Parlamenti Legislazione Globalizzazione


Teheran - Repubblica islamica dell''Iran, 11/25/2000


*** Lezione presso l''Università statale ***


E’ per me un grande onore poter prendere la parola nella vostra importante università e alla presenza di un uditorio così qualificato.
Vi ringrazio perciò, con particolare calore, per il vostro invito.
Parlerò del problema della legislazione e del ruolo dei Parlamenti in questa particolare fase della storia dell’umanità, caratterizzata dalla globalizzazione.

Perché la scelta di questi temi.
Le ragioni sono più di una e vado con ordine.
1) Innanzitutto perché l’Iran è un giovane grande Paese al quale molti italiani guardano con interesse e simpatia, che io amo particolarmente per la sua grande storia e per la sua grande cultura. Il vostro Paese potrà avere un ruolo decisivo in questa regione del mondo che è particolarmente vicina all’Italia e all’Europa. In particolare i giovani iraniani per il loro numero e per la loro vivacità intellettuale possono costituire una straordinaria ricchezza non solo per il loro Paese.
2) Intendo parlarvi dei problemi che ci pone la globalizzazione e del modo in cui li stiamo affrontando. La delegazione italiana è interessata ad ascoltare le vostre domande e le vostre osservazioni anche per capire come questi problemi sono visti dai vostri occhi e dalla vostra cultura. Abbiamo storie, tradizioni, lingue e culture diverse. Potremmo decidere di non intenderci; ciascuno di noi avrebbe i mezzi per imporre sull’altro la sua visione del mondo. Ma il mondo va avanti solo se i diversi si parlano, solo se ciascuno cerca di capire le ragioni dell’altro. Il mondo va avanti solo se i vecchi metodi della violenza e della persecuzione sono sostituiti dal metodo del dialogo, dell’accettazione delle ragioni di chi la pensa diversamente da noi. Perciò non si può rinunciare al dialogo.
3) I problemi dei quali intendo parlare riguardano tutti i paesi del mondo; nessuno è escluso dagli effetti della globalizzazione anche se questi effetti toccano in modo diverso i diversi paesi. Anche l’Iran deve tener conto della globalizzazione dei mercati, della finanza, delle comunicazioni; non per soggiacervi, ma per poter governare e dirigere questi fenomeni secondo i propri interessi.

Nella prima parte di questa conversazione cercherò di spiegare quali sono i benefici e i costi della globalizzazione e come è necessario assumere misure adeguate per massimizzare i benefici e ridurre i costi.
Nella seconda parte esporrò le ragioni della costituzione dell’Unione Europea ed il modo in cui l’Italia aderisce all’Unione.
Nella terza esporrò il modo in cui il sistema italiano, che è fondato sui principi dello Stato di diritto, sulla separazione tra religione e politica e sul primato della legge approvata dal Parlamento, si sta adeguando ai principi dell’Unione Europea salvaguardando però gli interessi nazionali.

La globalizzazione consiste nell’abbattimento delle frontiere nazionali di fronte alla circolazione delle merci, dei capitali, delle informazioni e delle persone. Questo abbattimento è stato determinato da fattori politici, pensiamo alla caduta dei regimi comunisti legati all''Unione Sovietica; da fattori tecnologici, pensiamo ad internet o alla tv satellitare; da fattori economici, pensiamo alle politiche del Fondo monetario internazionale o della Banca mondiale che tendono ad omologare le economie di tutti i paesi a quelle dei paesi a più avanzata struttura capitalistica.
Le principali conseguenze sono:
a) l’economia è diventata più forte della politica perché l’economia è diventata mondiale mentre la politica è rimasta nazionale;
b) si sono costituiti centri di decisione economica (grandi multinazionali, colossi bancari e finanziari) privi di legittimazione democratica, ma provvisti di una spettacolare efficacia che spesso le istituzioni democratiche non hanno;
c) gli stati nazionali cercano di riprendere nelle proprie mani le redini della sovranità costituendo alleanze sovranazionali per meglio governare i processi di globalizzazione. Una di queste alleanze è appunto l’Unione Europea.

