Corso di Formazione e perfezionamento sul diritto dei Popoli


Roma, 11/05/1999


*** V corso di formazione e perfezionamento sul diritto dei popoli, promosso dalla Fondazione internazionale Lelio Basso per il diritto e la liberazione dei popoli***


1) Con la Dichiarazione del 1948, per la prima volta, l’affermazione dei diritti dell''uomo diviene universale e positiva. Universale perché i destinatari dei principi in essa contenuti non sono più i cittadini di un singolo Stato, ma tutti gli uomini e le donne. Positiva perché avvia un processo che ha come punto terminale non solo la proclamazione dei diritti, ma la loro protezione anche nei confronti dello stesso Stato che li ha violati.

L''esperienza dei 51 anni trascorsi dalla approvazione della Dichiarazione universale di Parigi ci mostra una verità drammatica e in parte paradossale: la maggior parte delle violazioni dei diritti umani provengono dagli Stati, dai poteri pubblici.

Il Rapporto annuale di Amnesty International per il 1999 conferma questo quadro. Sono 78 gli Stati in cui si ricorre alla prigione per soli motivi di opinione e 73 quelli in cui la tortura dei detenuti continua ad essere ammessa. In molti Paesi continuano oggi applicazioni indiscriminate della pena di morte, abusi e violenze su detenuti, uso politico della detenzione. Sono 142 i Paesi in cui si riscontrano in generale violazioni di diritti umani, mentre torture e maltrattamenti si segnalano in 125 Stati.

Per quanto riguarda la pena di morte si calcola che durante il 1998 siano almeno 1625 i detenuti giustiziati in 37 Paesi, mentre le persone condannate a morte in 78 Paesi siano 3.899.

Naturalmente, ci sono anche segnali positivi: 67 Stati hanno recentemente abolito la pena di morte, e 24, pur mantenendola, non l''applicano più da oltre 10 anni. Inoltre, nella sessione di aprile della Commissione dei diritti umani dell''ONU, l''U.E. ha fatto propria la risoluzione per l''abolizione della pena di morte e l''adozione di una moratoria delle esecuzioni, già presentata dall''Italia ed approvata dalla Commissione. Tale risoluzione, ora all''esame dell''Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha aperto i propri lavori lo scorso 20 settembre, sarà votata il prossimo dicembre.

Anche i trattati internazionali per abolire la pena di morte e più in generale per la tutela dei diritti umani vedono aumentare il numero dei paesi aderenti. E questo il caso del Protocollo n.6 alla Convenzione europea dei diritti umani e le libertà fondamentali che ha visto salire il numero delle ratifiche a 28, dopo l''adesione dell''Estonia.

In ambito di Unione europea si sta lavorando ad una Carta dei diritti fondamentali dell''Unione, tale da costruire un nuovo spazio europeo di libertà, giustizia e sicurezza. Il recente Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre scorso ha istituito l''organo preposto all''elaborazione della nuova Carta che sarà presentata al Consiglio europeo della fine del prossimo anno.



2) A fronte dei dati complessivi che ci mostrano quanto ci sia ancora da fare per migliorare la situazione dei diritti umani nel mondo, appare evidente l’esigenza di riflettere sulla strategia che gli Stati democratici e rispettosi di tutti i diritti umani devono adottare per rendere effettivi quei diritti in tutto il mondo.

Per molti anni, infatti, i diritti sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non sono stati effettivamente garantiti per la divisione bipolare del mondo in due parti ideologicamente contrapposte, e soprattutto perché è prevalsa la concezione tradizionale della sovranità nazionale, fondata sui principi della non interferenza negli affari interni e del non riconoscimento di alcuna autorità superiore a quella dello Stato all''interno dei propri confini. Questi fattori hanno impedito che alla dichiarazione seguisse l''attivazione di una concreta strumentazione per la protezione di quei diritti, capace di vincolare gli Stati alla loro osservanza.

