Parlamento e mezzi di informazione


Atene, 10/01/1998


***Convegno promosso dal Parlamento greco***


Ringrazio il presidente Kaklamanis, della cui amicizia mi onoro, per l’invito a questo convegno. Lo ringrazio perché il tema è tra i più cruciali in questa fase. Riguarda il futuro della democrazia parlamentare, ma anche il futuro del giornalismo politico.

La democrazia parlamentare rischia di essere schiacciata tra l’esigenza di analizzare per decidere e l’esigenza di comunicare per acquisire consenso. L’analisi richiede tempo ed è perciò di per sé lenta. La comunicazione, per raggiungere i suoi fini, deve essere sintetica e veloce. Non sempre si riesce a trovare il giusto equilibrio.

Il giornalismo politico è spesso in bilico tra fedeltà e spettacolo. Anche in questo caso la ricerca dell''equilibrio è un difficile esercizio.

Noi parlamentari lamentiamo in genere una scarsa attenzione alle attività delle istituzioni che rappresentiamo. Accusiamo un eccesso di interesse per l’attività dei partiti e un deficit di approfondimento nei confronti dell’attività parlamentare che produce decisioni fondamentali per la convivenza civile.

Ma anche gli operatori dei mass-media non risparmiano le critiche nei nostri confronti indicando a loro discolpa procedure parlamentari spesso farraginose e incapacità da parte dei Parlamenti di comunicare con chiarezza e tempestività le decisioni. E’ facile presumere che i cittadini–elettori non siano soddisfatti del risultato finale della diatriba.



Si tratta di un fenomeno relativamente nuovo che solo da qualche anno comincia ad essere affrontato con la dovuta attenzione dalle assemblee elettive.

Fin dalla nascita della democrazia liberale, infatti, la pubblicità degli atti dei Parlamenti è stato un principio-guida in contrapposizione agli arcana imperii dello Stato assoluto. Conseguentemente, la stampa si è battuta per poter riferire dei lavori delle assemblee. In molti manuali di giornalismo si racconta ancora di come nel 1771 un cronista inglese di nome William Woodfall, riuscì a far conquistare al quotidiano per il quale lavorava, il “Morning Chronicle”, il primato tra i giornali londinesi grazie alle 16 colonne giornaliere di resoconti parlamentari frutto della sua capacità di ricordare a memoria tutti gli interventi in un’epoca nella quale era vietato ai giornalisti prendere appunti nel corso del dibattito.

Ora, il filo che sembrava legare indissolubilmente, in nome delle garanzie democratiche, Parlamenti e mass-media, sembra spezzato, o almeno allentato. E ciò avviene in un'' era nella quale il rapporto tra politica e comunicazione ha raggiunto livelli di necessità ed interdipendenza inimmaginabili sino a qualche decennio fa.

Le ragioni di questo fenomeno sono diverse: dalla globalizzazione che indebolisce il ruolo tradizionale delle istituzioni rappresentative accentuando il valore della decisione rispetto a quello della rappresentanza, alla concorrenza all’interno del sistema dei mass-media che spinge gli organi di stampa a dare la caccia al pubblico televisivo ricorrendo alla stessa spettacolarizzazione della Tv. Ma il risultato finale in quasi tutti i paesi occidentali è lo stesso: un giornalismo politico in bilico tra rappresentazione fedele dei fatti ed esaltazione spettacolare di eventi particolari.

Se dal dopoguerra in poi molti di noi avevano salutato con favore la crescita di un modo di raccontare la politica più spigliato, meno ossequiente e, spesso, anche più colto credo che oggi non pochi condividerebbero la descrizione che Peter Riddell, commentatore del "Times" ed in precedenza responsabile del settore politico del Financial Times, dà della informazione politica nel suo volume “Parliament Under Pressure”, appena pubblicato: “La copertura degli avvenimenti politici nella maggior parte dei quotidiani – osserva Riddell – manca di approfondimento e di inquadramento in un contesto (…). Le differenze personali vengono esagerate. Ogni discussione diventa una divisione. Ogni piccolo mutamento di posizione una umiliante retromarcia”.



