Intervento al Congresso nazionale della Sinistra Giovanile


Roma, 10/18/1997


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La vita della vostra generazione si svolge e si svolgerà all’interno di condizioni sociali economiche e politiche completamente nuove rispetto a quelle passate.

E’ finito il bipolarismo internazionale; è in corso la globalizzazione della comunicazione e dell’economia; sono mutati i caratteri fondamentali dello Stato e dei partiti e quindi sono mutati i confini e i presupposti dell’azione politica.



Di fronte a questi mutamenti alcuni hanno gridato al catastrofismo “alla fine della storia”.

Non è così. La storia non finisce e i mutamenti della storia travolgono solo coloro che si arrendono, che si rifiutano di capirli, che non sono capaci di cogliere le occasioni che la stessa storia ci mette davanti.

Siamo consapevoli del rischio dell’umiliazione dei diritti e della fine della fiducia nel cambiamento.

Ma possiamo anche costruire più libertà, più diritti, (più) una pace e un progresso più duraturi.

Non ricorro al modello abusato del pessimismo dell’intelligenza e dell’ottimismo della volontà. Il primo è cieco davanti alle potenzialità emancipatrici che emergono dai mutamenti del mondo. Il secondo è cieco davanti ai possibili trionfi di nuove barbarie.

Voglio riproporvi il razionalismo.

Intendo proporvi lo sforzo di una lucidità illuministica che si spoglia dell’arroganza di due secoli fa perché è rispettosa del sacro, che anzi è una parte della ragione moderna.

Tornare alla fatica della comprensione della realtà per poterla trasformare. Tornare perciò alla fatica dello studio; alla consapevolezza delle responsabilità della politica. Tornare al primato di Gramsci.

Umilmente accettare anche i limiti della ragione e temere i suoi eccessi.

Non arrenderci. Imparare a combattere contro i nuovi oscurantismi, contro le nuove povertà e le nuove prepotenze. Imparare a combattere contro il razzismo, senza essere razzisti con i nostri avversari.

Capire che ci sono dei limiti e porsi di fronte ai limiti per superarli; capire i rischi per trasformarli in occasioni.

Riscoprire il gusto della conoscenza, il valore della volontà politica, praticare il rigore della tolleranza.



Voglio proporre alla vostra attenzione la necessità di un pensiero che ci liberi dalla sequela dei post, il post-comunismo, post-fascismo, il post-moderno e così via.

Si è diffusa, nell’ultimo decennio, l’idea che il tempo attuale sia un’età del dopo dove ogni cosa è già consumata, un’era nella quale le identità sembrano definirsi in relazione al passato non in relazione alla capacità di scegliersi il futuro.

Ma noi non possiamo definirci in relazione ad un passato.

Cerchiamo la nostra definizione in ciò che noi oggi ci impegniamo a fare, non in ciò che ci separa da quanto altri hanno fatto prima di noi.



Essere sinistra ha dentro di sé alcuni caratteri strutturali, come la lotta contro le disuguaglianze, la battaglia per il sapere, la fiducia in quello che succederà nel futuro. Ma oggi essere sinistra deve significare prima di tutto capire quello che ci sta accadendo attorno, reimpossessarsi di categorie interpretative idonee a rifondare gli antichi valori dell’equità sociale in una realtà completamente nuova rispetto a quella nella quale quei valori sono nati.

La sinistra non può imbrogliare sul futuro; per non imbrogliare deve sforzarsi di capire il presente, di entrare nelle sue contraddizioni e di individuare le leve del cambiamento per l’equità.





Constatiamo insieme, ogni giorno, che le risposte abbondano e le domande scarseggiano.

I mezzi di informazione, da Internet alla televisione, ci propinano ogni tipo di risposta indipendentemente dall’esistenza di una domanda. Su un sito Internet sono persino indicati 35 modi per suicidarsi, ma in nessun sito si chiede perché un uomo o una donna una ragazza o un ragazzo dovrebbero togliersi la vita.

Come in un gigantesco self-service dove si può comprare ogni tipo di merce indipendentemente dai bisogni, ci arriva una risposta per tutto. Cogliamo in questo spropositato numero di risposte il rischio di una sorta di clonazione culturale, più grave di quella biologica, perché abbiamo tutti le stesse informazioni e la stessa disinformazione, perché rischiamo tutti di pensare allo stesso modo, di avere le stesse suggestioni.

