La democrazia decidente


Camerino, 11/25/1996


*** Inaugurazione dell''anno accademico dell''Università degli Studi di Camerino


Oggi, in Italia, c’e’ un dibattito intenso sulle riforme costituzionali, ma non c’e’ una vera e propria “lotta per la Costituzione”.
L''espressione “lotta per la Costituzione” denota l’esistenza di uno scontro tra i partiti, che ha ad oggetto non singole specifiche politiche (della sanita’, della scuola o dei trasporti), ma i contenuti di una nuova carta costituzionale.

Il tema e’ stato evitato da tutti i contendenti nella ultima campagna elettorale per le elezioni politiche ed ancora oggi il terreno di scontro sembra piu’ procedurale, assemblea costituente o commissione bicamerale, che sostanziale , tanto piu’ che sulla definizione dei terreni di revisione costituzionale, la forma di Stato e la forma di governo, non c’e’ dissenso.

Naturalmente a nessuno sfugge che la contrapposizione sul modo di giungere alla riforma costituzionale, se attraverso la commissione bicamerale o attraverso l’assemblea costituente, e’ piena di significati impliciti essendo evidente che la scelta dell’assemblea puo’ trascinare con se’ la messa in discussione di tutta la Costituzione.

Tuttavia la critica della bicamerale, senza nulla togliere agli autorevolissimi sostenitori dell’assemblea costituente, deve fare i conti con alcune obiezioni pratiche sinora non affrontate. La scelta per la commissione bicamerale e’ stata gia’ fatta in prima lettura da circa il 90% dei parlamentari solo tre mesi fa e tutti sanno che lasciar decadere questa scelta, per avviare l’altra, significa:

a) dover spiegare ai cittadini le ragioni della resipiscenza;

b) approvare una nuova legge costituzionale con un percorso certamente molto accidentato;

c) superare il referendum che verrebbe probabilmente richiesto a norma dell’articolo 138 della Costituzione;

d) indire nuove elezioni;

e) fare una campagna elettorale;

f) votare.

Prima di un anno e mezzo e’ percio’ difficile che l’assemblea costituente possa cominciare a dare i suoi frutti mentre la Commissione bicamerale, se approvata anche in seconda lettura con la maggiorana dei due terzi, dovra’ presentare le sue proposte alle Camere entro giugno prossimo.

E’ probabile che al Paese prema arrivare al traguardo al piu’presto possibile, piuttosto che discutere ancora del tipo di cavallo da cavalcare.



Non c’e’una lotta per la Costituzione, ma non viviamo tempi di concordia.

La lotta in corso ha ad oggetto la modernizzazione del Paese.

Se si guarda alle posizioni dei tre contendenti, L’Ulivo, il Polo e la Lega, e’ comune il giudizio sulla vecchiezza del sistema politico-istituzionale e sulla necessita’ di modernizzarlo.

A questo punto, pero’, le strade si dividono perche’ ciascuno dei soggetti in campo ha un suo progetto. Tuttavia questa divisione, almeno per quanto attiene ai due maggiori contendenti, non puo’ prescindere da una costatazione.

La determinazione di regole costituzionali nuove avviene, lo ha sintetizzato recentemente Gustavo Zagrebelsky, secondo due moduli tra loro alternativi.

Il primo consiste nella volonta’ impositrice di un soggetto vincitore che domina il vinto ed impone la propria regola.

Il secondo consiste nell’accordo costituzionale, in cui ciascuno rinuncia ad una parte delle proprie pretese per conseguire una utilita’ generale.

Le condizioni politiche non consentono di dire che oggi esista un soggetto in grado di manifestare una concludente volonta’ impositrice sul suo avversario.

Non abbiamo alle spalle ne’ una guerra di Liberazione, come l’Italia del 1946, ne’ un’Algeria, come la Francia gaullista, ne’ un radicale cambio di regime politico, come la Spagna democratica.

Sara’ quindi giocoforza cercare un accordo, e in tempi non lunghi, per evitare ai cittadini alle imprese ed alla pubblica amministrazione ulteriori danni derivanti dal ritardo delle riforme.



Che cosa vuol dire modernizzare un Paese?

