Europa-Mediterraneo: il ruolo dell''Italia


Palermo, 09/17/1999


*** Inaugurazione dell''anno accademico 1999-2000 del Centro Ricerche e Studi Direzionali***


Negli ultimi dieci anni l’internazionalizzazione dell’economia e delle comunicazioni e la caduta dei regimi dell’Est hanno portato ad un radicale cambiamento della geografia politica del pianeta.

Vecchie barriere e antichi confini sono venuti meno, si sono aperte nuove opportunità ma anche nuove situazioni di insicurezza e di conflitto in alcuni casi molto gravi.



La risposta geopolitica in grado di raccogliere in modo razionale le sfide della globalizzazione e dell’interdipendenza, al fine di ripristinare un primato della politica sull’economia è la formazione, nei diversi continenti, di “grandi macroregioni”. Il NAFTA nell’America settentrionale, il MERCOSUR, in America Latina, l’ASEAN, in Oriente, l’UE nel nostro continente.

Queste nuove aggregazioni hanno caratteri, obiettivi, vincoli diversi, ma possono essere accomunate dal fatto che tutte rispondono alla necessità di individuare forme di governo sovranazionale dei processi economici e sociali.



All’interno di questa tendenza, la costruzione dell’Unione Europea rappresenta una punta avanzata, per l’intensità del vincolo stretto tra i diversi Paesi e per la rilevanza dei settori coinvolti dal processo di integrazione, che vanno dal mercato alla politica estera e di sicurezza comune, per l’esistenza di una moneta unica che costituisce una prerogativa esclusiva del nostro continente.

Questo cammino, tuttavia, non può dirsi concluso.



L’UE ha di fronte a sé due grandi questioni ancora aperte - l’allargamento ad Est e il rapporto con i Paesi terzi del Mediterraneo - dalle quali dipenderà la sua capacità di porsi come fattore di stabilità e di progresso per l’intero pianeta.

Sono questioni che richiedono un grande investimento in termini di idee, di risorse economiche, di progettualità e di capacità di decisione.

L’allargamento dell’Unione Europea e l’impegno nei confronti del Mediterraneo costituiscono punti centrali del programma della Commissione Europea, guidata da Romano Prodi, che mercoledì scorso ha avuto la fiducia del Parlamento di Strasburgo.

La Dichiarazione di Barcellona del 1995 sul Partenariato Euromediterraneo ha avviato una fase nuova nei rapporti con i 12 Paesi della sponda sud del Mediterraneo.

La Dichiarazione affianca al tradizionale approccio di tipo economico e finanziario un approccio più maturo e completo, che comprende anche i livelli della politica, della sicurezza, della cultura.

Questa “dimensione globale” è l’unica nella quale si può tentare di costruire una macroregione Euromediterranea.

Nella Dichiarazione di Barcellona i firmatari hanno stabilito di potenziare gli strumenti necessari ad una cooperazione decentrata che coinvolga tutti gli attori dello sviluppo: responsabili dei diversi livelli istituzionali, della società civile, del mondo culturale e religioso, delle università, della ricerca, dei mezzi di comunicazione di massa, delle associazioni, delle imprese pubbliche e private.

Questo metodo fa sì che il dialogo euromediterraneo non avvenga in una logica di rapporti riservati ai Governi, ma si sviluppi attraverso la rete delle città, degli enti locali, delle regioni.

E’ un metodo moderno, non gerarchico con il quale una regione come la Sicilia può mettere in gioco il peso della propria storia, dei propri rapporti di amicizia, di scambio commerciale, di confronto culturale che già esistono con altri centri dei Paesi mediterranei.



L’Europa ha bisogno del Mediterraneo, così come il Mediterraneo ha bisogno dell’Europa.

Non si tratta di una vaga aspirazione o di una idealità che si nutre solo della memoria delle grandi civiltà del passato.

Il Mediterraneo è un luogo nel quale i Paesi europei e i Paesi della sponda sud hanno forti interessi comuni.



Le caratteristiche particolari e la complessità del Mediterraneo richiedono che si realizzi una interrelazione virtuosa tra politica ed economia.

La politica come garanzia di condizioni di pace, di sicurezza e di amicizia tra i diversi popoli e come fattore di equilibrio nella distribuzione delle ricchezze.

