Conferenza dei Parlamentari di origine italiana


Roma, 11/20/2000


*** Intervento in Aula ***


Signor Presidente del Senato della Repubblica, Signor Presidente dell’Assemblea nazionale francese, Signor Presidente del Consiglio nazionale monegasco, Signori Vicepresidenti del Senato della Nazione argentina e del Congresso della Repubblica peruviana;

Cari Colleghi,
ho l’onore di dichiarare aperti i lavori della Conferenza dei parlamentari di origine italiana, che la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica hanno congiuntamente promosso, d’intesa con il Comitato Organizzatore della prima Conferenza degli italiani nel mondo.
L’occasione riunisce eccezionalmente, per la prima volta nella nostra storia, i rappresentanti elettivi dei Paesi in cui hanno sede comunità di origine italiana ed è resa solenne dal protocollo della seduta comune delle due Camere.
Desidero, innanzitutto, dare il benvenuto e rivolgere un sentito ringraziamento alle colleghe ed ai colleghi parlamentari che hanno accettato l’invito e sono qui convenuti da tante parti del mondo, in maniera così larga e rappresentativa.
Ringrazio, altresì, per la loro partecipazione i componenti della Camera e del Senato, nonché del Parlamento europeo, che sono intervenuti in rappresentanza delle rispettive Assemblee.
Desidero sottolineare, in modo particolare, la presenza dei Presidenti dei Consigli delle Regioni e delle Province Autonome.
Noi stiamo costruendo un sistema federale per dare più peso alle realtà territoriali e la Camera dei Deputati ha avviato da tempo rapporti continuativi con i consigli regionali per costruire quella rete delle rappresentanze elettive che costituirà nel futuro la nuova struttura costituzionale del nostro Paese.
Le Regioni e le province autonome siedono oggi in quest’Aula perché sono sempre più parte costitutiva del sistema politico italiano.
Molte di esse, inoltre hanno una propria politica e proprie relazioni con le comunità italiane all’estero e quindi, oltre alla ragione politica e costituzionale, c’è questo motivo più contingente che spiega la loro presenza in quest’Aula.

Saluto, infine, gli ospiti che assistono ai lavori dalle tribune: le autorità, gli ambasciatori, i componenti del Comitato Organizzatore della prima Conferenza degli italiani nel mondo e i componenti del Consiglio generale degli italiani all’estero.

Cari Colleghi,
siamo tutti entrati nell’età della globalizzazione e della interdipendenza. Sono disponibili tecnologie che annullano le distanze geografiche, che fanno circolare le idee e le conoscenze superando ogni censura politica, che hanno moltiplicato le possibilità di dialogo in tutto il mondo sviluppato.
E’ uno straordinario progresso.
Ma non ci sfuggono i rischi della globalizzazione.
Non ci sfuggono i rischi della cultura unica e della lingua unica.
Non ci sfuggono i rischi di un sistema che ci prepara una risposta per tutto, ma che diseduca a porre le domande.
Ciascun computer mette davanti al suo utente un gigantesco shop center in cui tutto è uguale, dalla pornografia più miserabile alla Divina Commedia.
La globalizzazione inoltre riguarda il mercato, la finanza, la comunicazione, ma non riguarda ancora i valori civili. Questo squilibrio rischia di porre in primo piano lo scambio come principio di tutte le cose, per cui vale solo ciò che può essere scambiato e non vale ciò che non ha valore di scambio.
Solo la valorizzazione delle culture può prevenire questi rischi. Ho usato il plurale di proposito, perchè la cultura come libera manifestazione dell’intelligenza umana è per definizione plurale.
L’Italia ha nella cultura la sua forza maggiore. Non solo perché è il Paese che ospita sul proprio territorio il 90% dei beni culturali censiti dall’Unesco ma perché la cultura italiana è nata ben prima dell’Italia politica.
Dante parla dell’Italia sei secoli prima dello Stato italiano e fu riconosciuto dai suoi contemporanei come scrittore italiano.
Boccaccio, in una sua novella, fa dire al narratore che in una casa particolarmente accogliente di Napoli c’erano siciliani, milanesi, toscani e aggiunge molti altri italiani.
Gli architetti italiani che hanno costruito in tante parti del mondo nel corso dei secoli, furono riconosciuti come italiani a Praga o a Mosca, come in qualunque altra capitale del mondo, ben prima che nascesse lo Stato italiano.

La cultura italiana, nella sua millenaria storia, è fatta di versatilità e di permeabilità, capace di mediare fra tradizione ed innovazione, pronta ad arricchire e ad arricchirsi nei contatti con le altre culture.
Il senso di umanità, la creatività e la flessibilità caratterizzano il modo di essere degli italiani e sono alla base di una realtà economica e sociale che ha realizzato un costante punto di equilibrio tra lo sviluppo economico e qualità della vita.
Questa è stata la forza che ha animato gli emigranti italiani nella progressiva integrazione nelle società di accoglienza ed è proprio quell''esempio che può oggi essere utile all''Italia per riuscire a pensarsi a sua volta come una società di accoglienza, capace di accettare il radicamento delle altre culture perché consapevole della sua identità.

Onorevoli colleghi,
non mi nascondo che in questo tipo di iniziative il rischio del nazionalismo è dietro la porta. Ma è un rischio che resterà lontano da noi. Non c’è un intento celebrativo dietro questa iniziativa.
C’è invece l’intento, dopo circa un secolo di trascuratezza, di dare un senso ed un valore alle comunità italiane nel mondo e a voi che avete ottenuto la fiducia dei nuovi mondi ove i vostri nonni o i vostri padri si sono trasferiti.
Le vostre famiglie vi hanno trasferito una loro immagine dell’Italia, che forse non corrisponde all’Italia di oggi.
Forse qualcuno di voi non era mai venuto qui a Roma.
Noi vogliamo parlarvi anche dell’Italia di oggi, che lega insieme passato e futuro, che fa parte dell’Unione Europea, che ha risanato i suoi conti pubblici, che è il terzo Paese al mondo per le operazioni di peace keeping ed il quinto al mondo per PIL pro capite.
Ci possono purtroppo essere guerre tra paesi che hanno rapporti commerciali; ma non ci sono mai state guerre tra paesi che hanno intensi rapporti culturali.
La cultura italiana, degli italiani d’Italia e degli italiani fuori d’Italia, nel rispetto delle nuove appartenenze, può favorire la creazione di relazioni che puntino all’arricchimento civile, al primato dei valori della dignità umana, alla libertà di scelta di ogni uomo e di ogni donna.
La nota distintiva dell’odierna Conferenza sta proprio nell’aver intrecciato una matrice culturale comune con la varietà delle altre culture di provenienza. E’ un valore aggiunto del tutto originale nelle relazioni interparlamentari, che può essere messo a frutto per realizzare una rete di cooperazione tra le nostre rispettive Assemblee che si faccia portatrice della missione di sostenere e diffondere le ragioni dell’integrazione, del rispetto e della civile convivenza tra i popoli.
Una prima iniziativa in questa direzione potrebbe essere assunta proprio nel 2001, che le Nazioni Unite hanno proclamato Anno del Dialogo tra le Civiltà e le Culture.
Mi auguro infine che questo incontro abbia nel futuro scadenze fisse per dare continuità e profondità ad un impegno che, per il rispetto che si deve all’emigrazione italiana, non può limitarsi a questi due giorni.