La fondamentale differenza tra un paese non moderno ed un paese moderno e’ nella velocita’, nella complessita’, nelle liberta’, tanto nelle liberta’ di agire quanto nelle liberta’ dal bisogno.

I paesi piu’ moderni hanno piu’ velocita’, piu’ complessita’, piu’ liberta’. Gli altri sono meno veloci, piu’ semplici ed hanno meno liberta’.

Cio’ che rende l’Italia un paese non sufficientemente moderno e'' essenzialmente la lentezza decisionale del sistema politico. Abbiamo una societa’ veloce, dinamica e dotata di una sua vigoria straordinaria, quasi animale. Abbiamo un sistema politico lento, farraginoso ed incerto. La differenza tra l’una e l’altro diventa limitazione dei diritti dei cittadini, minore competitivita’ delle imprese, difficolta’ della p.a. di soddisfare adeguatamente i diritti e i bisogni individuali.



In estrema sintesi, il nostro sistema politico e’ stato costruito su due colonne portanti. Una era rappresentata dai partiti politici e l’altra dalle istituzioni.

I partiti avevano ricevuto una fortissima legittimazione dalla vittoria contro il nazifascismo e dalla conseguente restituzione delle liberta’ ai cittadini; avevano costituito la Repubblica ed avevano approvato la nuova Costituzione.

Le istituzioni democratiche erano fragili perche’ nuove e non sperimentate; venivano, inoltre, da un ventennio nel corso del quale avevano perduto qualsiasi rappresentativita’.

I partiti, per la loro forza, si attribuirono il compito di decidere;alle istituzioni fu demandato il compito della rappresentanza e del confronto.



Lo specchio piu’ fedele ed interessante di questa situazione e’ costituito dai regolamenti parlamentari, assai raramente assurti ad oggetto di studio da parte degli storici delle istituzioni o dei politologi e tuttavia di straordinario interesse proprio perche’ essi registrano, piu’ di ogni altro strumento normativo gli equilibri tra Parlamento, Governo, partiti, singoli eletti.

Ad esempio, in base al regolamento della Camera, in sede di dichiarazione di voto finale su ogni provvedimento, ciascun deputato può parlare per dieci minuti, per un totale di 6.300 minuti. Sugli ordini del giorno, che si presentano prima del voto finale, può intervenire, oltre al proponente per la relativa illustrazione, qualunque deputato che ne faccia richiesta per cinque minuti, per un totale di 3.150 minuti. Il totale e’ di circa 10.000 minuti, 166 ore, pari a 17 giorni con dieci ore lavorative al giorno. Il buon senso ha impedito che tutto cio’ accadesse; ma il fatto stesso che un regolamento renda possibili questi effetti e’ segno che la Camera in quel regolamento e’ concepita piu’ per la rappresentanza ed il confronto che per la decisione. Si aggiunga che una opposizione che contasse su circa 300 deputati. come appunto accade oggi, potrebbe portare quei tempi, da sola, a 4.500 minuti, pari a circa 70 ore, sette giorni di dieci ore di lavoro al giorno.

Questo sistema finisce con il consegnare il potere di decisione non alla maggioranza, ma all’opposizione, contro ogni principio di democrazia. E’ evidente, infatti, che l’opposizione puo’ impedire l’assunzione delle deliberazioni nei tempi necessari e puo’ scambiare il proprio potere di interdizione con modifiche sostanziali al contenuto delle leggi.

E’ un meccanismo di interdizione-consociazione che potrebbe mandare a picco qualsiasi democrazia.

Devo aggiungere che l’opposizione, in questa legislatura, e sino ad ora, non ha abusato del proprio potere di interdizione-consociazione. Ma dal punto di vista teorico il problema resta in tutta la sua gravita’.



Questo quadro, nei primi decenni, proprio per la forza e la legittimazione dei partiti politici, non ha impedito all’Italia di crescere e di svilupparsi.

Abbiamo avuto uno straordinario progresso economico e sociale che ci porta oggi ad essere tra le prime potenze economiche del mondo.

Con la crisi dei partiti politici il sistema ha cominciato a perdere colpi. La colonna decidente non impartiva piu’ i comandi e la colonna rappresentante faceva fatica ad impossessarsi di una funzione, la decisione, appunto, per la quale non era stata pensata.

