Tutela della reputazione e libertà di stampa


Roma, 06/23/1999


***Convegno promosso dal Consiglio Nazionale dell''Ordine dei Giornalisti***



Tavola Rotonda

Intervento conclusivo del Presidente della Camera dei Deputati



Martone diceva che è difficile investigare sulla violazione del segreto. Molti dei presenti hanno dimestichezza con tali questioni da alcuni anni e sfido chiunque a dimostrare che in un solo processo per violazione del segreto siano state applicate le tecniche investigative che si adottano nei processi seri. Non lo dico provocatoriamente, ma affermo che non si è mai fatta un’indagine con le tecniche investigative che possono ragionevolmente portare a un risultato positivo nell’accertamento delle responsabilità. Questo indica che la vecchia connessione di cui parlava prima il direttore de “l’Unità” tra magistrati e giornalisti con carriere bilaterali - giornalisti assunti nelle grandi testate perché avevano rapporti con importanti magistrati che passavano notizie e magistrati che assumevano un ruolo nella vita politica italiana grazie alla visibilità e al consenso che venivano da questo scambio - era ben fondata. Questo rapporto si è poi rotto per due motivi. Il meccanismo dell’impunità reciproca si è bloccato perché alcune Procure hanno cominciato a colpire settori rilevanti della classe politica dirigente negli anni cui si riferiva Ferrara. Sono quindi partite campagne di stampa contro i magistrati. Perciò l’intreccio si è interrotto. Oggi temo che le due professioni si chiudano entrambe nell’autotutela, naturalmente con maggiori chances per i magistrati di quante ne abbiano i giornalisti, in ragione delle funzioni che esercitano. E questo rende la discussione di oggi un po’ diversa da quelle che si facevano anni fa, e che finivano con un ammiccamento complessivo “più o meno, tra costi e benefici, va bene così”. Ora il rapporto costi-benefici non funziona più, non solo perché i giornali cominciano a pagare veramente, ma anche perché complessivamente ci si rende conto che si è arrivati ad un punto di rottura che attiene direttamente alla coesione sociale, determinato da un preoccupante grado di sfiducia dell’opinione pubblica tanto nei mezzi di informazione quanto nei giornalisti. Come uscire da questa difficoltà? Il fatto che la querela sia diventata una sorta di strumento ordinario di difesa fa sì che alcune volte, se non quereli, ci sia qualcuno che dice: ma come, non hai querelato? Per cui anche non volendo ci si trova costretti a querelare. Io ho l’impressione che talvolta basterebbe qualche regola professionale che imponesse la verifica della notizia con il diretto interessato. Se un giornalista intende accusare qualcuno di un fatto determinato dovrebbe alzare il telefono e chiedere all’interessato: “scusi, io ho la notizia che lei si è scontrato con la polizia ed è stato ricoverato in ospedale in quel giorno del tal anno, è vero o no?”, L’interpellato nega. E il giornalista può scrivere: l’ho sentito, dice di no, però a me risulta di sì. Questo però, per il momento, non si fa.

Nella nostra discussione c’è tuttavia un grande assente: il mercato. Talvolta la notizia falsa viene pubblicata perché fa scalpore, indipendentemente dal fatto che sia falsa o vera.

Negli Stati Uniti, è accaduto che si licenziassero giornalisti anche importanti per avere scritto cose false. Non mi risulta che in Italia sia stato licenziato un giornalista per aver scritto cose false. Il fatto che non si faccia significa che non è la verità ad essere tutelata, ma il numero di copie che si vendono, indipendentemente dalla verità.

Non conosco il progetto del prof. Pera ma spero di poterlo leggere attentamente. Temo però, prof. Pera, che non sia depenalizzabile la lesione dell’onore, attenendo questa ad un bene fondamentale della persona, ed essendo, come Lei ben sa, nel nostro ordinamento costituzionale, le lesioni dei beni fondamentali perseguite penalmente. L’aspetto più interessante tuttavia mi pare quello procedurale, perché qui stiamo discutendo della questione civilistica e non di quella penalistica. Perché ci siamo accorti che, come è già avvenuto in tanti altri Paesi, la querela, lascia il tempo che trova, mentre quello che conta è il risarcimento. A questo proposito vorrei riprendere una tesi che sostengo da un po’ di tempo. Io non posso, com’è noto, presentare progetti di legge. Tuttavia se non si affronta il problema in questa legislatura mi riprometto di presentarne uno io nella prossima. Io propongo che l’azione civile possa essere esercitata soltanto se la rettifica non è stata pubblicata nei modi e nelle forme previste. Nel senso che se è l’onore che è stato leso, l’onore è risarcito se la rettifica è effettuata tempestivamente, con lo stesso carattere, con lo stesso peso del titolo, nella stessa pagina. “Il Giornale di Sicilia” ha una rubrica intitolata “i nostri errori”, in prima pagina. Vi assicuro che questo è un risarcimento vero. Certo esporrebbe il giornale ma indurrebbe ad una verifica più adeguata delle notizie, perché se un giornale pubblica tre rettifiche di questo genere ogni settimana vuol dire che è poco credibile. Mentre la credibilità dei mezzi di informazione è un patrimonio fondamentale anche per il sistema democratico.

