Criminalità organizzata e sfruttamento dei minori


Napoli, 04/04/1997


***Convegno promosso dall''Associazione Italiana dei Giudici per i minorenni e per la Famiglia***


Lo sfruttamento dei minori da parte della criminalità organizzata scorre parallelamente al più generale rapporto tra minori e società.
Più la società protegge il minore e più basso è il rischio del coinvolgimento. Quando la protezione cala o è del tutto assente, il minore, che ha una ridotta capacità di resistenza, è abbandonato ai rapporti di forza che si manifestano nella società in cui vive.
La criminalità organizzata e’ una delle componenti delle società contemporanee, anche se non sempre e non dappertutto con la stessa virulenza. Nelle società ricche perchè colloca i suoi “prodotti”, gli stupefacenti soprattutto, e nelle società povere, dove recluta manodopera e, a volte, la materia prima, come i bambini per gli abusi sessuali o le sostanze base per produrre stupefacenti.
Dove le società non prevedono politiche di sostegno dei bambini è inevitabile che i più poveri tra loro siano coinvolti nei meccanismi criminali. La stessa cosa, del resto, avviene per gli adulti.
Dove le società invece prevedono queste politiche, il bambino corre meno rischi.

La criminalità organizzata non è separata dai processi economici, sociali, politici che investono i territori nei quali opera. Vive all''interno delle nostre societa'', da quelle più ricche a quelle più povere. Ha rapporti d''affari, politici, finanziari anche con il mondo legale; si avvale delle nostre regole, delle nostre istituzioni e dei nostri servizi sinche'' questo torna a suo vantaggio; è sempre piu'' spesso imprenditrice tanto nel mercato legale quanto nei mercati criminali. Le diverse grandi organizzazioni criminali sono fortemente competitive perche'' capaci di sviluppare intimidazione e violenza, disponibili alla corruzione, in possesso di grandi quantitativi di danaro. Si spostano praticamente in tutto il mondo sviluppando in diversi continenti, dall'' Asia all’America, molteplici rapporti tanto con organismi legali quanto con il mondo del crimine.

La criminalità organizzata è per definizione internazionale. Perchè tratta merci e sostanze che per loro natura viaggiano tra i paesi ed i continenti, come le armi e la droga. Perchè si avvale dei benefici della globalizzazione per lo spostamento dei capitali, delle persone e delle merci. Perchè sfrutta il mancato coordinamento tra le legislazioni dei diversi Paesi collocando uomini, danaro e mezzi dove corre rischi minori e trae profitti maggiori.

Il tipo di sfruttamento dei bambini da parte della criminalità organizzata è fortemente condizionato dalle dinamiche interne alle diverse organizzazioni criminali e dalla loro capacità di sfruttare le condizioni dei bambini nelle diverse aree territoriali.

Ad esempio, la concorrenza tra le varie organizzazioni criminali sta oscurando in ciascuna di esse i caratteri tradizionali, con i limiti ed i tabù che li accompagnavano, e sta facendo emergere un carattere prevalentemente gangsteristico, che non ha il senso del limite ed utilizza tutto ciò che trova davanti a sè. Le moderne organizzazioni criminali pongono in primo piano la riduzione dei costi e l’abbattimento dei rischi.



Questi orientamenti favoriscono lo sfruttamento del minore. Il minore fa correre meno rischi, perchè obbedisce più dell’adulto, non ha mire personali, è più mimetizzabile ed è meno credibile quando accusa. Il suo costo lavoro inoltre è assai basso perchè si accontenta di poco e non investe per il futuro.

Le moderne forme di criminalità organizzata, inoltre, proprio perchè abituate a muoversi con rapidità tra aree povere ed aree ricche del mondo si inseriscono nei flussi migratori utilizzando anche i bambini che si spostano a seguito delle loro famiglie o simulando un rapporto familiare al fine di poter collocare il minore dove egli può rendere di più all’organizzazione.

