Il Parlamento nella modernità


Bari, 04/27/1998


*** Inaugurazione della mostra bibliografica "Il Parlamento nella storia d''Italia: documenti e testimonianze dall''Assemblea (1861-1911)", organizzata dal Dipartimento di Storia del diritto italiano dell''Università di Bari***


Le Assemblee elettive della gran parte delle democrazie occidentali si trovano oggi ad affrontare una “fase di trasformazione”, che nasce dal cambiamento delle condizioni internazionali, economiche, sociali, culturali in relazione alle quali erano state pensate e organizzate nel secolo scorso.

Nella concezione tradizionale, il Parlamento è concepito per rispondere alle esigenze di uno Stato nazionale e di una società stabile, sostanzialmente omogenea sotto il profilo sociale, con un andamento dell’economia, della finanza, delle comunicazioni prevedibile e a bassa velocità di trasformazione.



In quest’ultima parte di secolo la gran parte di queste condizioni sono venute meno.

La caduta del muro di Berlino e la globalizzazione hanno aperto una nuova fase della modernità. Hanno messo in discussione i vecchi equilibri, ponendo nuovi interrogativi, che investono le sovranità nazionali, le relazioni tra gli Stati, le gerarchie tra politica, economia e società, il rapporto tra istituzioni e cittadini .



La globalizzazione ha subito negli ultimi anni una potente accelerazione, sulla spinta della rivoluzione tecnologica e informatica e per effetto dell’abbattimento delle barriere politiche dopo il cedimento strutturale dei regimi sovietici.

Prima si parlava di globalizzazione solo con riferimento alle relazioni finanziarie. Oggi la globalizzazione è estesa a tutti i settori dell’economia, dal commercio, al mercato del lavoro e, soprattutto, al settore delle telecomunicazioni.

E’ un fenomeno che rompe i vecchi equilibri, i vecchi assetti d’ordine tra i cittadini e tra cittadini e Stato.

La globalizzazione, che è in sé una componente strutturale della modernità, va governata.

Corriamo altrimenti il rischio che i processi di cambiamento e di sviluppo delle società avanzate siano alimentati unicamente dalla forza dell’economia, della finanza, della comunicazione, delle emozioni, senza attenzione alla razionalità, ai valori sociali, alle scelte di fondo, ai principi fondamentali di carattere etico.

La globalizzazione richiede velocità, semplificazione, competitività. La democrazia e le sue istituzioni hanno invece bisogno di tempo, di rispetto di vincoli, procedure, equilibri.



Tutto questo ci costringe a interrogarci sulle attuali forme della democrazia e sui contenuti della nostra cultura politica.



Nella modernità la democrazia deve sposarsi alla velocità della decisione, ma anche alla qualità della decisione e soprattutto all’inserimento della decisione in una visione strategica delle priorità del Paese.

Se i Parlamenti si limitassero a “inseguire” la globalizzazione, mantenendo le vecchie procedure, i vecchi tempi di lavoro, le vecchie forme di organizzazione, non saremmo in grado nè di rappresentare gli interessi dei cittadini né di governare la globalizzazione.

Saremmo costretti a subirla.

Le Assemblee rappresentative rischiano di essere in ritardo, rischiano di trasformarsi in “luoghi di ratifica” di decisioni che vengono assunte al di fuori delle sedi istituzionali.



La nostra sfida, oggi, è riuscire a coniugare, all’interno delle istituzioni democratiche, rappresentanza e decisione, capacità di conoscere e capacità di decidere tempestivamente.

Diversamente rappresentanza e decisione seguiranno “altre vie”. Seguiranno percorsi di dispersione e di settorializzazione, si coaguleranno attorno a quelle che gli studiosi del cosiddetto “post-parlamentarismo” definiscono le reti della democrazia organica, nelle quali la rappresentanza e la decisione hanno come protagonisti non le istituzioni politiche ma le organizzazioni settoriali, gruppi professionali di settore e gruppi di interesse specifici, élites burocratiche e scientifiche. Reti di decisione spesso non trasparenti e soprattutto parcellizzate, staccate da un quadro d’azione complessivo.



Come restituiamo attualità al principio della sovranità popolare, che la Costituzione introdusse per la prima volta nel nostro ordinamento? Attraverso quali vie il popolo e cioè i cittadini diventano oggi sovrani, decisori e destinatari primi delle azioni delle assemblee rappresentative, dei governi, delle pubbliche amministrazioni?



La risposta sta a mio giudizio nella costruzione di una “democrazia governante”.

Non è uno slogan efficientistico, né una formula contrapposta a quella della “democrazia della rappresentanza”.



