Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale


Roma, 03/21/2000


*** Intervento in Aula ***


Dal 1966 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite propone la giornata di oggi, 21 marzo, come Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale.
La data ricorda il 21 marzo di 40 anni fa, quando a Sharpeville, in Sud Africa, furono uccise 69 persone e 180 ferite, mentre dimostravano contro una legge che suggellava l’apartheid restringendo la libertà di movimento dei neri nel loro Paese.
Da 25 anni l’Italia è uno dei 155 stati del mondo che hanno sottoscritto e ratificato la Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.
La Convenzione stabilisce tre impegni vincolanti per ogni Stato contraente:
- l’adozione di misure concrete, in campo sociale, economico e culturale, per garantire ai gruppi razziali e agli individui appartenenti a tali gruppi l’esercizio dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;
- l’impegno a dichiarare crimini punibili dalla legge ogni diffusione di idee basate sulla superiorità o sull’odio razziale e a dichiarare illegali le organizzazioni che incitano alla discriminazione,
- l’adozione di efficaci misure, in particolare nei campi dell’educazione e dell’informazione, per lottare contro i pregiudizi che portano alla discriminazione razziale e a favorire invece la comprensione, la tolleranza tra le Nazioni ed i gruppi razziali ed etnici.

Nelle società contemporanee, di fronte alle ondate immigratorie determinate dalla miseria, dalla fame, dallo sfruttamento e dalle guerre nei paesi poveri, il razzismo sorge ancora nei paesi ricchi come paura dell’altro. Si erge contro tutto ciò che il cittadino teme possa insidiare la sua sicurezza e la sua identità. Emerge e può affermarsi attraverso la discriminazione linguistica, etnica, religiosa, sessuale.
In una rapida indicazione delle cause di questi comportamenti non può trascurarsi né la perduranza di sacche di razzismo strutturato e consapevole né la tendenza all’uso politico dell’insicurezza, né ancora atteggiamenti di indifferenza o di sottovalutazione che sono stati nel passato e sono nel presente i più potenti alleati dei razzisti.
Tuttavia non ci si può fermare a questa constatazione. Esistono cause più profonde.
La prima risale alla difficoltà di ridefinire identità individuali e collettive dopo la fine del grande scontro ideologico che ha attraversato i due terzi di questo secolo e che ha determinato l’identità di molte nazioni nel mondo e, all’interno di esse, di centinaia di milioni di persone.
Luigi Pirandello, che di crisi di identità se ne intendeva, disse una volta, a proposito della propria generazione, che non si passa indenni attraverso tre illuminazioni, a petrolio a gas ed elettrica. Noi siamo passati, non indenni, attraverso mutamenti almeno altrettanto profondi.
Una seconda causa può consistere nell’insicurezza determinata dalla rapidità delle modificazioni sociali, culturali ed economiche proprie della nostra epoca. La crisi dei vecchi stati nazionali, la “globalizzazione” dei mercati, la trasformazione dei saperi e delle loro forme di comunicazione, i cambiamenti nell’economia, le preoccupanti tendenze alla manipolazione genetica dell’essere umano, hanno cambiato profondamente le relazioni sociali e culturali ed hanno svuotato le vecchie categorie di riferimento.
In società complesse come le nostre, chi ritiene di difendersi elevando steccati non si rende conto che ciascuno di noi può diventare improvvisamente minoranza, per il suo aspetto fisico, per le sue scelte sessuali, per la sua fede religiosa o per l’assenza di fede religiosa, per il suo stile di vita. Apparteniamo tutti in realtà ad una somma di minoranze o, meglio, apparteniamo a maggioranze o minoranze fluide che possono improvvisamente cambiare di segno, a seconda del momento, delle condizioni sociali e culturali.

La forza di una repubblica democratica e laica non risiede nella categoria dell’unicità. Risiede invece nell’unità attorno a valori comuni fatti di diritti e di doveri uguali per tutti, arricchiti di quelle differenze che non mettono in discussione la base comune.
La cultura della non discriminazione richiede solide risposte in termini di sicurezza, di formazione culturale, di identità civile.
Dobbiamo garantire ai cittadini una fondata sensazione di sicurezza, attraverso politiche che assicurino risultati incisivi e visibili nelle lotta al crimine organizzato e comune. L’Italia è più sicura della maggior parte dei paesi sviluppati. Lo dimostrano, tra l’altro, i dati statistici comparati e i quotidiani successi delle forze di polizia. Tuttavia il cittadino italiano vive una condizione psicologica di permanente insicurezza alla quale non possiamo rispondere solo con le statistiche; dobbiamo rispondere anche con la visibilità dell’azione di contrasto e dei risultati.
Nella società dell’informazione ciò che non è reso conoscibile non esiste.
Una visibile politica della sicurezza è fattore integrante di un efficace governo delle migrazioni, capace di tranquillizzare il cittadino e di spegnere nel mondo politico le ricorrenti tentazioni di sfruttare in chiave razzista il sentimento di insicurezza.
Le stesse comunità di immigrati che vivono e lavorano onestamente nel nostro Paese sono chiamate a far proprio l’obbiettivo di una maggiore sicurezza di tutti i cittadini.