Questo avviene anche all’interno dei Paesi ricchi. E’ noto, ad esempio, che in alcune aree del nostro Paese, come Napoli, Catania, Bari lo sfruttamento dei minori da parte della criminalità organizzata è particolarmente intenso e legato alle disagiate condizioni sociali di quelle città.



Pertanto una politica di interventi efficaci nei confronti del minore coinvolto dalla criminalità organizzata non può prescindere da più generali politiche sociali, di carattere nazionale ed internazionale.

L’intervento giudiziario, per quanto generoso, può risolvere casi singoli ma non può sostituire le politiche sociali. Peraltro l’osservatorio, le competenze e le responsabilità professionali dei giudici minorili costituiscono un formidabile sostegno e sprone per le politiche sociali. E’ auspicabile quindi, ai fini della costruzione di adeguate politiche sociali, un dialogo permanente, non occasionale, tra magistratura minorile e responsabili di tali politiche.



Le forme attualmente più frequenti di sfruttamento dei minori da parte della criminalità organizzata sono tre:

a) il reclutamento,

b) l’abuso al fine di ottenere dai genitori comportamenti conformi agli interessi dei criminali;

c) l’uso sessuale.

Il minore è reclutato dalle organizzazioni criminali per la sua convenienza rispetto all’adulto. Ne ho già spiegato le ragioni.

Negli ultimi tempi si moltiplicano casi di violenza su minori al fine di costringere i genitori a tenere comportamenti conformi agli interessi delle organizzazioni criminali o al fine di punirli per ever tenuto comportamenti lesivi di tali interessi. In Italia il caso più tragico ha riguardato il sequestro e l’omicidio dopo alcuni mesi, da parte di Cosa Nostra, del figlio di un collaboratore della giustizia. Sono molti i bambini uccisi per vendette “trasversali”. In numerosi casi, donne provenienti da alcuni Paesi ex comunisti, oggi particolarmente poveri, sono state costrette a prostituirsi con la minaccia di uccisione del figlio o della figlia, a volte tenute prigioniere dalla organizzazione. Molti negozianti vittima di estorsioni o di usura raccontano che l’argomento decisivo usato dagli estortori e dagli usurai era il sequestro dei figli o lo stupro sulla figlia.

Si è intensificato lo sfruttamento sessuale organizzato, con la differenza che qui gli sfruttatori non sono solo le organizzazioni criminali che vendono le prestazioni sessuali del minore, ma anche i gentiluomini che comprano quelle prestazioni.



Tutte queste forme di sfruttamento hanno un comune denominatore: si è sempre in presenza di una mercificazione del minore.



Ma la mercificazione del bambino è una tragedia che non riguarda solo la criminalità.

Il rapporto annuale dell’Unicef su “La condizione dell’infanzia nel mondo 1997” denuncia che oltre duecento milioni di bambini dai 5 ai 14 anni sono avviati al lavoro in tutto il mondo. Sono milioni i bambini usati come combattenti nel continente sudamericano, in Africa e in Asia.

Nella recente tragedia albanese i bambini sono stati utilizzati come milizia armata, come lasciapassare per ottenere un visto di ingresso, come scudi umani per saccheggiare impunemente depositi di armi, dato che la polizia non avrebbe certamente potuto sparare sui bambini.

Nella pubblicità specie televisiva il bambino è sempre più presente come testimone di ciò che agli occhi dell’adulto deve apparire come limpido, pulito, genuino, buono da mangiare.

Analoga logica attraversa alcuni aspetti dell’informazione: le pance gonfie e i visi pieni di mosche dei bambini del Ruanda trasmettono un messaggio che non rispecchia la loro condizione specifica, ma la tragicità di quella guerra.

Sempre più frequentemente i bambini vengono presentati non come portatori di valori propri, ma come simboli delle angosce o delle speranze degli adulti e come veicoli di merci o di alimenti.