Molto spesso i parlamentari credono, in virtù del loro ruolo, di avere un filo diretto con l’opinione pubblica. In realtà non è così: il filo diretto con l’opinione pubblica lo hanno i mezzi di informazione. Chiunque voglia indirizzare un qualche messaggio ai cittadini deve necessariamente negoziare con loro tempi e modalità. Dunque non possiamo limitarci a biasimare questo stato di cose. Dobbiamo affrontare questa situazione e fare i conti con il fatto che esiste un terzo soggetto tra Parlamento e cittadini.

Negli ultimi anni la produzione di comunicazione pubblica da parte delle istituzioni parlamentari è cresciuta in maniera esponenziale. E credo che tutti abbiamo potuto osservare come l’aumento della offerta di informazione abbia prodotto una parallela crescita della domanda. Per tentare di annullare il deficit di comunicazione che tutti, chi più chi meno, lamentiamo dunque non c’è che una ricetta obbligata: proseguire con maggiore velocità ed intensità su questa strada. Modulando i messaggi in modo da tenere conto delle esigenze e delle peculiarità del sistema dei media. Ricordando che giornalisti ed organi di informazione non sono semplici riproduttori delle nostre parole e dei nostri atti ma rispondono a criteri, priorità e moduli che non possiamo ignorare.

Occorre innanzitutto “trasparenza”.

Trasparenza come apertura delle nostre strutture alla cosiddetta società civile, come apertura alla richiesta di informazione dall’esterno, come asse portante di tutta la comunicazione. Una comunicazione che oltre ad essere trasparente deve essere attiva, che non deve attendere le sollecitazioni ma fornirle. La pubblicità di quel che avviene all''interno del Parlamento non è solo una tradizione delle nostre istituzioni e - in gran parte dei nostri paesi un dettato costituzionale - ma anche, sul fronte dei rapporti con i mass-media, una convenienza.

Ai Parlamenti non serve la propaganda. Non sarebbe nemmeno corretta per istituzioni la cui principale ricchezza è la diversità dei soggetti e delle idee rappresentate. E’ necessario invece il massimo della comunicazione. Solo comunicando si può essere compresi ed apprezzati, tacendo si rischiano solo malintesi e si autorizzano retropensieri.

Si tratta di un principio basilare che vale ancor di più per istituzioni come quelle parlamentari sottoposte da sempre allo scrutinio dell’opinione pubblica. Pensare alla vigilia del secondo millennio di poter mantenere il segreto sugli atti di organismi come i nostri che spesso ospitano, anche fisicamente, centinaia di giornalisti è pura utopia; ritenere di poter “saltare” nella comunicazione la mediazione dei mezzi di informazione è pura superbia. Ciò che si può e si deve fare è cercare di spiegare al meglio le ragioni delle proprie scelte fornendo una informazione precisa e soprattutto tempestiva in una forma utilizzabile il più direttamente possibile. La fonte primaria di informazione su tutti gli atti del Parlamento deve essere l’istituzione stessa. Per evitare distorsioni bisogna evitare che siano le parti politiche a rivelare le notizie o i giornalisti a scoprirle. Solo se l’istituzione parlamentare è in grado di “battere sul tempo” e gareggiare in credibilità ed autorevolezza con le altre fonti è possibile sperare in una informazione corretta.

Già agli inizi del secolo scorso il filosofo inglese Jeremy Bentham aveva compilato un puntiglioso elenco degli “oggetti ai quali deve estendersi la pubblicità” dei lavori parlamentari per assicurarsi che gli elettori possano scegliere con cognizione di causa ed avere fiducia del Parlamento. Le sue indicazioni riguardavano: la sostanza di ciascuna proposta di legge; la sostanza dei discorsi a favore o in contrasto con tale proposta; l’ambito più generale in cui si colloca la proposta; il numero di voti ottenuti; i nomi dei votanti; i documenti che sono serviti per stilare la proposta.

Mi sembra che si tratti di elenco ancora oggi valido, che però, per essere al passo con i tempi va esteso anche agli interna corporis del Parlamento. Ad esempio i cittadini hanno diritto di conoscere dettagliatamente i bilanci delle nostre Assemblee, gli emolumenti dei parlamentari e quelli del personale per poter apprezzare, oltre che il nostro ruolo all’interno del sistema democratico, anche quello che si potrebbe definire il nostro rapporto qualità-prezzo. Alla Camera dei Deputati italiana abbiamo applicato una linea di trasparenza anche su questi dati e la nostra scelta ha pagato.