Oggi, con la fine del bipolarismo, con il crescere dei legami di interdipendenza nelle relazioni economiche e la connessa cessione a livello regionale e mondiale di quote di sovranità degli Stati nazionali ad organismi sovranazionali e internazionali, si può finalmente porre questa questione e fare in modo che ai diritti universali dell''uomo corrispondano anche i doveri universali degli Stati.

Fortunatamente, l''evoluzione del diritto internazionale che ha accompagnato queste profonde trasformazioni consente ormai sempre meno di confinare le questioni del rispetto e della tutela dei diritti umani all''interno delle frontiere di ciascuno Stato, come questioni di "dominio riservato".

L''ultimo decennio del secolo ha segnato da questo punto di vista un passaggio storico. Al declino della cultura tradizionale dello Stato sovrano e dei diritti degli Stati si è accompagnato infatti l''emergere con rinnovata forza di una cultura del primato dei diritti fondamentali della persona e dei doveri degli Stati nei confronti dei propri cittadini.

I diritti umani sono divenuti un punto di riferimento obbligato nell’azione della Comunità internazionale. Ad essi fanno riferimento, tra gli atti più recenti, la Convenzione europea sulla biomedicina (1997) e la Dichiarazione universale sul genoma (1998).

La loro brutale violazione in Bosnia ed in Ruanda ha incrinato l''assunto secondo il quale l''uomo e le sue libertà sono secondarie rispetto al concetto di sovranità. Si è resa sempre più intollerabile l''idea della impunità degli Stati, corollario inseparabile della vecchia concezione della sovranità nazionale fondata sul non riconoscimento di alcuna autorità superiore all''interno dei propri confini, ed ha condotto all’istituzione nel 1993 e nel 1994 di Tribunali penali internazionali ad hoc.

La vicenda dell''incriminazione di Pinochet, l''affermarsi del diritto di ingerenza umanitaria e le conseguenti azioni militari per fermare la pulizia etnica e restituire ai deportati albanesi del Kosovo le loro terre e le loro case, il più recente intervento a Timor-Est, costituiscono i primi segni concreti dell''affermarsi del valore sovranazionale dei diritti umani. Essi confermano una sensibilità nuova nel mondo di oggi, una sensibilità che non tollera l''oppressione dei deboli e non ammette genocidi.

Il diritto di ingerenza umanitaria e l''attivazione di un efficace sistema penale internazionale che individui e punisca i responsabili di quegli Stati che si macchiano di crimini di guerra e contro l''umanità sono strumenti essenziali per l''effettiva protezione dei diritti universali sanciti nella Dichiarazione di Parigi.



3) In questa direzione l''istituzione nel luglio scorso della Corte penale internazionale ha rappresentato un importante passo in avanti. Per la prima volta, in un quadro di certezza delle regole penali, è stato definito un nucleo di crimini internazionali la cui repressione è qualificata come imprescrittibile. In molti casi i "beni" protetti vanno ben al di là dei tradizionali interessi degli Stati con la previsione, ad esempio, di crimini che violano i diritti delle donne, dei bambini, delle minoranze etniche e religiose.

Il nostro Paese sta operando con determinazione per il concreto avvio della Corte penale internazionale, dopo aver promosso ed ospitato l''anno scorso i lavori della Conferenza delle Nazioni Unite che ha redatto ed approvato il Trattato istitutivo della nuova Corte. Con l''approvazione definitiva del Parlamento nel luglio scorso l''Italia è divenuto il primo Paese dell''Unione Europea ad aver ratificato lo Statuto della Corte. Questo risultato rappresenta sicuramente uno stimolo affinché gli altri Paesi europei procedano rapidamente in questo senso. Per attivare la Corte è infatti necessaria la ratifica da parte di almeno 60 Paesi. A tutt''oggi su 85 Paesi firmatari solo 4 hanno completato tali procedure, cioè Senegal, Trinidad- Tobago, San Marino e Italia.

Tuttavia l''attivazione della Corte penale non può costituire da sola l''argine preventivo contro nuovi crimini di guerra e contro la violazione dei diritti umani.