La globalizzazione è oggetto di contrapposti furori. A volte esaltata come nuovo rinascimento dell’umanità, altre volte demonizzata come radice di tutte le moderne devastazioni.
Si tratta di rappresentazioni errate.
La globalizzazione è come la legge di gravità o, se volete, è come il temporale: consiste in un dato oggettivo. Esiste e va utilizzata.

La globalizzazione ha fatto crescere la ricchezza: ha fatto registrare negli ultimi 50 anni un aumento del PIL mondiale di dieci volte, da 3 mila miliardi a 30 mila miliardi di dollari; ha fatto circolare la cultura e l’informazione, ha reso più difficile la vita dei sistemi non democratici e ha reso più facile la diffusione dei valori civili.

Peraltro assistiamo ad un preoccupante allargamento della forbice economica già esistente tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo.
Oggi il 20% della popolazione più ricca del mondo possiede l’86% del PIL mondiale, mentre il 20% più povero possiede solo l’1% di questo PIL. Il 20% più ricco del mondo possiede il 74% delle linee telefoniche mondiali e costituisce il 93% degli utenti di Internet. Il 20% più povero possiede l’1,5% delle linee telefoniche e lo 0,2% delle utenze Internet.
Oggi chi partecipa alla globalizzazione gode di migliori condizioni di vita mentre l’esclusione dalla globalizzazione genera o non permette di superare condizioni di povertà. Questo vale sia all’interno degli Stati più progrediti, sia nel rapporto fra Paesi ricchi e Paesi poveri.
Ma l’esclusione dalla globalizzazione non riguarda solo l’incapacità di provvedere ai bisogni umani di base. La questione è molto più complicata perché i modelli di consumo ed il tenore di vita dei paesi ricchi, associati alla globalizzazione, hanno forti effetti di attrazione. Tutti i cittadini del mondo, anche i poveri e gli esclusi sono esposti ai messaggi consumistici presentati loro dai mezzi telematici. Ciò crea attese ed aspirazioni che non possono essere soddisfatte. Le reazioni degli esseri umani di fronte a queste frustrazioni sono diverse. Alcuni cercano una scorciatoia con la droga, il crimine o la violenza. Altri cercano rifugio nel fanatismo etnico, culturale o religioso).
Tutto questo non è positivo.

Ma è inutile opporsi alla globalizzazione; ripeto, sarebbe come opporsi alla legge di gravità. E’ invece necessario governare la globalizzazione in modo tale che essa diventi un fenomeno inclusivo, che sappia coniugare crescita economica, democrazia e giustizia sociale.
Di fronte alla globalizzazione i sistemi di governo incontrano alcune difficoltà: a) l''idea stessa di nazione è in crisi; b) in moltissimi casi la politica rischia di essere scavalcata dall’economia; c) le regole nazionali rischiano di essere travolte dai processi transnazionali economici e finanziari.
Inoltre, i Paesi che non riescono a partecipare ai vantaggi della globalizzazione rischiano di avere un ruolo marginale nelle relazioni internazionali. Conseguentemente essi non potranno né stimolare né rafforzare la fiducia dei cittadini nei principi della democrazia rappresentativa della quale i Parlamenti costituiscono la massima espressione. Non va dimenticato quanto ha detto il presidente Khatami a proposito della democrazia rappresentativa: “ che si abbia il rifiuto dell’ingerenza della religione nella politica, o, di contro, si proceda addirittura all’instaurazione di uni stato religioso, l’essenziale è che la decisione riguardante le condizioni di vita del popolo sia presa per volontà del popolo.”. Ed il popolo, com’è noto, esprime la sua volontà nel pluralismo politico della rappresentanza parlamentare.

Nei sistemi occidentali il principio di legalità è contrassegnato dal primato della legge approvata dai Parlamenti, dalla conseguente organizzazione gerarchica delle fonti entro la dimensione nazionale e dalla stabilità delle norme fondamentali. Oggi questi fattori si presentano indeboliti: la società si organizza secondo uno schema orizzontale, a rete, composto da diversi sistemi relativamente autonomi e comunicanti fra loro; il rapidissimo mutamento delle tecnologie rende la flessibilità e non la stabilità fattore determinante di successo; l’esposizione alla competizione internazionale delle economie induce una nuova geografia dei fattori produttivi che si ridisegna spesso ignorando i confini tra gli Stati e seguendo invece le logiche segnate dai vantaggi competitivi delle diverse regioni del globo.

