Inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Padova


Padova, 02/25/2000


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L’Università è il luogo dove si intrecciano insieme sapienza e innovazione; la sapienza di chi insegna e la capacità innovatrice di chi impara.

I contenuti e le finalità di questo intreccio variano a seconda delle fasi, delle tradizioni, delle condizioni internazionali.

L’affievolimento del carattere nazionale degli Stati, l’allargamento dei confini del pensiero e dell’azione delle classi dirigenti di tutti i paesi avanzati, impone a questi paesi di ripensare sé stessi, di rinnovarsi, di guardare ai colossali cambiamenti tecnologici, economici e culturali come fatti amici, che aiutano, non come fatti che spaventano e che dividono.
Ogni Paese sta arrivando a questo appuntamento più o meno consapevolmente, con la forza delle proprie identità ed il carico dei propri difetti. La forza sarà maggiore se sarà consapevolmente usata. I carichi saranno minori se verrà analizzata la loro portata.
Anche per l’Italia il problema principale è oggi scegliere la propria grande idea, darsi un compito nel mondo, nel sistema delle relazioni internazionali che risponda non solo ad una nuova ambizione ma anche ad un nuovo senso del dovere.
Parlo del mondo perché il mondo è oggi l’orizzonte delle classi dirigenti dei paesi più sviluppati economicamente e civilmente; domani il mondo sarà la scacchiera sulla quale si muoveranno le giovani generazioni desiderose di affermarsi nella vita.
Parlo del mondo, infine, per sottolineare, con senso di responsabilità, che i cittadini hanno bisogno che la politica superi i limiti provinciali in cui sembra annaspare in questa fase. Oggi serve più orgoglio e più ambizione.

Gli anni ’90 sono stati le montagne russe della nostra vita. Gli anni delle angosce profonde, da Capaci alla voragine del debito pubblico, ma anche gli anni degli impegni rispettati, dall’entrata nella moneta unica, al risanamento finanziario, all’aumento dei posti di lavoro. Alla fine sono stati gli anni del coraggio, della responsabilità, della modernizzazione e della competitività.

Si poteva fare di più e meglio, certamente. Esistono ancora difetti gravi.
Ma questa considerazione non può porre in ombra non quello che ha fatto questa o quella forza politica; ma quello che hanno già fatto gli italiani, insieme. Perché questa consapevolezza è la premessa per costruire quello che manca.

L’Italia è andata avanti non solo nei valori economici, ma anche nei suoi valori civili.
Le associazioni di solo volontariato erano 8000 nel 1990 ed oggi sono oltre 12000. Tutte le realtà associative presenti in Italia ammontano oggi a 25.000: abbiamo cioè un’associazione ogni 2200 abitanti.
Il Terzo settore, infine, con i suoi 690.000 occupati, di cui 110.000 creati nel solo triennio 1996-98, con 9,5 milioni di cittadini associati, più del 16% dell’intera popolazione italiana, dimostra che la nostra società civile è creativa e merita fiducia.

Un’indagine della Fondazione Corazzin di Venezia nel luglio 1999 riportava la valutazione positiva della grande maggioranza (82.3%) degli imprenditori veneti sull’ingresso dell’Italia nell’Euro e sul processo di adeguamento del nostro sistema al quadro di riferimento europeo.
Nell’anno appena trascorso (1998-99) gli utilizzatori di Internet sono più che triplicati nel Paese. Oggi raggiungono quasi gli 8 milioni di persone e circa un milione utilizza la rete per effettuare acquisti. Dal 1994 al 1999 l’area del telelavoro è cresciuta di otto volte in Italia ed occupa 727.000 unità, pari al 3.5% della popolazione attiva.

In questo decennio l’Italia ha dunque costruito.
Si può e si deve costruire ancora.
Ma c’è il rischio che la fiducia venga divorata da alcuni luoghi comuni intesi come criteri interpretativi indiscutibili della realtà del Paese, secondo una forma ossificata di autocoscienza che oscilla tra il cinismo indulgente e l’autofustigazione, entrambi figli di una spinta verso la deresponsabilizzazione civile.
Smantellare i più tenaci di questi luoghi comuni serve a fuoriuscire da questa vecchia gabbia interpretativa e ad abbandonare una concezione pseudoscientifica di determinismo sociale ed economico.

Voglio dire che mentre le biblioteche sono piene di analisi dei nostri vizi, bisogna forse risalire a Gioberti per trovare un libro dedicato alle nostre virtù.