I nostri bisogni vitali, quelli del corpo, quelli della conoscenza, quelli del sacro, la nostra autonomia e la nostra identità non possono essere determinati dalle risposte che altri ci presentano, ma solo dalle nostre domande, solo da ciò che ciascuno di noi riterrà giusto chiedere sulla base dei suoi valori e della sua condizione umana.

Oggi, in Italia, come mai rispetto al recente passato, si intrecciano preoccupazioni e speranze.

Una forza politica ha chiesto la rottura dell’unità nazionale e, contemporaneamente, non c’è settimana che non venga edito un libro o pubblicato un articolo sul concetto di patria e di nazione.



Le funzioni della vita sembrano valere più della stessa vita. Essere marocchino o albanese fa aggio sull’essere persona umana.

Una parte significativa dell’Italia civile e politica si è schierata a sostegno della grazia per Joseph O’Dell, un americano condannato a morte negli Stati Uniti.

Ma è passata come una vicenda di ordinaria quotidianità la tragedia del ragazzo marocchino fatto affogare nel Po, a Torino o del barbone bruciato a Milano.



Pensavamo che il mondo civile si fosse tutto schierato senza equivoci contro il nazifascismo. Abbiamo scoperto che l’oro rapinato da quegli eserciti ai cittadini di religione ebrea era stato custodito nelle silenziose casseforti di alcune capitali europee, addirittura utilizzato in alcuni casi come garanzia per gli affari internazionali del Terzo Reich.

E gli elenchi nominativi degli ebrei che avevano depositato il loro danaro in quelle banche, elenchi pubblicati dai maggiori quotidiani del mondo, diretti a ricercare gli eventuali eredi, mezzo secolo dopo e solo dopo l’esplosione dello scandalo, mi sono apparsi velati da una ipocrisia razzista, quasi a voler dire, ma guardate quanto erano ricchi questi poveri ebrei. Quasi a coprire la qualità di ebreo, che li aveva portati allo sterminio, con quella di ricco depositante, più in linea con i parametri della Soluzione Finale di Heichmann.



Sappiamo di vivere in un mondo dove ci sono più diritti, più civiltà e più progresso rispetto a qualunque altra fase della storia del mondo.

Ma oggi, sotto i nostri gli occhi, bande criminali sequestrano giovani donne e bambini, nei loro paesi poveri, per costringerli con la violenza alla prostituzione nei paesi ricchi. E di quella costrizione approfittano uomini civili del nostro Paese, del nostro continente, del nostro mondo avanzato. In una visione mercificatoria delle relazioni umane il corpo umano perde qualsiasi sacralità, è un mezzo o una merce, non ha in sé nulla di intangibile.



Il luogo comune di un Mezzogiorno annichilito dalla mafia svanisce di fronte alle migliaia di scuole delle regioni meridionali che sono all’avanguardia per tecniche di insegnamento e per impegno di insegnanti e studenti nell’educazione alla legalita’. Il luogo comune di un Sud inerte svanisce di fronte ai 33.000 progetti di giovani per il prestito d’onore, quando si prevedevano solo 5.000 domande, il 75% dei quali contiene serie proposte per l’occupazione. Le nuove iscrizioni di imprese al Sud (27.311), nel secondo trimestre 1997, per la prima volta hanno superato quelle del Nord Ovest (25.467), del Centro (18.276) e del Nord Est (18.177). La Campania supera il Trentino, il Piemonte e la Lombardia.



L’Italia sembrava destinata alla catastrofe economica. Abbiamo ridotto l’inflazione al disotto dei tassi francesi e tedeschi; si sta risanando la spesa pubblica. Per la prima volta un progetto di riforma costituzionale diretto a costruire una democrazia decidente verrà esaminato dalle Camere. Stiamo conquistando rispetto e ammirazione in molte parti del mondo. Ma troppo spesso sembra che la politica e l’informazione non si avvedano di ciò che di positivo si costruisce.



Prima del crollo dei sistemi comunisti, i due blocchi in cui si divideva il mondo erano portatori, in modo giusto o sbagliato, qui non importa, di forti gerarchie di valori.

La fine del bipolarismo ha prodotto una improvvisa e vorace accelerazione del capitalismo ed una confusione tra capitalismo e democrazia. In realtà capitalismo e democrazia hanno una concezione molto diversa del potere. La democrazia crede in una distribuzione egualitaria del potere politico, ogni persona un voto, mentre il capitalismo ritiene che per l’individuo economicamente più provveduto sia naturale espellere dal mercato quello sprovveduto e condannarlo all’estinzione economica.