L’economia come fattore di sviluppo, di eliminazione della povertà, di lotta contro quelle forme di disagio sociale nelle quali più facilmente attecchiscono posizioni radicali di ostilità verso il mondo occidentale.

La stabilità e il rafforzamento delle democrazie avanzate dell’occidente dipendono sempre più dal consolidamento della democrazia e dello sviluppo nei Paesi dell’Africa settentrionale.

Le differenze nella crescita demografica tra sponda nord e sponda sud, fanno sì che i fenomeni migratori, se governati in modo rigoroso e razionale, si pongano come fattori di riequilibrio nella crescita di lungo periodo dell’Occidente.



Molti problemi dell’area, pensiamo all’immigrazione, sono oggi problemi non di questo o quel Paese, ma problemi del Mediterraneo nella sua interezza: i conflitti locali ancora aperti, le disparità di sviluppo e di benessere tra le diverse aree, la fragilità dell’equilibrio ecologico, la distruzione del manto boschivo, l’inquinamento industriale, l’esaurirsi delle riserve d’acqua, l’eccessivo sviluppo dell''edilizia lungo i litorali, che già oggi ha portato alla completa occupazione di più del 70% della striscia costiera che va da Barcellona a Napoli.

I Paesi euro-mediterranei hanno le risorse, le intelligenze le energie per affrontare insieme questi problemi e per costruire insieme un’ area di progresso e di stabilità

L’alternativa a questo processo civile non esiste.



La chiusura verso il Mediterraneo costituirebbe un atto di miopia strategica, che costringerebbe l’Europa ad una difesa militare delle sue frontiere, con conseguenze inaccettabili in termini di civiltà.

L’Italia è stata, più di ogni altro Paese europeo, terra di incroci, scambi, viaggi, ritorni che hanno visto coinvolte, nei secoli tutte le popolazioni che si affacciano sul Mediterraneo: dalmati, greci, turchi, fenici, egiziani, marocchini, tunisini, algerini, libici, spagnoli, francesi.

Il Mediterraneo rappresenta, nel progetto di collocazione internazionale del nostro paese, una delle tre grandi direttrici di politica estera, accanto all’UE e all’Europa orientale.

Il nostro Paese, che ha subito durante la “guerra fredda” i condizionamenti negativi derivanti dall’essere un Paese di frontiera verso Est e verso Sud, può funzionare oggi come doppia cerniera, rispetto all’Est europeo e rispetto al Mediterraneo, e avvantaggiarsi di questa duplice possibilità di arricchimento civile ed economico.

L’Italia è il punto nevralgico dello sviluppo mediterraneo dell’Europa, dal punto di vista politico-istituzionale e di sicurezza (1), dal punto di vista economico (2), dal punto di vista del confronto fra civiltà e culture diverse (3).



Negli ultimi vent’anni l’Italia ha svolto un ruolo sempre più rilevante per la pace e la sicurezza nel Mediterraneo e in Medio Oriente.

Basti ricordare, tra gli interventi più rilevanti, il corpo di spedizione in Libano nel 1982; la squadra navale nel Golfo persico nel 1987; la partecipazione alla Guerra del Golfo nel 1990; il pattugliamento adriatico di fronte alla Bosnia nel 1994; l’Ifor nel 1996; l’importante operazione Alba nel 1997; il ruolo di equilibrio e di responsabilità tenuto dal nostro Paese nel recente conflitto in Kossovo.

Il Governo italiano ha sempre sostenuto il processo di pace tra arabi e israeliani, dal quale dipende in modo decisivo il futuro del Partenariato euromediterraneo ed è seriamente impegnata nei rapporti bilaterali – che la stessa Dichiarazione di Barcellona definisce complementari e fondamentali per il successo del Partenariato. Penso soprattutto a rapporti delicati e complessi, come quelli con l’Iran, con la Libia, con la Turchia.

Anche il Parlamento ha avviato in questa legislatura per la prima volta una vera e propria “strategia del Mediterraneo”, in un’ottica di rafforzamento e di armonia rispetto all’azione del Governo.

Questa strategia rappresenta un elemento di novità nella storia parlamentare italiana, tradizionalmente chiusa nei confini delle politiche nazionali. I Parlamenti stanno subendo oggi un’evoluzione profonda, un processo di modernizzazione non sempre sufficientemente conosciuto, legato alla consapevolezza del ritardo delle istituzioni rispetto al rapidissimo sviluppo della società. E’ oggi necessario capovolgere questa situazione rendendo gli stessi Parlamenti, sedi della rappresentanza e del pluralismo nazionale, promotori di relazioni culturali, civili ed economiche.

