Riforme istituzionali e stabilità economica


Londra, 12/07/1998


***Incontro con i membri del Royal Institute of international affairs***


1) Thank you very much indeed for this invitation and for the opportunity to address you, which you have had the courtesy to offer me.

International observers have expressed concern about the instability of Italy''s political framework .
For this reason many people, and I believe some may be in this room, are wondering about the medium and long-term stability and sustainability of the "virtuous" economic policies that have enabled Italy to consolidate public finances and meet the European standards in what has been a comparatively short period of time.

Dal punto di vista della stabilità, la storia politica italiana dopo la seconda guerra mondiale può dividersi in due fasi: quella che precede la caduta del muro di Berlino e quella successiva.

Nel corso della prima fase l’Italia è stata fortemente condizionata dalla sua condizione geopolitica: era un paese di frontiera tra il mondo dell’ovest ed il mondo dell’est ed aveva al suo interno il più forte partito comunista dell’occidente, la cui vittoria elettorale, secondo autorevoli osservatori occidentali, avrebbe potuto condurre alla sottrazione dell’Italia dall’area atlantica. Questa situazione ci ha posto sotto la tutela dell’alleato più forte, che si era incaricato, appunto di difendere militarmente ed economicamente i confini del blocco occidentale. Noi eravamo il più esposto di quei confini. Due studiosi americani, Loyd Free e Renzo Sereno, scrissero verso la fine degli anni Cinquanta, un rapporto sulle relazioni tra Stati Uniti ed Italia. Il loro giudizio era racchiuso nel titolo: Italy dipendent ally or indipendent partner?”. Secondo gli studiosi, si trattava di un self-governing protectorate.

In questi anni il frequente cambiamento dei governi non ha prodotto effetti disastrosi per due motivi:

Abbiamo avuto ministri stabili in governi transitori: la durata media dei governi fu di circa 11 mesi; la durata media dei ministri, invece, fu di 3 anni e 8 mesi;

tutte le maggioranze politiche sino agli anni 90 si fondarono sullo stesso partito politico, la Democrazia Cristiana e su coalizioni fortemente stabili; dal 1948 al 1964 di centro, dal 1964 sino al 1992, con alterne vicende, di centro-sinistra. Altro principio non scritto della politica italiana fu in questo periodo l’impossibilità che il PCI e il MSI, erede del Partito nazionale fascista, partecipassero direttamente al governo.

Per queste ragioni, e per i forti condizionamenti internazionali, le linee di fondo della politica italiana sono state assai più stabili dei governi. Si aggiunga che l’Italia dopo la guerra aveva il 65% del patrimonio industriale distrutto ed il 60% circa delle case senza acqua corrente. In pochi anni abbiamo ricostruito il Paese, abbiamo creato le condizioni per lo sviluppo delle piccole imprese, che sono la nostra specialità. Da molti anni l’Italia, per PIL, è tra i primi paesi del mondo.

. Tuttavia i danni di questa situazione sono stati notevoli e provo a riassumerli:

immutabilità delle classi dirigenti e quindi esposizione all’immobilismo politico ed alla corruzione;

creazione di forti aree di assistenzialismo, nel Paese, per mantenere consenso politico, con conseguente nascita, specialmente nel corso degli anni Ottanta, di un enorme debito pubblico.

scarsa possibilità di varare riforme strutturali che, in ogni caso esigono governi con prospettive di durata medio-lunga.

Uno spirito pubblico poco educato al senso di responsabilità ed al senso dello Stato. Nei momenti dell’emergenza gli italiani sanno superare le difficoltà, anche le più gravi: la rapida ricostruzione dopo la guerra, lo sviluppo delle piccole imprese, la lotta contro il terrorismo, i successi contro la mafia, l’azione contro la corruzione politica ed amministrativa, il risanamento finanziario non sarebbero stati possibili senza quelle doti. Ma si tratta di virtù che sono preferibilmente esercitate nei momenti dell’emergenza. Sappiamo fare cose straordinarie. La nuova classe dirigente cerca di fare con continuità quelle ordinarie.