Questo processo di mercificazione non è l’effetto di un generale degrado della condizione infantile nel mondo.

L’indicatore più importante della condizione di vita dei bambini in un Paese è costituito, secondo le indicazioni dell’UNICEF, dal tasso di mortalità infantile sotto i cinque anni. Su 150 Paesi, dal Niger alla Svezia, soltanto quattro, Angola, Mozambico, Zambia, Uganda, hanno visto dal 1980 al 1995 una crescita della mortalità infantile; nel Niger il dato è rimasto invariato, in tutti gli altri 144 Paesi è diminuito, segno di un indiscutibile miglioramento delle condizioni generali dell’infanzia.



Tuttavia si intensifica il fenomeno del bambino-merce.

La contraddizione è solo apparente. Infatti il miglioramento delle condizioni generali medie di vita dei bambini e’ frutto di un’onda lunga di sostegno ai Paesi in via di sviluppo e di miglioramento delle condizioni generali medie di vita sul pianeta.

Invece il bambino-merce e’ frutto di una serie di fattori, presenti soprattutto nei paesi avanzati, di carattere prevalentemente non-economico, che cerco di indicare rapidamente.



Il bambino-persona, soggetto dotato di una propria individualità, non ha mai avuto una particolare fortuna nel mondo degli adulti. Gli adulti amano considerare i bambini come una propria pertinenza, sulla quale esercitare poteri analoghi al diritto di proprietà. L’espressione “mio figlio”, richiama più spesso i miei diritti sul figlio che i suoi diritti nei miei confronti. Ed i miei diritti sul figlio sono assimilabili concettualmente più spesso alla proprietà che alla paternità e alla maternità. Alcune polemiche su adozioni ed alcuni dibattiti sulla procreazione assistita, che prescindono del tutto dai diritti del bambino o del nascituro, rispecchiano questa stessa cultura proprietaria, che non ha nulla a che fare con una concezione moderna della maternità e della paternità.

In altri casi il bambino è visto come qualcosa di incompiuto, come serbatoio di speranze o di illusioni dell’adulto. Come piccolo uomo o piccola donna, quando si comporta secondo i desideri dell’adulto. Come deviante, capriccioso, disobbediente, testardo, quando i suoi comportamenti non corrispondono a quei desideri.

Raramente gli si riconosce una sua personalità.

Il bambino era già oggetto prima di diventare merce e ciò ha reso più facile lo scivolamento.

Altre ragioni della tendenza alla mercificazione del bambino da parte del crimine, ma anche da parte di consistenti settori del mondo legale, stanno nella crescente potenza del principio di scambio come regola delle relazioni umane.

Una generazione, una società, un mondo, se mi è consentita la generalizzazione, non si salva se non determina ciò che non si compra e non si vende.

Molte cose possono essere ragionevole oggetto di scambio. Su molti comportamenti e per molti obbiettivi si può ragionevolemente cedere in vista di altre utilità. Ma e’ necessario che sia altrettanto chiaro il limite dello scambio.

Ciascuno di noi deve avere un punto al di là del quale non si tratta più perchè entrano in giuoco valori non contrattabili, indipendentemente dalla contropartita.

Quando questo limite viene meno valgono soltanto i rapporti di forza, economica o fisica. Viene meno il senso del sacro e del tragico; l’interesse personale o quello economico diventa misura di tutte le cose. Il bambino non costituisce piu’ un limite alle azioni dell’adulto, non ha un valore in sè, come persona dotata di propri diritti. Diventa un oggetto perchè non possiede la forza fisica o giuridica per opporsi alle pretese degli adulti.



Prima del crollo dei sistemi comunisti, i due blocchi in cui si divideva il mondo erano portatori, in modo giusto o sbagliato, qui non importa, di forti gerarchie di valori.

