalla loro classificazione e semprechè applichino il Ccnl del settore metalmeccanico; imprese del trasporto aereo.

 

 

1.66

 

 

0.16

 

 

0.20

 

 

2.84

 

 

4.86

Soggetti beneficiari

Aziende operanti Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sardegna, Molise, Sicilia

 

Tbe

Enaoli

Ass. Pens.

Ssn

Tot.

Imprese manifatturiere ed estrattive (industriali ed artigiane); impiantistiche del settore metalmeccanico; armatoriali; di autotrasporto per c/t nel rapporto tra autisti e dipendenti da 1 a 5; di installazione di impianti per l’edilizia, indipendentemente dalla loro classificazione e semprechè applichino il Ccnl del settore metalmeccanico; imprese del trasporto aereo.

 

 

1.66

 

 

0.16

 

 

0.20

 

 

5.84

 

 

7.86

 

Soggetti beneficiari

Aziende operanti su tutto il territorio nazionale

 

Tbe

Enaoli

Ass. Pens.

Ssn

Tot.

Imprese alberghiere; pubblici esercizi, compresi i cinematografici; agenzie di viaggio; complessi turistico-ricettivi dell’aria aperta; imprese commerciali esportatrici abituali; aziende termali: imprese considerate commerciali ai fini previdenziali ed assistenziali con più di 15 dipendenti; enti, fondazioni, associazioni senza fini di lucro comprese le Ipab; imprese di trasporto con fune in zone montane aventi finalità turistiche.

 

 

1.66

 

 

0.16

 

 

-

 

 

0.70

 

 

2.52

Soggetti beneficiari

Aziende operanti su tutto il territorio nazionale

 

Tbc

Enaoli

Ass. Pens.

Ssn

Tot.

Imprese considerate commerciali ai fini previdenziali ed assistenziali con un nr. di dipendenti compreso tra 8 e 15; imprese artigiane esercenti servizi di pulizia; servizi di lavanderia pulitura a secco e tintura di articoli tessili e pellicce; servizi dei saloni di parrucchiere ed istituti di bellezza.

 

 

-

 

 

-

 

 

-

 

 

0.90

 

 

0.90

Imprese edili

-

-

-

1.20

1.20

Imprese agricole (operai)

Operanti nel Centro Nord (impieg.)

0.01

1.66

0.01

0.16

-

-

4.90

3.20

4.92

5.02

 

Tavola 1-bis
Fiscalizzazione oneri sociali dal 1° gennaio 1998

Soggetti beneficiari

Aziende operanti nel Centro Nord ed Abruzzo

 

Tbe

Enaoli

Ass. Pens.

Ssn

Tot.

Imprese manifatturiere ed estrattive (industriali ed artigiane); impiantistiche del settore metalmeccanico; armatoriali; (1) di autotrasporto per c/t nel rapporto tra autisti e dipendenti da 1 a 5; di installazione di impianti per l’edilizia, indipendentemente dalla loro classificazione e semprechè applichino il Ccnl del settore metalmeccanico: imprese del trasporto aereo (1)

 

 

1.66

 

 

0.16

 

 

0.20

 

 

2.84

 

 

4.86

Soggetti beneficiari

Aziende operanti Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sardegna, Molise, Sicilia

 

Tbe

Enaoli

Ass. Pens.

Ssn

Tot.

Imprese manifatturiere ed estrattive (industriali ed artigiane); impiantistiche del settore metalmeccanico; armatoriali: (1) di autotrasporto per c/t nel rapporto tra autisti e dipendenti da 1 a 5; di installazione di impianti per l’edilizia, indipendentemente dalla loro classificazione e semprechè applichino il Ccnl del settore metalmeccanico; imprese del trasporto aereo (1)

 

 

1.66

 

 

0.16

 

 

0.20

 

 

4.34

 

 

6.86

 

Soggetti beneficiari

Aziende operanti su tutto il territorio nazionale

 

Tbe

Enaoli

Ass. Pens.

Ssn

Tot.

Imprese alberghiere; pubblici esercizi; compresi i cinematografici; agenzie di viaggio; complessi turistico-ricettivi dell’aria aperta; imprese commerciali esportatrici abituali; aziende termali; imprese considerate commerciali ai fini previdenziali ed assistenziali con più di 15 dipendenti; enti, fondazioni, associazioni senza fini di lucro comprese le Ipab; imprese di trasporto con fune in zone montane aventi finalità turistiche.

 

 

1.66

 

 

0.16

 

 

-

 

 

0.70

 

 

2.52

Soggetti beneficiari

Aziende operanti su tutto il territorio nazionale

 

Tbe

Enaoli

Ass. Pens.

Ssn

Tot.

Imprese considerate commerciali ai fini previdenziali ed assistenziali con un nr. di dipendenti compreso tra 8 e 15; imprese artigiane esercenti servizi di pulizia; servizi di lavanderia, pulitura a secco e tintura di articoli tessili e pellicce; servizi dei saloni di parrucchiere ed istituti di bellezza.

 

 

-

 

 

-

 

 

-

 

 

0.90

 

 

0.90

Imprese edili

-

-

-

1.60

1.60

Imprese agricole (operai)

Operanti nel Centro Nord (impieg.)

0.01

1.66

0.01

0.16

-

-

4.90

3.20

4.92

5.02

 

Tavola 2
Confronto tra rendimenti dall’impiego di fondi all’interno e all’esterno dall’impresa *

ARGOMENTO

Pre riforma Irap e ILOR Post riforma Irap e post soppressione Ilor, escluso l’effetto Dit

Tassi di interesse bancari verso le imprese **
(1)

8% 8%

Incidenza effettiva dei tassi passivi a causa della tassazione dei profitti e della deducibilità
(2)

0,47% 0,63%

Costo effettivo dell’indebitamento (1) x (2)
(3)

3,8% 5,4%

Costo dell’indebitamento incluso l’effetto Irap
(4)

3,8% 5,8%

Rendimento netto dei titoli a lunga **
(5)

6% 6%

Convenienza all’impegno interno dei fondi (5) – (4)
(6)

- 2,2% - 0,2%

(effetto Dit)

Tasso di rendimento lordo riconosciuto ai fini Dit **

 

(7)

Tasso (7) al netto della tassazione dei profitti (19%)

(8)

Convenienza di cui alla colonna (6) corretta per l’effetto Dit

(8) – (4)

(9)

A)

8%

6,5%

+ 0,7%

B)

9%

7,3%

+ 1,5%

*    Le cifre sono approssimate al primo decimale
**  Ipotesi

Tavola  3
Dual Income Tax per le società di persone

Investimento (o apporti comunque riconosciuti ai fini della Dit) Rendimento riconosciuto (per ipotesi 8%) Aliquota marginale virtuale ai fini Irpef Risparmio annuo permanente di imposta
150 milioni 12 milioni 19% 0 lire
200 milioni 16 milioni 27% 80.000 lire
400 milioni 32 milioni 34% 1.100.000 lire
1.000 milioni 80 milioni 40% 7.500.000 lire
2.000 milioni 160 milioni 46% 27.300.000 lire

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