Antisemitismo in Europa negli anni Trenta: legislazioni a confronto


Milano, 11/20/1998


***Convegno promosso dall''''Istituto lombardo per la storia della Resistenza e dell''''età contemporanea, Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e Comune di Milano***


Nel pomeriggio del 14 dicembre 1938 nell’Aula della Camera nessun deputato chiese la discussione dei provvedimenti che convertivano in legge i decreti “per la difesa della razza” emanati dal governo nel mese precedente. Ci fu prima un lungo applauso e poi, qualche minuto dopo, il consenso unanime a scrutinio segreto espresso dai 351 deputati presenti.
Nella stessa seduta pomeridiana la Camera approvava per acclamazione la propria soppressione e l''istituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni.
E’ uno dei casi in cui le coincidenze della storia esprimono lo stato di una nazione.

Al Senato, nella settimana successiva, la discussione su quei decreti registrò l’ intervento del solo marchese Filippo Crispolti, già deputato del partito popolare, che chiedeva l''applicazione delle nuove disposizioni "secondo criteri di moderazione". A Palazzo Madama, l''approvazione dei decreti passerà sempre a scrutinio segreto con soli 10 voti contrari.



Quei provvedimenti per la prima volta dividevano i cittadini in due categorie: i non ebrei e gli ebrei. Per i cittadini italiani classificati come ebrei, in virtù di una dettagliata casistica, era decretata la morte civile.

Per la prima volta si rompeva quell’unità nazionale che gli stessi ebrei italiani avevano contribuito a realizzare, partecipando a tutte le tappe della costruzione dello Stato unitario dal Risorgimento alla prima guerra mondiale. C’è una letteratura sulla incredulità e sulla sofferenza di quei cittadini di religione ebrea che avevano rischiato la vita nelle trincee della I guerra mondiale e che si vedevano così ripagati.

Nelle settimane e nei mesi successivi l''applicazione della normativa portò all''adozione di provvedimenti amministrativi, che ne amplificarono e potenziarono gli effetti, minando la stessa possibilità di sopravvivenza di migliaia di famiglie.

Accanto a queste norme, nel 1939, vennero varati i decreti per l''allontanamento degli ebrei che avevano acquisito la residenza in Italia dopo il 1919 e quelli che vietavano il soggiorno agli ebrei tedeschi o provenienti dalla Germania, dalla Polonia, dall''Ungheria e dalla Romania, tutti Paesi in cui era in vigore una legislazione razziale. L''anno dopo il divieto fu esteso anche agli ebrei slovacchi.

In questo modo la persecuzione dei diritti degli ebrei, insieme all''annientamento della loro identità personale, cominciava già ad essere persecuzione della loro vita.

Intendo qui richiamare un solo dato, che riguarda il periodo che va dal 9 settembre 1943 al 25 aprile 1945. In quei mesi, entro uno spazio territoriale controllato dai nazi-fascisti che andava sempre più restringendosi, vennero arrestati 7013 ebrei, per una media di 12 persone al giorno.



Soprattutto negli ultimi dieci anni, dopo il cinquantesimo anniversario delle leggi razziali italiane, la storiografia ha approfondito con impegno e rigore gli aspetti centrali di questa tragedia.

Sul piano normativo la cancellazione delle disposizioni antiebraiche è culminata nella piena attuazione del dettato costituzionale con la stipula dell''Intesa tra lo Stato e l''Unione delle comunità ebraiche in Italia del 27 febbraio 1987.

L''esempio più recente riguarda la necessità di dare rapida attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale del luglio scorso che ha disposto l''integrazione della composizione della Commissione governativa per i benefici di benemerenza ai perseguitati razziali. La nomina di un rappresentante dell''Unione delle comunità ebraiche italiane consentirà così l''immediata ripresa dell''attività della Commissione stessa.

Auspico una immediata definizione della questione da parte del Presidente del Consiglio, che credo proprio nella giornata di oggi chiederà alla Comunità ebraica la designazione di un suo rappresentante.