La fine del bipolarismo ha prodotto una improvvisa e vorace accelerazione del capitalismo ed una confusione tra capitalismo e democrazia. In realtà capitalismo e democrazia hanno una concezione molto diversa del potere. La democrazia crede in una distribuzione egualitaria del potere politico, una persona un voto, mentre il capitalismo ritiene che dovere dell’individuo economicamente più provveduto sia espellere dal mercato quello sprovveduto e condannarlo all’estinzione economica.

Volendo essere crudi, ha osservato in un suo libro recente uno dei massimi econonomisti americani, Lester Thurow, il capitalismo è perfettamente compatibile con la schiavitù. Gli Stati Uniti del sud hanno infatti mantenuto tale sistema per più di due secoli. La democrazia è invece incompatibile con la schiavitù.

In molti paesi profughi dalle tragedie del sistema sovietico si è passati dal totalitarismo al capitalismo senza democrazia, confondendo il primo con la seconda. La confusione ha prodotto alcune crisi di grandi dimensioni, come quella che ha riguardato l’Albania.

Ma anche nei paesi di salde tradizioni democratiche ed occidentali, le ragioni economiche rischiano di prevalere su quelle democratiche. Soprattutto perchè l’economia è globale mentre la politica è rimasta nazionale. E le ragioni economiche, da sole, sono miopi davanti alle ragioni dei bambini.



Viviamo in un mondo dove ci sono piu’ diritti, piu’ civiltà e piu’ progresso rispetto a qualunque altra fase della storia del mondo.

La terza guerra mondiale, quella tra i due blocchi, è stata vinta dai paesi occidentali a struttura capitalistica.

Ma sappiamo anche che la vittoria è stata consentita dalle caratteristiche democratiche di questi Paesi che hanno esaltato i vantaggi del capitalismo riducendone i rischi. Oggi, lo ha ricordato il Papa, dobbiamo guardarci dai rischi di una vittoria eccessiva del capitalismo, che non sia temperata dalla forza dei diritti e dalla pratica della democrazia.

Si è estesa notevolmente la libertà di agire, ma non ci deve dimenticare della libertà dal bisogno. I soggetti che non hanno nulla da scambiare, da vendere o da comprare, come i bambini, rischiano di diventare marginali, indipendentemente dal loro essere persone umane.

Segno di questa tendenza è che il corpo umano diventa sempre più spesso oggetto di scambio da parte di chi non ha nulla da scambiare.

Oggi, sotto i nostri occhi, a volte troppo pigri, bande criminali sequestrano giovani donne e bambini, nei loro paesi poveri, per costringerli con la violenza alla prostituzione nei paesi ricchi. Non c’e’ molta differenza dalla Capanna dello zio Tom.

Si susseguono le denunce sulla sparizione di bambini poveri dal continente sud americano, dall’Africa e dall’Asia perche’ i loro corpi sarebbero usati come contenitori di organi sani da trapiantare suoi corpi malati di bambini ricchi dei Paesi cosiddetti avanazati. Una documentazione inoppugnabile su questo punto non è stata ancora fornita. Ma la notizia non è ritenuta da nessuno inattendibile ed i giudici brasiliani nelle loro sentenze di adozione ormai fissano l’impegno per i genitori adottivi a non usare i bambini adottati come contenitori d’organi per i trapianti.

In una visione mercificatoria delle relazioni umane il corpo perde qualsiasi sacralità; è un mezzo o una merce; non ha in sè nulla di intangibile. Da laico, vedo con preoccupazione le difficoltà delle religioni tradizionali e la velocità con la quale sfruttatori della credulità e delle debolezze altrui, assurgono a sacerdoti di singolari fedi che hanno come scopo evidente e precipuo il proprio arricchimento.

Questi fenomeni da un lato segnano la crisi di un modo tradizionale di comunicare i valori religiosi, dall’altro esprimono il bisogno di questi valori o, comunque, di valori morali che diano identità e forza nei momenti della solitudine e in quelli del dolore, momenti nei quali l’uomo contemporaneo si imbatte con frequenza crescente.

