I valori della Resistenza: presupposto ideale per la costruzione dell’Europa dei popoli


Colle del Lys (Torino), 07/06/1997


***Manifestazione internazionale promossa dal Comitato Resistenza Colle del Lys



Ricordiamo oggi il sacrificio di tutti coloro che nelle Valli di Lanzo, di Susa, del Sangone e del Chisone, furono uccisi nella Lotta di Liberazione dell’Italia dal nazifascismo.

Se noi possiamo essere qui, liberi e uniti nel ricordare quel sacrificio, è perché ci fu la Resistenza.

La Lotta di Liberazione è la radice della nostra Repubblica.

L’Italia e’ l’unica Repubblica democratica nata in Europa dalla Lotta di Liberazione dal nazifascismo.

Migliaia di donne e di uomini, di ragazzi e di ragazze sono caduti per costruirla.

I più giovani avevano 15 o 16 anni, ma nei campi di Hitler e di Mussolini passarono anche bambini. Furono uccisi, torturati, umiliati. Donne, uomini, bambine, bambini.

Tutto ciò che la barbarie dell''uomo ha inventato per umiliare e distruggere l''altro uomo, per affermare la stupida arroganza del totalitarismo fu sperimentato negli anni del sangue. Gli anni che videro a Fossoli e a Mauthausen, a San Saba o a Ravensbruck e in altri cento luoghi di sofferenza il primato della barbarie.

Migliaia di militari che rifiutarono il giuramento a Salo’ vennero internati e patirono sofferenze terribili. Tanti furono uccisi.

Tutto questo è parte integrante della storia costituente della nostra Repubblica, che nessun tribunale potrà mai giudicare, perché i poteri democratici, incluso quello giudiziario, sono venuti alla luce proprio grazie a quella storia, al sacrificio di quegli uomini che hanno lottato contro il nazifascismo.

Noi ricordiamo oggi per due essenziali ragioni.

Noi vivi e liberi di fronte a questi morti abbiamo il dovere di continuare a combattere con i mezzi della democrazia per i loro valori.

I cattolici hanno un mistero, quello della comunione dei vivi e dei morti, che si raggiunge con la preghiera. C''è un''altra forma di comunione, accanto a questa, ed e'' la comunione nei valori e negli ideali, che non e'' ricordo sterile, ma e'' memoria operante. Entrambe le comunioni sono necessarie, entrambe esprimono il senso di un’appartenenza a valori comuni che danno un senso compiuto alla vita di ciascuno di noi.

C''è un''altra ragione per il ricordo.

Solo il rapporto tra le generazioni che si sono succedute nella storia di un Paese può dare a quel Paese il senso della sua identità nazionale.

L’identità italiana si ritrova ripercorrendo il filo che attraversa i fatti decisivi della nostra storia, lontani e vicini, gloriosi o vergognosi, perchè la storia vera non è fatta solo di gloria, se non per gli impostori, per scoprire dentro quella storia i valori di dignità e di libertà, per scoprire il significato unitario che li rende nostri, riferibili al modo in cui noi italiani sentiamo in modo unitario la nostra appartenenza al Paese, indipendentemente dalle idee che abbiamo in testa, dalle tessere che abbiamo in tasca.

L’identità nazionale, in una concezione democratica, e’ la capacita’ di guardare al futuro con la consapevolezza che c’è una storia comune che ci unisce. La memoria può essere divisa, ma la storia non si divide, altrimenti si confonde con la propaganda.

L’Italia e’ forse l’unico paese europeo in cui ci sono ancora due storie; non due giudizi o due memorie contrapposte sugli stessi fatti, cosa che e’ normale in un paese che ha avuto una guerra civile (qui al Col del Lys l’esercito di Hitler era accompagnato da quello di Mussolini).In Italia ci sono censure che ciascuna parte ha compiuto sui fatti che riguardano l’altra. Le due parti, quella che usci’ vincitrice e quella che usci’ sconfitta dalla guerra di Liberazione, ed i loro eredi politici, non sono certamente uguali davanti a quella guerra che restituì all’Italia dignità ed onore dopo le tragedie della dittatura. L’una si batteva dalla parte della libertà l’altra dalla parte del nazifascismo e dei vagoni piombati.