Ma in Italia, a differenza che in Francia, ad esempio, non ci siamo ancora posti l''interrogativo di come sia stato possibile, di fronte a questa legislazione dell''annientamento civile di una parte dei cittadini dello Stato, che la stragrande maggioranza dei cittadini abbia adottato una posizione di silenziosa indifferenza. I più assistettero purtroppo impassibili all’emarginazione ed alla persecuzione di alcuni loro concittadini con i quali avevano condiviso sino ad allora il luogo di lavoro, la platea di un teatro o di un cinema, il banco di scuola, il pianerottolo di casa. Nelle università ed in altri luoghi pubblici e privati, la messa al bando dei professori, dei funzionari e dei professionisti ebrei fu anzi utilizzata dai concorrenti non ebrei per rapide ed impreviste carriere.

Perché fu possibile teorizzare ed attuare il conculcamento dei diritti di una minoranza che non era mai stata sentita come separata ed avulsa dalla storia e dall''identità nazionale del nostro Paese?

Colpisce anche la sproporzione della macchina propagandistica, pseudo-scientifica, legislativa, amministrativa e repressiva messa in moto dal regime fascista per colpire i cittadini ebrei, una minoranza davvero ristretta: su 50.000.000 di italiani gli ebrei censiti nel 1938 erano poco più di 40.000, meno dell''1 per mille della popolazione del Paese.



Sulla colpa collettiva dei tedeschi, ha osservato 10 anni fa Bobbio, si parla spesso e non si può proprio dire che il livello della discussione sia insoddisfacente. Sulle colpe di Mussolini, dei gerarchi e dei ministri fascisti c''è un''infinità di volumi. Ma sulle responsabilità e sulle colpe degli italiani - continuava - degli italiani presi uno ad uno che cosa si può leggere? E come si può fare per capire? Ed è interessante notare che nello stesso articolo (La Stampa, 6 dicembre 1988) Bobbio aggiungesse un dato autobiografico alquanto significativo: "Nella città dove allora insegnavo (Padova), durante la guerra, apparve nel bar che frequentavo un avviso che proibiva l''ingresso agli ebrei. ''Adesso strappo quel cartello'', dissi fra me e me. Ma sono uscito senza averlo fatto. Non ne avevo avuto il coraggio. Quanti atti di viltà, di cosciente viltà, come questo abbiamo commesso allora?".

Tre anni prima Arnaldo Momigliano rifletteva sullo stesso tema affermando che il vero male fatto dal fascismo agli italiani non consiste "nelle sciocchezze che si dissero, ma nei pensieri che non furono pensati". "Molti dei migliori se non dissero nulla che non andava detto, non dissero tutto quello che avrebbero potuto dire".

Eppure ci furono degli spazi possibili e praticabili che alcuni vollero e seppero utilizzare per contrastare quella legislazione che il Re promulgò senza esprimere alcuna riserva ed il Parlamento approvò coralmente, senza discussione.

Non penso qui solo alla concreta e silenziosa solidarietà quotidiana prestata da migliaia di cittadini agli ebrei prima e dopo l''8 settembre. Penso anche alle sentenze di alcuni magistrati chiamati a pronunciarsi sull''applicazione della normativa razzista, ad Aldo Bozzi, a Galante Garrone, a Peretti Griva, alle riflessioni che lo stesso Galante Garrone e Pietro Calamandrei riuscirono a pubblicare su riviste specializzate intorno a questi temi tra il 1939 ed il 1942.

Ma si trattò di scelte isolate. La grande maggioranza preferì adeguarsi rapidamente alla legge cacciando, ad esempio, i docenti dalle università e dalle scuole e, come ammettono le stesse fonti fasciste dell''epoca, correndo il rischio di ritrovarsi in cattedra persone non preparate o di scarso valore intellettuale. Furono così espulsi dalle Università 96 professori, il 7% del corpo docente, e 279 tra presidi e insegnanti degli istituti scolastici.



Tutti i sistemi totalitari inducono alla passività, all’indifferenza, svuotano le gerarchie dei principi civili e snervano la dignità.