Se è questo il quadro nel quale si inserisce lo sfruttamento del minore è evidente che le misure specifiche devono essere inquadrate entro un orizzonte più generale.



Siamo passati dal bambino-oggetto al bambino merce. Bisogna passare, oggi, dal bambino-merce al bambino persona.

Il piano nazionale di azione per l’infanzia approvato dalla Camera dei deputati indica tre presupposti fondamentali per le politiche a favore dell’infanzia:

a) Il diritto degli adolescenti e dei bambini alla cittadinanza. Le grandi scelte di un Paese, quelle che definiscono strategicamente il futuro delle nazioni, devono essere assunte considerando non solo le esigenze degli adulti, ma anche quelle dei minori; questo vale per la dislocazione degli investimenti, i caratteri dello Stato sociale, il volto delle città, le politiche dei trasporti urbani ed extraurbani.

b) Il livello della qualità della vita goduto dai bambini è un indicatore potente dello sviluppo di tutta la società; i bambini non votano, ma investire per loro significa creare società più sicure e più serene; investire per i bambini significa risvegliare negli adulti il senso di responsabilità ed il senso di futuro; significa aprire un ponte tra generazioni presenti e generazioni future ed educare anche i bambini al rispetto degli adulti.

c) Questi processi non sono limitabili ad un solo Paese. Essi richiedono una forte condivisione di strategie a livello sovranazionale; una lobby dei bambini è inimmaginabile, ma un’azione costante di monitoraggio e di sensibilizzazione del livello di tutela dei diritti e del futuro dell’infanzia in tutti i Paesi darebbe forza a queste politiche.



La lotta contro la mercificazione dei bambini e l’azione per il bambino-persona richiede, in sintesi, il rafforzamento dei valori e delle istituzioni della democrazia.

Questa strategia, nel contesto attuale, deve muoversi secondo alcune linee di forza relative al lavoro, alla scuola, alla famiglia, in un’ottica non solo nazionale perchè lo sfruttamento riguarda in particolare i bambini e le bambine dei paesi poveri.

Il rapporto annuale dell’Unicef citato in precedenza denuncia che circa duecentocinquanta milioni di bambini dai cinque ai 14 anni sono avviati al lavoro in tutto il mondo; si tratta a volte di quasi-schiavitù. I bambini quasi-schiavi lavorano per circa 14 ore al giorno nei campi, nelle officine e nelle miniere. Un milione di bambini in Pakistan India e Nepal sarebbero stati venduti per pagare debiti.

La grande maggioranza dei bambini lavoratori vive in Asia, Africa e America Latina. Il lavoro minorile coatto è inoltre particolarmente frequente nei settori dell’agricoltura, dei servizi domestici, nelle industrie tessili e dei tappeti, come anche nelle fornaci per la fabbricazione di mattoni.

L’assassinio di Iqbal Masih, il bambino-lavoratore pakistano di 12 anni, divenuto simbolo della lotta contro lo sfruttamento minorile nella confezione dei tappeti, ha rivelato al mondo intero una situazione di intollerabile violenza. Secondo le notizie trapelate sugli organi di informazione, Iqbal Masih, ed il suo caso non costituiva certamente un’eccezione, aveva l’obbligo di intrecciare 10.000 nodi al giorno per una paga giornaliera pari a 55 lire italiane. Si è ribellato alla schiavitù diventando, a 12 anni, un dirigente del Fronte di liberazione dal lavoro forzato, per tutelare i diritti elementari di otto milioni di coetanei nel suo paese. E’stato ucciso con una fucilata, il 16 aprile 1995. Era il giorno di Pasqua.

