Commissione Parlamentare Consultiva
in materia di riforma fiscale

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LA RIFORMA FISCALE: LA PROGRESSIVITÀ DEL PRELIEVO E L’ASSETTO IMPOSITIVO DEI REDDITI DA CAPITALE E DEI REDDITI SOCIETARI

Prima Parte
La progressività del prelievo

 L'articolo di Tremonti sul Sole 24 0re del 19 novembre è uno stimolante contributo alla valutazione di alcuni aspetti di fondo della riforma fiscale in corso. Finalmente, accantonate le reazioni umorali e strumentali, Tremonti entra da par suo nel merito delle questioni.

A me sembra che siano due le affermazioni centrali del suo articolo: a) una parte della riforma è ispirata da soluzioni già adombrate nel Libro Bianco, ma che ricevettero all'epoca della sua uscita una critica serrata; b) nella loro adozione attuale quelle soluzioni sono state snaturate: la scelta di tassare tutti i redditi da capitale con aliquota agevolata e proporzionale rende il sistema impositivo meno progressivo (o meno progressivo di quanto avrebbe potuto essere). A questa evoluzione concorrono poi anche l'assorbimento del gettito dell'imposta patrimoniale nel gettito Irap e il meccanismo della Dit.

L'intera riforma ha quindi in sè contenuti di iniquità che rischiano di essere accentuati dalla revisione programmata di tassazione degli immobili. In un certo senso Tremonti sfida la sinistra sul suo stesso terreno.

Ovviamente, a me interessa riflettere sulla seconda affermazione. Tralascio, invece, la prima, richiamando solo che la riforma è a spettro ampio e certo non è nata dal nulla, ma da dibattiti, studi, proposte ed elaborazioni, che l'hanno preceduta e che hanno poi avuto un impasto originale e compatto. Di sicuro, non si può disconoscere lo stimolo che il Libro bianco ha portato a tale dibattito.

Relativamente al secondo punto, la mia impressione è che Tremonti abbia confinato la sua attenzione ad un aspetto della riforma, espunto dal contesto. Tenendo presente quest'ultimo le conclusioni dovrebbero essere opposte.

Un sistema impositivo è progressivo quando il rapporto tra le tasse pagate in relazione al reddito cresce con il reddito medesimo; quanto più forte è tale crescita tanto più pronunciata è la sua progressività. Sotto questo profilo, un giudizio in merito deve partire dalle aliquote formali pagate in sede Irpef, ma anche dai redditi che sfuggono a tale tassazione, per ragioni illegali, ordinamentali o perchè tassati separatamente. Il consumo e il risparmio dei redditi dà pure luogo a gettito, che può essere più o meno progressivo (o perfino regressivo). Vi sono poi i redditi societari che vanno valutati separatamente con criteri a sè. Un sistema è più o meno progressivo anche in relazione al peso delle tasse sul patrimonio (e al modo in cui sono congegnate).

Valutando l'insieme di questi elementi, molti anni fa, una studio della Brookings Instituion (condotto da Pechman e Ockman) sulle dichiarazioni del reddito degli Stati Uniti concludeva che nel sistema statunitense la quota di tasse non variava al variare del reddito (in pratica, come se vigesse un'aliquota omnicomprensiva proporzionale) eccetto per un non pronunciato innalzamento nell'ultimo decile. Il risultato era giocato su alcune ipotesi di traslazione di singole imposte, le cui alternative modificavano di poco il risultato. L'ipotesi cruciale riguardava la traslazione delle imposte societarie, per le quali si ipotizzava la traslazione al consumatore; ma anche ipotizzando una loro attribuzione agli azionisti delle società (ipotesi che implicitamente Tremonti sposa senza le dovute riserve), la progressività del sistema appariva moderatissima.