Voglio dire che è arrivato il momento di parlare bene di noi, anche per capire perché non siamo crollati sotto il peso di quei vizi; per capire come mai abbiamo ricostruito l’Italia in pochi anni dopo il disastro della guerra, abbiamo battuto i terrorismi, abbiamo trovato e condannato gli assassini di Falcone e di Borsellino; come mai abbiamo risanato la voragine del debito pubblico lasciataci dagli anni Ottanta, siamo la sesta potenza economica del mondo ed il quinto paese esportatore al mondo.

Si ripete periodicamente che l’Italia è schiacciata sotto il peso insostenibile di 150.000 leggi. In realtà in Italia le leggi sono poco più di 10.000 e questo dato non ci differenzia molto dalla Francia, dalla Germania e da altri Paesi europei.
La questione vera, di cui è parte la riflessione sul numero e sul peso della legislazione, è come riuscire a riportare la legge da strumento inflazionato di microregolazione settoriale e corporativa, a potente leva di decisione per le macroquestioni lasciando che i cittadini, le famiglie, le imprese si diano forme di autoregolamentazione il più possibile libere, di modo che lo Stato intervenga solo laddove è davvero necessario. E’ la grande questione della sussidiarietà intesa come moderna dimensione della democrazia.

La sanità è prigioniera anch''essa di una falsa rappresentazione della realtà.
Nel sistema sanitario nazionale permangono disfunzioni, né possiamo ancora dire che la riforma abbia prodotto tutti i risultati che sono attesi in termini di maggiore qualità ed accessibilità dei servizi.
Ma non si possono rimuovere o negare alcuni fatti essenziali.
La sanità in Italia sono quasi 50.000 medici di famiglia, 12.719 strutture sanitarie di cui quasi 2400 consultori materno-infantili, 10 milioni di ricoveri ospedalieri di cui quasi il 20% in strutture di day-hospital, 8000 interventi chirurgici al giorno.
Una recente ricerca condotta a livello europeo ha stabilito che “gli italiani sono soddisfatti del proprio rapporto con il medico di famiglia e le strutture ospedaliere sono al passo con quelle degli altri Paesi europei “.

La Conferenza Stato-Regioni ha ripartito il 18 febbraio scorso il più consistente Fondo sanitario nazionale mai attribuito alle Regioni: 117.000 miliardi complessivamente destinati alla spesa sanitaria per il 2000, con un aumento di 84.000 lire della quota delle assegnazioni per ciascun cittadino, che passa da 1.905.148 a 1.989.148 lire.
Permangono casi gravi di disservizio e di inefficienza che vanno individuati anche sul piano delle responsabilità personali: a volte si traducono in fatti tragici e non è davvero tollerabile che questi fatti continuino ad accadere.
Ma chi si limita a gridare alla "malasanità", chi non vuole apprezzare ciò che funziona, né riconoscere le possibilità concrete di cambiare le cose in meglio mortifica le capacità, le volontà positive che esistono negli operatori, nelle strutture pubbliche e in quelle private, nelle associazioni degli utenti. Si priva dell''opportunità di costruire una sanità moderna, efficiente, capace di assicurare a tutte le persone che vivono nel nostro Paese uno standard di qualità nelle prestazioni erogate dal sistema sanitario.

Il "superindice" elaborato mensilmente dalla Commissione europea per misurare le aspettative economiche dei consumatori e delle aziende, ha raggiunto per l’Italia a gennaio il livello più alto degli ultimi dieci anni. Ad innalzare il trend di crescita contribuisce in modo significativo l''inversione di tendenza del nostro Paese, che sta progressivamente recuperando posizioni rispetto ai partner europei.
La crescita della produzione industriale, dopo novembre 1999, è proseguita a dicembre ed a gennaio. A metà febbraio il Centro studi di Confindustria ha registrato per gennaio un aumento dell''1,2% rispetto al trimestre precedente. Pochi giorni dopo ancora Confindustria ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita del PIL per il 2000, portando al 2,3%-2,4% le stime che a dicembre ''99 erano del 2,2% .
Negli stessi giorni la Deutsche Bank e l’Irs hanno rispettivamente previsto una crescita del 2,5% e del 2,8%.
Nell''ultimo anno abbiamo avuto 280.000 occupati in più, l''80% dei quali frutto delle nuove norme sulla flessibilità.