Lo sfruttamento della manodopera minorile, da crudele necessità delle famiglie, è diventato in alcune regioni del mondo, astuzia di Stato. Il dumping sociale, che disprezza protezione, sicurezza, diritti sindacali sta diventando una pratica troppo diffusa per poter essere considerata un’eccezione. Tanto più che i genitori dei bambini-lavoratori e dei bambini-schiavi sono anch’essi disperatamente bisognosi di un salario. Eppure non è a loro che viene offerto un lavoro, ma ai loro figli perchè possono essere sottopagati, perchè essendo piccoli sono più docili ed eseguono gli ordini senza mettere in discussione l’autorità, perchè se ne può abusare fisicamente, perchè è improbabile che si iscrivano ad un sindacato. In sintesi, i bambini vengono preferiti perchè sono più sfruttabili. Ma il loro sfruttamento consente alla famiglia di sopravvivere. Da una ricerca svolta in nove Paesi dell’America Latina è emerso che enza il reddito fornito dai lavoratori di età compresa tra i 13 e i 17 anni, l’incidenza della povertà aumenterebbe dal 10% al 20%.



L’oggettiva difficoltà di intervenire su una problematica così complessa non può far venir meno l’esigenza di evitare che lo sviluppo economico schiacci la dignità dei più deboli. E’ tuttavia necessario mettere da parte le ipocrsie e procedere con realismo.

Meno di due secoli fa, ad esempio, i bambini lavoravano nelle miniere inglesi e nelle zolfatare siciliane. Ed i paesi dove ora si sfruttano i bambini quasi-schiavi non sono molto più avanzati di quanto fossero Inghilterra ed Italia due secoli fa.

Una delle più importanti leggi inglesi per la tutela del lavoro minorile, il Cotton mills act che fissava a nove anni l’età minima del lavoro, e solo per i lavoratori dell’industria cotoniera, è del 1819, poco più di 150 anni fa.

La prima importante legge italiana in materia è del 1886 (n.3657): a nove anni si poteva lavorare nell’industria, a dieci nei lavori sotterranei.

Si dovrà attendere i primissimi anni di quiesto secolo per conoscere una vera moderna legge italiana per la tutela del lavoro minorile (242/1902)

D’altra parte in Italia, oggi, in base ad una ricerca condotta dalla CGIL e relativa al 1996, sarebbero almeno 50.000 i bambini-lavoratori che hanno meno di 14 anni.

Non ha senso quindi scandalizzarci. Occorre invece riflettere sulle strade per giungere ad un divieto di accordi commerciali internazionali con le imprese che nella produzione di manufatti o nell’erogazione di servizi disattendano alcuni elementari diritti umani e sindacali. Si tratta della cosiddetta clausola sociale.

L’introduzione della clausola sociale negli accordi commerciali internazionali era stata dibattuta all’interno dell’ Uruguay round. Ma non trovo’ sufficienti consensi per la preoccupazione dei paesi del terzo mondo che una normativa eccessivamente vincolante avrebbe di fatto reintrodotto quelle barriere protezionistiche a favore dei Paesi più sviluppati, che lo stesso Uruguay round avrebbe voluto abbattere.

Presso la Camera dei Deputati italiana e presso l’Assemblea nazionale francese (devo alla cortesia del collega ed amico presidente Seguin questa informazione) sono state presentate proposte di legge che tendono ad introdurre seppure in modo unilaterale questa clausola.

La clausola sociale, adottata senza estremismi, ma con specifico riferimento ad un programma di tutela del lavoro minorile graduato nel tempo ed adattato alle caratteristiche socioeconomiche dei singoli Paesi potrebbe avere effetti particolarmente positivi.



Strettamente connessa con i limiti ed i divieti del lavoro minorile è la questione scolastica. Dove peggiori sono le condizioni dei bambini, peggiori sono le condizioni della scuola.