Volendo essere crudi, ha osservato in un suo libro recente uno dei massimi economisti americani, Lester Thurow, il capitalismo è perfettamente compatibile con la schiavitù. Gli Stati Uniti del sud hanno infatti mantenuto tale sistema per più di due secoli. La democrazia è invece incompatibile con la schiavitù.

In molti paesi profughi dalle tragedie del totalitarismo sovietico si è passati dall’economia pianificata al capitalismo senza democrazia, confondendo il primo con la seconda. La confusione ha prodotto alcune crisi di grandi dimensioni, come quella che ha riguardato l’Albania.

Ma anche nei paesi di salde tradizioni democratiche ed occidentali, le ragioni economiche rischiano di prevalere su quelle democratiche. Soprattutto perché l’economia è globale mentre la politica è rimasta nazionale. E le ragioni economiche, da sole, sono miopi davanti alle ragioni dei valori.



La terza guerra mondiale, quella tra i due blocchi, è stata vinta dai paesi occidentali a struttura capitalistica.

Ma la vittoria è stata consentita dalle caratteristiche democratiche di questi Paesi che hanno esaltato i vantaggi del capitalismo riducendone i rischi. Oggi, lo ha ricordato il Papa, dobbiamo guardarci dai rischi di una vittoria eccessiva del capitalismo, che non sia temperata dalla forza dei diritti e dalla pratica della democrazia.

Si è estesa notevolmente la libertà di agire, ma non ci si deve dimenticare della libertà dal bisogno. I soggetti che non hanno nulla da scambiare, da vendere o da comprare, rischiano di diventare marginali, indipendentemente dal loro essere persone umane.

Il crollo dei sistemi comunisti ha accelerato la crisi delle grandi idee. Poteva essere il tramonto della contrapposizione amico-nemico, e l’inizio della costruzione di nuovi valori civili unanimemente condivisi. Ma non è ancora così. Ciascuna grande idea esprime il meglio di sé e delle proprie ragioni nel confronto con l’avversario. Quando l’avversario ha ceduto, di schianto, come è accaduto appunto ai regimi del blocco sovietico, la cultura europea si e’ cullata nella vittoria, si è intorpidita nella sicurezza, sembra aver perso la capacita’ di mantenere il primato delle proprie idee e dei propri valori .



Un’agenzia di ieri comunicava che su un mercato di Mosca sono stati messi in vendita oggetti in pelle umana, pare provenienti dai lager nazisti, a prezzi molto alti, per le élites moscovite. Per soli 32.000 dollari potete portarvi a casa un paralume in pelle umana su cui sono ben visibili, a testimonianza dell’autenticità dell’oggetto, i tatuaggi ed i numeri impressi dagli aguzzini sul corpo delle vittime.

Il cinismo della vecchia barbarie si basava sulla bugia del primato del partito. Il cinismo di questa nuova barbarie si basa sul vuoto di valori civili.



La caduta del bipolarismo ha aperto nuove frontiere di libertà, ha restituito la democrazia a Stati che l’avevano persa, prima per responsabilità del nazismo poi per responsabilità del comunismo sovietico. Ma si sono accentuati i rischi del relativismo perchè si è indebolita l’idea stessa del contrapporsi per valori e rischiamo di contrapporci soltanto per interessi.

Il relativismo è il nemico più insidioso di una società che vuole costruire il futuro.

Una generazione, una società, una persona, non può costruire futuro se non determina ciò che non si compra e non si vende.

Molte cose possono essere ragionevole oggetto di scambio. Su molti comportamenti e per molti obbiettivi si può ragionevolmente cedere in vista di altre utilità. Ma e’ necessario che sia altrettanto chiaro il limite dello scambio.

Ciascuno di noi deve avere un punto al di là del quale non si tratta più perché entrano in giuoco valori non contrattabili, indipendentemente dalla contropartita.

Quando questo limite viene meno, valgono soltanto i rapporti di forza, economica o fisica. Viene meno il senso del sacro e del tragico; l’interesse personale o quello economico diventa misura di tutte le cose. I valori dei deboli non costituiscono più il confine delle azioni dei forti.

Nello stato delle cose attuali credo che il vecchio pensiero reazionario abbia un sogno: che la vittoria del capitalismo possa finalmente segnare la fine della lotta per l’emancipazione e la liberazione sociale.