Tuttavia questo non esime gli eredi dei vincitori da uno sforzo che porti ad inserire nella storia nazionale anche i fatti degli altri, ferma la libertà di giudizio su quei fatti.

Lo stesso sforzo deve essere compiuto dagli eredi dei vinti. La condanna all’oblio che nell’antica Roma consisteva nella cancellazione di qualsiasi traccia di una persona che avesse compiuto un grave delitto, non può essere esercitata in democrazia da nessuna parte politica. Le censure non sono mai state uno strumento di democrazia. Sulle censure non si costruisce il nostro futuro. Le censure sono un segno di debolezza perchè esse possono essere sostenute solo da chi non crede nei propri ideali e non ha il coraggio di battersi per il loro primato.

Solo se sapremo liberarci dalle censure, se sapremo guardare in faccia tutte le pagine della storia italiana saremo potremo costruire, sulle fondamenta dei valori usciti dalla lotta di Liberazione, un patrimonio di ideali civili e democratici universalmente condivisi, a prescindere dalle diverse opinioni politiche di ciascuno.

Nei primissimi tempi del dopo-guerra vi fu sia da parte di alcuni leaders delle forze politiche che erano uscite vincitrici (penso a Togliatti), sia in alcuni dibattiti che si aprirono tra ex partigiani ed ex appartenenti alla Repubblica di Salò, lo sforzo di discutere e di analizzare le ragioni che avevano visto gli italiani combattersi su due fronti diversi. Vi fu il tentativo di fare dell’antifascismo un elemento unificante, uno strumento di progresso e di superamento delle divisioni, il presupposto per la conquista ai valori democratici di tutti e non solo dei vincitori e dei loro eredi.

Dopo il 1948, tuttavia, con la guerra fredda, il bipolarismo, la rottura tra occidente e mondo sovietico quel processo di ricostruzione di un patrimonio di valori comuni intorno al nuovo Stato Repubblicano subisce un colpo di freno e si ripiomba nella divisione.

Le conseguenze sono state rilevanti. L’Italia, che era Paese di confine tra i due mondi, si è divisa, sostanzialmente, in due grandi schieramenti: quello antifascista e quello anticomunista. L’appartenere all’uno o all’altro ha prevalso sulla cittadinanza. Ciascuna delle due grandi aree riteneva di avere una propria idea di patria e di nazione e negava legittimità alle idee degli avversari.

Lo schieramento antifascista aveva una sua idea di patria e riteneva che la destra avesse distrutto la patria. Lo schieramento anticomunista aveva una sua idea di patria e riteneva che la sinistra intendesse distruggere patria e nazione. C’erano due idee perché c’erano due storie e due concezioni.

Noi adesso possiamo finalmente cominciare a riflettere con libertà sui nostri caratteri nazionali perché è finito il bipolarismo, è finita la divisione del mondo in due schieramenti, è finita la guerra civile fredda che ha attraversato l’Italia.

Ora tutti gli italiani possono riconoscere che la lotta di Liberazione, le ragioni dei caduti del Col del Lys, sono il fondamento della Repubblica.

Chiusa la vecchia fase, possiamo cominciare a riflettere in modo aperto e senza pregiudizi sul modo attraverso il quale superare finalmente le fratture e le divisioni del passato e costruire un sentimento nazionale condiviso.

Caduta la contrapposizione internazionale tra mondo occidentale e mondo sovietico che in Italia si è tradotta nella contrapposizione tra anticomunismo e antifascismo, possiamo oggi riflettere su ciò che unifica la storia dell’Europa di questo secolo, nella quale si è assistito, nell’Europa occidentale alla lotta contro il nazifascismo e nell’Europa centro orientale, alla lotta contro lo stalinismo.