Né a ciò saranno sufficienti le pur importanti raccomandazioni e risoluzioni sul rispetto e sulla promozione del diritto umanitario internazionale approvate recentemente dall''Assemblea parlamentare del Consiglio d''Europa (Strasburgo-20 settembre u.s.) e dall''Unione Interparlamentare (Berlino-16 ottobre u.s.).



4) I diritti umani non sono però legati solo alla libertà di agire. Sono legati anche alla libertà dal bisogno. A questo scopo è indispensabile che gli Stati rafforzino forme e strumenti di collaborazione permanente per creare all''interno delle singole realtà locali le condizioni di sradicamento delle cause economiche e culturali dei conflitti e per sviluppare una cultura del rispetto dei diritti umani.

Basti pensare che in molti Paesi meno sviluppati, alcuni importanti diritti, come quello all’istruzione, al lavoro, alla sicurezza sociale, fino al fondamentale diritto alla vita, sono tuttora negati a causa della povertà, che costituisce ancora oggi, secondo l''OMS, la principale causa di morte nel mondo.

Nella povertà esiste anche una discriminazione che riguarda donne e bambini. Ogni anno in tutto il mondo muoiono 13 milioni di bambini sotto i 5 anni per malnutrizione o a causa di malattie di facile prevenzione e 550 milioni di donne -oltre il 50% della popolazione rurale mondiale – vivono al di sotto della linea di povertà.

Tali discriminazioni, per quanto riguarda l''istruzione, sono indicate anche nel Rapporto UNDP sullo sviluppo umano in cui si denuncia che nei Paesi in via di sviluppo le donne analfabete sono ancora il 60% in più degli uomini, e l''iscrizione femminile all''educazione di livello primario è ancora inferiore a quella maschile di una percentuale pari al 6%.

I paesi ricchi ed industrializzati, i paesi di democrazia occidentale, hanno particolarmente a cuore la tutela dei diritti umani di libertà. E tuttavia perdono di incisività quando si impegnano, giustamente, in azioni a tutela delle libertà personali nei paesi autoritari, senza considerare la necessità di rendere concreti i processi di ridistribuzione della ricchezza verso il mondo in via di sviluppo, come via essenziale alla promozione dei diritti umani.

Il problema della ridistribuzione della ricchezza è oggi reso ancora più urgente dagli effetti della globalizzazione economica e tecnologica di cui troppo spesso si sottolineano soltanto opportunità e vantaggi.

Tali opportunità non sono invece ancora distribuite in modo uniforme tra gli Stati, ed accentuano di fatto la forbice già esistente tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo. Secondo l''ultimo Rapporto UNDP sullo sviluppo umano (1999) sono ancora oltre 80 i Paesi che hanno redditi pro capite più bassi rispetto ad un decennio fa o più. In particolare, a partire dal 1990, solo 40 Paesi hanno ottenuto una crescita media del reddito pro capite di oltre il 3% l''anno, mentre 55 Paesi soprattutto dell''Africa sub-sahariana, ma anche dell''Europa dell''est e della Comunità degli Stati Indipendenti, hanno diminuito i loro redditi.

Questi dati confermano una triste tendenza di lungo periodo nella distribuzione mondiale del reddito, se si calcola che la distanza tra le nazioni più ricche e quelle più povere era di circa 3 a 1 nel 1820, di 11 a 1 nel 1913, di 35 a 1 nel 1950, di 44 a 1 nel 1973 e di 72 a 1 nel 1992.

La lotta per la globalizzazione dei diritti contro la povertà e la battaglia per il diritto dei paesi poveri allo sviluppo passa necessariamente attraverso l’azzeramento del loro debito.

Il debito cresce ogni anno di 100 miliardi di dollari e si traduce nella negazione del diritto al lavoro, all’istruzione, alla sicurezza sociale e nell''aumento dello sfruttamento dei minori e delle donne.

L''Italia ha dimostrato una attenzione concreta su questo terreno impegnandosi quest''anno a cancellare 2.800 miliardi di crediti nei confronti di 10 tra i Paesi più poveri e sostenendo la proposta, accolta nel vertice dei G-7 di Colonia, di cancellazione di crediti per 70 miliardi di dollari.

