Immigrazione tra libertà, sicurezza e giustizia: una sfida per l''Europa


Roma, 10/11/1999


*** Saluto alla giornata di studio promossa dal Comitato parlamentare Schengen-Europol***


I movimenti migratori coinvolgono oggi tra i 130 ed i 145 milioni di individui, contro i 104 milioni del 1985 e gli 84 milioni del 1975.

Esiste un nesso profondo tra l''aumento dei flussi migratori e l''aumento degli squilibri e delle ineguaglianze tra le diverse aree e regioni del mondo che ha finora accompagnato i processi di globalizzazione dell''economia e delle comunicazioni.

Nel 1960 il divario di reddito tra il quinto della popolazione mondiale dei Paesi più ricchi ed il quinto dei Paesi più poveri era di 30 a 1: nel 1997 questo "ambasciatore della diseguaglianza" è stato di 74 a 1.

Nell''epoca dei mercati globali dei capitali, inoltre, a nuove opportunità di crescita economica dei Paesi meno sviluppati si accompagnano gravi rischi di un repentino mutamento delle condizioni di vita delle persone: la sola crisi finanziaria del 1997 nel Sud-Est asiatico si è tradotta per più di 13 milioni di individui nella perdita del posto di lavoro.

Alle migrazioni "da povertà" devono aggiungersi due forme ''emergenti’ e non meno gravi di migrazione, quella "forzata" che deriva da guerre civili o interetniche - alla fine del 1997 c''erano nel mondo quasi 12 milioni di rifugiati - e quella "dei cervelli": ben 30.000 africani in possesso del dottorato di ricerca vivono oggi all''estero, mentre in Africa vive solo un ingegnere ogni 10.000 abitanti.

L’attuale contesto mondiale ci dice con chiarezza due cose: che non ci si può attendere, né a breve né a lungo termine, alcun calo dei flussi migratori dalle aree povere del mondo verso le aree ricche e che le dinamiche migratorie, per la loro ampiezza e per il loro carattere strutturale, sovrastano la capacità di governo dei singoli Stati.

Le politiche nazionali non possono che risolversi in interventi "difensivi" di regolazione più o meno rigida dei rapporti tra singolo Stato e cittadini stranieri. Sono invece indispensabili politiche sovranazionali, le sole capaci di governare con un segno non repressivo i flussi migratori e di affrontare sul piano economico, sociale e delle relazioni diplomatiche, le cause profonde delle migrazioni.

La scelta operata dal Trattato di Amsterdam di trasferire nella sfera di competenza delle istituzioni comunitarie le materie dell''immigrazione e dell''asilo è stato il primo passo dell''Europa in questa giusta direzione.

Il Vertice di Tampere del prossimo fine settimana, preceduto dall''incorporazione dell''acquis di Schengen nell''ambito dell''Unione europea, costituisce un appuntamento fondamentale per la costruzione di una vera politica europea dell''immigrazione, con l''adozione di misure concrete e l''individuazione di strategie comuni.

In questi anni l''Italia ha assolto con efficacia e con senso di responsabilità gli impegni assunti in campo europeo.

Abbiamo varato una legislazione moderna, alla quale molti partner europei guardano con interesse, centrata sulla fermezza contro l''illegalità e sulla certezza dell''accoglienza e dell''integrazione degli immigrati. Stiamo costruendo sul piano organizzativo ed amministrativo strutture capaci di contrastare con vigore l''immigrazione illegale ed il traffico di clandestini - dall''inizio dell''anno sono state effettuate oltre 47.000 espulsioni - e di assicurare il controllo della frontiera meridionale del territorio Schengen.

Al Vertice europeo di Tampere l''Italia si presenta, forte dei risultati positivi che ha saputo conseguire, per portare il proprio contributo alla realizzazione di una politica comune dell''immigrazione. Una politica che non sia limitata all''armonizzazione delle misure di regolazione dei fenomeni migratori, ma che abbia invece al centro l''obiettivo strategico della eliminazione delle cause profonde dell''immigrazione, attraverso la promozione dello sviluppo economico dei Paesi poveri e la realizzazione in loco di maggiori opportunità di vita, di lavoro e di benessere sociale.

Sotto questo profilo, l’Europa è chiamata a dare prova di saper realizzare una nuova dimensione della solidarietà, fondata sul riconoscimento del diritto allo sviluppo dei Paesi di provenienza degli immigrati.

La prima e più seria questione che va inserita nell''agenda politica europea è quella della riduzione del debito estero dei Paesi poveri.