Negli anni Novanta, dopo la caduta del muro di Berlino, e la conseguente fine del bipolarismo internazionale, si sono verificati cambiamenti impensabili:

hanno governato direttamente, e per decisione degli elettori, partiti che non avrebbero mai potuto governare nel vecchio sistema come il MSI, nel 1994, ed il PDS, erede del PCI, dal 1996; Massimo D’Alema, attuale presidente del consiglio, è stato sino al giorno della fiducia segretario di questo partito.

una larga parte della vecchia classe dirigente è stata costretta ad allontanarsi dalla politica per effetto dei processi per corruzione, cosiddetti di “mani pulite”; non esiste, oggi, più nessuno dei partiti che esisteva alla fine degli anni Ottanta; ci sono, peraltro, partiti fortemente rappresentativi e del tutto nuovi, come Forza Italia e la Lega Nord;

con le elezioni politiche del 1994 sono cambiati il 69% dei deputati ed il 60% dei senatori; con quelle successive, del 96, che ancora oggi reggono il Parlamento sono cambiati ancora il 50% dei deputati ed il 55% dei senatori.

Ora la classe politica dirigente è in gran parte nuova, nella maggioranza come nell’opposizione. Ma restano ombre e luci.

Le ombre riguardano la perdurante instabilità dei governi. Dal 1992 ad oggi abbiamo avuto sei governi: Amato di transizione tra il vecchio ed il nuovo sistema, Ciampi, tecnico, Berlusconi, di centro destra, Dini, tecnico, ma appoggiato dal centro sinistra, Prodi, di centro sinistra, D’Alema, di centro sinistra.

Le luci vengono dalla constatazione che i sei governi, pur avendo caratteristiche politiche diverse, hanno come linea comune il risanamento economico. A partire dal 1992, infatti, la politica economica ha avuto un carattere univoco e stabile, nonostante il cambiamento dei governi, perché il problema era sentito come grave da tutta la collettività nazionale.

L’ingresso nella Moneta Unica Europea è il frutto di una dura politica di risanamento finanziario, che nel solo 1993 è costata agli italiani più di 100 mila miliardi di lire; gli italiani hanno pagato, unici in Europa, una tassa per entrare nella moneta unica, tassa che con la legge finanziaria di quest’anno verrà restituita per il 60%.

Superato il momento finanziario peggiore, ora che siamo fuori dell’emergenza, il problema della stabilità acquista una particolare gravità. Infatti nell’ultimo decennio il cambio di governi non ha avuto effetti sulla situazione economica e finanziaria perché c’era un obbiettivo primario fortemente condiviso dalla popolazione: l’ingresso nella moneta unica europea che poteva raggiungersi solo attraverso il risanamento. La legge finanziaria di quest’anno, per la prima volta dopo dieci anni di tagli e di tasse, rilancia lo sviluppo e gli investimenti. Ma su questo terreno le alternative possono essere molte e diverse a seconda delle opzioni politiche di fondo. Una delle grandi priorità del governo italiano è oggi la scuola; ma si è posto immediatamente e con durezza il problema del rapporto tra scuola pubblica e scuola privata, che è visto in modo assai diverso a seconda della collocazione delle singole forze politiche. Analoghe divergenze ci possono essere per le modalità attraverso le quali superare l’ostacolo della disoccupazione, facilitare lo sviluppo del Mezzogiorno e così via. In definitiva oggi abbiamo maggiori possibilità di scelta e l’instabilità politica si ripercuoterebbe sulle scelte di fondo immediatamente ed in modo assai incisivo. Perciò la stabilità è forse più necessaria oggi rispetto a ieri, indipendentemente dai caratteri politici dei governi.

Il problema è stato posto all’inizio di questa legislatura quando è stata approvata, anche con il voto favorevole di gran parte delle opposizioni, la Commissione Bicamerale per le riforme costituzionali, quella parte della Costituzione che prevede la forma dello Stato e la forma del governo.