Senza nascondere le questioni ancora aperte e la necessità di moltiplicare gli sforzi per consolidare questi risultati positivi, i dati dimostrano che l''Italia, grazie soprattutto agli stessi italiani, è oggi un Paese più forte e più credibile.
Questa Italia che funziona, che è una delle grandi potenze economiche del mondo merita di essere compresa, riconosciuta, valorizzata.

Questo sforzo di comprensione tuttavia non può esaurirsi nella riflessione politica.
Se si lascia alla politica l’indicazione dei punti di forza del Paese, si rischia di dare all’analisi un’impronta di parte, a volte demagogica e persino nazionalista.

E’ invece il livello culturale di un Paese, conseguenza diretta della qualità del suo sistema educativo, a determinare in modo significativo il livello di consapevolezza dei cittadini sulle proprie capacità di superare i momenti difficili e sui nodi che sono ancora da sciogliere, sui limiti e sulle risorse degli italiani.
Esso dunque, e al suo interno l’Università in modo particolare, può svolgere un ruolo fondamentale per colmare il deficit di conoscenza della realtà e di autorappresentazione culturale.

Un Paese che non ha avuto, come la Francia, “grandes écoles”, né sedi di elaborazione culturale come i think-tanks propri della tradizione anglosassone, può oggi fare tesoro di una rete ampia e capillare di Università nell’opera di analisi e di illustrazione del modo con cui si realizzano e sono percepiti i cambiamenti della società.
Un moderno sistema educativo, impegnato nella diffusione dell’educazione e della formazione, capace di fornire le risorse intellettuali ed un capitale di sapere adeguato, è la garanzia duratura di questo impegno, della possibilità concreta di realizzare una visione comune delle opzioni strategiche del Paese.
E’ questa la prima ragione per la quale dobbiamo guardare al sistema educativo come ad una priorità nazionale.
Modernizzare l’Italia significa costruire un sistema Paese che si preoccupa di coniugare progresso civile a mezzi culturali.

Vi sono altre due fondamentali ragioni perché si realizzi un impegno comune, delle istituzioni e dei cittadini, in questa direzione.

 Innanzitutto la consapevolezza che oggi, a differenza del passato, scuola e università costituiscono, al di fuori di percorsi individuali strettamente elitari, le sole agenzie universalistiche per la formazione delle nuove generazioni.
La sensibile attenuazione delle funzioni educative integrative svolte per decenni dalla famiglia, dalla Chiesa, dal partito, segnano un cambiamento radicale nel ruolo e nelle responsabilità dell’istruzione pubblica verso le giovani generazioni e verso il Paese.
La diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione rendono possibile la costruzione di una società basata sulla conoscenza.
Ed in questa società la questione centrale è quella della disponibilità o della disparità dell’accesso ai nuovi strumenti di comunicazione, del divario tecnologico e digitale tra cittadini, della costruzione di una capacità critica nell’utilizzo dei nuovi strumenti della conoscenza.
In questa società torna dunque in chiave moderna la questione fondamentale di ogni democrazia, quella della disponibilità dei mezzi e della disponibilità delle informazioni come condizioni essenziali del processo democratico.

Su queste questioni il sistema educativo può svolgere un ruolo fondamentale, che connette in chiave moderna funzione civile e funzione educativa del sistema formativo del Paese.
Nella società dell’informazione scuola e università devono essere in grado di fornire alle nuove generazioni punti di riferimento e griglie di lettura per rafforzare la capacità di comprendere e giudicare la massa di informazioni e di dati messa a disposizioni dai mezzi di comunicazione di massa.
Un sistema educativo utile è inoltre un sistema che insegni e formi alla cittadinanza. Essere cittadini significa essere partecipi e consapevoli della comunità nazionale. Vuol dire avere doveri e diritti. Vuol dire poter realizzare se stessi, “essere” come dice il rapporto Delors.