L''Italia ha dimostrato una attenzione concreta su questo tema, impegnandosi quest''anno a cancellare 5.600 miliardi di crediti commerciali e di crediti di aiuto e sostenendo la proposta, accolta a giugno dal G-7 di Colonia ed il mese scorso dal Fondo monetario internazionale, di un piano internazionale per la cancellazione del debito dei Paesi più poveri.

Occorrono inoltre cospicui investimenti, a cominciare dal settore delle infrastrutture, sorretti da una forte capacità di progettare e realizzare interventi mirati.

Dei 4.685 milioni di ECU stanziati dall''Unione europea nel periodo 1995-1999 per interventi nei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, risultavano effettivamente spesi a settembre, soltanto 648 milioni. Su questo punto occorre fare di più, perché la capacità di spesa è di per sé un indice dell''incisività delle politiche di collaborazione con i Paesi dai quali originano i flussi migratori.

L’Italia ed i Paesi della sponda Nord del Mediterraneo possono da questo punto di vista svolgere, nell’ambito dell’Unione europea, una vera e propria azione di traino, evidenziando le potenzialità di sviluppo e di integrazione con i Paesi della sponda sud, dove la crescita annuale globale del PIL è oggi pari al 5,5%.

Se la dimensione sovranazionale è essenziale per condurre efficaci politiche migratorie, grande incisività possono avere anche forme dirette di intervento da parte di singole comunità nazionali sui Paesi più poveri.

Il Senato ha approvato il 29 settembre scorso il disegno di legge di riforma della cooperazione allo sviluppo, che ora è all''attenzione della Camera. Si tratta di un impianto legislativo che si segnala per la trasparenza e la rapidità delle procedure di spesa, per le maggiori risorse destinate alla cooperazione - almeno lo 0,7% del PIL - e per lo stretto coinvolgimento delle organizzazioni non governative, del volontariato, degli enti locali, degli organismi privati e delle stesse comunità degli immigrati in Italia.

È questo un punto di svolta importante che dà al Paese uno strumento moderno di politica della cooperazione. Esso rafforza inoltre e rende stabili tutte quelle iniziative che, senza passare per gli organismi centrali, instaurano un rapporto di conoscenza diretta tra realtà e persone diverse ed incidono positivamente sul sentire della pubblica opinione nei confronti della realtà degli immigrati.

Penso alle iniziative di cooperazione decentrata, ormai assai diffuse nel nostro Paese ed a quelle che, attraverso la formazione professionale degli immigrati ed il sostegno finanziario dei loro progetti, promuovono la realizzazione nei Paesi d''origine di attività imprenditoriali finanziate con le rimesse degli immigrati.

Per l''Italia queste diverse forme di intervento costituiscono snodi fondamentali.

Le più recenti spinte migratorie hanno investito in pieno il nostro Paese ponendo alle politiche sull''immigrazione due priorità.

La prima è quella di avviare un processo di crescita di una coscienza civile e democratica, che sappia riconoscere nella convivenza civile di opinioni, religioni, etnie, lingue, costumi differenti, un valore in grado di far emergere una nuova identità nazionale non “per rifiuto delle differenze”, ma per “arricchimento e integrazione di differenze”.

L’educazione civile contro il razzismo è una delle nostre “frontiere repubblicane”, dove si misura la nostra capacità di costruire una convivenza democratica.

La seconda è quella di garantire la sicurezza dei cittadini.

C’è una diffusa e spesso infondata “paura dello straniero” che sfocia a volte nel razzismo. A questa sensazione di insicurezza si risponde con politiche della sicurezza, che rendano effettive le pene per la criminalità di strada, che garantiscano in modo visibile i diritti dei cittadini nei luoghi pubblici, nelle abitazioni, nei posti di lavoro.

Se vogliamo consentire che la convivenza tra culture e civiltà diverse si sviluppi nel nostro Paese senza l’acutizzarsi di forme di razzismo, intolleranza, xenofobia, dobbiamo rispondere al bisogno di sicurezza manifestato dai cittadini, con concreti interventi che riducano il senso di insicurezza e aumentino al contrario un sentimento di fiducia, e quindi di disponibilità ad affrontare ciò che non è conosciuto e che perciò oggi spaventa.

Sicurezza delle città, integrazione dei cittadini non comunitari, politiche di sviluppo per i Paesi di emigrazione, sono i pilastri di una politica dell''immigrazione che può contare sul consenso dei cittadini.