La Commissione Bicamerale, per garantire la stabilità, aveva discusso due diverse ipotesi, il governo del premier oppure un sistema semipresidenziale, secondo il modello francese. Aveva poi proposto che la fiducia fosse data solo dalla Camera dei Deputati e che potesse essere tolta solo attraverso la sfiducia costruttiva, come nel sistema tedesco.

Poi i lavori si sono congelati, nel giugno scorso, perché il leader dell’opposizione, Silvio Berlusconi, ha deciso di ritirare il proprio sostegno al progetto di riforma.

Paralizzata la Commissione bicamerale, la discussione si incentra oggi sulla riforma elettorale per due motivi:

sono state raccolte le firme necessarie per indire un referendum che propone l’abolizione della quota proporzionale per l’elezione della Camera dei Deputati (oggi i 630 deputati sono eletti per tre quarti con sistema maggioritario a turno unico in collegio uninominale);

il passaggio dal governo Prodi al governo D’Alema, dopo la defezione e la scissione del partito di Rifondazione comunista, è stato reso possibile per il sostegno prestato al nuovo governo da un gruppo parlamentare, l’Unione della Repubblica, che fa capo all’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Questo gruppo faceva prima parte dell’opposizione, pur avendo in diverse importanti occasioni votato, caso per caso, a favore di proposte del governo; ora le forze rimaste all’opposizione, numericamente più deboli rispetto a ieri, chiedono una riforma elettorale in senso più maggioritario per dare stabilità ai governi riusciti vincitori dalle elezioni.



L’Italia aveva sino al 1993 un sistema elettorale proporzionale per l’elezione del Parlamento. Un referendum di quell’anno cancellò tale sistema ed una nuova legge elettorale stabilì che circa tre quarti dei parlamentari sono eletti con sistema maggioritario ed un quarto con sistema proporzionale.

Il nuovo referendum propone di cancellare, per la sola Camera, la quota proporzionale. Si tratta di uno stimolo, importante, ma non di una soluzione.

Se il referendum verrà approvato, infatti, occorrerà una legge per uniformare il sistema elettorale del Senato, altrimenti potremmo avere due diverse maggioranze, una nella Camera e l’altra nel Senato. Questo è un rischio assai grave nel sistema costituzionale italiano nel quale ciascuna delle Camere può dare o togliere la fiducia al Governo,.

Il lavoro di riforma elettorale comunque non basta.

In base alla nostra Costituzione, infatti, è la Costituzione che impone oggi al Presidente della Repubblica di cercare in Parlamento una nuova maggioranza quando la precedente, nata dalle urne, si sia dissolta.

Ed è solo una riforma della Costituzione che può stabilire regole diverse, come ad esempio la sfiducia costruttiva, proposta dalla Commissione bicamerale.

Ma l’opposizione oggi sembra disponibile a riformare la legge elettorale, ma non ancora la Costituzione.

La mia opinione è la seguente.

La malattia italiana si chiama instabilità dei governi. Dal dopoguerra ad oggi abbiamo infatti avuto 59 governi. Nello stesso periodo la Gran Bretagna ne ha avuti 19. L’instabilità è sempre un male, ma in questa particolare fase storico politica, per le ragioni già esposte, farebbe ripiombare il paese nell’incertezza.

E’ evidente che occorre una correzione costituzionale e che questa correzione risponde non agli interessi di una singola parte politica, ma agli interessi del Paese nella sua interezza. Quindi la maggioranza deve assumersi le proprie responsabilità.

Prima cercando ad ogni costo il dialogo ed il confronto con l’opposizione e poi, se l’opposizione dichiara espressamente che non intende partecipare al lavoro di riforma, deve fare le proprie proposte e andare avanti avvalendosi dell’art.138 della Costituzione.