Noi non siamo d’accordo. Quella vittoria deve essere radice di nuove e più estese libertà, non di nuove sopraffazioni.

Altrimenti non avrebbe avuto senso la caduta di un totalitarismo per farne crescere un altro.



Stato e partito hanno definito per circa un secolo i confini nazionali ed ideologici, dentro i quali milioni di donne e di uomini nel succedersi delle generazioni di questo secolo hanno maturato identità, sofferenze ed appartenenze, lotte sconfitte e vittorie.

Gli Stati nazionali stanno cedendo quote crescenti di sovranità ad organismi sovranazionali, è il caso dell’Unione Europea, nella necessità di governare processi economici la cui forza supera quella dei singoli Stati.

Molta parte dell’impegno che ieri si organizzava nei partiti oggi si è divaricato. C’è un flusso tra associazioni, movimenti e organizzazioni politiche permanente e continuo e l’impegno di una vale quanto l’impegno dell’altra, non c’è una scala gerarchica tra queste cose. Il fatto che nel volontariato e nell’associazionismo siano oggi impegnati più di 9 milioni di italiani, e il 30% dei quali ha meno di 29 anni è una straordinaria ricchezza sociale e politica della democrazia italiana. La politica non si fa soltanto nelle sedi politiche, si fa in tanti luoghi. C’è un meccanismo circolare della presenza in tutti questi luoghi in cui ci si impegna per gli altri. Questo vuol dire fare politica. Impegnarsi accanto ad un malato terminale, lavorare insieme ad un ragazzo handicappato, lavorare insieme ad un ragazzo tossicodipendente o lavorare in una formazione politica per migliorare il presente e il futuro dei cittadini.

La condizione umana dell’uomo del XXI secolo, che inizia tra quattro anni, sarà sempre più condizionata dalla globalizzazione economica.

Le nostre generazioni devono porsi l’obiettivo di costruire un sistema di valori in grado di integrare e correggere questo tipo di mondializzazione. Si è globalizzata l’economia e si è globalizzata la comunicazione. Si possonio globalizzare i valori? Meglio: che posto avrebbero l’uomo, la donna e i bambini in un mondo globalizzato dall’economia, ma privo di valori morali globali?



Bisogna avere il coraggio dell’utopia. Non parlo delle mete irrealizzabili, che hanno già generato menzogne e disastri. Parlo dell’utopia strategica, quella delle impossibilità relative e delle emancipazioni necessarie.

Parlo della capacita’ di guardare un metro oltre l’orizzonte, solo un metro. Ma il confine tra l’orizzonte e quel metro in più separa quelli che hanno paura di pensare da quelli che hanno il coraggio di impegnarsi.



La seconda metà di questo secolo è stata caratterizzata in Italia, ma anche in gran parte del mondo avanzato, da una straordinaria battaglia per i diritti.

E’ giunto il momento di integrare questa frontiera con un altro grande impegno ideale per i doveri e le responsabilità. Altrimenti questo mondo rischia di suicidarsi per eccesso di squilibri.



La vecchia modernità si fondava sullo Stato pianificatore. La nuova modernità si fonda sullo Stato incentivante, che non ha più il disastroso obbiettivo di programmare la vita dei cittadini, ma solo l’ambizione democratica di creare continue occasioni per tutti, perché tutti possano costruirsi il proprio futuro in libertà e indipendenza. Da questa novità derivano alcune conseguenze.

La prima riguarda il peso dei doveri nei confronti degli altri e nei confronti di sé stessi. Tutti debbono avere uguali opportunità, ma tutti debbono rispondere del loro operato.

Lo Stato programmatore chiedeva fedeltà, non chiedeva responsabilità. Lo Stato incentivante non chiede fedeltà, esige senso del dovere e senso della responsabilità.

Lo Stato programmatore si fondava sul divieto e sul proibizionismo. Lo Stato incentivante si fonda sulla libertà e sulla responsabilità.

La vecchia modernità si basava sui diritti. La nuova modernità è fatta anche di doveri e di responsabilità.



Un secolo fa, si era alla fine dell’800, Nietzsche e Dostoevskij avevano intravisto l’affermarsi di un nuovo tipo di uomo. Il primo auspicandolo, il secondo temendolo. Era un uomo privo dell’armatura dell’individualità e della coscienza; Era un uomo, diceva Nietzsche, che era un’anarchia di atomi, che non costruiva la propria persona su valori, ma su pulsioni, non su gerarchie di principi, ma su relazioni orizzontali, non su convinzioni ma su opinioni. Un uomo leggero.