Se per l'Italia fossero disponibili studi simili e se fosse possibile ricostruire su base effettiva reddito e tasse per ciascun contribuente, non mi aspetterei di trovare nella situazione pre-esistente alla riforma Visco un quadro molto diverso, malgrado una rimarchevole progressività formale. Potrebbe essere stato in vigore perfino un sistema regressivo. Non è solo questione di evasione, ma anche di disposizioni ordinamentali (Pechman e Okner assumevano nella loro ricerca che vi fosse piena fedeltà fiscale).

Quale che fosse la situazione di partenza, non ho dubbi sul fatto che, rispetto ad essa, la riforma imprima una correzione verso una maggiore progressività sostanziale. Forse non era la redistribuzione dei pesi fiscali il suo scopo principale, rivolto piuttosto verso l'efficienza macro e microeconomica del sistema impositivo, ma è giusto che essa sia esaminata anche sotto questo profilo (per l'altro profilo rimando al mio articolo "Deleghe Fiscali e nuova tassazione delle imprese", in Rivista di Politica Economica dell'agosto scorso).

Rientra innanzi tutto nella redistribuzione dei carichi fiscali l'intervento su ciò che sfuggiva legalmente all'Irpef senza nessuna ragione plausibile, se non la debolezza del parlamento rispetto alle lobby. Penso alle indennità esentate o parzialmente esentate da tassazione (presso le quali, dove esistevano, tendevano a concentrarsi gli aumenti salariali); penso alla inclusione nella base imponibile dei fringe benefits; penso ai limiti di deduzione dal reddito imponibile dei contributi aziendali alle mutue sanitarie. Tutti benefici non equamente distribuiti per classi di reddito. Ricordo anche che nell'infinita fertilità con cui sono stati distribuiti in passato benefici fiscali che hanno balcanizzato il nostro sistema, molte indennità non rilevavano ai fini della contribuzione pensionistica, pur rilevando ai fini della determinazione della pensione; ciò non sarà più possibile.

Vi erano tuttavia altre sofisticate sottrazioni di base imponibile, che sono state chiuse e che certo non riguardano tutti i contribuenti nel loro complesso, ma solo i più abbienti. La normativa sulle società di comodo, che mira a riportare nella sfera personale i beni in godimento o che attribuisce agli stessi comunque un reddito presuntivo è un esempio importante. Si è posto poi un qualche freno alle operazioni triangolari che passano per l'estero. La normativa sui paradisi fiscali e le residenze fittizie è altrettanto significativa. Idem il risvolto fiscale delle nuova disciplina delle locazioni.

La stessa Irap ha avuto una sua importanza per i soggetti di lavoro autonomo i cui redditi d'impresa sono tassati in sede Irpef. Essa ha comportato mediamente (nel combinato di detrazioni e revisioni delle aliquote) inasprimenti di tassazione per coloro che percepiscono redditi superiori ai 135 milioni, è stata mediamente neutra per i redditi da 60 a 135 milioni, ha comportato sgravi per i redditi inferiori a 60 milioni (vedremo meglio nel consuntivi, per ora mi attengo alle cifre che le stesse categorie di lavoro autonomo e professionale hanno prodotto in sede di audizioni presso la Commissione Riforma Fiscale). Per gli stessi soggetti, la normativa sulla deducibilità dei beni promiscui ha avuto qualche effetto similare.

Ritengo che anche l'informatizzazione e unificazione delle dichiarazioni sia andata nella stessa direzione, dato che la dichiarazione unica ai fini contributivi, iva, irap, inail e irpef non potrà più dare cifre incoerenti tra loro, chè queste, malgrado la diversità di base imponibile, balzerebbero immediatamente agli occhi e sarebbero immediatamente riscontrate. In generale, essendo l'evasione disegualmente distribuita, tutte le azioni di contrasto che producano maggiore fedeltà finiscono per modificare i pesi fiscali. È indubbio che tale fedeltà sia aumentata e mi aspetto che aumenterà ulteriormente con l'introduzione del principio di responsabilità personale degli amministratori, con l'istituzione di banche dati di vario tipo, con gli studi di settore.

