Per una nuova idea si Stato: le formazioni sociali da problema a risorsa


Milano, 04/19/1999


***Tavola rotonda sul volume "Sussidiarietà. La riforma possibile" curato da Giorgio Vittadini, promossa dal Centro ricerche per lo studio della dottrina sociale della Chiesa dell''Università Cattolica del Sacro Cuore***


Dividerò il mio intervento in 4 brevi parti: nella prima indicherò le difficoltà che accompagnano il concetto di sussidiarietà; nella seconda cercherò di spiegare che cosa ha reso difficile sino ad ora l''attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale; nella terza spiegherò per quali ragioni politiche, nazionali e internazionali, sia possibile adesso applicare tale principio; terminerò con una conclusione di carattere politico anche in relazione all''attualità.

Quando abbiamo discusso alla Camera di questo principio, ci siamo trovati in imbarazzo: la legge istitutiva della commissione bicamerale limitava i compiti della Commissione alla seconda parte della Costituzione vietando di modificare la prima parte. La sussidiarietà invece concerne proprio la prima parte della costituzione: perché riguarda i rapporti tra poteri pubblici, formazioni sociali e cittadino.

Inoltre durante la discussione della riforma federale dello Stato sono emerse due interpretazioni di carattere opposto. Una di tipo paleoliberale, che tentava di trasformare la sussidiarietà in una bandiera antistatuale e filo individualistica; le formazioni sociali non c’entravano, c’entrava soltanto l''individuo. L’altra interpretazione faceva leva sul valore della solidarietà e suscitava il timore che si volesse tornare a vecchi modelli di tipo assistenziale. Poi la revoca del consenso alla riforma da parte dei gruppi parlamentari del Polo ha fermato la discussione.

L’attuazione di questo principio è stata sinora resa difficile da una condizione nazionale e da una condizione internazionale.

La prima, quella nazionale, è frutto del carattere coercitivo della formazione dello Stato Italiano. Il nostro Stato non si è formato sulla base del consenso, ma sulla base di una conquista militare che ha progressivamente aggiunto ad uno Stato originario - quello sardo piemontese - una serie di altri piccoli stati. Successivamente sono dilagate nel sistema politico italiano le concezioni della burocrazia piemontese, che – sospettosa nei confronti degli altri italiani – si trasformerà da burocrazia di servizio in una burocrazia di controllo. Se esaminiamo attentamente l’intero sistema della Pubblica Amministrazione ci accorgiamo immediatamente che questa considera spesso ancora oggi il cittadino più un controllato che un garantito.

La condizione internazionale è frutto del bipolarismo. Il bipolarismo internazionale ha fatto pesare con enorme forza la ragion di stato sulle ragioni dei cittadini e delle formazioni sociali. Il mondo era diviso in due parti. C''era un sospetto reciproco molto forte. La ragion di stato prevaleva su ogni altro tipo di considerazione tanto in un settore quanto nell''altro, e questo impediva o rendeva difficoltosa l’attuazione di tutto quanto poteva essere libera manifestazione e libera organizzazione dei cittadini, specie per i paesi di frontiera e l''Italia era uno di questi.

Oggi queste due condizioni sono venute meno: il bipolarismo è finito con il disastro del sistema sovietico e sta emergendo un nuovo diritto costituzionale internazionale, in cui declina la ragion di stato e cominciano ad emergere i diritti fondamentali della persona come elemento guida delle relazioni internazionali. Pensiamo in proposito alla vicenda Pinochet, che nasce proprio per la necessità di individuare la responsabilità per i delitti contro i fondamentali diritti umani di cui è accusato il regime cileno. Sulla stessa linea si colloca la vicenda del Kossovo.

Per quanto riguarda l''aspetto interno mi sembra che nella cultura politico costituzionale italiana stia declinando l''idea dello stato programmatore, mentre sta emergendo l’idea di uno stato incentivante. Lo stato è programmatore quando la società civile è debole o è ritenuta tale da chi gestisce il potere politico. E’ incentivante, invece, quando la società comincia ad emanciparsi dal potere pubblico: questo tipo di Stato crea le condizioni perché i cittadini, da soli o nelle proprie formazioni sociali, possano organizzare autonomamente il proprio presente e il proprio futuro.

Esempio del passaggio del nostro Paese dal vecchio Stato programmatore al nuovo stato incentivante sono i patti territoriali, i contratti d''area e il prestito d''onore. Sono tre interventi con cui lo Stato dice ai cittadini: io vi aiuto ad organizzarvi, poi voi decidete cosa dovete fare. Tu giovane meridionale dimmi che progetto hai: se questo progetto è valido, io ti presto il danaro per realizzarlo ad interessi bassi; quando guadagnerai mi restituirai quanto ti ho prestato. Voi città, imprese, sindacati presentatemi un comune progetto di sviluppo; se può funzionare io ve lo finanzierò.

