Una democrazia che decide e che conviene


Modena, 09/29/1997


***Incontro promosso dall''''Associazione Industriali di Modena***


Le parole chiave di questo intervento sono due: decisione e convenienza. Si tratta di termini che vanno riferiti al nostro sistema politico. L’obbiettivo è la costruzione di una democrazia che sia in grado di decidere con i tempi e la chiarezza necessari per un Paese che è la quinta potenza economica del mondo.
Ma non basta decidere qualsiasi cosa purchè in tempi rapidi; la democrazia dev’essere conveniente ai cittadini, e quindi le decisioni politiche devono essere in grado di fornire ai cittadini servizi in quantità e qualità tali da renderli mediamente soddisfatti del sistema politico in cui si trovano a vivere e a produrre.

Alla radice di queste scelte c’è la modernizzazione del Paese.

La fondamentale differenza tra uno Stato non moderno ed uno Stato moderno e’ nella velocita’, nella complessita’, nelle liberta’, tanto nelle liberta’ di agire quanto nelle liberta’ dal bisogno.

I paesi piu’ moderni hanno piu’ velocita’, piu’ complessita’, piu’ liberta’

Gli altri sono meno veloci, piu’ semplici ed hanno meno liberta’.







Cio’ che rende l’Italia un paese non sufficientemente moderno e'' essenzialmente la lentezza decisionale del sistema politico. Abbiamo una societa’ veloce, dinamica e dotata di una sua vigoria straordinaria, quasi animale. Abbiamo un sistema politico lento, farraginoso ed incerto. La differenza tra l’una e l’altro diventa limitazione dei diritti dei cittadini, minore competitivita’ delle imprese, difficolta’ della p.a. di soddisfare adeguatamente i diritti e i bisogni individuali.







Questo sistema penalizza il Paese, danneggia le famiglie e le imprese, incrina il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni, danneggia la credibilità del Parlamento.





La modernizzazione del nostro sistema politico passa attraverso cinque porte:

decisioni politiche veloci, con leggi inferiori nel numero e migliori nella qualità;

amministrazione per obbiettivi e non più per procedure, spostando la responsabilità delle decisioni il più possibile vicino ai cittadini che ne sono destinatari; in sostanza, un federalismo che comporti la valorizzazione massima dei comuni;

abolizione degli sbarramenti corporativi all’accesso alle professioni e, più in generale, all’attività lavorativa;

attribuzione ai cittadini di un voto direttamente deliberante per la scelta delle maggioranze di governo.

un sistema scolastico ed universitario che renda i nostri giovani competitivi con i loro colleghi europei e che aiuti lo sviluppo civile ed economico del Paese.



Mi soffermerò brevemente sulle prime due questioni che riguardano più direttamente le mie attuali responsabilità.



Le imprese italiane, per ridurre i costi di produzione e per poter affrontare la concorrenza delle imprese straniere hanno bisogno di un sistema di regole coerenti e chiare. In Italia abbiamo circa 13.000 atti con forza di legge statale, cui vanno aggiunte quasi 18.000 leggi regionali, 5.000 atti, il cui valore legislativo o regolamentare va individuato caso per caso in funzione del procedimento di emanazione adottato. Poi bisogna aggiungere i regolamenti (circa 16.000) e le circolari.



L’attuale situazione crea indirettamente per le famiglie, per le imprese, i cittadini, una sorta di “tassa per l’applicazione della legge”, pari al costo che si affronta per retribuire un professionista, che indichi le norme a suo avviso applicabili. La cosa risulta spesso insufficiente, perché l’incertezza della legge è tale, che qualsiasi autorità giudiziaria, può con pari legittimità rivendicare l’applicabilità di una diversa normativa.

L’incertezza della legge riduce la competitività dei sistemi economici. Nel mercato tendenzialmente unico del mondo avanzato, i Paesi dotati di ordinamenti giuridici stabili, coerenti, facilmente conoscibili attraggono verso di sé maggiori investimenti. Sia ben chiaro. Questo non è solo un problema italiano. E’ una questione propria di tutti i Paesi avanzati. Tanto che a livello europeo è stato costituito un gruppo di lavoro costituito da diversi presidenti di camere dell’Unione europea, coordinato da chi vi parla, proprio per la razionalizzazione della produzione legislativa, tanto nei singoli Stati quanto nella stessa Unione europea.

In Italia l’ obiettivo è ridurre lo stock di leggi esistenti e razionalizzare le singole discipline di settore, individuando criteri in grado di mantenere nel tempo l’ordine raggiunto.

Specchio di questo stato di cose è, ad esempio, il regolamento della Camera vigente sino al 31 dicembre prossimo, ma in vigore da venticinque anni.