Il fatto stesso che i contribuenti non si aspettino più che vi sia qualcosa da guadagnare tirando avanti attraverso il contenzioso e attendendo l'inevitabile condono corregge in senso più progressivo la situazione di partenza, in quanto il canale era utilizzato soprattutto dai contribuenti più abbienti: il contenzioso dovrebbe sgonfiarsi con la riforma del sistema di accertamento e di quello sanzionatorio.

Se ci riferiamo non alla semplice disponibilità del reddito ma alla sua destinazione (per ora il consumo, vedremo poi il risparmio), incontriamo una revisione verso l'alto delle aliquote Iva, accorpate sui tre livelli comunitari; accorpamento che ha lasciato fuori i generi di prima necessità. Non so se ciò renda le tasse effettive e formali sui consumi progressive (ho i miei dubbi visto che i più abbienti consumano percentualmente meno), ma certamente più progressive di prima. Di qualche effetto in questa direzione dovremmo accreditare anche la revisione del regime dell'iva pro rata sui beni promiscui.

Arriviamo così ai punti che Tremonti solleva: a) la tassazione del risparmio e b) quella delle imprese. Siamo di fronte a modalità e aliquote di imposizione per le quali è giusto sottolineare che non vi sia un rapporto progressivo con la capacità contributiva, anche se più di una considerazione supplementare è necessaria per inquadrare il carattere di questa imposizione sotto il profilo redistributivo. Ma, già con gli elementi introdotti, è lecita la domanda se l'assetto di tale tassazione, in un quadro di redditi misti, spinga il sistema verso una evoluzione regressiva o piuttosto non costituisca un fattore di compensazione alla forte accelerazione impressa per altre vie alla progressività sostanziale del sistema, al fine di renderla politicamente tollerabile.

Seconda Parte
L’assetto impositivo dei redditi da capitale e dei redditi societari

Si è fin qui affermato che un conto è il giudizio in assoluto sul grado di progressività del sistema impositivo italiano, un altro conto quello sui mutamenti di progressività impressi dalla riforma Visco. Oggetto del contendere con Tremonti è il modo di inquadrare nel contesto di quella riforma l'assetto impositivo dei redditi da capitale e dei redditi societari.

a)Oltre che sul piano politico, difficilmente la trattazione dei redditi da investimento finanziario avrebbe potuto essere diversa anche sul piano pratico. Sono noti gli argomenti circa la mobilità della base imponibile, gli effetti del processo di globalizzazione (con annessa fastidiosa concorrenza al ribasso sul piano fiscale), nonchè la posizione di debolezza del Paese quale prenditore sui mercati finanziari.

Il problema che la riforma aveva davanti era di costruire un quadro della tassazione del risparmio che fosse accettato dal mondo degli operatori finanziari, non solo per il livello moderato dell’aliquota ma anche per la sua razionalità, uniformità e neutralità, e che fosse tale da innescare un salto di qualità nella intermediazione del risparmio. Si trattava in sostanza di costruire un "bene pubblico".

La tassazione formale (agevolata) va abbinata, tuttavia, alla "tassazione" informale dei redditi da capitale che si verifica, con lo Stato debitore, attraverso la riduzione dei tassi di interesse e che consegue alla credibilità della politica economica perseguita. Nel combinato, gli effetti si distribuiscono in relazione all’importanza dei patrimoni finanziari, ma anche in relazione alla sofisticazione dei portafogli, che possono sfuggire il destino di abbattimento dei redditi da capitale nel loro complesso allorché viene abbattuta la componente di redditi da interessi. L'esito redistributivo deve essere certamente studiato, ma sarebbe ingenuo attendersi che il risultato non si presenti regressivo, sia in virtù della più alta propensione al risparmio nelle classi più elevate di reddito, sia in virtù del loro portafoglio specifico.

