Raffaele Valensise – l’onestà nella politica


Roma, 12/14/2000


*** Commemorazione dell''onorevole Valenzise promossa dal Gruppo parlamentare di Alleanza Nazionale ***


Le principali qualità di Raffaele Valensise sono state la cortesia umana, il rigore logico, la coerenza politica ed uno straordinario equilibrio.
Non ha mai smesso di essere un gentiluomo, ma non ha mai smesso, allo stesso modo, di essere un militante politico.
Poiché era un uomo di spirito, potremmo dire di lui che è stato militante e gentiluomo. Credo che a lui non dispiacerebbe.

Il mezzogiorno conosce due tipi di borghesia, quella parassitaria, della mediazione permanente con tutto e con tutti, che scambia le risorse pubbliche con i consensi elettorali. Il secondo tipo di borghesia invece ha valori civili, rifiuta lo scambio come misura del potere politico, è illuminata, colta ed ha una visione nazionale dei problemi del Mezzogiorno. Entrambe sono state e sono presenti in tutte le formazioni politiche, sia pure non nella stessa misura.
Raffaele Valensise apparteneva alla seconda borghesia. Nei suoi interventi non si abbandonava alla retorica, ma si concentrava sull’analisi dei problemi, era sempre attento alla materialità delle questioni e alla costruzione di proposte per la loro soluzione.
La sua attività parlamentare, lungo tutti i 26 anni dei suoi mandati, fu nutrita di passione politica, di solida competenza, di puntuale capacità di misurarsi non solo sulle questioni specifiche ma anche sui grandi temi dello sviluppo del Paese.
In un intervento tenuto nell’aprile del 1998 (14 aprile), dopo ben 25 anni di attività parlamentare, manifestava questa sua concezione della politica affermando che ”lo studio e oserei dire la passione, se in politica c’è posto, come a mio giudizio dovrebbe esserci, per la passione”, doveva manifestarsi proprio “in ordine alla soluzione dei problemi”.

Raffaele Valensise, tranne una brevissima parentesi, è stato sempre all’opposizione, guadagnandosi con il suo impegno la stima degli avversari e, cosa non sempre facile in politica, anche quella dei colleghi di partito e di gruppo.

Egli non ha mai smentito la sua appartenenza alla tradizione politica della destra italiana, una tradizione che ha contribuito a rinnovare con convinzione e con passione, condividendo le scelte di Fiuggi e di Verona per la liberazione dalle ipoteche del passato.
Non denigrò mai l’avversario ed usò la critica anche per proporre, sfidando la maggioranza sul terreno della concretezza.
In sede di dibattito sulla fiducia al Governo Prodi, sulla questione del Mezzogiorno disse al Presidente del Consiglio “noi saremo all’opposizione, con animo vigile, quotidianamente vigile … noi la sorveglieremo, noi la talloneremo”. E, subito dopo, “Le faccio anche una proposta concreta…”. E trattò il miglioramento delle strutture intermodali per incrementare lo sviluppo del porto di Gioia Tauro come snodo fondamentale dei traffici commerciali per l’area mediterranea e balcanica, una delle questioni che più gli stavano a cuore sin dagli anni ’80.

Raffaele Valensise non è mai stato schiacciato dal localismo.
Nei suoi discorsi parlamentari, sin dal 1972, egli parla del Mezzogiorno con toni accorati, spesso richiama il dolore e la sofferenza della sua terra, ma non ne fa mai un alibi.
Non fu mai succube di quell’estetica dell’autocommiserazione che ha costituito e costituisce tuttora l’esercizio preferito di nutrite schiere di politici meridionali.

L’impegno per la Calabria e per il Mezzogiorno non è –come ribadì ad un Convegno del suo partito a Reggio Calabria nel novembre del 1997 –“politica localistica, politica legata a piccoli interessi o a piccoli orizzonti” è “politica grande”, consapevolezza che lo sviluppo civile ed economico di quell’area è la condizione essenziale per rendere, nel mercato globale, pienamente competitivo l’intero Paese.

Valensise aveva anche compreso che una leva essenziale per realizzare questo obiettivo è la collocazione geografica del Mezzogiorno.
Per lui il Mediterraneo costituiva una risorsa che era già nelle mani del Mezzogiorno e dell’intera Italia, ma che non era ancora pienamente utilizzata.
“Sul Mediterraneo”, egli affermava, “si affacciano popoli destinati, dal punto di vista demografico, a diventare fortissimi nei prossimi anni. Essi hanno il diritto di accedere e noi abbiamo il diritto ed il dovere di rispondere al loro bisogno di accesso non soltanto alle materie prime, ma ai manufatti, ai prodotti di un’industria avanzata per realizzare insieme una comunità internazionale che sia capace di produrre e di scambiare ciò che ha prodotto”.

L’impegno per il Mezzogiorno era strettamente connesso alla lotta contro la mafia e per la legalità.
Un’azione che portò avanti con notevole coraggio personale e che proseguì anche all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura, dove chiese e ottenne di non essere spostato, come previsto dalle regole di avvicendamento, dalla X Commissione che si occupa dei fenomeni di criminalità organizzata.
Si trattò, lo ha ricordato il Vicepresidente del CSM, dell’unica richiesta che Valensise gli fece, con insistenza, perché quella era una delle sue ragioni di vita.
Era profondamente convinto che per garantire le condizioni di libertà civile ed economica del Mezzogiorno occorreva innanzitutto aumentare il controllo del territorio. “Un controllo”, diceva, “non di pubblica sicurezza, ma di sicurezza per le popolazioni operose, è il primo debito dello Stato nei confronti delle comunità”.
Nell’ultima settimana di presenza alla Camera prima dell’elezione al Consiglio Superiore della Magistratura, aveva richiamato tutti a riflettere sul fatto che ”la criminalità organizzata non è sotto controllo, come forse si ritiene da parte di qualcuno”.
Ognuno di noi deve sentire oggi il valore di questo richiamo.
Questo significa sforzarsi di capire con chi interagisce in questo momento la mafia. Potrebbe trattarsi di un passo fondamentale per ridimensionare il potere mafioso in questa nuova fase e garantire, al Mezzogiorno e all’Italia, il diritto di competere e di integrarsi pienamente nella dimensione civile ed economica europea, perché la mafia è uno dei grandi ostacoli alla competitività del Mezzogiorno.

Egli aveva un forte attaccamento alla cultura delle regole come dimensione essenziale della cittadinanza e come fondamento dell’etica della politica.
Più volte, proprio nel corso dei dibattiti sulla criminalità organizzata, non si stancava di ribadire, accanto alla necessità di un impegno permanente, ordinario, per contrastare il crimine mafioso, la Sua profonda convinzione che “se vogliamo essere liberi dobbiamo essere servitori delle leggi”.

Viviamo uno strano momento della politica, oscillante tra lo scetticismo della fase terminale del postmoderno e lo sforzo di ricostruire una nuova modernità. Questo sforzo assume contenuti diversi a seconda dei valori di riferimento. E’ preoccupante che riemergano, anche in Italia, valori che si richiamano non alla giustizia sociale e alla civiltà ma al sangue e alla terra o a nuove crociate con il necessario corollario della invenzione del nemico totale.
Raffaele Valensise ci suggerirebbe di avere più equilibrio, di non riaprire il cancello degli odi e degli scontri totali, di guardare di più agli interessi veri dell’Italia e del Mezzogiorno.
Questo credo sia stato il significato della sua vita.
Abbiamo il dovere di tenerne conto, oggi che ricordiamo con nostalgia ed affetto questo signore meridionale, gentiluomo per natura e militante per vocazione.