Di fronte ai grandi problemi del Paese, il terrorismo, i conflitti del mondo del lavoro, quelli di natura etica, come l’aborto, la corruzione, lo sviluppo di rapporti sociali ed economici sempre più complessi, i partiti hanno dimostrato la propria difficoltà di agire, lasciando un vuoto di decisione, che è stato occupato da altri poteri.

La magistratura, in particolare, ha svolto una funzione importante, ma indubbiamente eccezionale rispetto ad un fisiologico equilibrio fra i poteri dello Stato. I concetti di condotta antisindacale, la questione dell’aborto della minorenne, la legislazione antiterrorismo e antimafia, la carenza di una legislazione di prevenzione della corruzione sono i terreni sui quali piu’ si e’ misurata la carenza di decisione politica e la conseguente implicita delega a decidere rilasciata ad altro potere.



Negli ultimi venti anni la magistratura ha visto crescere il suo prestigio per gli interventi sulle grandi questioni nazionali, terrorismo, mafia e corruzione, per il numero di magistrati assassinati dai diversi terrorismi e dalla mafia che conferisce alla funzione giurisdizionale quei caratteri di tragicità e di eroismo che la politica ha perso; per la crescente inflazione legislativa che alimenta l’incertezza delle situazioni giuridiche e la necessità di interventi giudiziari anche per problemi minori della vita quotidiana di cittadini; per la tendenza, crescente nella vita politica, ad usare la denuncia come arma nei confronti degli avversari, conferendo così alla magistratura una sorta di protettorato sulle amministrazioni.



Nello stesso arco di tempo i poteri politicamente responsabili, partiti, parlamenti, governo, si allontanano dal centro del sistema politico perché non riescono a dare una soluzione alla crisi italiana.


La sintesi è agevole: mentre la magistratura decide sempre di più in Italia, la politica decide sempre di meno.



Oggi la vita amministrativa e’ decisa per una parte assai grande da TAR, Consiglio di Stato e Corte dei Conti. La soluzione legislativa dei conflitti e’ governata per una parte significativa dalla Corte Costituzionale. Le dinamiche sociali, civili, economiche e politiche del Paese sono largamente influenzate dalla magistratura ordinaria



Sono anomalie gravi, che possono farci parlare di repubblica giudiziaria.

Ma di esse è principale responsabile la politica e non certo la magistratura. Bisogna porvi rimedio ricollocando la politica al centro del sistema, ma continuando a garantire indipendenza e autonomia della magistratura.

Non è demolendo la magistratura che si rafforza la politica.

Il sistema riacquisterà una sua modernita’ ed una sua normalità solo quando perdera’ i caratteri di repubblica giudiziaria e costruira’ una democrazia decidente.



Contro la tentazione di risolvere questo problema a colpi di leggi anti-giudici sara’ forse utile richiamare un insegnamento di Montesquieu:



“lorsqu’on veut changer les moeurs et les manières, il ne faut pas les changer par les lois. Il vaut mieux les changer par d’autres moeurs et d’autres manières. C’est une très mauvaise politique, de changer par les lois ce qui doit être changé par le manières”.

(quando si vuol cambiare i costumi ed i comportamenti, non bisogna cambiarli per legge. Meglio modificarli con altri costumi ed altri comportamenti. E’ una pessima politica quella che cambia per legge cio’ che deve essere modificato attraverso i comportamenti).



E’ venuto al pettine il nodo cruciale delle moderne democrazie, che è quello di saper assicurare, attraverso il buon funzionamento delle istituzioni, il pieno rispetto dei principi di decisione e di responsabilità politica, lasciando ai poteri che non sono politicamente responsabili le competenze per le quali la stessa irresponsabilita’ politica ha una ragion d’essere.



Le istituzioni che, prima di altre, sono state messe in condizioni di decidere, superando i vecchi limiti della esclusiva rappresentativita’, sono stati i comuni. L’elezione diretta del sindaco ha conferito reali poteri di decisione al primo cittadino. Tuttavia l’esperienza di questa prima fase ci fa registrare un certo malessere dei consigli comunali, il cui peso e’ stato ridotto forse in forma eccessiva e punitiva, con forme di vera e propria crisi di identita’ democratica.