In questa evoluzione, che considero assai positiva, intravedo la necessità di scongiurare un rischio di tipo giacobino: il pericolo cioè che nel nuovo rapporto tra Stato e Società si saltino le formazioni sociali e si torni alla forbice stato-cittadino che taglia via tutte le formazioni intermedie. Si tratta di considerare le formazioni sociali non come un accidente, ma come qualcosa che permette alle persone di realizzare la propria vita, che le aiuta in questa fatica. Ci serve un nuovo capitolo del diritto costituzionale che disegni in modo diverso la distribuzione dei poteri tra cittadino, formazioni sociali e poteri pubblici. Alla vecchia alternativa stato-cittadino credo sarebbe utile sostituire un nuovo circuito tra tre soggetti: poteri pubblici (stato, regione, provincia, comune), formazioni sociali e cittadini. Le relazioni tra questi tre soggetti vanno regolate cercando di evitare che alle formazioni sociali sia impedito di fare ciò che possono fare bene e che, in base alla Costituzione, non sia di esclusiva o concorrente competenza dello Stato. Bisogna creare le condizioni perché le formazioni sociali possano aiutare lo sviluppo della personalità dei cittadini e aiutare se stesse a svilupparsi.

Quali sono le condizioni per riprendere in mano la questione? Innanzitutto uscire dall''equivoco della commissione bicamerale che legava insieme federalismo e sussidiarietà orizzontale.

E'' importante che venga presentata una proposta di legge chiara sulla sussidiarietà orizzontale, che abbia una sua autonomia, riguardi la prima parte della Costituzione, sia considerato un principio fondamentale della Repubblica, sia visto come tale senza equivoci. E’ importante, parallelamente, che ricominci il cammino del federalismo: non penso alla copiatura di quello tedesco, penso a un federalismo che parta dai comuni, che costituiscono la specificità italiana. Noi siamo una nazione di città, 8000 città ognuna con la sua storia e suoi beni culturali. Se ogni città ha suoi beni culturali vuol dire che in quella città una generazione, in un certo momento della storia, ha deciso di dedicare una parte delle proprie risorse a lasciare un segno di sé e che le generazioni successive hanno custodito questo bene come un elemento della propria identità e della propria appartenenza. Non dobbiamo frammentare l''unità nazionale in municipalismi, ma dobbiamo riconoscere che noi possiamo costruire un nostro federalismo dando il massimo di poteri a quei soggetti, cioè i comuni, che sono l’elemento fondamentale della storia italiana, per poi ripartire verso l''alto ridistribuendo il resto dei poteri.

Se la prossimità è un valore positivo, io credo che quanto più il potere decisionale è vicino al cittadino, tanto maggiore è la democrazia perché maggiore è la responsabilità. Lo stato incentivante lascia libera la coscienza dei cittadini, ma esige responsabilità, mentre lo stato programmatore chiedeva fedeltà ed era disattento al principio di responsabilità.

Per fare le riforme non bastano buona volontà e buone idee. Occorre stabilità politica. Siamo all''indomani di un referendum che è stato bocciato per mancanza del quorum. La responsabilità della riforma istituzionale torna nelle mani del Parlamento e a questo punto il Parlamento deve assumersi la responsabilità di cambiare alcuni elementi fondamentali del nostro sistema. Il paese non può reggere a lungo con un sistema che non garantisce la stabilità dei governi. La stabilita dei governi non è data dai sistemi elettorali, è data da uno scudo costituzionale che difenda le maggioranze elette dai cittadini. Si può scrivere chiaramente che quando il governo scelto dagli elettori cade, si sciolgono le Camere e si torna a votare, perché è agli elettori che spetta di decidere la maggioranza di governo. Oppure si può introdurre il principio della sfiducia costruttiva; un governo cade soltanto se una maggioranza diversa se ne assume la responsabilità e governa, come in Germania. Se non c''è una garanzia costituzionale è illusorio pensare che il sistema elettorale, qualunque esso sia, dia stabilità. La stabilità francese, come quella tedesca, é nel sistema costituzionale. Il Cancelliere Kohl ha potuto governare per quattro anni con un solo voto di maggioranza, nella scorsa legislatura, perché la Costituzione tedesca prevede la sfiducia costruttiva, e le forze di opposizione erano unite nell’avversione a Kohl, non in una comune maggioranza di governo.

Il governo Prodi non sarebbe caduto, è un altro esempio, se avessimo avuto la sfiducia costruttiva. Il Polo, la Lega e Rifondazione Comunista hanno votato contro il governo, causandone la caduta per un voto, ma non erano in grado di sottoscrivere un comune programma di governo.

La stabilita è condizione necessaria perché si possano fare grandi riforme: se il governo cambia ogni anno o ogni due mesi è chiaro che queste questioni non possono essere affrontate e il paese rischia di andare alla deriva. E’ perciò importante che il Parlamento riprenda in mano la questione della riforma costituzionale per introdurre il principio di sussidiarietà, attuare il federalismo, inteso come realizzazione della prossimità, garantire la stabità dei governi scelti dai cittadini attraverso un’apposita norma costituzionale.