A che punto siamo con il “federalismo amministrativo”?


Roma, 01/25/2000


*** II Conferenza sullo stato di attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997 n.59, organizzata dalla Commissione parlamentare per la riforma amministrativa ***


Il 25 marzo scorso, quando la Commissione ha convocato la prima Conferenza sullo stato di attuazione del federalismo amministrativo, i problemi aperti erano principalmente due: la mancata approvazione delle leggi regionali relative alla distribuzione delle nuove funzioni tra le regioni stesse e gli enti locali e la mancata adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri relativi al trasferimento delle risorse, dei mezzi, del personale e degli uffici necessari per l’esercizio delle competenze trasferite dal centro alla periferia.

Oggi, a distanza di dieci mesi, possiamo dire che sono stati compiuti decisivi passi in avanti.

La gran parte delle regioni ha approvato le leggi volte a stabilire quali competenze rimangono ad esse attribuite e quali invece sono devolute agli enti locali. In particolare tutte le regioni hanno definito la distribuzione delle competenze in materia di commercio, di agricoltura e pesca, di trasporto pubblico locale (con l’eccezione di Campania e Molise), di mercato del lavoro (con l’eccezione della Calabria).

Rispetto alla attuazione del decreto legislativo n.112 del 1998, che dispone il trasferimento di un gran numero di competenze (energia, miniere, attività produttive, turismo, urbanistica, ambiente, opere pubbliche, viabilità, protezione civile, ecc.) due terzi delle Regioni hanno approvato le leggi regionali di loro competenza. Veneto e Piemonte si accingono ad approvare i rispettivi provvedimenti, mentre più indietro sono Calabria, Campania e Puglia.

La legislazione regionale è nel complesso pienamente in linea con l’obiettivo della riforma di destrutturare il vecchio modello del centralismo regionale e di rafforzare le funzioni di programmazione e di indirizzo, lasciando agli enti locali il massimo spazio nella gestione dei compiti amministrativi. In molti casi, inoltre, le leggi regionali hanno portato ad una significativa semplificazione del tessuto normativo regionale nelle diverse materie e all’abrogazione di centinaia di leggi preesistenti.

Maggiori difficoltà, anche a causa della particolare complessità tecnica delle relative decisioni, incontra il Governo nella predisposizione dei DPCM di trasferimento di risorse, mezzi e personale. Su questo punto, peraltro, è in atto un grande sforzo della Presidenza del Consiglio e del Ministero della funzione pubblica, per giungere alla approvazione dei provvedimenti prima delle elezioni regionali di aprile, grazie anche al lavoro del Commissario straordinario per il coordinamento delle attività di identificazione dei beni e delle risorse da trasferire alle regioni e agli enti locali, nominato dal Governo nel mese di ottobre.

Se ci saranno – come io credo – determinazione e leale collaborazione da parte di tutte le istituzioni coinvolte in questo grande progetto, potremo rispettare il termine del 31 dicembre 2000 per l’entrata in vigore della riforma.

Completare l’attuazione delle disposizioni della legge Bassanini 1 è un obiettivo fondamentale, ma altri traguardi, forse anche più impegnativi, dobbiamo cercare di raggiungere prima della conclusione della legislatura per realizzare pienamente il federalismo amministrativo.



Indico tre priorità che mi sembrano ineludibili.



La prima riguarda la definizione di un quadro completo di strumenti finanziari, tecnici e professionali, indispensabili perché la riforma parta di slancio, senza i freni, le contraddizioni, le lacune che hanno caratterizzato il decentramento degli anni ’70.

Nel quadriennio 1992-96 il grado di autonomia tributaria dei Comuni è cresciuto del 67% e quello di autonomia finanziaria del 42%. Nel 1997 i tributi locali di comuni e province costituivano l''11.8% del prelievo fiscale; nel 1998 tale quota è salita al 19.2%.

A questi dati positivi si aggiungeranno gli effetti considerevoli del decreto legislativo sul federalismo fiscale, in questi giorni all’attenzione del Parlamento. Il provvedimento segna il passaggio dal sistema dell’addizionale al sistema della “compartecipazione” al gettito di tributi rilevanti, come l’IVA. Questo sistema consentirà subito a sette Regioni, sulle 15 a statuto ordinario, di raggiungere una completa autonomia finanziaria e alle altre di ridurre progressivamente il proprio deficit.

Occorre ora lavorare per garantire anche ai comuni, secondo quanto disposto dalla legge delega n.133 del 1999, risorse certe, prevedendo forme di compartecipazione all’IRPEF non facoltativa e rivedendo il sistema dei trasferimenti erariali.

Ma accanto alle risorse finanziarie è necessario dotare il nuovo sistema di federalismo amministrativo di strumenti tecnologici d’avanguardia e di un adeguato livello di competenze professionali.

Un passo importante in questa direzione è rappresentato dalla istituzione della Scuola Superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale e delle Scuole regionali e interregionali. La Scuola Superiore ha iniziato la propria attività nell’ottobre scorso con l’apertura del 1° anno accademico.

Occorre un grande impegno in questa direzione, perché la positiva affermazione del federalismo amministrativo si avrà soltanto se disporremo di una classe dirigente locale dotata di competenza, di capacità progettuale, di senso di responsabilità.

Sul piano degli strumenti di azione e di comunicazione, la diffusione di Internet cresce ed è in grado di influenzare positivamente gli interventi di regioni e comuni.

La rete informatica come sistema aperto e sinergico di condivisione di risorse e di informazioni è indispensabile per coniugare l’esercizio dell’autogoverno con lo sviluppo di comunità moderne.

Nei comuni che utilizzano Internet la quantità e la qualità dei servizi resi ai cittadini sono più elevate.

