Seminario sulla competitività


Roma, 03/07/2000


*** Seminario promosso dalla Camera dei Deputati ***


Nella riunione della Conferenza dei presidenti di commissione dello scorso 9 dicembre parlammo del rapporto “Il rilancio della competitività in Italia” allora appena trasmesso alla Camera dalla Confindustria nell’ambito di una discussione dedicata agli esiti di alcune importanti iniziative di approfondimento e di collegamento con l’esterno sviluppate dal comitato per la legislazione e da altre commissioni (lo stenografico della conferenza del 9 dicembre è stato distribuito ).
Abbiamo allora concordemente ritenuto che il rapporto inviato dalla Confindustria meritasse un analogo approfondimento.
Non si tratta solo della opportunità di mettere a frutto ogni qualificata occasione di comunicazione con gli organismi rappresentativi della società civile. Ritengo sia anche doveroso che ciascuno di essi, nel momento in cui si rivolge al parlamento in modo argomentato e serio sui temi di massimo interesse, abbia diritto ad un’attenzione proporzionata al suo impegno e al tipo di argomento.
Anche la Camera, reciprocamente, può richiedere una analoga attenzione, non solo per le vicende più squisitamente parlamentari che si svolgono al suo interno, ma anche per il tenace impegno di modernizzazione e cambiamento che ha manifestato attraverso tutte le sue diverse componenti politiche ed amministrative in questa legislatura.
Questo impegno è stato documentato attraverso un agile dossier, distribuito ai partecipanti a questo seminario, che fa una rassegna delle più recenti iniziative.
Tali iniziative tracciano una precisa direzione di marcia: organizzare i tempi, ampliare la capacità di lavoro della Camera sui grandi temi, fare in modo che anche le questioni minori siano affrontate nella loro correlazione con le grandi questioni e in un contesto globale.
La intensa esperienza spinta avanti dalla Camera ha anche dimostrato che la piena realizzazione di questi obiettivi non è possibile all’interno di una sola istituzione.
Proprio su questo terreno del metodo e della prospettiva necessaria ad affrontare i grandi temi bisogna sviluppare la massima cooperazione, se del caso anche dialettica, con altre istituzioni e con i soggetti politici e sociali che concorrono ai moderni processi decisionali, sia sul piano nazionale, sia su quello sovranazionale.
Le più recenti iniziative della Camera sono dunque dirette a rafforzare le procedure di collegamento sui grandi temi con tutti i centri esterni oppure a creare momenti di dialogo o di riflessione comune sui medesimi temi.
E’ dunque chiara la ragione, anzi vorrei dire piuttosto la necessità di questo seminario entro la medesima logica di altre molteplici iniziative della Camera in corso, una volta che un soggetto socialmente importante come la Confindustria ci manda un rapporto cosi’ impegnativo sul terreno del metodo e del contenuto.
Naturalmente sul suo contenuto le opinioni sono diverse. Ma proprio per questo il rapporto richiede una risposta dalla Istituzione in quanto tale che qui abbiamo ritenuto di dover rappresentare con l’intero sistema delle commissioni, il polmone del lavoro parlamentare, chiamato nei suoi vertici istituzionali.
Il tema della competitività, posto in termini in termini generali, richiede esattamente questa prospettiva.
Come abbiamo detto nella nota introduttiva, il rapporto della Confindustria al di là delle singole questioni, presenta la competitività italiana come una esigenza e come un tema trasversale, che attraversa tutti i settori e investe diversi profili.
Dunque postula una politica generale.
In questi termini, come Presidente della Camera, sento di poter dire che trovo questa impostazione congeniale al lavoro che l’istituzione della Camera in quanto tale sta svolgendo, con la partecipazione e il consenso di tutte le parti politiche, per migliorare la qualità della politica e la sua adeguatezza alle grandi trasformazioni in corso. Non esito dunque ad accettarla come positiva e come un fattore di un confronto piu’ limpido e realistico tra diverse posizioni politiche
Bisogna però essere chiari e rigorosi sul punto.
L’ingresso nella moneta unica ha eliminato lo strumento valutario a protezione delle economie nazionale. In campo mondiale, contano la progressiva apertura dei mercati, il progresso delle nuove tecnologie e l’enorme accentuazione della competizione internazionale che ne discendono. Tutti questi sono i fatti innegabili.
L’esigenza di adottare la competitività come parametro generale per una politica realistica è dunque oggettiva. La sua dimensione è infatti duplice: riguarda l’Italia rispetto agli altri paesi europei oramai unificati in un mercato unico, ma riguarda ancora più radicalmente l’Europa nella sfida con le altre grandi economie mondiali.
La nostra discussione non può tuttavia limitarsi a constatare che la competitività del paese è dunque necessariamente un fattore primario della politica, nazionale e sovranazionale , e di ogni politica di settore.
Il dato fondamentale da considerare è invece costituito dalle molteplici interdipendenze che collegano i vari fattori da considerare (economici, sociali, civili, istituzionali, culturali e ambientali).
Se dunque si vuole essere rigorosi, la competitività non è un tema che si possa affrontare in altro modo se non nell’ambito di una visione di insieme in cui ogni singola questione viene considerato nel contesto più ampio della società italiana alla luce di variabili parametri di confronto.
Nessuno è dunque autorizzato a dire : ecco la competitività, il catalogo è questo!
Bisogna invece trovare un metodo per confrontare diverse tesi dato che ogni soggetto che fa politica avrà il suo “catalogo” su questo come su altri grandi temi “globali”.
Come dunque impostare la discussione e il confronto tra tutti soggetti politici e sociali sui grandi temi, che sono il cuore della politica contemporanea?.
Temi caratterizzati da vaste interdipendenze richiedono una istruttoria complessa e a più voci e l’interazione tra diversi soggetti, pubblici e privati. Il regolamento della Camera da precise indicazioni di carattere generale e attribuisce alle minoranze poteri autonomi in questo campo. Ma non bastano le procedure, se non si riempiono di contenuti e di comportamenti adeguati ai diversi temi.
Nuove modalità di lavoro si stanno infatti costruendo intorno ai grandi temi. Il documento di programmazione economica e finanziaria è stato in questi anni un grande cantiere di ricerca dei modi in cui costruire un confronto sui grandi temi di politica generale .
La procedura del dpef ha fatto scuola ed è ora utilizzata in altri casi in cui occorre discutere grandi temi, ricchi di connessioni intersettoriali da inquadrare in una visione di insieme, come dimostrano tanto l’esame del programma di riordino normativo del Governo, così come il programma legislativo della Commissione dell’Unione europea. Essa comporta l’attivo coinvolgimento di tutte le Commissioni di settore, il passaggio di tutti questi contributi in una commissione che li unifica e riferisce all’Assemblea, la quale decide un indirizzo di politica generale.
Proprio la procedura del dpef, se adeguatamente impostata e preparata, è la sede più adatta a contenere il confronto su un tema trasversale e generale come le competitività, che va ancorato alla scelta di priorità concrete da indicare attraverso un dibattito aperto a diverse alternative e a diverse combinazioni.
La esperienza dimostra però che per una discussione di politica generale non basta avere una procedura adatta, bisogna preparare da parte di tutti i soggetti che vi partecipano contenuti all’altezza delle ambizioni.
L’affievolimento del carattere nazionale degli Stati, l’allargamento dei confini del pensiero e dell’azione delle classi dirigenti di tutti i paesi avanzati, impone a questi paesi di ripensare sé stessi, di rinnovarsi, di guardare ai colossali cambiamenti tecnologici, economici e culturali come fatti amici, che aiutano, non come fatti che spaventano e che dividono.
Ogni Paese sta arrivando a questo appuntamento più o meno consapevolmente, con la forza delle proprie identità ed il carico dei propri difetti. La forza sarà maggiore se sarà consapevolmente usata. I carichi saranno minori se verrà analizzata la loro portata.
Anche per l’Italia il problema principale è oggi scegliere la propria grande idea, darsi un compito nel mondo, nel sistema delle relazioni internazionali che risponda non solo ad una nuova ambizione ma anche ad un nuovo senso del dovere.
Parlo del mondo perché il mondo è oggi l’orizzonte delle classi dirigenti dei paesi più sviluppati economicamente e civilmente; domani il mondo sarà la scacchiera sulla quale si muoveranno le giovani generazioni desiderose di affermarsi nella vita.
Parlo del mondo, infine, per sottolineare, con senso di responsabilità, che i cittadini hanno bisogno che la politica superi i limiti provinciali in cui sembra annaspare in questa fase. Oggi serve più orgoglio e più ambizione.