Per rafforzare la collaborazione nel Mediterraneo la Camera dei Deputati ha promosso qui a Palermo nel novembre 1996 un incontro con i Presidenti delle Camere dei 5 Paesi Mediterranei dell’Unione Europea : Italia, Francia Spagna, Grecia, Portogallo. L’iniziativa ha avuto successo ed è andata avanti con una serie di ulteriori incontri, via via allargati a tutti i Paesi dell’Unione Europea e della Sponda Sud del Mediterraneo e culminati nella riunione di Palma di Maiorca del 7 e 8 marzo scorsi, alla quale hanno preso parte i Presidenti dei Parlamenti dei Paesi Euromediterranei.

Al termine della Conferenza è stata approvata una Dichiarazione sulla cooperazione parlamentare euromediterranea, che istituisce relazioni permanenti fra i Presidenti dei Parlamenti euromediterranei, mediante la creazione di un Gruppo di collegamento. L’obiettivo è quello di rilanciare e accelerare la realizzazione dei contenuti della Dichiarazione di Barcellona. Il documento di Palma di Maiorca individua una serie di punti concreti sui quali lavorare: scambi di esperienza tra i Parlamenti nazionali e tra le Commissioni dei Parlamenti, in particolare nel settore dell’ambiente, del commercio, dell’occupazione, dell’istruzione e della sanità; promozione dei diritti dell’uomo; rapida ratifica degli accordi euromediterranei di associazione.



(2) L’accelerazione della firma degli accordi euromediterranei di associazione, previsti dalla Conferenza di Barcellona, è indispensabile per arrivare in tempo alla scadenza del 2010, entro la quale nascerà la più vasta area di libero scambio del mondo. Essa riguarderà oltre 30 Paesi con una popolazione di circa 800 milioni di persone. L’Italia sta svolgendo nella conclusione dei suddetti accordi e nell’intero processo euromediterraneo un ruolo fondamentale, internazionalmente riconosciuto.

L’Italia è spesso il primo o il secondo partner commerciale di questi Paesi.

La realizzazione dell’area di libero scambio presuppone un lavoro assai complesso di progressivo avvicinamento dei diversi sistemi economico, finanziario, legislativo e la garanzia di condizioni di sicurezza degli scambi.

Non basta abolire i dazi doganali per costruire uno spazio di mercato. Occorre una azione decisa contro il crimine organizzato transnazionale e una progressiva armonizzazione delle legislazioni dei diversi Paesi.

Soprattutto su quest’ultimo punto è indispensabile un ruolo attivo e consapevole dei Parlamenti per consentire ai diversi ordinamenti giuridici di dialogare tra loro e per garantire un quadro di regole certe alle attività economiche.

Per questo è indispensabile investire sulla formazione delle persone. Avere familiarità con la legislazione del Mercato unico e con i concetti tecnici che ne sono alla base è indispensabile per i funzionari pubblici e per gli imprenditori dei Paesi della sponda sud, mentre per gli operatori europei è indispensabile conoscere le realtà locali nelle quali vanno ad operare.

Il Centro ricerche e studi direzionali di Palermo ha saputo cogliere questa esigenza, dando spazio negli ultimi anni della sua attività di ricerca e di formazione alle tematiche euromediterranee, con particolare attenzione al commercio estero con i Paesi del bacino Mediterraneo.

E’ importante che il vostro Centro sviluppi questa attività, offrendo formazione professionale, supporto tecnologico, educazione allo sfruttamento razionale delle risorse, e favorendo l’attecchimento in quei Paesi di una cultura d’impresa.

La costruzione di un mercato euromediterraneo richiede, inoltre, che si superino i profondi squilibri economici che caratterizzano l’area. In questo quadro si inserisce la proposta di riduzione del debito estero dei Paesi della sponda Sud. L''Italia ha dimostrato una attenzione concreta impegnandosi quest''anno a cancellare 2.800 miliardi di crediti nei confronti di 10 tra i Paesi più poveri e sostenendo la proposta, accolta nel vertice dei G-7 di Colonia, di cancellazione di crediti per 70 miliardi di dollari.