Negli anni Ottanta si registrò in molti Paesi in via di sviluppo una forte crisi economica. La Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale imposero alle nazioni debitrici programmi di aggiustamento strutturale diretti a ridurre le spese pubbliche non necessarie e, invece, a favorire lo sviluppo sociale ed economico. Ma non è andata proprio così. In molti Paesi sono rimaste le spese militari e sono state invece tagliate le spese sociali necessarie, prime fra tutte quelle relative all’istruzione.

La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia considera minori tutti coloro che hanno meno di 18 anni. Il numero di questi minori che non frequenta la scuola è di circa 404 milioni, circa il 38%. E’ una tragedia di carattere globale perchè questi ragazzi quando saranno adulti non avranno gli strumenti per essere cittadini e perchè la globalizzazione dei rapporti tra i diversi paesi del mondo porterà inevitabilmente le future generazioni a premere in modo disordinato alle porte delle nazioni ricche, all’interno delle quali potranno intensificarsi sentimenti xenofobi e razzisti.

La conferenza mondiale sull’Istruzione per Tutti tenutasi in Thailandia nel 1990 ha indicato come mezzi per realizzare una istruzione di base per tutti l’insegnamento di tecniche utili, la flessibilità, scuole anche per le bambine, il miglioramento della qualità e della posizione sociale degli insegnanti, la riduzione delle spese scolastiche a carico della famiglia, la mobilitazione delle società ricche.



In Italia non possiamo guardare con occhi distanti a questi problemi. Le condizioni scolastiche del mezzogiorno, i livelli dell’abbandono scolastico, lo stato fatiscente di molti edifici sono in stretta connessione con la mancata frequenza della scuola, e con il conseguente passaggio al crimine. Ed anche in molte aree del nostro Sud riemerge la spirale diabolica tra crisi della scuola, sfruttamento del lavoro minorile, coinvolgimento nelle organizzazioni criminali.



Alla base di una politica di sostegno ai minori c’è una politica di sostegno alle famiglie. In Italia, differenza di altri Paesi europei, manca ancora questo tipo di politica.

Non si tratta di grandi cose. Un programma di riduzioni fiscali per le famiglie con figli, interventi finanziari diretti nei confronti delle famiglie che presentano forti situazioni di disagio, molto meno costosi degli internamenti in istituti e meno laceranti per i bambini e per i genitori, assistenze domiciliari quando necessarie. Tutto ciò è incredibilmente meno costoso della gestione, che poi diventa obbligatoria, dei danni causati dalla mancanza di interventi a favore delle famiglie.

La prevenzione costa meno della repressione o degli interventi di emergenza, ma ha il difetto di non essere visibile e la politica chiede visibilità.



Ma la politica deve abituarsi a non vivere del giorno per giorno, a guardare avanti, ad abbandonare il pensiero contingente e a scegliere il pensiero strategico quello che guarda alle generazioni future, quello che dà spinta e determinazione, quello che sa spiegare ai cittadini quanto i sacrifici dell’oggi serviranno ai loro figli ed ai figli di quei figli. La riforma dello Stato sociale non deve avere al centro il taglio della spesa; ma la ridistribuzione delle risorse in modo che esse esprimano un indirizzo rivolto al futuro piu’ che al passato, alle giovani generazioni piu’ che gli adulti. Questo significa spendere di piu’ per la scuola, la famiglia, la ricerca del lavoro e meno a sostegno di chi e’ gia inserito.



La salvaguardia dei minori dalla criminalità organizzata si iscrive dentro questo pensiero. Voi qui discuterete dei mezzi tecnici per affrontare questo problema. E’ giusto che sia così. Ma voi sapete più e meglio degli altri come solo una politica capace di pensare alle generazioni future, di guardare un metro oltre l’orizzonte, di credere in alcuni valori non mediabili con gli interessi, può dare fiducia e speranza.

L’augurio che vi faccio è che il vostro lavoro possa aiutare a ricostruire, dentro tutti i nostri Paesi, i fili di una politica per il minore-persona, che abbia l’ambizione di diventare politica per l’intera società.