C’è poi il problema che ha posto il direttore del “Corriere della sera”, e cioè come fare a verificare che la rettifica sia quella giusta. Una questione intanto è quella del tempo trascorso. Pensi alla campagna elettorale, o a un concorso pubblico, o a un’asta, o a un appalto: una notizia rilevante pubblicata ha un rilievo immediato. Noi parliamo di grandi giornali, ma badate che quello che succede con i piccoli giornali di provincia, dal punto di vista della lesione, in caso di concorsi pubblici, aste, o appalti è ancora più grave. Se la rettifica viene pubblicata dopo un anno, o dopo dieci mesi, lei comprende che non serve più. Quindi credo che il giornale debba accettare il rischio del processo e dimostrare che la notizia era vera.

Si dovrebbe quindi pubblicare la rettifica, dichiarando che ci si riserva di accertare se la notizia corrisponde a verità. La funzione della rettifica sarebbe comunque coperta, restando la riserva del giornale che entro un certo periodo di tempo può provare che la rettifica richiesta era falsa.

Naturalmente soluzioni di questo genere devono essere accettate da tutti, perché c’è il mercato e nessuno può quindi creare uno squilibrio a proprio favore.

Ricordate quando veniva reso pubblico il nome delle ragazze stuprate? Non c’è nessuna nuova norma, e tuttavia nessun giornale lo pubblica più.

Su alcune questioni non del tutto marginali l’auto disciplina è servita. Personalmente mi fido più di questa che di nuove norme. Se quindi riuscissimo a legare un meccanismo di auto disciplina serio a quello della rettifica di cui parlavo prima, credo che avremmo fatto qualche passo avanti.













“TUTELA DELLA REPUTAZIONE E LIBERTA’ DI STAMPA”

Tavola Rotonda

“Citazioni & miliardi”

Roma, 23 giugno 1999



Stralci dall’intervento conclusivo del

Presidente della Camera dei Deputati on. Luciano Violante



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Il fatto che la querela sia diventata una sorta di strumento ordinario di difesa fa sì che alcune volte, se non quereli, ci sia qualcuno che dice: ma come, non hai querelato? Per cui anche non volendo ci si trova costretti a querelare. Io ho l’impressione che talvolta basterebbe qualche regola professionale che imponesse la verifica della notizia con il diretto interessato. Se un giornalista intende accusare qualcuno di un fatto determinato dovrebbe alzare il telefono e chiedere all’interessato: “scusi, io ho la notizia che lei si è scontrato con la polizia ed è stato ricoverato in ospedale in quel giorno del tal anno, è vero o no?”, L’interpellato nega. E il giornalista può scrivere: l’ho sentito, dice di no, però a me risulta di sì. Questo però, per il momento, non si fa.

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Ci siamo poi accorti che, come è già avvenuto in tanti altri Paesi, la querela lascia il tempo che trova, mentre quello che conta è il risarcimento. A questo proposito vorrei riprendere una tesi che sostengo da un po’ di tempo. Io non posso, com’è noto, presentare progetti di legge. Tuttavia se non si affronta il problema in questa legislatura mi riprometto di presentarne uno io nella prossima. Io propongo che l’azione civile possa essere esercitata soltanto se la rettifica non è stata pubblicata nei modi e nelle forme previste. Nel senso che se è l’onore che è stato leso, l’onore è risarcito se la rettifica è effettuata tempestivamente, con lo stesso carattere, con lo stesso peso del titolo, nella stessa pagina. “Il Giornale di Sicilia” ha una rubrica intitolata “i nostri errori”, in prima pagina. Vi assicuro che questo è un risarcimento vero. Certo esporrebbe il giornale ma indurrebbe ad una verifica più adeguata delle notizie, perché se un giornale pubblica tre rettifiche di questo genere ogni settimana vuol dire che è poco credibile. Mentre la credibilità dei mezzi di informazione è un patrimonio fondamentale anche per il sistema democratico.

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Ricordate infine quando veniva reso pubblico il nome delle ragazze stuprate? Non c’è nessuna nuova norma, e tuttavia nessun giornale lo pubblica più.

Su alcune questioni non del tutto marginali l’auto disciplina è servita. Personalmente mi fido più di questa che di nuove norme. Se quindi riuscissimo a legare un meccanismo di auto disciplina serio a quello della rettifica di cui parlavo prima, credo che avremmo fatto qualche passo avanti.