Ora il problema della decisione va affrontato a livello nazionale.

Tanto nelle riforme costituzionali, quanto nelle riforme regolamentari occorre prendere il toro per le corna ed affrontare il tema della costruzione della democrazia decidente, trovando il giusto equilibrio tra decisione e confronto.

Democrazia decidente non significa percio’ imbavagliare i parlamentari o eliminare lo spazio del confronto.



In un sistema maggioritario, che instaura un rapporto diretto tra elettori ed eletto, deve essere rafforzata la tutela dei singoli rappresentanti del popolo e deve essere in ogni caso assicurato un adeguato spazio di espressione a tutti i gruppi e agli eventuali parlamentari dissenzienti dalla linea del proprio gruppo .



Occorre assicurare un equilibrio di fondo che consenta alla maggioranza di vedere esaminate e votate entro tempi certi le proprie proposte e quelle proposte che attuano il programma di Governo, e che permetta all’opposizione di vedere discussi e votati i propri progetti di legge nell’ambito di congrui spazi appositamente riservati (ad es. 60% del calendario trimestrale alla maggioranza ed al Governo ed il 40% alle opposizioni, o altra ripartizione che decideranno la Giunta del Regolamento e l’Aula).

Solo in questo modo il Governo e le forze che lo sostengono potranno essere chiamate a rispondere delle proprie scelte. Mentre l’opposizione potrà svolgere una funzione di critica costruttiva, ben più produttiva rispetto alla mera interdizione delle scelte della maggioranza, e offrire all’elettorato l’indicazione chiara di percorsi alternativi all’azione del Governo in carica.

In questo quadro, il Parlamento diventa il luogo non solo della rappresentanza, ma anche della decisione.



I partiti politici, dal canto loro, possono recuperare la loro fondamentale funzione di interpretazione dei bisogni profondi della società, proponendosi come forze capaci di indicare le priorita’ nazionali, le scelte strategiche per il futuro, i valori costitutivi della identita’ nazionale e, insieme, i valori che segnano l’appartenenza all’una o all’altra forza politica.



C’è poi il problema della qualita’ della legislazione.

Esiste una diffusa esigenza di delegificazione, di semplificazione, attraverso la approvazione di testi unici per grandi settori di intervento, ma esiste soprattutto la necessità di distribuire secondo regole nuove la potestà normativa fra Governo e Parlamento.

La qualità della legislazione è strettamente legata ai modi di produzione normativa.

Il Parlamento sta già lavorando all’obiettivo di ridurre il numero delle leggi e di migliorarne la qualità.

Alla Camera è stato avviato l’esame dei progetti di riforma del regolamento volti a razionalizzare il procedimento legislativo, ed è imminente l’emanazione di una circolare, da parte dei Presidenti delle due Assemblee, che fisserà alcuni criteri guida dell’attività legislativa con lo scopo di assicurare il rispetto dei principi di chiarezza e di semplificazione, nell’interesse dei cittadini, delle imprese e della pubblica amministrazione.

Molto spesso la pubblica amministrazione è lenta perché i procedimenti sono disciplinati da troppe norme, oscure e contraddittorie.

Anche l’amministrazione della giustizia risente negativamente di una legislazione disordinata e incerta, per il peso di un gran numero di conflitti che derivano proprio dalla scarsa chiarezza delle leggi.



Ecco perché l’obiettivo della democrazia decidente è un obiettivo strategico, centrale. Perché la piena funzionalità del Parlamento e dell’Esecutivo si ripercuote necessariamente sul buon funzionamento della pubblica amministrazione, riduce i conflitti, rendendo più celere e comunque piu’ trasparente l’amministrazione della giustizia.



Consente, in ultima istanza, di garantire meglio i diritti e le libertà riconosciute ai cittadini e di ricostruire quel patto di fiducia tra cittadini, partiti e istituzioni che fu la straordinaria innovazione della Carta del 1948 e che oggi bisogna rinnovare adeguando alle nuove esigenze della societa’ italiana tanto la forma di Stato, quanto la forma di governo.