Occorre continuare e rafforzare questo impegno.

Promuovere e accompagnare lo sviluppo dei Paesi più poveri è nel nome della libertà di tutti e non solo di chi oggi non è in grado di esercitare questo suo diritto, questa sua libertà.

Agire in questa direzione significa compiere un passo decisivo verso l''affermazione di un nucleo sostanziale di diritti della persona umana ai quali corrispondano i doveri degli Stati ad investire contro la povertà e la fame, per l''istruzione e lo sviluppo.



5) Per raggiungere questo obiettivo vedo da parte degli Stati la necessità di un impegno ulteriore a collaborare per l''approvazione di una Carta dei doveri universali degli Stati.

I diritti degli uomini non possono ormai essere più considerati come realtà sconnesse dai doveri degli Stati. Ad ogni diritto dell’uomo deve corrispondere un dovere ed il principale titolare di doveri non può che essere lo Stato.

Oggi, con la fine del bipolarismo internazionale ed il declino della vecchia sovranità nazionale, si può finalmente porre la questione degli strumenti e delle modalità per vincolare gli Stati all''osservanza di determinate regole.

Con rinnovata efficacia, il primato dei diritti umani rende assoggettabili a responsabilità gli Stati e le persone che in ragione dell''esercizio di pubblici poteri si rendono responsabili delle violazioni di tali diritti.

E'' dunque ormai possibile fare in modo che ai diritti universali degli uomini corrispondano finalmente anche i doveri universali degli Stati a non uccidere i propri condannati, a non torturare i propri detenuti, a non costruire armi usate prevalentemente contro civili inermi, ad investire le loro risorse contro la povertà e la fame, per l''istruzione e lo sviluppo.

La nozione e il richiamo ai doveri comuni che fanno capo a tutti gli Stati è presente nello stesso Statuto istitutivo della Corte penale. Nel Preambolo dello Statuto si sottolinea in particolare come sia "dovere di ciascuno Stato esercitare la propria giurisdizione penale nei confronti dei responsabili di crimini internazionali" nonché "di astenersi dal ricorrere all''uso della minaccia o della forza contro l''integrità territoriale o l''indipendenza politica degli altri Stati, o in contrasto in qualsiasi modo con gli scopi delle Nazioni Unite" (l''art.1 dello Statuto ONU pone tra i suoi principali fini proprio quello di promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti dell''uomo e delle libertà fondamentali senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione).

Il richiamo ai doveri comuni degli Stati sta emergendo anche nelle sedi internazionali. La Conferenza generale dell''UNESCO, attualmente in corso a Parigi, dovrebbe esaminare in questi giorni una Dichiarazione sui Doveri dell''uomo e sulle Responsabilità. Tale Dichiarazione, rivolta prioritariamente agli Stati, è già stata adottata a Valencia nel dicembre scorso da 75 personalità indipendenti della Fondazione internazionale Terzo Millennio.

Credo che il nostro Paese debba porsi tra i suoi obiettivi prioritari anche l''adozione di una Carta dei doveri universali degli Stati che integri la tradizionale frontiera dei diritti umani. Lavorare per questa Carta può costituire forse uno degli impegni più nobili di ogni paese civile, libero e democratico.

A questo nostro impegno per la definizione dei doveri degli Stati dobbiamo affiancarne un altro, altrettanto forte, per evitare che le ragioni del mercato prevalgano e travolgano le ragioni degli uomini, nella consapevolezza dell''esistenza di un nesso inscindibile che lega i diritti civili e politici ai diritti economici e sociali, la democrazia e i diritti umani allo sviluppo dei Paesi più poveri.

E’ necessario impegnarsi affinché al processo di mondializzazione dell’economia e della comunicazione corrisponda un processo analogo per i diritti degli uomini. Occorre globalizzare anche questi diritti, non possiamo fermarci ai mercati.

