Saluto alla prima giornata del simposio di studi filosofici e storici in onore di Antonio Rosmini


Roma, 11/26/1998


***Simposio organizzato dal Comitato Nazionale per le celebrazioni del bicentenario della nascita di Antonio Rosmini***


Questo convegno, per il respiro internazionale e l’autorevolezza dei relatori, manifesta la volontà di superare l’ingiusta marginalità nel dibattito culturale di questo secolo in cui il pensiero di Rosmini era stato relegato.
Quando si ricorda in modo così solenne un pensatore di questo livello, il politico, per la necessità di assorbire idee e riflessioni che possono aiutarlo nello sforzo di arricchire il proprio impianto teorico, ha la tentazione di appropriarsi di alcune idee e di attualizzarle per costruire le soluzioni che gli servono per i problemi che deve affrontare.



Ma la complessità del pensiero di Rosmini, la concatenazione dei concetti che caratterizza il suo ragionamento, la distanza temporale che ci separa da lui non consentono alcuna banalizzazione, né autorizzano rescissioni da un contesto che possiede una propria salda unitarietà.



Le sue idee non possono essere mutuate automaticamente e tuttavia costituiscono altrettanti segmenti di un itinerario concettuale cui si può ancora oggi attingere per modernizzare il nostro Paese ed umanizzare la nostra cultura politica: la fiducia nella ragione, ma anche la consapevolezza dei suoi limiti; la giustizia sociale; il primato della persona e della società civile e la conseguente inversione di prospettiva nei rapporti tra Stato e persona: è lo Stato che serve la persona, non è la persona che serve lo Stato; la costruzione di un’Italia che sia unita non in forma coattiva, come è invece storicamente avvenuto, ma nel rispetto delle sue molteplicità.





Nessun secolo, forse, come quello che si sta chiudendo ha vissuto l’esplosione dei diritti dell’uomo e, insieme, lo schiacciamento più feroce della persona.

Il riscatto passa attraverso due snodi, il primo riguarda la politica ed il secondo i valori.

Mi riferisco alla proposizione di una politica che voglia aiutare la vita in tutta la sua complessità e la sua varietà, che favorisca la trasmissione dei valori tra le generazioni, che metta ciascuno in condizione di realizzare sé stesso.

Mi riferisco, inoltre, alla necessità di porre al vertice della gerarchia dei valori prima la persona umana, spogliata dei suoi egoismi, ci suggerirebbe Rosmini, e poi la ragione, che, ci direbbe sempre Rosmini, non è uno strumento onnipotente.

Perché una parte delle grandi tragedie di questo secolo è derivata dalla sopraffazione dei valori della ragione sui valori della persona ed un’altra parte da una concezione politica che considerava razionale il primato di alcune persone su tutte le altre.



Rosmini ci suggerisce una ragione rispettosa del sacro, che esiste anche per il laico, altrimenti essa diventa totalitarismo e cioè il contrario di sé stessa.



Quando si parla di persona umana, in questa accezione, non si fa riferimento ad astrazioni. Si propone di sostituire, al vertice della gerarchia dei valori, la classe o il mercato, lo Stato o il partito, con i valori e i diritti dei bambini, dei giovani, degli uomini e delle donne, cioè con la loro vita. Delle generazioni contemporanee e delle generazioni future, i cui diritti vanno garantiti con cura pari a quella che dedichiamo o dovremmo dedicare ai contemporanei.

La persona umana che è alla base del pensiero politico di Rosmini non è una figura astratta, ma un soggetto collocato nella concretezza della storia e nella specificità dei suoi costumi, dei suoi modi di vita, dei suoi caratteri particolari.



Nella Filosofia del diritto si ha la più alta affermazione della “centralità” della persona: <>.



Sappiamo che non tutte le posizioni di Rosmini appaiono condivisibili per un lettore dei nostri tempi. Ad esempio, la portata del principio rosminiano di “identificazione” tra diritto e persona appare ridimensionata dalla sua concezione “antiegualitaria”, che lo spinge a far coincidere la sfera dei diritti di partecipazione alla vita politica con la sfera della proprietà.

Questa concezione del Rosmini non può tuttavia essere separata dal ragionamento che egli sviluppa sulla proprietà e sulla necessità che l’affermazione del diritto degli individui alla felicità non si convogli soltanto verso l’accrescimento del valore delle cose.



D’altra parte ciascuno è figlio del proprio tempo ed un pensatore complesso come Rosmini non può essere interpretato fuori del proprio tempo né fuori dell’intero suo contesto concettuale.