Ora passo alla seconda parte della mia esposizione, quella relativa alle ragioni dell’Unione Europea e al modo in cui l’Italia vi partecipa.
Lo sviluppo dell’Unione europea è stato promosso dagli stati membri proprio in questi ultimi decenni per rispondere, in modo adeguato, a questi fattori di trasformazione nel rispetto della tradizione democratica europea.

Siamo stati per tempo consapevoli che gli stati nazionali non sarebbero riusciti da soli a governare la globalizzazione. Con la creazione di una organizzazione sovranazionale dotata di autonomi poteri normativi puntiamo invece alla armonizzazione delle regole che attengono all''economia produttiva e al commercio. Intendiamo realizzare il pieno sfruttamento dei nostri fattori produttivi, garantendo il principio di concorrenza e la libera circolazione di persone, capitali e merci; semplificare i nostri sistemi normativi in modo da eliminare tutti gli inutili ostacoli allo sviluppo; e allo stesso tempo promuovere alcuni valori fondamentali di solidarietà e di equità sociale che fanno parte del patrimonio genetico dell’Europa e possono essere anch’essi considerati un vantaggio competitivo nello scenario mondiale.

L’unificazione europea è stata ed è forse la principale via di modernizzazione dei paesi europei nei tempi più recenti. Attraverso di essa le nostre economie si sono gradualmente adattate alla condizione del mondo contemporaneo acquisendo la dimensione e la velocità di produzione e di scambio necessaria.

L’Unione europea ha richiesto ai governi, ai Parlamenti e alle forze politiche la capacità di avere una visione più ampia e più lungimirante, di discutere singole questioni concrete nel quadro di diverse visioni dell’interesse nazionale, verificando la compatibilità tra obiettivi immediati e obiettivi di medio e lungo termine.

Tuttavia il percorso verso l’integrazione europea non è stato facile per nessun Paese.

A tutti i paesi dell’Unione la partecipazione all’ordinamento comunitario è costata sforzi enormi in termini di adeguamento dei rispettivi sistemi legislativi e di razionalizzazione delle principali politiche economiche e sociali. La politica di riequilibrio del bilancio, ad esempio, ha comportato una radicale riforma di tutta la legislazione di entrata e di spesa: il mio paese è passato da un deficit annuale pari a oltre 11 punti sul PIL nel 1990 a meno di 3 nel 1998 e a meno di 2 punti nell’anno in corso. Le politiche per le privatizzazioni hanno trasformato il ruolo dello Stato nell''economia determinando maggiori entrate per il bilancio pari a 152 miliardi di lire dal 1993 al 1999 (oltre 75 miliardi di dollari), il rilancio delle attività di borsa, la progressiva eliminazione di tutti i monopoli di stato e la costituzione di autorità di regolazione indipendenti a tutela dell’interesse pubblico, nel rispetto del principio di concorrenza.

Le politiche richieste dall’Unione europea sono molto complesse e su di esse non è sempre facile raggiungere il consenso politico e sociale. Nel contempo, proprio queste difficoltà spingono verso decisioni prese soltanto dai governi, senza l’intervento dei Parlamenti, o dai tecnocrati delle amministrazioni interessate.
Da un lato, quindi, vi è una spinta verso una politica e una legislazione di maggiore qualità ed efficienza, dall’altro c’è il rischio di escludere i parlamenti, come avveniva nei regimi autoritari di tre secoli fa in Europa, o di far cadere la democrazia nelle mani di ristretti centri di potere non controllati dai cittadini.

Infatti, in tutta una prima fase, questo processo è stato prevalentemente guidato a livello centrale da élite politiche e tecnocratiche appartenenti agli esecutivi dell’Unione europea e degli stati membri ovvero alle strutture tecnocratiche di grande prestigio come le banche centrali.

Il ruolo dei Parlamenti è stato importante nel legittimare, sostenere e controllare le scelte fondamentali, ma non è stato al centro della formazione delle politiche legislative europee.