E’ invece l’idea di una democrazia, consapevole di giocare un ruolo che non si conclude all’interno dei confini nazionali, e che richiede:1) la ridefinizione delle categorie politiche di centro e periferia; 2) la ricerca di un giusto equilibrio tra rappresentanza e decisione nelle Assemblee elettive; 3) la capacità di coniugare velocità e qualità delle decisioni; 4) la realizzazione di un “progetto di modernità” fondato su valori predeterminati.



La prima questione è la ridefinizione delle categorie politiche di centro e periferia. Il venir meno del vecchio equilibrio bipolare e la globalizzazione non hanno semplicemente rovesciato “ordini preesistenti”. Hanno aperto una fase nuova nella quale il futuro appare caratterizzato in maniera quasi strutturale dal cambiamento. Esiste un rischio forte di dispersione. Ma un processo di apertura così marcato nell’economia, nelle comunicazioni, nell’informatica, nelle tecnologie, ha in sé anche i rischi opposti della chiusura particolaristica e della frammentazione.

Di fronte a questo quadro ci sono due possibilità:

la deriva verso un modello anarchico, nel quale gli equilibri si basano su spinte e controspinte di tipo economico, sociale, culturale, religioso, non controllate e quindi non governabili;

la ridefinizione del concetto di “ governo”.



Questa seconda alternativa punta sull’abbandono del vecchio modello accentrato di organizzazione dello Stato, superando anche a livello politico istituzionale quella concezione della “periferia” del sistema, che da tempo non esiste più nelle relazioni commerciali, nelle comunicazioni, nell’informazione.

Dobbiamo passare da una “democrazia di tipo verticale”, nella quale il cittadino si trova alla base di una piramide, ad una “democrazia di tipo orizzontale”, nella quale ciascun attore istituzionale (Stato, Regioni, province, comuni, città metropolitana, cittadino) non è sovraordinato o sottordinato ad altri secondo un ordine gerarchico, ma è uno dei motori del sistema con proprie specifiche funzioni e responsabilità. Ciascun soggetto è periferia rispetto ad un sistema di relazioni e centro rispetto ad un altro sistema. Sta a lui potenziare quella rete di relazioni che lo vede al centro. Ad esempio Bari e la Puglia possono essere periferia rispetto al sistema nazionale, ma possono diventano uno dei possibili centri di un sistema mediterraneo. Le riforme istituzionali intendono agevolare questa duttilità del sistema.



Il testo dell’art.55 del progetto di riforma della Costituzione, sul quale ha deliberato l’Assemblea della Camera va in questa direzione, stabilendo che “i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati della Costituzione”.

L’art.56, a garanzia di questo assetto, stabilisce che - nel rispetto delle attività che possono essere svolte autonomamente dai privati - le funzioni pubbliche sono distribuite tra i diversi enti territoriali secondo i principi di sussidiarietà, di differenziazione, di adeguatezza e di omogeneità.

L’art.58 rende concreto il principio di sussidiarietà riconoscendo alla Regione la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente attribuita alla potestà legislativa dello Stato.



I concetti di “centro” e “periferia” vanno ridefiniti non solo all’interno dello Stato, ma anche all’esterno, nello scenario internazionale, e in primo luogo nel quadro dell’Unione europea.



Nel disegno di legge di ratifica del Trattato di Amsterdam, approvato dalla Camera dei deputati qualche giorno fa, è stata introdotto un articolo nuovo, rispetto al testo approvato in prima lettura dal Senato, che impone al Governo di mettere tempestivamente a disposizione delle Camere e delle Regioni tutti i documenti di consultazione redatti dalla Commissione.

Nel senso di un rafforzamento del ruolo del Parlamento nazionale nella costruzione europea e nella definizione della legislazione comunitaria vanno anche la legge comunitaria 1995 –1997 e le risoluzioni approvate dalla Camera dei deputati alcuni giorni fa a seguito del dibattito in Assemblea sulla Relazione del Governo al Parlamento sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario. In tutti gli atti di indirizzo presentati dalle diverse parti politiche è indicato l’obiettivo di un più forte coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nella definizione delle politiche e della legislazione europea.

La legge comunitaria 1995-1997 introduce importanti novità, che mirano a rafforzare la partecipazione delle Camere alla cosiddetta “fase ascendente” del processo normativo comunitario , nella quale le Assemblee dell’Unione Europea hanno la possibilità di far valere il proprio punto di vista rispetto alle proposte di atti normativi comunitari.