Queste vicende storiche, alle quali ha partecipato una generazione in gran parte diversa dalla nostra, ci hanno consegnato il valore dell’antitotalitarismo, il rifiuto categorico e vigile della violenza, dell’identificazione partito-Stato. Hanno consegnato il valore dell’equità, della tolleranza, dei diritti dei più deboli come questioni fondamentali per tutte le democrazie europee.

In questo quadro l’antifascismo rimane oggi per l’Italia e per l’Europa un punto di riferimento fondamentale. L’antifascismo, in quanto espressione della vittoria contro la negazione di libertà e di democrazia imposta dal fascismo, non può essere una «cosa di parte», ma un valore di tutti gli italiani, da difendere e da trasmettere di generazione in generazione come pietra fondante dell’identità nazionale.

Per ottenere questo risultato dobbiamo imparare ad avere della Lotta di Liberazione una concezione non proprietaria, non di parte. Chi è caduto in quella lotta, lo ha fatto per dare la libertà a tutti gli italiani, non solo a chi aveva le sue stesse idee.

Dobbiamo avere, invece, della Liberazione una idea nazionale, riscoprendo il legame forte che nella nostra storia esiste tra antifascismo e Repubblica.

La Repubblica è oggi lo strumento di costruzione di una condivisione più ampia, più larga, nella quale i valori di tolleranza, di rigore, di responsabilità, di equità, di solidarietà, di pluralismo, che, costituiscono il patrimonio ideale della Lotta di liberazione, possono diventare valori dell’intera comunità nazionale.

Essere repubblicani vuol dire avere la necessita’ della regola, il senso della continuità dei valori civili fondamentali nello scorrere delle generazioni, la religione del servizio che si ha il dovere di rendere ai cittadini. Significa essere laici e rispettosi delle opinioni altrui. Ripudiare le contese ideologiche e affrontare la battaglia delle idee.

Credere oggi nei valori repubblicani significa credere che il futuro e’ dentro le nostre mani e che ogni generazione si legittima nel giudizio della storia per quello che riesce a consegnare alle generazioni future. Noi ci legittimeremo non sulla base degli applausi che riusciremo a scambiarci, ma per ciò che riusciremo a consegnare a quelli che verranno dopo di noi.

Questa sostanza della Repubblica e’ stata per troppo tempo trascurata. Nell’opera di rifondazione del sistema politico e dei suoi valori costitutivi e’ necessario riaffermare il valore propositivo e dinamico della forma repubblicana dello Stato come punto qualificante della nostra identità nazionale e come carattere essenziale di una nuova etica pubblica e di un nuovo modo di intendere la cittadinanza.

La Repubblica per poter sviluppare questi valori ha bisogno di decisione. I nostri apparati pubblici decidono poco e male, il Parlamento è ancora troppo lento. La velocità, la chiarezza, la controllabilità sono elementi essenziali della modernità democratica. Dove c’è lentezza c’è opacità, sacrificio dei diritti dei cittadini, impossibilità del controllo.

Non è corretto che il Presidente della Camera si pronunci sui lavori della Commissione Bicamerale. Penso solo che l’obbiettivo della consegna di un testo entro il 30 giugno, che sembrava impossibile, è stato conseguito. Ora ciascun parlamentare potrà presentare entro il 30 luglio i suoi emendamenti. La commissione esaminerà tutto entro il 30 settembre e poi se ne occuperà l’Aula di Montecitorio a partire da metà ottobre. Una corsa non si giudica da una tappa. Ma se quella tappa è stata raggiunta nei tempi stabiliti, è già un buon segno.

La sfiducia pregiudiziale, guardate, è l’ultima arma dei conservatori, ma il nostro paese ha bisogno di innovazione, non di conservazione.



Le riforme costituzionali sono lo strumento per dare all’Italia istituzioni più moderne, più veloci, attraverso un nuovo equilibrio fra i poteri dello Stato, un più razionale rapporto fra Governo e Parlamento, una maggiore capacità di decisione degli organi pubblici, un nuovo rapporto fra centro e periferia.

Ma le riforme costituzionali sono soprattutto l’occasione per costruire nuove regole del gioco democratico, che siano sentite come proprie da tutte le parti politiche.