L’Europa deve dare prova di saper realizzare una nuova dimensione della solidarietà che, abbandonando il vecchio paternalismo dell’Occidente verso i Paesi meno avanzati dell’area, ne riconosca il diritto allo sviluppo, nella consapevolezza che la prosperità e il benessere sono condizioni di stabilità e di pace solo se si realizzano in una dimensione di equilibrio tra i diversi Paesi.

Per questo sono necessari investimenti cospicui, in particolare nel settore delle infrastrutture materiali e immateriali, ma è soprattutto necessaria una capacità di progettare e realizzare interventi mirati.

Su 4685 milioni di ECU stanziati per il triennio 1995-1999, sono stati effettivamente spesi finora soltanto 648.

Occorre su questo punto fare di più, perché la capacità di spesa è di per sé una misura del livello di integrazione che progressivamente si costruisce.



(3) Negli ultimi due secoli gli atteggiamenti dei Paesi europei verso i Paesi Arabi sono stati fondamentalmente tre. Un approccio di tipo imperialistico, che ha dato origine al colonialismo, e che vede l’area a Sud del Mediterraneo in modo puramente utilitaristico come dimensione da sfruttare. Un approccio di studio e di conoscenza, solitamente designato come Orientalismo, spesso assai dotto, ma al tempo stesso elitario, iperspecialistico e chiuso ad una diffusa formazione e informazione dei cittadini. Il terzo si potrebbe definire come l’approccio “esotico”, quello della fascinazione subita dagli Europei verso Paesi lontani e profondamente diversi. Un approccio che sopravvive in alcune forme di terzomondismo acritico e che costituisce una sorta di “dimensione rifugio”, di fuga dall’Occidente e dai suoi problemi.

Il nostro Paese si trova oggi - per ragioni non solo geografiche, ma soprattutto storiche e culturali – nella condizione di sviluppare un approccio nuovo, di apertura dell’Europa ad un mondo – quello arabo – che è spesso percepito, non solo nell’opinione pubblica, ma anche nelle classi dirigenti, come una realtà indistinta, per certi versi attraente, per altri versi involuta e temibile.

Spetta soprattutto a noi – per la tradizione antica di scambi e di conoscenza reciproca - far aumentare e diffondere la conoscenza di quei Paesi, studiare, distinguere, spiegare – far emergere le differenze e le varietà di quel mondo – instaurare rapporti e promuovere transazioni nella consapevolezza di ciò che può unire e di ciò che ancora separa e divide.

Per far questo è necessario approfondire in modo analitico e non dilettantistico la conoscenza delle istituzioni politiche, delle regole giuridiche, del funzionamento dell’economia, del costume, delle regole di comportamento sociale, tenendo conto che i paesi dell’Africa settentrionale non sono tra loro omologabili e hanno specificità spesso marcate.

Non esiste “il mondo arabo”. Ci sono popoli, paesi, regioni, società, culture, costumi diversi.

La costruzione di valori comuni rimarrà una inutile invocazione retorica se non ci sarà un grande sforzo di conoscenza reciproca.

E’ dalla conoscenza approfondita e non superficiale o stereotipata che può venire la comprensione delle diverse realtà di vita che arricchiscono il Mediterraneo e solo sul terreno della comprensione possono attecchire valori condivisi.

Nell’ambito del partenariato euromediterraneo, è già “operativo” il programma MED – Campus, un programma di cooperazione interuniversitaria che sostiene reti di università che conducono progetti di formazione destinati a quadri dell’amministrazione pubblica e delle imprese private, laureati dei paesi terzi mediterranei.

Le università italiane sono tra i “pionieri” della cooperazione interuniversitaria mediterranea. L’università di Bari ha attivato da anni la Comunità delle Università del Mediterraneo (CUM), mentre a Roma ha sede l’Università del Mediterraneo (UNIMED) fondata nel 1991 e costituita da una rete di 43 atenei (di cui 19 extra-comunitari).

Naturalmente l’approfondimento degli studi e delle conoscenze sui Paesi della sponda Sud del Mediterraneo da sola non basta.

E’ necessario che questo patrimonio di informazioni e di conoscenze sia messa a disposizione dei cittadini, diventi, seppur con gradualità e in forme diverse, parte integrante dell’opinione pubblica.

In questo è fondamentale il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa.

