Avvocati d’Europa. Principi e regole comuni


Torino, 07/03/1998


***Convegno nazionale dell''Avvocatura***


Le modifiche verificatesi nella società italiana nel corso degli anni Novanta, dopo la fine della guerra fredda, hanno posto le condizioni per un rinnovato protagonismo dell’avvocatura, che è riuscita a superare il “nulla sociale” nel quale, come osserva Lucien Karpik nel suo classico libro sugli avvocati, era stata confinata nei decenni precedenti.

Esponente privilegiata della cultura liberale della prima parte del secolo, l’avvocatura venne fortemente ridimensionata durante il regime fascista in Italia, ove non c’era spazio né per i diritti individuali né per le libere professioni.

Nella prima fase del sistema repubblicano i diritti sono stati assicurati dallo Stato, dalla pubblica amministrazione, dai partiti, dai sindacati e dai patronati. La cultura prevalente è stata statalista. C’è stato poco spazio per chi veniva chiamato a difendere individualmente diritti individuali.

Successivamente, a partire dalla metà degli anni Settanta, gli avvocati hanno progressivamente ripreso a conquistare un ruolo sociale, portando con sé competenza tecnica, capacità di rapporto con i cittadini e solide relazioni sociali. Ma hanno scisso la propria identità individuale nell’identità della professione che priva di una riflessione riformatrice che la riguardasse nei suoi caratteri costitutivi, si è indebolita. A questo indebolimento hanno contribuito i caratteri rigidi della società italiana per tutto il periodo della guerra fredda; è evidente infatti che, senza una quota di liberismo nella società, quella particolarissima mediazione antagonista che è propria della funzione dell’avvocato resta priva di ossigeno. E a me sembra che alcune forme esasperate e non sempre comprensibili, di protesta dell’avvocatura siano il segno non di una forza ma di una debolezza strutturale che bisogna invece colmare con rapidità.

Il cambio degli anni Novanta – dicevo – ha giovato all’avvocatura.

Professione di frontiera tra giustizia e società, quando la società conquista una sua autonomia rispetto al potere pubblico e alla politica, l’avvocatura mette in atto forme di azione il cui particolarismo rompe con le visioni omogenee ed organiche della società e dello Stato.

Giova inoltre all’avvocatura l’inizio di mutamento dei contenuti della legislazione in materia della giustizia, che in questo decennio appare caratterizzata dalla volontà di affrontare, accanto alle grandi emergenze, la tutela dei diritti quotidiani dei cittadini, dall’opportunità di circoscrivere meglio la discrezionalità del giudice e dalla necessità di valorizzare i diritti degli imputati.

Ma proprio questa stagione, che può toccare alla fine del secolo i vertici conquistati all’inizio, obbliga la professione a passare dall’attuale protagonismo, nel quale la difesa dei diritti individuali si sposa a volte con forme di pregiudiziale contrapposizione alla magistratura, al Governo e al Parlamento, a forme di intervento più legate alla dignità della professione e ad un’idea generale del processo e della giustizia.

Il mondo politico ha il dovere di ascoltare le voci, le proposte, le richieste che vengono da questo mondo, cosa che sinora non è stata fatta in modo adeguato. Una delle questioni, ad esempio, che l’avvocatura pone da tempo è la sostanziale discrezionalità dell’azione penale a fronte dell’obbligo costituzionale. L’obbligo costituzionale dell’azione penale, come è noto, costituisce nel nostro ordinamento il corrispettivo della indipendenza del pubblico ministero. Sono entrambi valori essenziali che vanno difesi a tutela dei diritti dei cittadini. Ciò che non va, invece, è l’assoluta arbitrarietà della scelta delle priorità nella trattazione degli affari penali, aspetto primario della politica criminale di un Paese. E’ un tema che va posto non per ragioni polemiche, ma per ragioni di garanzia perché il cittadino, imputato o vittima, ha diritto di sapere perché il suo affare non viene trattato con priorità oppure perché viene trattato con priorità. I criteri devono essere conosciuti in precedenza e, se è il caso, discussi nelle sedi parlamentari, che rappresentano l’intero Paese, senza che questo dia luogo ad un vincolo, diretto o indiretto, sulle priorità delle scelte del magistrato o sulla stessa azione penale. Non siamo all’anno zero. Non solo perché in qualche caso si è già cercato di rendere pubblici questi criteri. Ma anche perché l’onere di indicare preventivamente i criteri delle priorità è già previsto nel nostro ordinamento. Mi riferisco al secondo comma dell’articolo 227 del decreto legislativo sul giudice unico di primo grado in base al quale “Gli uffici comunicano tempestivamente al CSM i criteri di priorità ai quali si atterranno per la trattazione dei procedimenti e per la fissazione delle udienze”. Per ora si tratta di una norma transitoria che riguarda il pregresso e che si applicherà a partire dal 1999; ma dopo averne verificato l’attuazione, sarà opportuno inserirla, con le eventuali opportune correzioni, nell’ordinamento giudiziario, trattandosi di principio organizzativo. D’altra parte è noto che in un recente orientamento della sezione disciplinare del CSM si assume una netta posizione a favore del potere dei capi degli uffici di enucleare criteri di priorità nella trattazione degli affari penali non solo nella fase delle indagini preliminari ma anche in quella del giudizio. E’ stato sottolineato che dinanzi all’impossibilità di esaurire tempestivamente la trattazione di tutte le notizie di reato no ci si può sottrarre al compito di elaborare criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti.