Basti pensare che nelle “città digitali” l’88% dei servizi relativi a concorsi, gare e appalti, l’81% dei servizi del tempo libero, il 48% dei servizi relativi al trasporto e alla mobilità, il 21% dei servizi relativi alla sanità sono offerti per via informatica e sono giudicati di buona qualità.

L’obiettivo è quello di far crescere il numero degli enti locali inseriti nella rete. Se, infatti, il 24% e il 21% degli enti locali rispettivamente dell’Emilia Romagna e della Toscana offrono servizi attraverso Internet, solo il 5,7% (in media) degli enti locali delle Regioni meridionali ha un proprio sito.



La seconda priorità riguarda la maturazione da parte dei comuni della capacità di lavorare insieme.

Una parte rilevante di questa Conferenza è dedicata giustamente alle esperienze di associazionismo comunale, come presupposto essenziale della riforma del federalismo amministrativo.

Non si tratta di costruire forme di aggregazione artificiali o modelli coattivi calati dall’alto.

Si tratta al contrario di favorire, così come avviene nell’esperienza francese, forme spontanee di organizzazione fra le diverse realtà locali, in grado di offrire un livello capillare di servizi anche alle comunità più piccole o più svantaggiate dal punto di vista della collocazione territoriale e di promuovere l’utilizzazione ottimale delle risorse per promuovere la mobilità, lo sviluppo, la crescita dell’occupazione, la valorizzazione del territorio.

Le modifiche alla legge n.142 del 1990 approvate dal Parlamento nel luglio scorso (legge n.265 del 1999) vanno in questa direzione.

L’Italia dei comuni sarà chiamata nei prossimi anni a misurare la propria capacità di coniugare identità particolari e modernità.

La sfida che abbiamo di fronte è quella di salvaguardare le storie, le culture, le tradizioni, le specificità municipali – che costituiscono una ricchezza in termini di identità e di senso di appartenenza degli italiani - senza chiusure, senza respingere le forme di apertura e di lavoro comune che consentano alle istituzioni di funzionare meglio e di rispondere adeguatamente alle esigenze dei cittadini.

I dati raccolti fino ad oggi sono promettenti.

Secondo una indagine del Formez del settembre 1999 il 46,7% dei comuni definiti “capofila dei sistemi locali del lavoro” (784) e dei comuni con più di 30.000 abitanti (106) avevano stretto rapporti di collaborazione con altri comuni o con associazioni di categoria per l’attivazione dello sportello unico.

E’ un risultato che naturalmente va migliorato, ma che dimostra l’esistenza di un terreno fertile, dimostra che si va diffondendo la consapevolezza che occorre abbandonare la vecchia logica del municipalismo, e che la valorizzazione e in molti casi la stessa vitalità delle realtà locali dipende dalla capacità dei comuni di lavorare insieme.

Lavorare insieme per sostenere lo sviluppo economico, per aprire nuovi spazi di mercato legati alla vocazione e alle specificità del territorio, per creare nuove occasioni di lavoro per i giovani e quindi per dare un futuro alla vita delle comunità stesse.



La terza priorità riguarda l’omogeneità e il consolidamento del progetto di riforma del decentramento amministrativo.

Innanzitutto il consolidamento. In questi anni c’è stato un grosso impegno perché la riforma della legge 59 andasse avanti su propri binari, in modo autonomo dal processo di riforma costituzionale, che – dopo il blocco dei lavori della Commissione bicamerale – ha avuto un cammino meno veloce, anche se non privo di risultati, come l’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto ordinario.

Questo impegno deve essere mantenuto, ma dobbiamo al tempo stesso porci l’obiettivo di approvare la riforma federale prima della conclusione della legislatura.

E’ questo un passaggio fondamentale se vogliamo consolidare e mettere al sicuro i risultati straordinari che in questi anni abbiamo costruito sul piano del federalismo amministrativo, del federalismo fiscale, della modernizzazione dei sistemi di governo regionale e locale.

L’approvazione della riforma federale – che l’Assemblea della Camera riprenderà ad esaminare nel mese di febbraio - costituirà una spinta formidabile per la concreta attuazione delle riforme approvate in via ordinaria in questi anni, mettendole al riparo da qualunque tentazione neocentralistica.

Infine la questione dell’omogeneità. Oggi rischiamo di scivolare verso un paradosso: le regioni a statuto ordinario, grazie alla approvazione della legge 59 e della legge costituzionale sull’elezione diretta del Presidente, hanno una velocità di modernizzazione istituzionale e amministrativa molto più alta di quelle a statuto speciale.

Basti pensare che tra queste soltanto Valle d’Aosta, Trentino Alto-Adige e Friuli Venezia-Giulia, hanno un livello di decentramento amministrativo in linea con i principi della legge 59.

Sardegna e Sicilia sono molto indietro. L’Assemblea regionale siciliana non ha ancora iniziato l’esame dei disegni di legge, presentati dalla Giunta nel maggio 1999, volti a conferire compiti e funzioni agli enti locali secondo i principi del federalismo amministrativo.

Nessuna iniziativa è stata assunta dalla Regione Sardegna.

Il disegno di legge costituzionale sulla elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a Statuto speciale, dopo l’approvazione da parte della Camera il 25 novembre scorso, è all’esame del Senato in prima lettura.

Credo che entrambe le Camere metteranno nei prossimi mesi ogni impegno per approvare quanto prima la riforma.

Superare questo ritardo è indispensabile, per fare in modo che la costruzione del federalismo avvenga in un quadro armonico ed equilibrato, nel quale la valorizzazione delle differenze serva anche a colmare le distanze economiche e sociali del Paese, e in questo modo a rafforzarne il vincolo di unità.