 La seconda ragione che fa del sistema educativo una priorità nazionale sta nella consapevolezza che in tutte le società avanzate l’economia di scala è stata sostituita dall’economia della conoscenza e della creatività. La Microsoft o Tiscali non sono nate in grandi aree industriali, con l’impiego di colossali capitali e di un numero sterminato di dipendenti. Sono nate in piccoli laboratori o addirittura in scantinati, da un cervello che sapeva e ha avuto il coraggio di provare a costruire.
Per la prima volta nella storia dell’uomo, la maggior ricchezza non è più posseduta da chi dispone di risorse naturali e dei mezzi per trasformarle, ma da chi possiede conoscenza, da chi è capace di stare nel mercato dei beni immateriali.
Questa è una straordinaria chance per l’Italia che non ha materie prime, non dispone dei mezzi economici idonei a competere con i colossi del turbocapitalismo; ma ha tradizionalmente dalla sua intelligenza, duttilità, creatività. Mentre le vecchie industrie sono sottoposte ad un processo di reinvenzione, la sfida dello sviluppo, la terza rivoluzione industriale è una sfida sulla capacità di far interagire al meglio le sei nuove tecnologie: microelettronica, informatica, telecomunicazioni, nuovi materiali di sintesi, robotica e biotecnologia.
Di fronte a questo processo di sviluppo il Paese ha bisogno di un nuovo sforzo di alfabetizzazione primaria e scientifica.

Oggi più che mai la crescita di un sistema Paese si misura sulla sua capacità di costruire un circuito che connette le potenzialità innovative della nuova economia a risorse umane e saperi attrezzati a pensare il nuovo.

Il sistema educativo del Paese deve cogliere questa responsabilità e vincere questa sfida.
L’alfabetizzazione primaria a livello scolastico è oggi al centro del programma di sviluppo delle tecnologie didattiche varato dal Ministero della Pubblica Istruzione articolato in due progetti che si rivolgono sia alle scuole che non hanno ancora strumenti informatici e di rete sia agli istituti che utilizzano già i nuovi strumenti di informazione.
Si tratta di uno sforzo indispensabile che deve portare al superamento di un deficit esistente nel sistema formativo primario e secondario.
Accanto a questo obiettivo è indispensabile che il sistema educativo universitario divenga, attraverso la costruzione di un rapporto stretto tra ricerca e comunicazione, soggetto attivo e fonte primaria dell’innovazione tecnologica.
L’Università di Padova è impegnata in questa direzione in particolare attraverso la realizzazione di canali stabili di comunicazione tra i settori di ricerca dell’Ateneo e la realtà economica ed imprenditoriale del territorio.
Su questo terreno si gioca una parte essenziale della sfida che abbiamo davanti.
C’è la necessità di uno sforzo maggiore da parte delle università italiane e delle imprese per stabilire sinergie. E’ ancora troppo basso il livello delle scelte imprenditoriali per l’innovazione tecnologica realizzate sulla base della conoscenza dei risultati della ricerca universitaria. Una recente indagine Istat rivela che il ruolo informativo e promozionale svolto in campo tecnologico dalle Università incide sulle scelte innovative delle imprese solamente per il 13%.

Porsi questo tipo di problemi significa che oggi, finalmente, torniamo a ragionare in termini di impegno progettuale e di nuove risorse per il progresso culturale, l’innovazione e la formazione delle giovani generazioni.

L’università deve costituire l’architrave di questo impegno per far crescere la consapevolezza e la coscienza che il Paese ha di sé stesso, per porre i giovani nelle condizioni idonee a dare un senso al proprio sforzo di approfondimento.
L’arricchimento del patrimonio di conoscenze, la creazione di livelli di competenze sempre più elevati, possono essere messi al servizio dei valori fondamentali su cui poggia la nostra convivenza civile e su un’idea di quello che è e che deve essere il nostro Paese.
Solo questo asse tra presente e futuro può fornire agli studenti un orizzonte di valori e di principi che consenta loro di avere piena coscienza del ruolo professionale che andranno ad assumere all’interno della società. Solo questo può renderli responsabili di fronte a sé stessi e può offrire loro la possibilità di dare al proprio apprendimento un significato che non sia solo quello della accumulazione delle conoscenze.
La tendenza alla specializzazione, ineludibile e necessaria, non deve creare una condizione di frammentazione della conoscenza e di smarrimento della visione complessiva dei problemi. Perciò deve essere accompagnata da un’idea del Paese, della Repubblica, della società.
Dobbiamo insegnare ai ragazzi e alle ragazze a riportare il proprio bagaglio di conoscenze specifiche sul piano più ampio dei problemi di sviluppo culturale, sociale e civile della propria comunità nazionale.
Troppo spesso chi studia si sente spettatore; è nostro compito farlo sentire protagonista di un processo di trasformazione del nostro Paese, le cui leve saranno nelle sue mani tra pochi anni.
Qui l’impegno della politica si salda con quello dell’Università, l’impegno per il presente con quello per il futuro, l’impegno della sapienza con quello della innovazione.