Per raggiungere questo obiettivo gli Stati devono oggi confrontarsi oltre che sul piano politico ed economico anche su quello culturale, avviando una ricerca comune di valori fondamentali già condivisi, a tutela e garanzia della dignità dell''uomo, per costruirne dei nuovi.

Questa ricerca deve costituire il fondamento delle politiche volte a costruire un tessuto di relazioni fra le società e gli Stati, con particolare riguardo – è solo una mia opinione - al mondo europeo e musulmano, ancora diviso da troppi sospetti ed incomprensioni.

Sono incomprensioni che nascono dalla scarsa conoscenza delle diverse realtà e che danno vita ad una immagine negativa l''uno dell''altro. Solo dalla conoscenza approfondita e non superficiale può venire la comprensione reciproca e solo sul terreno della conoscenza e della comprensione possono attecchire nuovi valori condivisi.



6) Alla luce di queste incomprensioni, per lungo tempo una parte del mondo arabo, ma anche asiatico ed africano, ha contestato il concetto stesso di universalità dei diritti dell''uomo contenuto nella Dichiarazione ONU, ritenendoli espressione di una cultura specifica, quella occidentale. Tale contestazione ha portato negli ultimi anni ad una sorta di "controdichiarazioni sui diritti dell''uomo" da parte dei suddetti Paesi, tra cui, per il mondo islamico, assume particolare rilevanza la Dichiarazione universale dei diritti dell''uomo nell''islam, adottata all''unanimità dai membri della Organizzazione della Conferenza Islamica nel 1990.

Da un attento esame di questa Dichiarazione è tuttavia possibile individuare una base significativa di valori e di diritti comuni a quelli proclamati dalla Dichiarazione di Parigi.

Essi vanno dal diritto alla vita e alla sicurezza della persona (art.3 ONU-art.2 OCI) al diritto al matrimonio, con forte richiamo al valore della famiglia (art.16 ONU-art.5 OCI), dal diritto alla sicurezza sociale (art.22 ONU-art.13 OCI) al diritto al lavoro e ad un''equa retribuzione (art.23 ONU-art.13 OCI), dal diritto all''istruzione (art.26 ONU-art.9 OCI) al diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere dell''individuo e della famiglia (art.25 ONU-art.17 OCI), dal diritto alla libera circolazione e alla residenza (art.13 ONU-art.12 OCI) al diritto alla proprietà (art.17 ONU-art.15 OCI). In tema di giustizia viene inoltre riconosciuta in entrambe le Dichiarazioni l''uguaglianza dell''individuo davanti alla legge (art.7 ONU-art.19 OCI) e la sua presunta innocenza (art.11 ONU-art.19 OCI).

E'' inoltre particolarmente interessante constatare come nella Dichiarazione islamica, accanto ai diritti enunciati, vi sia un costante ed esplicito richiamo ai doveri degli Stati, quali ad esempio quelli di difendere il diritto alla vita (art.2), rimuovere ogni ostacolo per facilitare la realizzazione del matrimonio (art.5), assicurare il lavoro (art.13), garantire un livello di vita dignitoso per l''individuo e per la sua famiglia (art.17).

E'' necessario, partendo dalla base di diritti comuni già esistenti, compiere uno sforzo ulteriore per estendere il nocciolo dei valori condivisi, pur nel rispetto delle consuetudini e degli ordinamenti reciproci.

A tale scopo l''Europa deve saper cogliere gli importanti segnali di apertura e di condivisione di valori occidentali che giungono da alcuni Paesi del mondo arabo. In essi si sta infatti diffondendo una tendenza riformista favorevole ad una nuova interpretazione dell’islam ed al dialogo con le altre culture. Alcuni di questi Paesi, anche nel tentativo di conciliare l''islam con la storia, intendono innovare profondamente i loro ordinamenti giuridici, con particolare riferimento ai diritti individuali, ai rapporti fra donna e uomo, al concetto di cittadinanza, ai rapporti fra Stato, società civile e religione.