Guardandoci attorno ci rendiamo conto che la previsione potrebbe avverarsi e, conseguentemente, sentiamo il bisogno di un impegno per combattere contro questa eventualità, con Dostoevskij che temeva questo e diceva, contro Nietzsche, che le gerarchie di valori sono essenziali



La condizione umana in questa fine di secolo può disperdersi in un sistema di isole non comunicanti. Oppure può ritrovare una sua propria identità nell’affermare valori e principi, nel dire i no necessari, nel sostenere con determinazione le cose in cui crede.

Nel valorizzare il silenzio, visto che non è necessario parlare di tutto e su tutto.

Nel combattere il relativismo e la banalità del perché no?

Nel costruire un pensiero forte, fondato sul valore e sul significato, un pensiero critico, capace di scegliere e quindi di dare libertà, capace di combattere per i propri valori e quindi di creare modernità.



Voi che siete giovani e quindi conoscete forse più di altri la connessione del capire con il fare e quindi coltivate, forse più di altri, il senso del futuro, vi sarete forse chiesti come si riscatta un presente che si vuole non aggiogato al passato ma proiettato verso il futuro.

Come ricostruiamo oggi una gerarchia di valori, una classe dirigente degna di questo nome, una fiducia nel futuro e nelle proprie forze? Come sconfiggiamo relativismo e cinismo?



In un mondo come quello attuale dominato dalla velocità, dalla interdipendenza, dagli intrecci più complessi, dove gli sviluppi della scienza pongono via via interrogativi sempre piu’ drammatici che si sostanziano nel capire che non tutto ciò che si può fare tecnicamente si può fare eticamente e politicamente come si ritrova il filo della ragione, della gerarchia dei valori, del bene e del male se si può ancora usare questa antica e difficile contrapposizione?

Come recuperiamo l’intelligenza e la passione, come rafforziamo sogni e speranze, come costruiamo fiducia, come guardiamo non solo alla faccia sporca ma anche alla faccia pulita dei nostri anni e del nostro Paese.

Come dominiamo le incertezze, come trasformiamo la voglia del futuro migliore da scommessa in impegno, come riguadagniamo il nostro orgoglio nella capacità di trasmettere alle generazioni future i valori che ci hanno fatto resistere e vincere nei momenti della tragedia: quando si aprì la voragine sull’autostrada di Capaci o in via Mariano d’Amelio.

Rispondere è il compito della politica è la nostra responsabilità.

L’uomo e la donna di oggi, non possono essere un’anarchia di atomi, come auspicava Nietzsche, devono avere valori forti e solidali. Nella nostra responsabilità dobbiamo affrontare i rischi, e dobbiamo essere liberatori di intelligenze e di energie.



Le nostre generazioni, se vogliono sconfiggere il relativismo, se vogliono farsi dirigere dalle proprie domande e non dalle altrui risposte, devono riconciliarsi innanzitutto con i valori della persona che costituisce, nelle forme più diverse, un cardine della società occidentale, in contrapposizione ai totalitarismi propri delle tradizioni di altre parti del mondo. Nell’antica filosofia greca, nel concetto cristiano di persona, nelle garanzie giuridiche elaborate nel mondo romano, nello sviluppo del Rinascimento, negli obbiettivi della rivoluzione francese, i diritti dell’uomo sono stati una costante dell’Europa e del mondo occidentale. Tant’è che l’Europa contemporanea ha un comune denominatore nella liberazione dal totalitarismo, nazifascista nell’Europa occidentale e comunista sovietico nell’Europa centrale.

Oggi, invece, c’è il rischio che i valori vengano riconosciuti solo a chi riesce a vestirli di forza economica e vengano invece negati a chi questa forza non ce l’ha.



Per combattere contro questo rischio dobbiamo tornare ai valori della persona e della ragione, rispettando le diversità, guardando al futuro e costruendone le condizioni, concependo il nostro impegno come trasmissione di valori. La nostra condizione umana è legata al rispetto dei diritti delle generazioni che verranno, al rispetto del principio di responsabilità che è la coerenza tra doveri e comportamenti, al rispetto delle differenze non solo perché sono ricchezza ma anche perché sono manifestazioni della vita e del pensiero delle altre donne de degli altri uomini.