Dobbiamo tener conto, tuttavia, che quel risultato attiene al raffronto tra la situazione attuale e le alternative ideali, ma non al raffronto tra la situazione attuale e quella precedente, in quanto i redditi da capitale non erano tassati che moderatamente e in forma sostitutiva prima dell’entrata in vigore della riforma fiscale in materia, per cui essa non ha nè determinato nè peggiorato la regressività della tassazione finanziaria. Anzi, l'ha migliorata dato che i guadagni in conto capitale delle persone fisiche non erano allora di fatto tassati, a parte quelli su partecipazioni qualificate, alle quali si applicava comunque un'aliquota inferiore all'attuale. Non si può non ritenere che tali cespiti siano fruiti in proporzione maggiore nelle classi più alte di reddito.

Vi è di più. La vocazione che ha la nuova normativa ad attrarre a sè su basi coordinate ed omogenee l’intera tassazione di tutte le forme del risparmio produce ulteriori correttivi. L'assimilazione, per quanto possibile, del regime fiscale dei fondi pensione e della previdenza complementare o individuale al regime del risparmio gestito comporterà, sì, un prelievo sostitutivo su quanto accumulato, ma, nel confronto con la situazione pregressa, comporterà anche l'eliminazione di quel labirinto di esenzioni e forfettizzazioni che costituiscono un campionario dell'irrazionalità e occasionalità dell'ordinamento fiscale precedente. Forfettizzazioni essenzialmente di carattere regressivo, sia in virtù del modo in cui era congegnato il rinvio delle tassazione sul reddito (dal momento dell'accantonamento previdenziale al momento della fruizione), sia in virtù di provvedimenti specifici applicabili oltre certe soglie di reddito, sia per il favore di cui godevano le polizze vita (che di fatto sfuggivano la tassazione su quanto accumulato), sia della loro distribuzione per classi di reddito.

Il varo di una tassazione uniforme e neutrale su tutte le forme risparmio ha una vocazione a ricomprendere anche gli strumenti e le forme del risparmio immobiliare. Un indirizzo coordinato logicamente e funzionalmente con la nuova normativa sulle rendite finanziarie dovrebbe tassare il frutto del risparmio accumulato (rendimento dei patrimoni) per tassare quindi i capital gain allorché vengano realizzati (qui non si dà il caso di tassazione su ciò che matura). Esso dovrebbe quindi attribuire al valore di mercato degli immobili un rendimento, in questo caso figurativo, da tassare con la stessa aliquota applicata agli impieghi finanziari. Dovrebbe assoggettare il trasferimento degli immobili all'imposta sui capital gain; dovrebbe abolire l’imposta sui trasferimenti. Il gettito dovrebbe in teoria essere sostitutivo di tutte le imposte sugli immobili ora esistenti.

Io non so se i tempi siano maturi per arrivare allo schema puro; si dovrà presumibilmente tendere ad esso per gradi. Tremonti avverte, tuttavia, che tanto tale schema quanto qualsiasi passo di avvicinamento ad esso priva l’intero sistema fiscale di una parte di progressività. Viene a sparire l'imposizione del reddito (figurativo o effettivo) da immobili in sede Irpef per essere sostituita da una imposizione pari per tutti a quella del primo scaglione di reddito. Indubbiamente Tremonti ha ragione se ci si fermasse qui (anche se egli non dovrebbe trascurare che l'avvicinamento dei valori catastali a quelli di mercato non solo rimuove la roulette dell'attuale tassazione immobiliare, basata su coefficienti "casuali", ma la dispone secondo la consistenza effettiva dei patrimoni, certamente in una direzione di maggiore equità). Ma, proprio perchè il rischio che egli sottolinea è reale, a quella soluzione non può non essere abbinato un percorso inverso a quello seguito in altre parti della riforma fiscale. Questa ha provveduto ad inserire attenuazioni dove si procedeva verso un eccessivo mutamento di progressività sostanziale: qui si impone, invece, di garantire correzioni progressive (anche attraverso le aliquote Irpef) per compensare in senso inverso gli effetti redistributivi della neutralità fiscale estesa al risparmio immobiliare. Questo cammino verso la neutralità dovrebbe anche portare con sè l'adozione dell'aliquota unica su tutti i proventi finanziari, la quale, se inasprisce il carico sui redditi finanziari, imprime di certo una correzione in senso progressivo.

