Dialogo parlamentare sulle antiche civiltà mediterranee (egizia, greca, persiana, romana)


Teheran - Repubblica islamica dell''Iran, 11/26/2000


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Sono lieto di partecipare all’inaugurazione del secondo seminario organizzato nell’ambito del Dialogo parlamentare sulle antiche civiltà mediterranee, che ha preso le mosse lo scorso anno con la Dichiarazione di Roma, sottoscritta dalle Camere di Egitto, Grecia, Iran ed Italia.
E’ significativo che l’odierno incontro – il primo fuori d’Italia – abbia luogo a Teheran e sia ospitato in questo prestigioso istituto di ricerca che ho avuto modo di apprezzare in modo particolare nel corso della mia precedente visita nell’aprile 1998.
Siamo, infatti, alla vigilia del 2001, l’Anno delle Nazioni Unite per il Dialogo tra le civiltà, che è stato proclamato proprio a seguito di un’iniziativa promossa personalmente dal Presidente Mohammad Khatami, nel duplice intento di superare il clima di contrapposizione tra le culture di diversa estrazione e di arginarne l’omologazione.

Ringrazio, perciò, con amicizia il collega Mehdi Karroubi, Presidente dell’Assemblea consultiva islamica, per l’invito a questo seminario cui la Camera dei deputati ha chiamato a partecipare alcuni esponenti di spicco della cultura italiana, impegnati a livello internazionale.
La globalizzazione può avere come effetto verso l’affermazione di una cultura unica quale riflesso del mercato unico. Ma la cultura unica è, in realtà, una non-cultura.
La scelta del dialogo tra le culture è la primncipale opportunità a nostra disposizione per salvaguardare le singole identità delle civiltà, che sono una risorsa umana inestimabile.
Il dialogo può così diventare la modalità di promozione di un’alleanza tra le culture che abbiano raggiunto la consapevolezza di dover affrontare un percorso comune.
L’impegno del dialogo tra le civiltà deve rivolgersi a questo fine essenzialmente sul piano della comunicazione del dialogo, per due principali ragioni. Prima ragione: lo scambio rischia di costituire la misura di tutte le relazioni umane, in una prospettiva, che nessuno considera desiderabile, della “mercificazione globale”.
Seconda ragione: lo strumento della comunicazione ne influenza i contenuti. La tecnologia non è neutrale; essa può influenzarci in modo determinante. Si pensi alla rivoluzione telematica, che pure ha annullato le barriere spazio-temporali ancor più delle scoperte geografiche oppure del trasporto aereo. La velocità della comunicazione sta riducendo lo spazio del pensiero critico .
Il computer, che è forse il simbolo dell’età post-moderna, è senz’altro uno straodinario mezzo di diffusione della libertà e del pensiero, ma è appunto soloo un mezzo che non deve omologare i suoi utenti.
Ai rischi derivanti dalla velocità della comunicazione si aggiungono quelli derivanti dalla quantità di informazione che si rovescia quotidianamente sui nostri tavoli; oggi l’informazione è appiattita sul presente ed è perciò costretta ad ignorare la memoria storica.
La comunità internazionale ha, dunque, un forte bisogno delle cultura per salvaguardare le diverse identità.
In questa prospettiva, la contrapposizione tra le culture è una battaglia persa in partenza da tutti i contendenti, mentre ciascuna cultura può legittimare se stessa legittimando le altre culture solo attraverso la cultura.

Ciò vale, in particolare, nelle relazioni tra la cultura europea e la cultura islamica, tra cui esistono ancora troppe incomprensioni, determinate dalla scarsa conoscenza delle diverse realtà. Esse generano un''immagine negativa dell''una e dell''altra. E'' invece indispensabile che il mondo europeo assuma un atteggiamento maggiormente aperto verso il mondo islamico, in modo paritario e non paternalistico, e che il mondo islamico, a sua volta, inizi a conoscere meglio il mondo europeo non confondendolo in un indistinto occidente.
Oggi i Paesi musulmani guardano all''Occidente come ad un''unica entità, senza fare distinzioni tra la realtà europea e quella nordamericana. L''Europa deve impegnarsi a modificare tale percezione, rivendicando nel dialogo internazionale la specificità del proprio modello culturale, che coniuga sviluppo e giustizia sociale.