Non partecipare in modo attivo e responsabile a questa fase, significa per il Parlamento e quindi per i cittadini, le famiglie e le imprese rinunciare ad avere voce e peso nella determinazione delle politiche europee. Particolare attenzione è dedicata dalla legge comunitaria anche al coinvolgimento delle regioni nella trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse regionale. A tal fine il Presidente del Consiglio convoca ogni sei mesi una sessione speciale della Conferenza Stato-regioni, riferendone gli esiti al Parlamento.





Il secondo passaggio è la individuazione di un giusto equilibrio tra rappresentanza e decisione all’interno delle Assemblee elettive.

Democrazia governante non significa imbavagliare i parlamentari, legare le mani all’opposizione o eliminare lo spazio del confronto.

In un sistema maggioritario, che instaura un rapporto diretto tra elettori ed eletto, deve essere rafforzata la tutela dei singoli parlamentari e deve essere in ogni caso assicurato un adeguato spazio di espressione tanto ai gruppi quanto ai parlamentari che intendano eventualmente esprimere una propria personale posizione, rispetto alla linea del proprio gruppo.





Le riforme regolamentari approvate dalla Camera dei deputati nell’autunno scorso e oramai funzionanti da quattro mesi, vanno in questa direzione.



Dal primo gennaio di quest’anno è possibile, sin dal momento di avvio della discussione di un procedimento legislativo, stabilire il tempo di discussione e la data in cui sarà votato.

Il contingentamento dei tempi fin dal primo calendario dà certezza sul momento della deliberazione, senza soffocare il confronto.

Il fatto di sapere che un determinato provvedimento sarà discusso e votato entro un tempo prestabilito dà non solo ai deputati, ai partiti, ai gruppi, ma anche ai cittadini, alle imprese, alle altre istituzioni la garanzia che il Parlamento lavora in modo razionale, che l’assunzione delle decisioni fondamentali per la vita del Paese non è legata a meccanismi oscuri e poco comprensibili, ma è legata ad un modo di lavorare moderno e trasparente.

In questo modo eliminiamo le lungaggini immotivate, le incertezze e le instabilità normative.

Il Paese ha diritto di sapere quando deciderà il Parlamento ed ha il diritto di chiedere che i tempi di deliberazione siano coerenti con i tempi della vita delle persone, delle famiglie e delle imprese. Oggi realizziamo il programma dei lavori al 95%, ieri eravamo al 57%.



Anche la modifica della disciplina del voto degli emendamenti presentati è volta a rendere più celere la decisione e a restituire dignità e chiarezza al confronto tra maggioranza e opposizione.

Prima della riforma venivano rovesciati su ciascun provvedimento centinaia se non migliaia di emendamenti (20.000 nella intera XII legislatura; 110.000 nella corrente legislatura), con lo scopo prevalente di bloccare l’approvazione del testo al fine di contrattarne il contenuto secondo il vecchio schema consociativo.

Con la riforma si stabilisce il diritto dei gruppi parlamentari al voto non su tutti gli emendamenti presentati, ma solo su un numero di emendamenti per ciascun articolo pari ad un decimo della composizione del gruppo; un gruppo che conti 120 deputati ha diritto alla votazione di non più di 12 emendamenti ad articolo di ciascuna legge. L’opposizione, che oggi conta su circa 300 deputati, ha diritto al voto di trenta emendamenti per articolo.

In questo modo non si ottiene solo una riduzione dei tempi. Si ottiene anche l’effetto positivo di dare più visibilità e più forza al contenuto dell’emendamento, rendendo più chiare a chi segue il dibattito le diverse posizioni politiche sui contenuti concreti.



Allo stesso obiettivo mira la possibilità per le opposizioni di presentare “testi alternativi” a quello della maggioranza, che vengono votati prima di qualsiasi altro emendamento.

Democrazia governante non può significare solo rapidità della decisione. Deve significare anche qualità delle regole che l’ordinamento pone per rispondere ai nuovi bisogni.

Non basta decidere qualsiasi cosa purché in tempi rapidi; la democrazia dev’essere conveniente per i cittadini, e quindi le decisioni politiche devono essere in grado di fornire ai cittadini servizi in quantità e qualità tali da renderli mediamente soddisfatti del sistema politico in cui si trovano a vivere e a produrre.



L’attuale situazione di incertezza e di disordine legislativo crea indirettamente per le famiglie, per le imprese, i cittadini, una sorta di “tassa per l’applicazione della legge”.