In sede di dichiarazione di voto finale su ogni provvedimento, dopo che si è discusso, a volte per molti giorni, su ciascun articoli e su ciascun emendamento, ogni deputato può parlare per dieci minuti, per un totale di 6.300 minuti. Sugli ordini del giorno, che si presentano prima del voto finale, potrebbe intervenire, oltre al proponente per la relativa illustrazione, qualunque deputato che ne faccia richiesta per cinque minuti, per un totale di 3.150 minuti. Il totale e’ di circa 10.000 minuti, 166 ore, pari a 17 giorni con dieci ore lavorative al giorno. Il buon senso ha impedito che tutto cio’ accadesse; ma il fatto stesso che un regolamento renda possibili questi effetti e’ segno che la Camera in quel regolamento non e’ concepita per la decisione. Si aggiunga che una opposizione che contasse su circa 300 deputati, come appunto accade oggi, potrebbe portare quei tempi, da sola, a 4.500 minuti, pari a circa 70 ore, sette giorni di dieci ore di lavoro al giorno. Alcune volte, legittimamente, qualcosa di simile è avvenuto.



La riforma del Regolamento della Camera approvata definitivamente il 24 settembre scorso, ha lo scopo di dare ordine, rapidità e certezza ai lavori parlamentari, di rendere prevedibili le date di deliberazione, di far coincidere principio di decisione e principio di responsabilità.

Ci ha mosso la convinzione che un Parlamento lento è una palla al piede del Paese. Questo non vuol dire sacrificare il principio di rappresentanza, né i diritti delle minoranze. E sappiamo che la riforma di queste regole deve avere il maggior consenso possibile. Ma tutti vogliamo impedire concertazioni sottobanco, lungaggini immotivate, incertezze e instabilità normative. Il Paese ha diritto di sapere quando deciderà il Parlamento ed ha il diritto di chiedere che i tempi di deliberazione siano coerenti con i tempi della vita delle persone, delle famiglie e delle imprese. Il Paese ha diritto di controllare che i 1.100 miliardi l’anno di spesa per il funzionamento della Camera dei Deputati rendano servizi adeguati, difendano le libertà individuali e collettive, aiutino il progresso civile.

Le modifiche principali del nuovo regolamento della Camera riguardano:

il contingentamento dei tempi di discussione sin dal primo calendario; il presidente quando assegna un progetto all’Aula, stabilisce quale sarà il tempo di cui dispone ciascun gruppo per discutere il provvedimento e stabilisce quindi sin dal primo momento la data in cui sarà votato; in genere il contingentamento, che oggi si può fare solo con un secondo calendario, comporta un calcolo complessivo di quattro ore e mezza di discussione per i provvedimenti ordinari e di sette ore e mezza per quelli di maggiore rilievo.

il diritto dei gruppi parlamentari al voto non su tutti gli emendamenti presentati, ma solo su un numero di emendamenti per ciascun articolo pari ad un decimo della composizione del gruppo; un gruppo che conti 120 deputati ha diritto alla votazione di non più di 12 emendamenti ad articolo di ciascuna legge. L’opposizione, che oggi conta su circa 300 deputati, ha diritto al voto di trenta emendamenti per articolo. Per una legge di dieci articoli gli emendamenti delle opposizioni, votabili, non supereranno il numero di 300.

La costituzione di un apposito organismo paritetico, fatto da quattro deputati della maggioranza e quattro della opposizione, presieduto a turno da uno dei componenti, con il compito di valutare, su richiesta di quattro deputati, la qualità della legge, la sua chiarezza, la sua semplicità, la sua efficacia, la sua integrazione nell’ordinamento giuridico dello Stato.

Il forte potenziamento dei poteri di controllo delle opposizioni sul governo.

Ci saranno tre settimane di lavoro al mese dal lunedì al venerdì, con la quarta libera dal lavoro parlamentare, ma destinata ai congressi di partito, all’attività di collegio, alla preparazione del lavoro parlamentare.



I risultati più importanti sono costituiti dal maggiore controllo della Camera sul Governo, dalla tendenziale certezza della data in cui si vota sui diversi provvedimenti, dal miglioramento della qualità delle leggi, dal miglioramento del confronto parlamentare. Dal nove maggio dell’anno scorso sono stati presentati alla Camera 32.650 emendamenti e sono state richieste 7.243 votazioni nominali contro le 1.792 dello stesso periodo della precedente legislatura. In questa situazione il confronto parlamentare tra le diverse posizioni viene meno, non c’è selezione dei temi, oppure c’è il consociativismo per ridurre l’ostruzionismo.





L’Italia ha avuto dall’unificazione ad oggi un sistema istituzionale fortemente centralistico, che si rivela oggi totalmente inadeguato. Esso poteva giustificarsi in un Paese che usciva dal disastro della guerra e che aveva bisogno di un forte dirigismo per risollevarsi. Oggi esso costituisce invece una insopportabile gabbia per le imprese, per i singoli e per le comunità e gli enti locali.

Il federalismo deve servire a capovolgere questa struttura verticistica e a portare le istituzioni vicino alle domande dei singoli. Il federalismo è la forma moderna dell’unità nazionale.