La fatica della nostra condizione umana è legata a questo impegno che ci lega insieme, se siamo persone di buona volontà, indipendentemente dalle nostre specifiche idee religiose, sociali o politiche. E’ una fatica appunto. Ma in uno dei più bei libri della Bibbia, nell’Ecclesiaste, è scritto che la luce è quello che avanza dal buio e in altro luogo della Bibbia è scritto che all’inizio c’era il caos. Il nostro destino di uomini è lottare contro il buio e contro il caos, sapendo che si può anche perdere. Ma cercando di vincere.

Ma questo non ci rende infelici perché da un senso alla vita ed esige, contro ogni apparenza, che la vita abbia un senso.

La nuova modernità, quella della ragione consapevole tanto della sua forza quanto dei suoi limiti, si iscrive dentro questo pensiero. Questa modernità ha bisogno di conoscenza, di senso di responsabilità, di senso dello Stato, di onestà, di rispetto dei diritti delle generazioni future, di competenze specialistiche. Una parte del lavoro che sto facendo in questo periodo alla Camera dei Deputati è costruire un rapporto tra la vostra generazione e l’istituzione parlamentare. Con la giornata del primo giugno, con gli stages che facciamo ogni mercoledì, i ragazzi e le ragazze passano una giornata di lavoro con noi. Abbiamo pensato che l’anno venturo faremo una cosa diversa. Sta arrivando una circolare in tutte le scuole italiane, medie e superiori, in cui chiediamo che ogni classe elabori un suo progetto di legge su un problema particolarmente interessante. Poi attraverso un sistema di selezione discuteremo di quindici, venti progetti di legge, in un giorno di fine maggio nell’Aula di Montecitorio. I ragazzi voteranno, sceglieranno i due o tre progetti più significativi e quelli saranno presentati effettivamente da tutti i capigruppo, indipendentemente dalle collocazioni politiche e le Commissioni discuteranno. Se ci sarà accordo diventeranno legge. Ci sono due punti che voglio portare alla vostra attenzione, il primo è questo: non lo faremo soltanto in Italia. Con il Presidente Fabius, e il Presidente Trillo siamo d’accordo nel lanciare in tutta Europa l’idea che in uno stesso giorno tutti i ragazzi d’Europa discutano dei loro progetti di legge nel loro Parlamento. A me non interessa tanto chi vincerà, quanto leggere il maggior numero possibile di quei progetti di legge per conoscere i vostri bisogni, le vostre sofferenze, le vostre necessità, i vostri dolori, le vostre aspettative. Il lavoro politico a tempo “ultra” pieno, come molti di noi lo fanno, a volte separa dalla società e tante volte ci capita di parlare di giovani senza capire bene quali siano i bisogni, i problemi, le questioni materiali vere. E questo è un metodo per entrare dentro il vostro vissuto, capire che cosa ci volete dire. Se vi impegnate per tre, quattro mesi su un tema, vuol dire che quello è un problema per voi. Sarà interessante vedere cosa pensate di diverso voi ragazzi italiani da quelli tedeschi, finlandesi, inglesi, spagnoli, capire qual è la condizione umana della giovane generazione in questa fine secolo. Questa è la nostra ambizione. E quindi è utile che le organizzazioni giovanili dispongano di questi strumenti anche per capire meglio il mondo che gli sta attorno, al quale si rivolgono. Questo è il lavoro che vogliamo fare e speriamo di riuscirci. Questo progetto nasce dalla consapevolezza che la velocità della vita tante volte ci disconnette gli uni dagli altri, non ci consente di entrare in connessione, parte anche dal fatto che è necessario che la scuola sia un posto dove i ragazzi cerchino di costruirsi non solo un presente forte, ma di indicare agli adulti quale pensano debba essere il loro futuro.

Una moderna forza politica di sinistra non ha bisogno di pletore di giovani iscritti incompetenti, che rischiano di avviarsi sui binari del cinismo politico o della frustrazione. Abbiamo bisogno di competenze.

I cittadini più poveri, i più deboli, quelli che hanno bisogno di una buona sinistra per vivere e per sperare non sanno cosa farsene di politici incompetenti e parolai. Quei cittadini, per i quali la sinistra ha ragione di essere, hanno bisogno di competenza e di valori.

La vostra forza, il vostro impegno sono la risposta che quei cittadini attendono e che noi insieme abbiamo il dovere di dare nelle differenze delle generazioni e delle radici ma insieme ed uniti.