Tuttavia quella passività non è in alcun modo giustificabile, anche perché in tanti casi accanto ad individuali forme di lealtà civile e di solidarietà umana, ci furono veri e propri approfittamenti.

Il prof. Miccoli proprio lunedi’ scorso sottolineava come la condanna esplicita espressa dai vescovi tedeschi nell’ottobre 1941, nel corso delle omelie domenicali, contro l’eliminazione dei malati di mente fosse riuscita a rallentare l’operazione di “pulizia sanitaria” del nazismo.

E ancora: l’ultima razzia antiebraica a Berlino, nel febbraio 1943, portò all’arresto di ebrei sposati a donne non ebree. Per giorni le donne sostarono davanti allo stabile di Rosenstrasse e i mariti vennero rilasciati.

Voglio dire che forse non era impossibile opporsi.

Voglio precisare che nessuno deve pensare che sia impossibile opporsi alle barbarie. Voglio affermare che bisogna sempre lottare quando in gioco ci sono i valori fondamentali della dignità umana e della coscienza civile.



Renzo De Felice, in un''intervista a Shalom di qualche anno fa, sostenne che gli italiani “si adagiarono nella persecuzione”.

Questo adagiarsi non fu però casuale. Il totalitarismo si nutre del mito del nemico perennemente minaccioso, ed altera con questo sentimento le coscienze dei più. Anche dopo l''8 settembre e dopo la dichiarazione di guerra alla Germania, il governo del Regno del Sud e la monarchia aspettarono sino alla fine di gennaio del 1944 per abrogare le forme più pesanti di discriminazione antiebraica varate con la normativa del 1938.

La Resistenza contro il nazi-fascismo e la successiva Liberazione hanno riscattato integralmente l’Italia. Ma dobbiamo riconoscere che una società adulta, matura, come noi siamo, deve riflettere sui grandi errori commessi nella propria storia.

Oggi vi sono le condizioni politiche, culturali e sociali per affrontare con responsabilità un discorso pubblico e civile sul tema della passività e dell’indifferenza rispetto alle discriminazioni antiebraiche.

Tuttavia, queste riflessioni hanno un senso se non si risolvono in una sorta di atto di espiazione collettiva o di sterile autodenigrazione, ma divengono sforzo di conoscenza ed anche impegno per rendere più forti i valori civili e più rispettata la dignità delle persone.

Comprendere sino in fondo ciò che accadde in quegli anni, approfondire le riflessioni sulle responsabilità, capire le ragioni della rimozione costituiscono gli elementi di un passaggio indispensabile per la costruzione di una società matura, per il rafforzamento di un''identità nazionale e repubblicana, che sia da tutti condivisa, perché il nostro Paese possa avere più forza civile.

Un''integrale conoscenza di queste pagine della nostra storia, lo ripeto, non deve essere utilizzata come strumento di lotta politica di una parte contro l''altra, o di denigrazione o di autolesionismo Deve invece contribuire allo sforzo di costruzione di un nucleo di valori comunemente condivisi attorno ai quali far crescere un sentimento di appartenenza e di cittadinanza in cui tutti gli italiani, indipendentemente dalla loro storia personale e dalla storia dei propri partiti, possano oggi riconoscersi.

Primo Levi, nella premessa del volume Se questo è un uomo afferma che il lager "sta all''origine di un sistema di pensiero" e che esso è prodotto dalla convinzione che "ogni straniero è un nemico". Per Levi l''essenza della deportazione è colta come il necessario "prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza". Fin dalla sua prima esperienza nel campo di Fossoli Levi sperimenta questo nesso e nota: "finchè la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano".



Sui lager si è scritto più che sul principio di discriminazione. Eppure Auschwitz non sarebbe esistito senza quel principio. Auschwitz nel suo universo di dolore pianificato e indicibile ci sembra non possa mai più tornare. Ma la discriminazione che è alla sua radice, invece sì; a volte la vediamo sulle strade, negli stadi di calcio, qualche volta persino nelle scuole e allora anche la fiducia nella non ripetibilità di Auschwitz si incrina.