Il nostro federalismo non potrà essere inteso come una sorta di puro decentramento regionale del centralismo statale. Se sostituissimo al centralismo romano 22 centralismi milanesi, veneziani o fiorentini non credo che ce la caveremo meglio.

L’Italia ha, a partire dai primi secoli di questo millennio, nei comuni, nelle città’ una sua originalità’ un suo codice di identità’. Quando altri costruivano nazioni e Stati, noi costruivamo città’ in grado di finanziare regni, di sconfiggere imperatori, di conquistare imperi. Girando per le 8.000 città’ italiane si scoprono tesori, individualità’ fortemente sentite, storie di sacrifici e di coraggi che come una grande rete sostengono la nostra idea di Stato e di nazione.

Una riforma federale che voglia mettere i comuni al centro del sistema ha bisogno di alcuni criteri prioritari:

- sussidiarietà nella distribuzione delle competenze tra i diversi livelli istituzionali;

- solidarietà;

- coerente attribuzione di poteri, risorse e responsabilità;

- maggiore capacità decisionale;

- nuovo sistema dei controlli, fondato non più sulle procedure, ma sui risultati;



Le due leggi Bassanini rispondono, mi sembra, a molti di questi requisiti.

L’ordinamento federale messo a punto dalla Commissione bicamerale va in questa direzione. Il testo potrà essere modificato e migliorato anche dall’Aula, ma contiene fin da ora, a mio giudizio, alcuni importanti principi innovativi, tra i quali il principio di sussidiarietà nel riparto delle funzioni amministrative e regolamentari tra Comuni, Province, Regioni e Stato e nel riparto delle funzioni legislative tra Regioni e Stato; il principio della responsabilità di ciascun ente territoriale in rapporto alle competenze ad esso attribuite; il principio dell’autonomia finanziaria. La proposta, inoltre, riconosce il giusto ruolo dei Comuni, che costituiscono la straordinaria forza del nostro Paese.



Credo sia necessario, infine, superare i vecchi steccati tra politica e impresa, e superare , anche, il vecchio tipo di rapporto, fondato su uno scambio vizioso tra consenso e favore.

La Camera dei Deputati offre agli studenti delle scuole italiane la possibilità di effettuare uno stage di una giornata a Montecitorio.

Abbiamo discusso con la Confindustria la possibilità di organizzare con gli imprenditori alcuni stages modulati sulle loro esigenze. Ho avuto un’immediata risposta positiva dal presidente Fossa e dal dr. Guidi. Dalla seconda metà di novembre cominceremo questo esperimento. Lo scopo è di far conoscere al di là delle impressioni, spesso superficiali, come lavora e cosa rappresenta la Camera, che è l’istituzione per la quale vota il più alto numero di italiani in assoluto. Ci aspettiamo, naturalmente, suggerimenti, critiche, proposte, che ci aiutino a lavorare meglio per il nostro Paese.

Per converso, sarà possibile, rispondere positivamente ad una richiesta avanzata dalla Confindustria, di incontri presso le sezioni territoriali con gruppi di deputati, in relazione alla Commissione di appartenenza. La richiesta sarà trasmessa ai presidenti di tutte le commissioni permanenti e credo che non vi sarà alcuna difficoltà.

Analoga disponibilità, naturalmente, abbiamo manifestato nei confronti delle organizzazioni sindacali.



I tempi per la modernizzazione sono ormai stretti. Il Paese non può attendere ancora per molto. La Camera comincerà a discutere la riforma costituzionale nei primi giorni di novembre. Sono state approvate le due leggi sullo snellimento e il decentramento della p.a.; è finalmente iniziata la discussione sulla riforma dello Stato sociale. Sta per avviarsi la riforma del Regolamento della Camera.

Questi sono fatti di per sé non determinanti, ma dimostrano una volontà nuova di costruire non solo una democrazia che sua in grado decidere con tempi coerenti alle esigenza della società e del suo sistema produttivo, ma anche di costruire una democrazia conveniente. Oggi, caduto, il bipolarismo internazionale, la democrazia di definisce non per la sua capacità di contrastare il nemico dell’EST, che non c’è più ma per la capacità di dare servizi in tempi accettabili e a costi equi. Insomma è cambiato il terreno della legittimazione della democrazia. Ieri era la sua capacità di contrastare i regimi del comunismo reale; oggi è la sua capacità di aiutare la vita ed il progresso dei cittadini e delle imprese. Il fondamento non è più ideologico. E questo ci impegna di più, ma mette anche la nostra generazione davanti ad un compito straordinario. Trasmettere alle generazioni che verranno un paese, moderno, efficiente ed equo. Possiamo farcela se ci ricorderemo di quel vecchio saggio che diceva: “Il mondo non ci è stato lasciato in eredità dai nostri padri. Ci è dato in prestito dai nostri figli.”.