L’incertezza della legge riduce la competitività dei sistemi economici. Nel mercato tendenzialmente unico del mondo avanzato, i Paesi dotati di ordinamenti giuridici stabili, coerenti, facilmente conoscibili attraggono verso di sé maggiori investimenti. Sia ben chiaro. Questo non è solo un problema italiano. E’ una questione propria di tutti i Paesi avanzati. Tanto che a livello europeo è stato formato un gruppo di lavoro costituito da diversi presidenti di camere dell’Unione europea, coordinato da chi vi parla, proprio per la razionalizzazione della produzione legislativa, tanto nei singoli Stati quanto nella stessa Unione europea.

In Italia l’obiettivo è ridurre lo stock di leggi esistenti e razionalizzare le singole discipline di settore, individuando criteri in grado di mantenere nel tempo l’ordine raggiunto.

Le cosiddette Leggi Bassanini vanno in questa direzione.



La riforma del regolamento della Camera, inoltre, ha previsto la costituzione di un apposito organismo paritetico, fatto da quattro deputati della maggioranza e quattro della opposizione, presieduto a turno da uno dei componenti, con il compito di valutare, (su richiesta di quattro deputati della Commissione, se si tratta di progetti di legge; d’ufficio, se si tratta di disegni di legge di conversione di decreti-legge), la qualità della legge, la sua chiarezza, la sua semplicità, la sua efficacia, la sua integrazione nell’ordinamento giuridico dello Stato.

Il Comitato da gennaio ad oggi ha lavorato intensamente, esaminando soprattutto disegni di legge di conversione di decreti-legge, anche sotto il profilo della omogeneità del contenuto, del rispetto del divieto di reiterazione e dei limiti di contenuto.

Il Comitato ha finora espresso i propri pareri sempre all’unanimità. Questo dato, seppur raggiunto in molti casi attraverso una faticosa ricerca di punti di equilibrio, è il segno della volontà delle parti politiche di non piegare le funzioni dell’organismo a fini di lotta politica e di caratterizzarne l’attività in un’ottica istituzionale e di garanzia.

Tuttavia non possiamo ancora dirci soddisfatti della qualità della nostra legislazione. Dobbiamo fare di più per raggiungere standards accettabili di coerenza, chiarezza e semplicità. E’ in corso un proficuo confronto con il governo proprio a questo proposito.



Un''ultima riflessione riguarda la “democrazia governante” come progetto di modernità fondato sui valori.

Dobbiamo ragionare sulla modernizzazione delle Assemblee rappresentative in termini più coraggiosi e radicali, cercando il fondamento che oggi può garantire una legittimazione forte e rinnovata alla democrazia.



La questione della legittimazione non si pone oggi nel nostro Paese in termini di “ricerca di nuovi valori fondanti”.



Si pone, invece, in termini di espansione dei nostri valori originari. Quello per cui oggi gli italiani sono una nazione civile, pluralista, democratica, sviluppata e moderna. Parlo dei valori della Lotta di liberazione contro il nazifascismo con i principi di solidarietà, eguaglianza e sovranità popolare. Del significato della scelta repubblicana, che non fu solo cacciata di una monarchia che aveva tradito il Paese fuggendo, ma fu anche scelta per la responsabilità dei singoli nella gestione della cosa pubblica.

Nei primi cinquant’anni della Repubblica i valori della Liberazione sono stati soprattutto difesi. Oggi dobbiamo passare, grazie alle mutate condizioni politiche, alla fase dell’espansione.

Io penso che ci siano tre letture della lotta di Resistenza e di Liberazione dal nazifascismo. Una lettura nobilmente conservativa e che però non sposta forze né politiche né culturali. Una lettura revisionista che tende a privare la lotta di liberazione del suo valore fondante della democrazia italiana e che io respingo nettamente. La terza lettura è propulsiva e serve a fare in modo che questo valore, il valore della Liberazione, diventi un valore di tutto il paese anche di coloro che sono gli eredi di chi fu sconfitto dalla lotta di Liberazione. Io credo che più italiani condivideranno questo valore, più la democrazia sarà forte. Io mi batto per questa lettura propulsiva di sviluppo della lotta di Liberazione.

La memoria deve essere un motore non una gabbia.

Ma alla radice di tutto sta una lettura moderna e proiettata nel futuro, della sovranità popolare. Il popolo è davvero sovrano se la Repubblica articola sul territorio la propria presenza al fine di rispondere con maggiore efficienza e rapidità alle istanze dei cittadini. Il federalismo e la sussidiarietà rispondono a questa esigenza. Il popolo è davvero sovrano inoltre quando può scegliere direttamente il suo sindaco, il suo presidente della provincia e, io credo, il presidente della regione, la maggioranza di governo e il presidente della Repubblica.

Il Parlamento sta lavorando per questi obbiettivi. Realizzarli credo che sia uno dei compiti fondamentali della nostra generazione e della nostra classe dirigente.