b)Per le società di capitali, il criterio distributivo tirato in argomento da Tremonti è secondario rispetto alle altre finalità cui aderisce la riforma del sistema fiscale, la quale non solo distribuisce equamente i carichi, ma mira in primo luogo a migliorare l'efficienza complessiva del sistema puntando verso reazioni di offerta. Certamente, può determinarsi un conflitto tra obbiettivi, ma quello della detassazione delle imprese che la riforma ha perseguito, sia pure in modo premiale, è condiviso in questo Paese per la sua valenza di "bene pubblico". Ciò non vuol dire, tuttavia, che, a parità di tutto, il criterio distributivo non debba essere tenuto come criterio di giudizio.

L'argomento che una serie di sviluppi nella tassazione societaria abbia scollegato la capacità contributiva (profitti e patrimonio) dall'imposizione effettiva è complesso per essere trattato in poche battute e mi costringe ad un nuovo rinvio al mio saggio citato. Devo dire, però, che in generale non mi è chiaro come le nuove modalità di imposizione diretta sulle imprese (che, a riforma conclusa, riguarderà anche quelle individuali) squilibri in senso regressivo la distribuzione dei carichi fiscali personali, perchè tutto dipende dalle ipotesi di traslazione (in questo caso: di traslazione dei benefici fiscali).

Si aggiunga a ciò che quando i profitti passano nella sfera personale attraverso i dividendi, questi incorporano un credito d'imposta (per la parte di imposizione già assolta dalle società), al quale chiunque abbia interesse ad avvalersi dell'anonimato finirà per rinunciare, affidando agli intermediari la tassazione sostitutiva. La distribuzione presumibile per reddito di questa categoria di contribuenti rende plausibile il sospetto che per questa via la progressività aumenti. Quando i profitti passano nella sfera personale attraverso il valore delle quote azionarie, ricordo che, all'atto del trasferimento, le plusvalenze da partecipazioni qualificate scontano ora un'aliquota più alta e quelle da partecipazioni non qualificate incappano ora nella tassazione dei capital gain.

Ricapitolando, Tremonti pone un problema interessante, ma la conclusione, che il sistema impositivo abbia avuto una evoluzione verso una regressività, astrae dalla riforma nel suo complesso, la quale contrappesa nella tassazione dei redditi da capitale e da impresa (per la verità, condizionati da sviluppi che sottraggono sovranità ai governi nazionali) una progressività che senza ombra di dubbio è stata inasprita e portata più vicina a quella formale. Se non fosse stato così il quadro sociale non avrebbe retto. Se, al livello di inasprimenti fiscali resi necessari dall'azione di risanamento, i pesi non fossero stati distribuiti in modo equo, scovando le disponibilità là dove gli inasprimenti sarebbero stati sopportabili, la reazione fiscale, sociale e politica sarebbe stata di ben altra scala e forza.

Questo non vuol dire che il sistema abbia trovato un suo equilibrio distributivo, anche perché ho l'impressione che la correzione in senso progressivo sia pronunciata fino ad un certo punto salendo nella scala del reddito, ma non trovi ancora modo - lo dico ad intuito - di incidere alla stessa stregua sugli ultimi due decili di reddito. Se le considerazioni di Tremonti mirano anche (ma non è chiaro se sia così) ad affermare, in un ottica prospettica, che la progressività dell'intero sistema possa addirittura essere migliorata con una tassa proporzionale su tutto, ben congegnata in termini di detrazioni, il discorso non è affatto chiuso. Ma ciò è argomento per altre riflessioni da fare a parte.

Salvatore Biasco

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