In base a questo articolo ciascuna modifica costituzionale ha bisogno di due distinte votazioni di entrambe le Camere (quattro votazioni in tutto) e se nella seconda non è approvata dalla maggioranza dei due terzi, sono gli elettori a decidere tramite referendum. Poiché la maggioranza di governo non dispone dei due terzi dei voti, in ogni caso la riforma verrebbe sottoposta a referendum. Sarebbero quindi gli italiani, in definitiva, a decidere.

Allo stesso modo a mio avviso bisognerebbe procedere per altre due importanti riforme costituzionali: il federalismo e l’elezione diretta del presidente della repubblica.

Il federalismo risponde all’esigenza di governare con rapidità ed efficienza un paese che ha molte differenze al proprio interno, che non possono essere ben gestite dal centro. Basta dire che nel nord-est dell’Italia ci sono alcune tra le regioni più ricche d’Europa, che chiedono più libertà dallo Stato, e nel Sud alcune tra le regioni più povere d’Europa che chiedono più presenza dallo Stato per poter uscire dalle attuali condizioni.

L’elezione del Presidente della Repubblica rientra, invece, in un indirizzo generale diretto a dare più peso al voto dei cittadini ed a far partecipare i cittadini di uno Stato federale, quale noi dovremmo diventare, direttamente alla elezione delle tre maggiori istituzioni del Paese, Camera dei Deputati, Senato e Presidente della Repubblica.



Contrariamente a quello che in genere si ritiene, il congelamento della riforma costituzionale non è stata disastrosa per le istituzioni italiane. Il processo di modernizzazione del nostro sistema è andato comunque avanti per tutti quei settori che non richiedevano un intervento costituzionale.

Essere moderni in politica vuol dire essenzialmente decidere con velocità, con la stessa velocità che è richiesta dalle relazioni economiche e da quelle sociali. Un sistema politico più lento del sistema economico e delle relazione sociali rischia di diventare un impedimento per il Paese. Naturalmente la rapidità non deve pregiudicare né la democrazia né la trasparenza delle procedure.

Abbiamo avuto in Italia sinora un sistema che ha rappresentato molto ma che ha deciso poco. Io sostengo che dobbiamo passare ad un sistema di democrazia decidente, che rispetti i diritti e gli interessi legittimi di tutti, ma che poi, ad un determinato momento decida. La decisione è una componente essenziale di un sistema politico democratico, moderno ed efficiente.

Ci siamo ispirati a questi criteri per riforme che riguardano:

la razionalizzazione della struttura centrale dello Stato con la riorganizzazione e l’accorpamento dei Ministeri; la presidenza del consiglio comincia ad avere poteri propri di indirizzo e decisione, a differenza del passato, quando era piuttosto una camera di compensazione tra i partiti della coalizione e tra i diversi ministeri;

la semplificazione del sistema normativo e delle procedure amministrative, riducendo il campo di intervento riservato alla legge a favore del potere normativo del Governo, più veloce e più flessibile. Oggi abbiamo circa 13.000 leggi nazionali; alla fine del processo di riforma, ne avremo meno di diecimila e molte di queste saranno testi coordinati per materie omogenee;

il rafforzamento degli strumenti di programmazione, controllo e verifica dei risultati degli interventi pubblici, soprattutto attraverso la riforma del bilancio dello Stato e la piena responsabilizzazione dei dirigenti pubblici;

la riforma del regolamento della Camera dei Deputati, che ha stabilito, tra l’altro tempi certi di votazione per tutti i provvedimenti, e potere del presidente, in casi particolari, di ridurre il numero degli emendamenti presentati ai progetti di legge.



In conclusion, when you think of Italy, and the complexity of Italy, and its apparent unpredictability, the way it teeters on the brink without ever falling in, you must think of the bumble-bee which, according to the laws of physics, should fall to the ground, yet it still flies. Italy, anyway, flies.

But the ambition of the new Italian political ruling classes is to transform that flight from surprise into certainty. Despite some difficulties, wich it would be sensless to deny, we are working, confidently, with determination and with a degree of success , for this one objective.