Oggi siamo in una seconda fase perchè si è finalmente diffusa la consapevolezza della gravità di questo deficit democratico.


Perciò con il trattato di Amsterdam, entrato in vigore lo scorso anno, è stato adottato un protocollo che valorizza il ruolo dei Parlamenti nazionali dei singoli paesi sia nella formazione della normativa comunitaria che nella sua attuazione. Questo principio sarà ulteriormente sviluppato nella prossima riforma della UE, che si sta preparando nella Conferenza intergovernativa di Nizza che si terrà il 7 dicembre.

Con lo stesso trattato di Amsterdam, il Parlamento Europeo, assemblea eletta direttamente dai cittadini europei, ha acquisito un vero potere di controllo e di veto sulla parte principale della legislazione comunitaria ed ha sancito il principio della cooperazione con i Parlamenti nazionali.

I Parlamenti nazionali, a loro volta, devono adeguare le proprie modalità di funzionamento alla complessità dei nuovi processi normativi e alla velocità del mondo contemporaneo.

Passo ora alla terza parte del mio intervento che riguarda il modo in cui il sistema italiano, fondato sui principi dello Stato di diritto, sulla separazione tra religione e politica e sul primato della legge approvata dal Parlamento, si sta adeguando ai principi dell’Unione Europea salvaguardando però gli interessi nazionali.

Il filo che lega le iniziative in corso si svolge intorno all’idea che i Parlamenti, come depositari della rappresentanza generale, devono essere preparati a reggere il confronto con i temi posti dalla globalizzazione e dall’interdipendenza. Il tema è: come decidere con maggiore velocità e flessibilità rispettando il pluralismo proprio dei Parlamenti e disponendo di tutte le informazioni necessarie per decidere in modo conveniente.

Altrimenti cresce il rischio che le democrazie possano essere sostituite da oligarchie e che la politica soccomba all’economia.

Su questo insieme di problemi i Presidenti dei Parlamenti appartenenti all''Unione Europea hanno costituito ad Helsinki, nel 1997, un gruppo di lavoro, che ho avuto l’onore di coordinare e che per 3 anni ha lavorato sul tema della legislazione.

La Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti appartenenti alla UE ha infatti avvertito in modo urgente e quasi drammatico, di agevolare l’accesso dei Parlamenti a tutte le informazioni necessarie, di facilitare in ogni modo le relazioni tra la società civile e le istituzioni parlamentari, di trovare un punto di equilibrio tra tecnicismi e legittimazione democratica.


I suoi lavori si sono conclusi lo scorso 23 settembre, con una ampia discussione nell’ambito della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti appartenenti all’Unione europea.

Hanno cooperato con il gruppo di lavoro anche l’OECD e l’Istituto Universitario Europeo di Firenze, come organismi particolarmente esperti nella comparazione delle politiche legislative in campo europeo e mondiale.

Sia l’OECD sia il gruppo di esperti promosso dall’Istituto Universitario Europeo hanno redatto loro specifici rapporti sul ruolo dei parlamenti per migliorare la qualità della legislazione.

Lo studio sul ruolo dei Parlamenti nei processi di modernizzazione, ci ha portato a condividere l’idea che al termine della corrente fase di passaggio, la forza dei Parlamenti dipenderà dalla capacità di:

a) decidere sui principi fondamentali e sui grandi indirizzi, lasciando ad altri le questioni di dettaglio;
b) decidere la distribuzione dei restanti poteri normativi tra le altre istituzioni;
c) valutare e filtrare le questioni particolari alla luce di un contesto generale e intervenire tempestivamente su quelle che assumono maggiore importanza alla luce di tale contesto;
d) controllare i risultati complessivi e finali delle leggi e delle politiche pubbliche dal punto del vista del cittadino;
e) verificare il rapporto costi e benefici e adottare la soluzione più semplice compatibile con gli obiettivi;
f) modificare rapidamente le norme che non funzionano o sono superate rispetto ai continui cambiamenti economici, sociali o tecnologici;
g) assicurare la conoscibilità e la comprensione delle conseguenze giuridiche per i privati, delle famiglie e delle imprese.


Il Parlamento italiano lavora da circa quattro anni per realizzare questi obiettivi.