Nell’ambito del programma MED-Media, l’Italia sta compiendo, attraverso la RAI, uno sforzo particolare per potenziare il ruolo dell’emittente pubblica nel sistema televisivo regionale (Copeam) (Conferenza permanente dell’audiovisivo mediterraneo).

Studiare e diffondere la conoscenza dei Paesi arabi significa per gli europei anche riflettere criticamente sulla propria identità e sul modo in cui essa viene percepita in quei Paesi.

Così come noi abbiamo la necessità di superare una concezione spesso vaga e approssimativa di Mondo Arabo, allo stesso modo occorre che i Paesi arabi superino una concezione spesso generica e indistinta di “Occidente”.

Spetta a noi smantellare la rappresentazione dell’Europa schiacciata sugli Stati Uniti, che – pur nel rispetto di quel grande Paese – è una rappresentazione falsata dell’occidente europeo.

Le trasmissioni televisive via satellite e Internet propongono modelli e cliché in modo spesso acritico, presentati in modo edulcorato, sconnessi dal principio di responsabilità personale, che costituisce comunque uno dei cardini della nostra civiltà e spogliati di una analisi delle durezze e dei difetti del mondo occidentale.

La costruzione di un dialogo autentico richiede all’Europa di affermare, arricchire, approfondire il proprio specifico modello sociale, culturale, civile. Un modello nel quale la modernizzazione non è fine a sé stessa, ma è subordinata alla centralità dell’uomo e dei suoi bisogni.

Un modello nel quale la laicità dello Stato non è relativismo, non è negazione della dimensione religiosa, ma una scelta consapevole di separazione di due sfere di azione e di pensiero - quella dell’agire pubblico e quella della fede - distinte ma entrambe fondamentali.

Un modello nel quale il benessere economico è in funzione dello sviluppo della persona e non moda consumistica in cui tutto è commerciabile.

La consapevolezza del valore di questa “identità europea” è fondamentale per aprirsi in maniera matura a realtà diverse.

Credo che se l’Europa saprà affermare questa propria specificità, le distanze, che ancora esistono, si ridurranno e il confronto sui valori diventerà più ricco di risultati.

In questo sforzo occorre scansare le insidie della retorica: retorica del Mediterraneo, retorica del dialogo, retorica delle particolarità e delle differenze.

Matvejevic dice giustamente che non ogni “particolarità” è necessariamente un valore: <>.

Dobbiamo allora sforzarci di non banalizzare i concetti di identità, particolarità, differenza.

Dobbiamo avere la forza di misurare in concreto le difficoltà e i problemi, senza oscillare tra un atteggiamento di semplicistica negazione o di ingiustificato ingigantimento degli aspetti di differenza e di potenziale conflitto.

Ci sono diversità da conservare come segni di positiva appartenenza e differenze da superare.

Alcune di queste sono al centro del dialogo e del confronto. L’atteggiamento verso la piena tutela delle libertà politiche, il pluralismo, la tolleranza, la tutela delle minoranze, i diritti dell’uomo, l’uguaglianza tra i sessi.

Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante. Il ruolo delle donne nella società, quali portatrici di valori umani fondamentali, è centrale. Per questa ragione le donne devono diventare protagoniste attive dei processi di integrazione.

Le donne possono svolgere un azione determinante per rompere i vecchi equilibri tra i Paesi considerati tradizionalmente ricchi della sponda nord e i Paesi cosiddetti poveri del sud del Mediterraneo e promuovere un’inversione di rotta. Per questo motivo, nella Conferenza di Palma di Maiorca, cui prima ho fatto riferimento, i Presidenti dei Paesi Euromediterranei hanno deciso di istituire il Forum delle donne parlamentari, la cui prima riunione si terrà l’8 marzo del 2000.

Inoltre, il 28 e 29 novembre si terrà a Roma un incontro dei Presidenti dei Parlamenti di Iran, Egitto, Grecia e Italia, i quali – come Presidenti delle Assemblee elettive dei Paesi eredi delle quattro grandi civiltà persiana, egiziana, greca e romana - intendono promuovere, anche in considerazione della proclamazione da parte dell’ONU del 2001 come anno del dialogo fra le civiltà, iniziative di scambio e di confronto sul versante scientifico e parlamentare.



Fernand Braudel ha scritto: <>.

Se non avremo paura di sostenere il peso di questa fatica potremo dare alle generazioni che verranno dopo di noi un Mediterraneo che possa guardare con fiducia a nuovi secoli di civiltà.