Rosmini espresse invece pensieri di una straordinaria modernità a proposito dell’unità d’Italia: <>.



Rosmini pensava che l’unità d’Italia non potesse essere costruita attraverso una “imposizione coattiva di uniformità”, cosa che poi in realtà avvenne con l’espansione piemontese, e che la forma più elevata di unità, che è quella di cultura, di educazione, di condivisione di valori comuni, non poteva scaturire se non dalla unità nella varietà: <>.



Come giustamente è stato osservato, Rosmini merita di essere messo a fianco dei più grandi filosofi dell’occidente, perché concepisce la ricerca filosofica come sforzo per rendere l’uomo consapevole di sé e della propria presenza nel mondo. Perché avverte l’esigenza di portare il suo pensiero su tutti i problemi della vita senza esclusione di alcuno di essi.



Questa capacità di vedere la persona umana nella sua concretezza e al tempo stesso nella sua totalità costituisce la prospettiva più feconda e più “moderna” del pensiero di Rosmini.



Il pensiero filosofico si interroga oggi sulla complessità del reale, si confronta con i disastri generati, nel secolo che si chiude, da una “razionalità” sganciata dai valori, mentre l’etica si misura con il problema della individuazione dei limiti da porre alle crescenti, straordinarie e per alcuni versi inquietanti potenzialità della scienza e della tecnologia rispetto alla vita e alla morte dell’uomo. L’espressione morale secondo la quale “non si può fare tutto ciò che si può fare” trova sempre più larghi campi di applicazione.



La politica affronta oggi la crisi del vecchio modello di Stato nazionale e del partito di massa ed è chiamata a riaffermare il rapporto di mezzo a fine tra istituzione pubblica e cittadino, mentre la religione ha di fronte a sé il compito difficile di dare risposte nuove ai bisogni profondi della persona umana e ad una “domanda di sacro” che rimane forte nel mondo occidentale, ma che tende sempre più a cercare soddisfazione al di fuori delle confessioni tradizionali e persino fuori ciò che si può definire come religione.



Alla sfera del diritto si chiede oggi di dare effettività alle libertà, ma anche ai doveri del singolo cittadino, effettività che deve essere garantita a prescindere dalla forza economica e dalla condizione sociale di ciascuno.



Nessuna di queste sfere – filosofia, etica, politica, economia, diritto, religione, scienza – è in grado oggi di fornire da sola una visione “totale”, esaustiva dell’uomo e della società.



Si parla spesso, proprio in questi giorni di diritti dell’uomo; ma mi chiedo se non sia il caso di avviare una riflessione sui poteri e sui doveri dell’uomo, su cosa l’uomo può davvero fare per realizzare la sua vita senza opprimere la vita dell’altro.



La prospettiva della “centralità della vita” rappresenta oggi per la cultura contemporanea un punto di riferimento imprescindibile.

La vita – intesa come “luogo” in cui l’uomo costruisce, discute e rinnova il significato del conoscere e dell’agire pratico - rappresenta la dimensione nella quale i diversi saperi e le diverse dimensioni dell’esperienza individuale e sociale entrano in rapporto l’una con l’altra, evitando al contempo l’apparente sicurezza delle risposte “assolute” e la labilità del relativismo etico.

La vita intesa - al di là delle diverse visioni laiche o religiose che di essa si possono avere – come nuda vita e come valore in sé.

Dove il valore è tanto maggiore quanto più le sue forme di manifestazione sono molteplici e diverse e tuttavia trovano - grazie alla volontà dell’uomo unita al suo senso di responsabilità - sempre nuovi equilibri di convivenza.





Eppure la vita in tutte le sue forme, dei viventi di oggi e di quelli di domani, la vita di chi ha vissuto ieri che è il cuore della memoria e della storia, la vita in tutte le sue forme è continuamente e sempre di più messa a rischio dall’egoismo di coloro che vogliono realizzare la propria vita senza considerare la vita degli altri e le altre forme di vita.



Gli anni che abbiamo davanti devono essere gli anni del limite, del limite della ragione, del limite della forza, del limite della politica, ma anche gli anni della sinergia tra i diversi saperi per costruire una nuova coerenza che dia all’uomo il senso del proprio valore e della propria responsabilità.



Sono convinto che i vostri lavori, così vasti e così ricchi, saranno un contributo essenziale per chiunque voglia porsi oggi gli interrogativi radicali per la dignità della vita e della persona.