Un esempio concreto in tal senso è fornito dalle recenti codificazioni del diritto familiare in alcuni Paesi della sponda sud del Mediterraneo, fortemente innovative rispetto alla tutela dei diritti della donna. Particolarmente significativa la posizione della Tunisia, che ha legiferato nel senso di garantire la parità dei diritti e dei doveri dei coniugi nel matrimonio, fatta eccezione per il diritto ereditario e per il matrimonio tra membri di diverse religioni cui si applica la Legge islamica. Anche l’Algeria ha adottato delle riforme in tal senso, anche se più limitate. Viene ammessa la clausola di monogamia nel matrimonio, infranta la quale la donna ha diritto a chiedere il divorzio.

E’ necessario seguire con la massima attenzione l’evoluzione in atto nei suddetti Paesi, perché essa apre la possibilità di costruire un concetto veramente unitario di diritti umani. Ciò sarà realizzabile soltanto se i popoli si conosceranno e confronteranno le loro culture, senza perdere le rispettive identità. A tale scopo è necessario che l’occidente assuma un atteggiamento maggiormente aperto verso queste culture, paritario e non paternalistico e che il mondo musulmano inizi a conoscere meglio l''Occidente europeo.



7) I Parlamenti sedi naturali della democrazia, del confronto e del dialogo possono svolgere un ruolo fondamentale per colmare il divario che ancora separa questi popoli e porre fine alle reciproche incomprensioni.

Credo che uno dei primi articoli di un''ipotetica Carta dei doveri dei Parlamenti dovrebbe riguardare proprio il dovere di contribuire allo sviluppo di una società interculturale, fondata su valori condivisi nonché quello di rafforzare l''impegno per l''applicazione delle norme a difesa dei diritti umani.

Sono infatti proprio i Parlamenti, principali sedi della rappresentanza e del pluralismo, che costituiscono per i cittadini il vero elemento di garanzia per la tutela dei loro diritti.

I Parlamenti devono sostenere l''azione dei Governi affinché oltre alla globalizzazione dei mercati, della tecnologia e delle telecomunicazioni si realizzi ormai anche la globalizzazione dei diritti umani. A questo scopo ritengo necessario che i Parlamenti si rendano promotori di iniziative a livello internazionale tese a rafforzare la collaborazione con altri Parlamenti anche in materia di diritti umani e a favorire la conoscenza tra i popoli, superando stereotipi, pregiudizi e incomprensioni.



8) In questo ambito il Senato e la Camera dei Deputati hanno avviato nel corso di questa legislatura una concreta collaborazione con i Paesi delle due sponde del Mediterraneo attraverso la Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dei Paesi di quest''area. In occasione dell''ultima riunione di Palma de Mallorca del marzo scorso è stata approvata una Dichiarazione sulla collaborazione parlamentare euromediterranea che stabilisce tra i suoi principali obiettivi proprio la promozione e il consolidamento dei diritti dell’uomo attraverso le relazioni istituzionali e la collaborazione tra i Parlamenti nazionali ed i Governi dei 27 Paesi dell''area.

Essa prevede inoltre la creazione di:

- un Forum dei giovani, nella convinzione del ruolo che essi possono svolgere per una migliore comprensione delle rispettive diversità e per lo sviluppo di valori comuni ;

- un Forum delle donne parlamentari, in considerazione del ruolo centrale delle donne nella società quali portatrici di valori umani fondamentali e della necessità che esse diventino sempre più protagoniste attive dei processi di integrazione. Tale Forum avrà luogo a Napoli l''8 marzo del 2000.



La Camera dei deputati è fortemente impegnata in questa direzione. Sono tuttavia profondamente convinto che una seria politica istituzionale in difesa dei diritti dell’uomo abbia bisogno dell’indispensabile contributo degli attori della società civile che da tempo lavorano in questo campo. Per questa ragione mi auguro che le occasioni di confronto tra rappresentanti delle istituzioni pubbliche e private, come quella offerta oggi dalla Fondazione internazionale Lelio Basso, possano divenire in futuro sempre più frequenti e costruttive.