Il razzismo, infatti, è forse proprio l’aspetto del fascismo e del nazismo che può ritornare e che può diventare lo scoglio più duro perché il futuro sarà sempre più della multietnicità.

Uno dei caratteri fondamentali dell’umanità nei prossimi decenni infatti sarà il fenomeno migratorio.

All''emigrazione “povera”, fatta di persone che sfuggono alla fame, alla miseria, alla persecuzione, si sommerà un''emigrazione “ricca” di professionisti capaci che sceglieranno nel mondo i lavori più soddisfacenti e più retribuiti. Per queste ragioni la multietnicità è il futuro del mondo ed i paesi più forti nell’economia, nella scienza e nella cultura, saranno e sono già oggi i paesi con un più alto coefficiente di multietnicità. Ma non tutti comprendono che questo è il futuro e che questo futuro dev’essere affrontato con serenità e fermezza, deve essere governato e non respinto.

Chi ha paura o non capisce può diventare razzista. Su queste forme di razzismo, come la storia insegna, si possono costruire anche fortune politiche, effimere, ma terribili.





Inoltre, bisogna spiegare, che nel mondo di oggi ciascuno di noi può diventare improvvisamente minoranza, per il suo aspetto fisico, per le sue scelte sessuali, per la sua fede religiosa o per l’assenza di fede religiosa, per il suo stile di vita. Apparteniamo tutti in realtà ad una somma di minoranze o, meglio, apparteniamo a maggioranze o minoranze fluide che possono improvvisamente cambiare di segno, a seconda del momento, delle mode, delle condizioni sociali e culturali. Più che mai oggi è attuale, per dare concretezza alla democrazia, il richiamo alla lotta contro il razzismo e contro ogni forma di discriminazione. Non si tratta di riaffermare il vecchio concetto di tolleranza, che presuppone la divisione in tollerati e tolleranti. Occorre costruire il concetto di convivenza tra diversi che si rispettano reciprocamente.

Non dobbiamo essere razzisti con i razzisti, ma dobbiamo conquistare al valore della convivenza e del rispetto reciproco anche chi invece è convinto di difendersi con il rifiuto e la diffidenza verso il diverso da sé.



In questa direzione è impegnata la Camera dei deputati con la pubblicazione, che avverrà il 14 dicembre di un libro destinato agli studenti delle scuole medie superiori che raccoglie le riflessioni di alcuni Capi di Stato (Oscar Luigi Scalfaro, Italia; Jacques Chirac, Francia; Roman Herzog, Germania; Ezer Weizman, Israele; Vàclav Havel, Repubblica ceca; e Bill Clinton, Stati Uniti) e tre saggi sulla realtà ebraica in Italia, sulla legislazione razziale nel nostro Paese e sull''antisemitismo europeo coordinati da Corrado Vivanti. Accanto a questi contributi abbiamo voluto dare agli studenti gli strumenti per una conoscenza diretta della legislazione antiebraica, pubblicando le principali leggi italiane approvate, gli atti amministrativi e i lavori parlamentari sull''argomento.

L''obiettivo è quello di rinnovare la memoria e, partendo da una pagina dolorosa della storia del Novecento, richiamare la riflessione dei giovani sulla lotta al razzismo anche nella società contemporanea per contribuire alla costruzione dei valori comuni nell’Italia di domani.

Confidiamo inoltre nell''importante contributo delle comunità ebraiche italiane per la diffusione della conoscenza della Shoah tra le giovani generazioni in particolare attraverso la collaborazione alle iniziative di visite delle scuole ai campi di sterminio avviate, a partire da questo anno scolastico, dal Ministro della Pubblica Istruzione.



L’impegno è che nel presente e nel futuro essere diversi non significhi mai più essere discriminati.



La capacità di lottare contro la discriminazione è uno dei capisaldi della dignità di una nazione.

Sta alla nostra generazione fare in modo che essa diventi uno dei cardini nella formazione delle generazioni più giovani, in quella trasmissione di valori, sentimenti, ideali che da un senso alla vita e permette che la vita abbia un senso.