Abbiamo progressivamente introdotto una serie di specifiche procedure dirette a migliorare la qualità della legislazione.
In particolare nel regolamento della Camera sono previste già dal 1989 procedure per le quali tutte le Commissioni e l’Assemblea intervengono ogni anno per decidere con uno specifico documento le grandi linee della politica di bilancio e i principali obiettivi della legislazione da approvare durante l’anno successivo (approvazione del documento di programmazione economico-finanziaria).
Dallo stesso anno funzionano regolarmente procedure per la quantificazione dei costi economici di ciascuna delle leggi in corso di approvazione.
Si prevede che il governo debba presentare una relazione tecnica su ogni progetto di legge che ne quantifichi i costi. Un ufficio parlamentare, quindi del tutto autonomo dal governo, verifica metodologia e dati della valutazione e presenta una nota, che poi viene discussa nella commissione competente alla presenza del ministro interessato, che risponde alle osservazioni e ai chiarimenti richiesti.
Nel 1998 sono state introdotte norme che prevedono di adottare lo stesso metodo per la valutazione dell’impatto delle nuove norme sui cittadini, sulle imprese e sulle autonomie locali e sulla pubblica amministrazione.
A questo fine il governo d’intesa con il Parlamento sta ora sperimentando un nuovo tipo di relazione tecnica, che si chiamerà “analisi di impatto”, secondo i modelli definiti dall’OECD. Anche questa relazione sarà trasmessa e verificata in Parlamento dalle Commissioni sulla base di note predisposte da uffici specializzati. La stessa metodologia sarà adottata per verificare gli effetti reali delle principali leggi approvate.

Sempre nel 1998, è stato costituito un Comitato per la legislazione che lavora a stretto contatto con il Presidente della Camera. Questo Comitato esamina i progetti di legge su richiesta di un piccolo gruppo di deputati e esprime parere sulla chiarezza, la coerenza delle nuove norme rispetto alla legislazione vigente e la loro capacità di semplificare o complicare le procedure. Questo Comitato esamina anche tutte le leggi che conferiscono autonomi poteri normativi al governo o altre autorità.

La esperienza svolta da questo Comitato nei primi due anni di attività è stata molto importante ed ha portato a constatare come per migliorare la qualità della legislazione serve la cooperazione di tutte le istituzioni che elaborano o applicano le norme ai casi concreti. E’ nata così l’idea di convocare in Parlamento ogni sei mesi conferenze interistituzionali sulla legislazione cui sono invitati, oltre al governo, le autonomie regionali, le più alte magistrature, accademici e i massimi esperti sui problemi della legislazione, anche in campo internazionale (come l’OECD).

Ciascuno di questi soggetti rimane naturalmente del tutto autonomo nello svolgimento delle proprie specifiche competenze, ma queste conferenze servono ad individuare insieme i problemi concreti di funzionamento perché ciascuno faccia meglio la sua parte nella formazione e nell’applicazione della legge.


Vorrei concludere osservando che la complessità dei sistemi legislativi è un fenomeno strettamente legato ai cambiamenti interni allo scenario internazionale.

Dobbiamo pertanto abituarci a convivere con la complessità e la velocità, senza pretendere di poter ritornare ad una preesistente condizione di semplicità legislativa. Ad un mondo complesso non possono corrispondere leggi semplici. La modernizzazione passa invece attraverso la capacità di governare e controllare una molteplicità di centri di produzione normativa senza indebolire fondamentali garanzie di legalità democratica.

Abbiamo imparato dal nostro prolungato lavoro sui dati essenziali sulla legislazione che la chiave strategica è l’informazione che i governi ed altri organi devono fornire ai Parlamenti.



I Parlamenti, istituzioni senza le quali non c’è democrazia, sono l’unico strumento fino ad ora inventato per risolvere il problema della rappresentanza articolata e pluralistica delle comunità.

Nessun altro soggetto, per quanto potente, può competere su questo terreno con il Parlamento.
E'' utile che le nazioni amiche lavorino insieme per rendere più forti i Parlamenti. Parlamenti più forti rendono più forti i governi, più sicure le nazioni, più fiduciosi i cittadini, più certo l’avvenire delle generazioni future.