Un primo bilancio sul “federalismo amministrativo”


Roma, 02/20/2001


*** III Conferenza sullo stato di attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n.59, promossa dalla Commissione parlamentare consultiva in ordine all''attuazione della riforma amministrativa***




La XIII legislatura si avvia a conclusione con un bilancio sulle riforme istituzionali che vanta al suo attivo alcuni traguardi non trascurabili.
L’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni ordinarie e a statuto speciale ha finalmente dato stabilità ai governi regionali.
La riforma costituzionale del giusto processo entra pienamente in funzione in questi giorni, grazie alla legge ordinaria di attuazione, approvata definitivamente dal Parlamento la scorsa settimana.
L’avvio della razionalizzazione della legislazione ha portato, tra l’altro, alla predisposizione di 10 nuovi testi unici, 5 già emanati definitivamente e 5 già approvati dal Consiglio dei Ministri, con l’abrogazione di circa 1.000 leggi.
La riforma dell’amministrazione centrale e periferica dello stato, la semplificazione dell’azione amministrativa, hanno portato risparmio, efficienza, innovazione.
Dal 1996 al 2000 i certificati sono passati da 71 a 31 milioni, con un risparmio di spesa per i cittadini e per le imprese pari a 2.200 miliardi di lire per il solo anno 2000.
Lo sportello unico per le imprese funziona pienamente nel 25% dei comuni italiani e i tempi per avviare una attività economica si sono ridotti mediamente da 2-5 anni a 2 mesi.
Dal 1° gennaio scorso il federalismo amministrativo è entrato in funzione, con uno spostamento massiccio di competenze, risorse e personale dal centro alla periferia.
Le funzioni trasferite alle regioni e agli enti locali riguardano settori fondamentali: il sistema delle comunicazioni, il mercato del lavoro, lo sviluppo economico e gli incentivi alle imprese, la tutela del territorio e dell’ambiente, i servizi alla persona. Le risorse trasferite ammontano quasi a 11.000 miliardi annui, cui vanno aggiunti 16.000 miliardi di trasferimenti una tantum.
I dipendenti trasferiti sono 22.500.
La complessa procedura di mobilità del personale e la individuazione degli ambiti territoriali ottimali, necessaria per il trasferimento delle competenze ai comuni, non sono state ancora completate.
Nonostante ciò, la riforma è entrata ugualmente a regime, grazie alle disposizioni contenute nella legge finanziaria per il 2001, che consente di trasferire per un anno alle province le funzioni destinate ai comuni. La legge inoltre permette, sempre per il periodo massimo di un anno, di utilizzare il personale dei vecchi titolari delle funzioni oggetto di trasferimento, in attesa che si concluda la procedura di mobilità.
E’ stato istituito uno specifico fondo di 65 miliardi per superare eventuali difficoltà nella fase di prima applicazione, in modo da garantire il puntuale esercizio delle funzioni attribuite a regioni ed enti locali.
E’ importante che la riforma sia già entrata in funzione, grazie anche alla forte volontà condivisa da Governo, regioni, associazioni degli enti locali, organizzazioni sindacali.
E’ però altrettanto importante completare rapidamente i tasselli che ancora mancano.
Io qui intendo indicare la riforma mancante, quella senza la quale tutto questo lavoro rischia di essere solo parzialmente utile. Mi riferisco alle misure per garantire la stabilità del governo nazionale. E'' un tema che bisogna riportare al centro del dibattito politico e che deve costituire oggetto di un esplicito impegno elettorale di tutte le forze politiche. Le soluzioni possono essere molte; personalmente preferisco la sfiducia costruttiva con l''obbligo per l''eventuale nuovo governo di andare al voto entro un anno dalla sua costituzione. Con la sfiducia costruttiva non sarebbe caduto il governo Berlusconi nel 1994, né il governo Prodi nel 1998.
La necessità di questa riforma è determinata da due esigenze:
a) la peggiore minaccia alla competitività del Paese e al benessere dei cittadini è determinata dall''assenza di garanzie in ordine alla durata dei governi;
b) non si possono avere comuni, province, regioni a governo forte e Stato a governo debole. Il risultato rischia di essere la rottura dell''unità nazionale e l''incapacità di gestire i conflitti tra potere centrale e regioni che inevitabilmente si manifesteranno in questa fase costituente del federalismo; basti pensare a tutto il tema della legislazione concorrente.

Il federalismo si costituisce attraverso il rafforzamento di tutte le istituzioni della Repubblica, non attraverso un progetto di indebolimento dello Stato.

Spero, infine, che le Camere approvino la riforma del famoso Titolo V della Costituzione che voteremo a Montecitorio nella prossima settimana. Se la riforma non venisse approvata, verrebbe bloccata la riforma degli Statuti, perché saremmo a costituzione invariata ed inoltre le regioni pur avendo un presidente eletto direttamente sarebbero prive dei poteri coerenti con questa forma di governo.
Spero che prevalga il senso di responsabilità tanto in ordine alla stabilità del governo nazionale quanto in ordine alla necessità di dotare le regioni dei poteri cui esse hanno diritto.