Un punto di forza straordinario nella lotta al razzismo è rappresentato dalla formazione e dall’educazione delle giovani generazioni.
L’educazione alla non discriminazione deve diventare per tutti parte integrante del processo formativo sin dall’inizio del percorso scolastico

Le recenti vicende austriache, la presenza in vari Paesi di regionalismi antistatuali, di nazionalismi e di populismi preoccupano l’Europa, proprio in una fase nella quale essa è chiamata a consolidarsi come “comunità politica”.
Gli esiti di questa fase non sono scontati.
Contro il processo di unificazione in molti paesi del nostro continente c’è la posizione, non fondata, di chi contesta all’Europa di essere semplicemente una area di grandi affari economici che schiaccia le identità nazionali e non si preoccupa di difendere la condizione dei ceti medi e di quelli più deboli.
Nel vocabolario dei movimenti che si riconoscono in questa visione, il razzismo e la discriminazione sono sostituiti da termini e concetti più ambigui come l’etnopluralismo, l’assolutizzazione del “diritto alla differenza” o il “rispetto delle differenze” che sono la base per affermare il principio imperativo del “ciascuno a casa propria”.
Sarebbe tuttavia un errore di analisi e di prospettiva considerare questi fenomeni, come semplici riedizioni degli atteggiamenti che hanno portato al fascismo, prima, e al nazionalsocialismo, poi.
In realtà alla base di questi movimenti c’è una sorta di “ripiegamento comunitario”, una risposta in termini arcaici a un bisogno reale di appartenenza e di identità. E’ una risposta che guarda al passato, alla discriminazione, anziché al futuro, all’integrazione e che contrappone alla cittadinanza intesa come insieme di diritti e di doveri uguali per tutti, il nazionalismo come appartenenza fondata sulle tradizioni, sulle lingue locali e sulla terra, nonché sulla discriminazione dell’altro.
L’alternativa al “comunitarismo” è il “cosmopolitismo”. Non come astratta ideologia illuministica, ma come capacità delle democrazie di costruire concretamente “comunità politiche sempre più ampie”, nelle quali l’elaborazione dell’identità si fonda non sulla paura e sulla chiusura, ma sulla libertà e sull’apertura alla diversità, sulla convivenza di culture, stili di vita, razze, religioni, che si riconoscono e si rispettano reciprocamente, mantenendo, se vogliono, la loro distinzione.
In questo sforzo occorre riportare al vertice della gerarchia dei valori la persona, i suoi diritti ed i suoi doveri.
Ciò significa attingere alle radici più profonde dell’identità europea. I diritti della persona umana costituiscono infatti il cardine di questa identità, fondata sul patrimonio culturale e civile derivante dall’antica filosofia greca, dal concetto cristiano di persona, dalle garanzie giuridiche elaborate nel mondo romano, dalla civiltà del Rinascimento, dagli ideali della Rivoluzione francese, dalla lotta contro tutti i totalitarismi.

L’Unione Europea, attraverso un’apposita Convenzione, sta elaborando la Carta dei diritti fondamentali derivanti dalla cittadinanza europea.
Il Parlamento italiano svolge un ruolo attivo in questo processo.
E’ stata avviata recentemente un’indagine conoscitiva, svolta congiuntamente dalla Giunta per gli affari delle Comunità europee del Senato e dalla Commissione per le Politiche dell’Unione Europea della Camera, che ha lo scopo di formulare proposte concrete del Parlamento italiano all’organo incaricato di tale redazione, di cui fanno parte, a diverso titolo, i colleghi Melograni e Valetto che ringrazio con sincerità per il loro eccellente lavoro.
E’ stato inoltre avviato un rapporto di collaborazione tra la Commissione per le politiche dell’Unione Europea e l’omologa Commissione del Bundestag tedesco che prevede incontri di lavoro ai quali parteciperanno anche i deputati italiani e tedeschi della Convenzione.

Nella risoluzione approvata giovedì 16 marzo dal Parlamento Europeo viene richiesto esplicitamente che all’interno della Carta sia inserita la clausola generale di non discriminazione.
Di fronte alla minaccia dei nuovi razzismi l’assunzione di questo principio significa assumere a paradigma dell’identità civile e politica dell’Europa, e della stessa costruzione dell’Unione, il rispetto delle diverse identità, nella consapevolezza che l’integrazione è un processo di inclusione che si realizza ponendo al centro i diritti e i doveri della persona.
La risposta moderna alle difficoltà non potrà più essere quella delle tragiche dottrine palingenetiche di creazione dell’uomo nuovo. La risposta moderna è l’educazione ai valori umani, che sono un complesso inscindibile di concreti diritti e di concreti doveri.
Il razzismo nega questa inscindibilità e distingue tra titolari di diritti e titolari di doveri.
L’auspicio è che la nostra generazione, anche nel lavoro di quest’Aula, possa dare il proprio contributo perché tutte le grandi politiche, a partire da quelle dei paesi che più incidono sui destini del mondo, siano attraversate da una nuova etica della specie umana, che le renda tra loro coerenti, nella consapevolezza dei fattori che hanno dato vita alle tragedie discriminatorie, ieri come oggi, nella consapevolezza della necessità di coniugare insieme sviluppo economico e giustizia sociale, nella consapevolezza, infine, dei nostri doveri nei confronti delle generazioni future.

Non sarà facile sradicare il razzismo e superare gli ostacoli all’eguaglianza, ma, osserva il segretario generale dell’ONU Kofi Annan nel suo messaggio di oggi, con la perseveranza, la fede e l’impegno ciò si potrà fare.
Si può solo aggiungere che sradicare il razzismo è una delle grandi utopie strategiche del nostro tempo, quelle che si fondano sulle impossibilità relative e sulle emancipazioni assolute, e che rendono la politica degna di essere vissuta.