Ciò comporta, innanzitutto, il superamento della visione euro-centrica e quindi un ripensamento critico delle fasi storiche in cui il rapporto tra mondo europeo e mondo islamico si è articolato nel passato più recente.
Nell’arco del ventesimo secolo, tale rapporto ha attraversato tre fasi. La prima metà del 900 ha visto consumarsi l’ultima esperienza del colonialismo, in cui le grandi potenze europee – ed in particolare la Gran Bretagna e la Francia – dominavano il Mediterraneo ed il Medio Oriente e determinavano le condizioni politiche e sociali della regione.
Ad essa ha fatto seguito la fase della rivendicazione dell’indipendenza da parte di quei Paesi. La crisi di Suez del 1956 può esserne considerata lo spartiacque decisivo. Come era inevitabile a causa della precedente oppressione, il mondo islamico ha riaffermato la sua autonomia in termini fortemente polemici nei confronti dell’Occidente. Ne è stata conseguenza il delinearsi di un quadro lacerato delle reciproche relazioni.
La fase che oggi stiamo vivendo è quella della possibile ricomposizione di questa frattura. Tale prospettiva si gioca soprattutto sul nuovo modello di convivenza che sapremo costruire nell’area che va dal Mediterraneo al Vicino Oriente e che rappresenta, infatti, il cuore di quel continuum comunitario euro-islamico, che è il frutto della storia delle nostre civiltà e dei nostri popoli.
Egitto, Grecia, Iran ed Italia possono giocare un ruolo decisivo in questo processo, proprio perché condividono non solo l’eredità di antiche civiltà, ma anche la natura di Paesi di frontiera: essi sono stati, al tempo stesso, centri di irradiamento e luoghi di interscambio.
Nell’ambito delle relazioni internazionali, del resto, la dimensione culturale sta assumendo un sempre maggiore rilievo. Tocca, tuttavia, ai Parlamenti, in quanto espressione democratica dei popoli che rappresentano, far compiere al dialogo tra le civiltà un ulteriore passo in avanti, e cioè nella direzione della società civile dei rispettivi Paesi, e non soltanto delle istituzioni.
Gli appuntamenti in programma in Egitto e in Grecia nel prossimo anno saranno dedicati, rispettivamente, all’individuazione degli strumenti di politica culturale che potranno rendere permanente il dialogo e alla riflessione sul ruolo dei Parlamenti in tale contesto.
L’incontro odierno ha, a mio avviso, per la sua inclinazione filosofica, una funzione preliminare.
Si tratta di sgombrare il campo dai pregiudizi, di rinunciare ad ogni pretesa egemonica e di conseguire, quindi, un’autentica disponibilità al dialogo.
Il mio punto di partenza è inevitabilmente quello della cultura occidentale. Ritengo opportuno un ripensamento di alcune idee che in Occidente abbiamo a lungo considerato come imprescindibili punti di riferimento. Farò un esempio.
L’idea stessa del dialogo interculturale nella tradizione occidentale si porta dietro una pesante ipoteca. Essa è, infatti, stata intesa nel senso che tale dialogo fosse finalizzato soprattutto a far emergere un comune tessuto connettivo. Si prefigurava così una soluzione universalistica - tutto sommato non molto diversa dall’oggi temuta cultura unica - che in fin dei conti portava all’assorbimento delle altre culture nella tradizione culturale occidentale. E’ stato un errore.
E’ forse venuto il momento di capire che il frutto del dialogo può invece rintracciarsi più semplicemente nel ritrovare nelle altre civiltà non tanto l’elemento comune oppure somigliante, ma piuttosto la nota della diversità perché è proprio da quest’ultima che può trarsi nuova linfa.
Allo stesso modo, credo che noi occidentali dovremmo fare i conti anche con un altro principio che pure abbiamo posto a fondamento della nostra società, e cioè il valore della tolleranza. L’Illuminismo lo ha definito come il diritto alla libera espressione da parte di tutti cui deve essere garantito il massimo rispetto. Oggi, però, questa dimensione non ci soddisfa più: la stessa parola “tolleranza” finisce per rinviare alla sopportazione dell’altro.
Il futuro dovrebbe essere costituito da sistemi culturali plurali, e cioè da reti di relazioni tra le culture, in cui la loro diversità e specificità sia messa a frutto in un’ottica di cooperazione e di comprensione non di assorbimento o di prevaricazione. A questo fine mira l’iniziativa del dialogo tra le civiltà e mi auguro che dai lavori odierni possano provenire utili indicazioni in tal senso.