Commemorazione dell''onorevole Giovanni De Murtas


Roma, 04/06/2000


*** Commemorazione in Aula ***


Giovanni De Murtas è morto in un terribile incidente stradale nel tardo pomeriggio del primo aprile.
Percorreva con la sua auto carica di manifesti elettorali una di quelle strade strette e tortuose dell’Ogliastra che molti di noi hanno percorso due giorni dopo per salutarlo un’ultima volta.
E’ uscito di strada probabilmente per evitare un’auto che gli era comparsa improvvisamente davanti.
La sua macchina si è incendiata ed il riconoscimento è stato difficile.

Quando muore un giovane uomo il dolore è più forte.
Per la molteplicità dei fili che si spezzano, per gli affetti che si perdono in maniera irrecuperabile.
Perché se è vero che siamo tutti impreparati di fronte all’unica certezza della vita che è la sua fine, è altrettanto vero che lo stupore è maggiore quando la fine arriva alla metà della vita.
Ma quando si muore, come è morto Giovanni De Murtas, svolgendo l’aspetto più umile del lavoro parlamentare, quello che oscuramente si fa sul territorio annodando rapporti, spiegando verità, aiutando nella comprensione del reale, raccogliendo dolori e preoccupazioni; quando si muore dopo aver raccolto, in sei brevi anni di vita da deputato, stima, considerazione, affetto da parte degli avversari e degli amici; quando si muore dopo aver dedicato una parte grande della propria vita alla militanza politica vissuta come lotta per l’istruzione e per i diritti dei poveri; quando si muore avendo ancora molto da dare alla propria famiglia, ai compagni, al Parlamento, quando accade tutto questo al dolore subentra la riflessione sul senso stesso della vita parlamentare, sul baratro che esiste tra ciò che questa vita è, su ciò che questa vita costa alle nostre famiglie in termini di perdite di affetto e di intesa comune, e ciò che questa vita è ritenuta essere fuori, nelle strade e nelle case dei cittadini.
C’è un aspetto disumano della politica, che è fuori della politica e che è costituito dal disconoscimento dei suoi sacrifici e dei suoi valori.
Il nostro non è certamente un mondo angelicato. Ed una quota di noi certamente non adempie ai propri doveri come invece richiede il Paese.
Ma quando si verifica una tragedia come questa è inevitabile che il pensiero vada al lavoro che fa la grande maggioranza di noi, agli impegni dentro e fuori di quest’Aula, alle mediazioni estenuanti che bisogna svolgere perché la democrazia vada avanti, perché si costruisca per le decisioni il consenso necessario alla loro adozione.
Il pensiero va anche agli obbiettivi che non riusciamo a raggiungere, alle sconfitte che registriamo perché l’altro non ha voluto o non ha compreso e a come tutto quanto è ignoto fuori di qui.
Il pensiero va, infine, a come la vita può finire anche per un giovane deputato su una strada di provincia con la macchina piena di materiali per la campagna elettorale, che si incendia spaventosamente dopo essere uscita fuori strada.
E nessuno sa che quel deputato ogni settimana doveva partire alle tre del mattino per poter prendere l’aereo che da Cagliari lo avrebbe portato a Montecitorio.
Forse anche il fatto che il sacrificio sia misconosciuto, che la lotta per i propri valori e per la democrazia sia sempre scambiata per ambizione di potere personale, è una sorta di limite intelligente che l’esperienza pone al carattere onnivoro e dilagante della politica.
Ma in queste occasioni si sente tutta l’ingiustizia e la tragicità di quel disconoscimento.

Gli interventi di Giovanni De Murtas in quest’Aula riguardano in particolare la scuola; era un insegnante, ma qui non portava il corporativismo della professione; né si è fatto mai prendere dalla petulanza che spesso hanno gli specialisti quando si affrontano le materie che rientrano nella loro competenza. De Murtas qui ha portato da quel banco i valori ideali di una scuola diversa, di un sistema scolastico, come denunciò alla Camera il 2 marzo, che non fosse palude, discriminazione, pura riproduzione delle scale gerarchiche dell’ordinamento sociale ed economico.
De Murtas portava qui i valori di chi crede nella lotta politica come strumento di costruzione di maggiore democrazia, di maggiori diritti e lo fa con la competenza, la durezza ed il senso della misura che è proprio delle grandi educazioni politiche.

Il mio ruolo mi imporrebbe di dire parole di conforto alla signora Margherita, ai figli Andrea ed Armando, l’ultimo dei quali ha solo due anni; dovrei dire parole di conforto anche a vostro nome ai suoi compagni.
Ma non ne sono capace e me ne scuso.
Non vedo spazio per una finzione.
E’ possibile, invece, un ricordo, doloroso, ma non commiserevole .
E’ morto un deputato della Sardegna che ha combattuto per la giustizia sociale; un insegnante che ha combattuto per una scuola la cui modernità si misurasse sui valori della inclusione e del rispetto delle diversità; uno di quegli uomini che, umilmente, rendono forte il nostro Paese nei suoi valori civili.
Che sua moglie ed i suoi figli siano fieri.
Che il suo partito lo onori.
Che la memoria della sua gentile asprezza, del suo composto rigore, venga conservata nelle nostre menti più a lungo che sia possibile.