Questo è un tema che ha posto per prima l’avvocatura e ne do volentieri atto. E colgo l’occasione per esprimere un mio convincimento a questo proposito: una tutela effettiva dei diritti dei cittadini si raggiunge solo in un sistema in cui ad una forte magistratura corrisponda una forte avvocatura. Altrimenti la vittoria nei tribunali no potrà corrispondere ad un ruolo sociale autorevole e riconosciuto.

Per questo credo che l’avvocatura dovrebbe occuparsi più attivamente di se stessa e delle condizioni di esercizio della professione.

In questo quadro, è necessario cogliere le occasioni di rinnovamento della professione che in primo luogo derivano dall’accresciuta importanza che i servizi professionali rivestono nelle moderne società avanzate.

L’internazionalizzazione dei mercati e la diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione hanno conferito infatti un rilievo crescente ai servizi professionali in genere, ed a quelli legali in particolare, determinando un’espansione notevole e costante della domanda.

Di fronte alle nuove opportunità di sviluppo delle attività professionali, registriamo tuttavia nel nostro Paese – come ha sottolineato l’Antitrust nell’indagine conoscitiva sulle libere professioni condotta lo scorso ottobre – “una crescente espansione di studi e società estere”, il cui sviluppo è favorito da una disciplina che nei paesi d’origine consente ai professionisti “flessibilità organizzative e di mercato nel nostro Paese sconosciute”. In termini più generali l’Antitrust rileva come l’Italia abbia ormai assunto la posizione di “importatore netto di servizi professionali”, a causa della “maggiore restrittività che in Italia caratterizza la regolamentazione del settore rispetto ad altri Paesi”.

Dinanzi a questa realtà, il perseguimento dell’obiettivo della uniforme regolamentazione a livello europeo della professione forense (al quale è finalizzato il Convegno) coincide in gran parte con quello della riforma delle libere professioni e dell’ordinamento forense che oggi è una delle priorità dell’agenda politica.

La riforma degli ordini professionali rappresenta un’occasione concreta per contribuire alla liberalizzazione del nostro Paese.

Offre all’avvocatura italiana gli strumenti per competere con la concorrenza estera, evitando il rischio dell’esclusione da settori strategici dell’attività professionale.

Consente di abbandonare la vecchia regolazione protettiva dell’attività professionale.

Pone le condizioni per lo sviluppo di una attività professionale moderna, basata sulla qualità del servizio reso, sulla trasparenza e sul rigoroso rispetto della deontologia professionale, su un’apertura al mercato garantita dall’adeguatezza delle forme organizzative e delle modalità di esercizio della professione.

Non spetta a me dare un giudizio sul contenuto specifico dei disegni di legge di riforma delle libere professioni e dell’ordinamento forense che il Consiglio dei Ministri dovrebbe discutere oggi e che il Parlamento si appresta a ricevere ed esaminare. Voglio tuttavia esprimere l’auspicio che tutte le forze politiche sappiano cogliere non soltanto l’importanza ma anche l’urgenza della riforma; che si sappia esprimere nel corso dell’iter parlamentare dei due provvedimenti un atteggiamento positivo di apertura alla discussione e di confronto costruttivo nella ricerca delle soluzioni più adeguate.

L’avvocatura ha dimostrato prontezza nell’avviare la riflessione su queste tematiche e consapevolezza della necessità di rifuggire atteggiamenti corporativi e di tenere aperto il dibattito – come è testimoniato dalla stessa varietà delle opinioni e delle posizioni emerse in seno all’avvocatura.

Sono convinto che il Convegno di oggi potrà dare un contributo importante di riflessione e di stimolo per la modernizzazione delle forme e delle condizioni di esercizio della professione forense.

E’ questa, del resto, la condizione essenziale per avviare quel riequilibrio tra magistratura ed avvocatura, indispensabile per una piena garanzia del diritto di difesa di tutti i cittadini e per la concreta “indipendenza” degli avvocati, requisito fondamentale per l’esercizio della professione in tutti gli ordinamenti democratici.