Se questo, come io credo, accadrà potremo dire di aver costruito insieme nuove regole e al tempo stesso nuovi valori nazionali, perché scegliere un sistema istituzionale condiviso, significa accordarsi sul significato delle nuove regole come bene «comune», come strumento di garanzia per tutte le parti.

Dobbiamo affermare il dialogo come metodo, come capacità di mettersi in discussione, di avere un atteggiamento di ascolto e di attenzione verso chi la pensa diversamente da noi.

Questo significa avere prima di tutto la volontà di ricercare punti di accordo e di condivisione, per creare un patrimonio comune di valori e di regole all’interno del quale poi confrontarsi sulle diverse posizioni legate agli interessi di parte.

Significa creare uno spazio all’interno del quale la contesa politica ed il confronto dei valori ideali avvengano, così come si addice ad ogni democrazia matura, senza ricorrere alla delegittimazione sistematica dell’avversario, senza contrapposizioni ideologiche oramai tanto sterili, quanto dannose per il bene dei cittadini.





Il 29 giugno scorso ho partecipato, su invito dell’Associazione Nazionale Ex Deportati, ad una cerimonia commemorativa nell’ex lager femminile nazista di Ravensbruck, dove furono uccise molte migliaia di donne e di bambini.

Mi sono chiesto in quella circostanza se non sia compito delle istituzioni cercare di trasmettere alle giovani generazioni una più compiuta memoria di ciò che accadde a Ravensbruck, così come in altri campi di sterminio. Gli studenti delle nostre scuole dovrebbero avere l’opportunità di visitare quei luoghi, dopo aver studiato e approfondito la storia di quel periodo. Alcune scuole hanno già intrapreso questo tipo di iniziativa, ma si tratta di eccezioni, non di un programma né di una strategia educativa.

Per questo ho ritenuto di prospettare al Presidente del Consiglio dei Ministri l’opportunità di prevedere un apposito stanziamento di bilancio da destinare appositamente a programmi di visite di studenti italiani nei campi nazisti.



Lo scorso 2 luglio ho partecipato a Braunau, in Austria, insieme al collega presidente della Camera austriaca alla cerimonia di intitolazione di una piazza in memoria dei profughi trentini, che furono costretti nel 1915 ad abbandonare la loro terra ed internati in un campo di quella città.

Il gesto compiuto dal Comune di Braunau è un esempio emblematico di come i popoli europei possano dare significato al secolo che si chiude, facendo della memoria dei fatti storici del novecento, per molti versi tragici e laceranti, non una ragione di odio ma il luogo in cui costruire i valori comuni del secolo che si apre.

Abbiamo dietro di noi la storia terribile del novecento, con le sue due guerre mondiali, con i fascismi e gli stalinismi, con i lager tedeschi e i gulag sovietici, con gli stupri etnici della ex Jugoslavia.

Ma abbiamo alle spalle un secolo che ha visto anche la più straordinaria espansione dei diritti e delle libertà, il più straordinario sviluppo delle organizzazioni sindacali e dei movimenti di liberazione delle persone e dei popoli.

La nostra generazione ha il dovere di portare nel nuovo secolo i grandi valori del novecento ma anche la memoria delle sue tragedie perché quei valori diventino più forti e perché le tragedie non si ripetano.

Dobbiamo custodire e innovare. L’Italia ha grandi valori ed ha una grande storia di libertà. Dobbiamo esserne consapevoli, per costruire futuro, per dare certezze, per risolvere le grandi questioni delle giovani generazioni che sono il lavoro e la scuola.

Solo questa consapevolezza può dare alla nostra generazione il diritto alla riconoscenza delle generazioni future. E'' lo stesso diritto che hanno acquisito quei ragazzi e quegli uomini, caduti qui sul Colle del Lys, che oggi ricordiamo con rispetto e con orgoglio.

Con rispetto, perche'' sono caduti per noi; con orgoglio, perche'' ci sentiamo loro eredi civili.