Vanno adeguate ai tempi anche le modalità di comunicazione. Non basta più mettere a disposizione le informazioni, bisogna farlo in maniera comprensibile. Dunque è fondamentale la razionalizzazione delle procedure che autonomamente molti Parlamenti hanno intrapreso (quello italiano ha approvato proprio alla fine dell’anno scorso un nuovo regolamento che introduce, tra l’altro, tempi certi di discussione e un più adeguato rilievo alle proposte alternative di maggioranza e opposizione). Ma soprattutto è necessaria una forte specializzazione delle strutture delegate alla comunicazione.

La quantità da sola non basta, è indispensabile la qualità. In questo campo la forma è sostanza: una comunicazione inadeguata può essere peggio del silenzio. Serve dunque un approccio professionale. E’ quanto mai opportuna la scelta adottata già da diverse assemblee di affidare la comunicazione a giornalisti chiamati a lavorare a pieno titolo nella struttura parlamentare. La presenza di queste figure permette infatti di modulare in maniera corretta le informazioni alla stampa e di aprire canali diretti di comunicazione con i cittadini-elettori sfruttando al meglio tutte le opportunità messe a disposizione dagli sviluppi della tecnologia.

A partire dalla fine degli anni ''70 molte assemblee legislative hanno accesamente dibattuto sulla opportunità della ripresa televisiva diretta dei lavori parlamentari. Particolarmente intensa è stata ad esempio la discussione che si è svolta nel Parlamento inglese. Alla fine, in gran parte dei paesi industrializzati, è stato dato il via libera all’ingresso delle telecamere nelle aule sia pure con alcune limitazioni che variano da paese a paese e mirano sostanzialmente ad evitare due rischi: una disuguaglianza nella copertura tra le diverse forze politiche e una eccessiva attenzione nei confronti dei passaggi meno nobili del confronto parlamentare. In diversi paesi sono nati canali dedicati esclusivamente alla trasmissione dei lavori parlamentari e molte assemblee, come l''Italia, mettono a disposizione delle emittenti pubbliche e private il segnale ripreso dalle proprie telecamere.

Ma restano ancora aperti gli interrogativi di fondo che hanno animato fin dall’inizio il dibattito su questo argomento. E’ la Tv un mezzo di comunicazione adatto a rappresentare l’articolazione dei lavori parlamentari? La presenza costante delle telecamere non rischia di snaturare la natura dei lavori? Un buon Parlamento non è quello che produce uno spettacolo avvincente. E la capacità dei parlamentari non si può misurare dalla loro telegenicità o dalla loro abilità a produrre interventi televisivamente appetibili. Credo che sarebbe però sciocco, oltre che vano, tentare di porre un argine al progresso tecnologico e ai mutamenti del sistema dei media. La soluzione più realistica probabilmente è quella di utilizzare anche su questo fronte la consulenza di professionisti della comunicazione che siano in grado di suggerire accorgimenti per trasmettere nel modo migliore le notizie.

Diverso è il discorso per quel che riguarda la radio, che non ha bisogno per attirare l’attenzione del pubblico della spettacolarizzazione tipica del prodotto televisivo. L’esperienza italiana ha dimostrato che può essere un ottimo veicolo di informazione sui lavori parlamentari. Tant’è che dall’inizio di quest’anno, oltre ad una emittente di partito che per prima ha cominciato a trasmettere le sedute d’aula - con tutti i limiti che derivavano dalla parzialità della fonte - si è affiancato, per volontà del governo e del Parlamento, un canale ad hoc dell’emittente pubblica.

Ma la vera frontiera per le nostre istituzioni è oramai quella dell’informazione digitale, di Internet. Gran parte delle nostre assemblee già utilizza questo strumento e credo che la percezione generale sia quella di un canale formidabile non solo per garantire una informazione capillare e universale su tutte le decisioni del Parlamento - infrangendo le barriere fisiche che permettevano solo ad alcuni soggetti di avere una conoscenza dettagliata del procedimento legislativo - ma anche di un ottimo strumento di avvicinamento dei cittadini ai meccanismi parlamentari.