Gli anni ’90 sono stati le montagne russe della nostra vita. Gli anni delle angosce profonde, da Capaci alla voragine del debito pubblico, ma anche gli anni degli impegni rispettati, dall’entrata nella moneta unica, al risanamento finanziario, all’aumento dei posti di lavoro. Alla fine sono stati gli anni del coraggio, della responsabilità, della modernizzazione e della competitività.

Si poteva fare di più e meglio, certamente. Esistono ancora difetti gravi.
Ma questa considerazione non può porre in ombra non quello che ha fatto questa o quella forza politica; ma quello che hanno già fatto gli italiani, insieme. Perché questa consapevolezza è la premessa per costruire quello che manca.

Non dimenticare quello che abbiamo già costruito non è solo una parola d’ordine; è un impegno verso noi stessi e verso tutti gli italiani che hanno lavorato duramente per raggiungere i risultati.
Costruire quello che ancora manca non è solo un’altra parola d’ordine. E’ un impegno che le classi dirigenti del Paese hanno il dovere di mantenere dinanzi ai cittadini.
A questo scopo può servire il seminario di oggi, che si affianca a sostenere e a incoraggiare le numerose iniziative di approfondimento tempestivamente impostate da numerose commissioni, non solo da quelle economiche, e che intende continuare in un proficuo progetto di rottura dell’immagine del potere politico come Palazzo chiuso per trasformarla, come auspicava Max Weber, in un porticato dove ci si incontra, si discute, si decide con la pazienza di chi sa che la verità non sta da una parte sola.