L’importanza di investire in questo campo è data non solo dal ritmo di crescita degli utenti (secondo gli studi più attendibili erano 68 milioni nel 1996, saranno il doppio quest’anno e potrebbero superare i 200 milioni nel 2000) ma anche dalle prospettive future del mezzo. Uno studioso americano, Larry Grossman, ex direttore delle news della Nbc ed amministratore del canale pubblico Pbs, ha suscitato grande scalpore con un suo saggio intitolato “The Electronic Republic” nel quale profetizza mutamenti clamorosi anche sulle forme della democrazia da parte dell’innovazione tecnologica, ed in particolare di Internet. I cittadini - sostiene - non saranno solo in grado come hanno sempre fatto, di scegliere chi li governerà, ma potranno sempre di più partecipare direttamente al processo legislativo e alle scelte politiche che riguardano la loro comunità. Secondo Grossman insomma, grazie alla convergenza di mezzi diversi come televisione, telefono, satellite e computer gli elettori potranno non solo essere in grado di conoscere e controllare in tempo reale l’andamento del processo decisionale sui fatti di interesse generale, ma anche essere interpellati ed esprimere il proprio parere in maniera immediata.



Si tratta di previsioni che molti altri esperti considerano eccessivamente radicali e lo stesso autore del volume non nasconde i rischi di un simile scenario, primo fra tutti quello di uno snaturamento del ruolo di guida della politica a favore di un deprecabile populismo elettronico.

Ma indubbiamente le potenzialità dell’informazione digitale e della interazione fra mezzi diversi sono tali, e in gran parte ancora inesplorate, che una moderna politica di comunicazione non può non considerare il loro uso una priorità. E a questo proposito forse è arrivato il momento di pensare a creare un legame più stretto tra i siti Internet dei parlamenti europei, in modo da permettere ai cittadini di tutta l’Unione di essere informati non solo sulle attività delle loro assemblee nazionali. Penso alla creazione di banche dati comuni che possano essere d’aiuto anche al lavoro di semplificazione e armonizzazione legislativa intrapreso dai nostri Parlamenti.

Uno sforzo ulteriore però è necessario anche da parte del sistema dei mass-media. La correzione delle distorsioni non può che essere infatti bilaterale. L’intreccio tra politica e comunicazione è antico quanto la nostra storia: proprio la civiltà greca ce ne tramanda numerose testimonianze. Ma mai come nell’ultimo secolo le interdipendenze - palesi ed occulte, economiche e di condizionamento reciproco - si sono aggrovigliate. Non si tratta di un male di per sé, così come non deve spaventarci il rapporto sempre più conflittuale che si sperimenta in buona parte dei paesi industrializzati tra politica e mass-media. La critica che proviene dai mezzi di informazione è un elemento essenziale della democrazia; un eccesso di accondiscendenza, per il sistema democratico, può essere più pericoloso di un eccesso di antagonismo.

L’importante è che entrambi i sistemi mantengano il loro grado di autonomia e siano coscienti della diversità dei propri ruoli. Ai mass-media spetta il compito di stabilire quelle che il sociologo tedesco Niklas Luhmann chiamava le “attention rules”, sollecitando innanzitutto con l’arma della critica l’attenzione dell’opinione pubblica sulle questioni che si ritiene di rilevanza generale; alla politica spettano le decisioni. Conosciamo gli effetti deleteri del controllo politico sui mezzi di comunicazione ma anche i mass-media debbono essere ben coscienti dei rischi che corre tutta la società se essi pretendono di trasformarsi in soggetti politici, in giornali-partito o canali-partito.

Se per i Parlamenti dunque la sfida è quella della trasparenza, per tutti la sfida è quella della responsabilità. Responsabilità delle istituzioni nel decidere e comunicare in maniera adeguata ma anche responsabilità dei mass-media nel trasmettere e commentare l’operato della politica. E responsabilità dei cittadini nel vigilare e sollecitare entrambe le parti, dando o togliendo consenso, a svolgere al meglio il proprio ruolo.