Giubileo dei Governanti e dei Parlamentari Assemblea dei Parlamentari del Mondo


Aula Paolo VI - Santa Sede, 11/04/2000


****


Oggi siamo qui riuniti donne e uomini, di diverse lingue, di diverse culture, di diversi orientamenti religiosi, credenti e non credenti, perché abbiamo tutti responsabilità politiche.
Ma siamo convenuti da diverse parti del mondo anche perché intendiamo interrogarci insieme, nella ricchezza delle nostre diverse esperienze, sugli obbiettivi prioritari del nostro impegno, in questa precisa fase della storia dell’umanità.

Il Giubileo chiude un secolo che ha visto alcune grandi tragedie, ma anche alcune grandi conquiste civili e sociali.
Oggi gran parte della popolazione del mondo è certamente più libera, più sana, più longeva.
Ma proprio questa consapevolezza rende più insopportabili le ingiustizie e ci spinge a trovare un impegno comune, nella diversità dei nostri ordinamenti politici, che dia un nuovo senso al nostro agire.

Siamo richiamati, in forma solenne, a riflettere sui principi fondamentali della responsabilità politica: verità dei fatti, rispetto dell’avversario, dialogo.
Molte volte, nella politica, la verità è travolta dalla convenienza. Ma in nessuno di questi casi la convenienza si rivela veramente tale e spesso, invece, l’apparente convenienza costituisce l’anticamera di una effettiva corruzione.
Molte volte, nella politica, siamo indotti a vedere l’avversario come nemico da annientare, non come contraddittore con i cui argomenti lealmente misurarsi.
Dialogo, infine, vuol dire essere disponibili ad ascoltare le ragioni dell’altro ed a riconoscere i limiti delle proprie ragioni.

La politica si differenzia dalla guerra quando diventa consapevole di non detenere tutta la verità.
Se non fa questo sforzo, la politica degenera in egoistico esercizio di potere, rompe la coesione sociale, viene meno alla sua funzione di governo.

Questa etica per quali obbiettivi?
Nel secolo XX il potere degli Stati si è scontrato con i valori della dignità umana, in tutte le sue dimensioni, dal colonialismo allo sfruttamento dei lavoratori, dalle guerre mondiali ai campi di sterminio in tante parti del mondo,.
E quando si parla dell’uomo non si parla di un’astratta categoria, ma di tutti gli uomini e tutte le donne, con i loro dolori e le loro felicità, con la loro vita e con la loro morte.
Oggi, anche grazie al grande contributo di Giovanni Paolo II, la dignità umana si pone nelle coscienze dei governanti come limite fondamentale del potere degli Stati e della politica.
Tuttavia i rapporti delle Nazioni Unite ci dicono che nella maggior parte dei casi i diritti umani sono oppressi proprio dagli Stati cui appartengono le vittime. Sono 78 gli Stati in cui si ricorre alla prigione per soli motivi di opinione e 73 quelli in cui la tortura dei detenuti continua ad essere ammessa.
Naturalmente, ci sono anche segnali positivi: 67 Stati hanno recentemente abolito la pena di morte, e 24, pur mantenendola, non l''applicano più da oltre 10 anni.
Questi risultati ci dicono che c’è ancora molto da fare, ma ci dicono anche che nulla è immodificabile.

Uno strumento fondamentale per la tutela dei diritti dell’uomo è costituito dalla Corte penale internazionale, il cui statuto è stato approvato a Roma nel luglio 1998. E’ auspicabile che anche questa assemblea inviti tutti i parlamenti del mondo alla ratifica dello statuto della Corte.
Mi chiedo però se non siano maturi i tempi per fare un passo avanti, perché, dopo le carte sui diritti dei cittadini, possa essere varata una sintetica Carta dei doveri degli Stati che sottolinei la necessità di porre un limite esplicito al potere degli Stati e, quindi, al potere della politica.
Parlo del dovere di non uccidere i condannati, non torturare i detenuti, tutelare tutte le minoranze, adottare misure contro la corruzione politica, garantire la libertà di pensiero e di religione, investire una quota ragionevole delle risorse pubbliche per l’istruzione e per la salute dei cittadini più poveri.

Il nuovo secolo si apre sotto il segno della globalizzazione.
La globalizzazione contiene in sé straordinarie opportunità per la conoscenza, la libertà, lo sviluppo economico.
Tuttavia essa ci espone ad altri rischi, paralleli a quelli che derivano dall’eccesso di potere della politica e dello Stato.
I nuovi rischi derivano dall’eccesso di potere dell’economia e del mercato.
Mi riferisco all’esaltazione passiva ed acritica del mercato, alla concezione dello scambio come misura di tutte le cose, alla concezione per la quale vale solo ciò che può essere venduto e comprato e, viceversa, che tutto può essere venduto e comprato.
La dignità umana, invece, deve costituire per tutti, credenti e non credenti, un limite al mercato così come costituisce un limite allo Stato.
Oggi non è così.
Invece devono esistere valori che non si comprano e non si vendono.
Devono esistere comportamenti che si tengono non perché c’è un corrispettivo, ma perché sono ispirati ai valori nei quali crediamo.
La vita e la morte di Tommaso Moro lo insegnano a tutti noi, indipendentemente dai nostri convincimenti religiosi.

La politica attraversa in molti paesi del mondo una crisi di gratuità e di generosità.
Riportare al centro dell’azione politica i valori della dignità dell’uomo serve anche a recuperare questi caratteri di gratuità e di generosità.

Il banco di prova è la lotta contro la povertà.
Secondo l''ultimo Rapporto del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) sullo sviluppo umano sono ancora oltre 80 i paesi che hanno redditi pro capite più bassi rispetto ad un decennio fa.
Negli ultimi 30 anni la distanza tra le nazioni più ricche e quelle più povere è quasi raddoppiata.

La povertà costituisce ancora oggi, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la principale causa di morte nel mondo.

I dati statistici generali non ci aiutano a distinguere tra uomini e donne, mentre il rapporto uomini-donne non è uguale di fronte alla povertà.
E’ in corso un processo di “femminilizzazione” della povertà. Le donne, specie nei paesi più poveri, sono infatti le più discriminate.
Circa 550 milioni di donne, oltre la metà della popolazione rurale del mondo, vivono sotto la soglia di povertà. La donna povera è più soggetta a violenze degli uomini, partorisce figli ammalati o indeboliti ai quali non riesce a fornire il nutrimento necessario.
Secondo la FAO, più della metà del cibo prodotto a livello mondiale si deve al lavoro delle donne; la percentuale sale all''80% nelle aree rurali dell''Africa, dell''America Latina e dell''Asia. Però alle donne è limitato l''accesso alla proprietà della terra, al credito, alla formazione.

I dati statistici generali non ci dicono che i giovani sono le vittime più vulnerabili della povertà.
Ma ogni anno muoiono in tutto il mondo 13 milioni di bambini sotto i cinque anni, a causa della malnutrizione o di malattie legate alla povertà. La povertà anima logiche di sfruttamento e costringe al lavoro circa 160 milioni di bambini.

Una delle carenze più gravi riguarda l’acqua.
Il volume totale d''acqua esistente sul pianeta sarebbe sufficiente a soddisfare il fabbisogno di tutti gli esseri umani. Ma per milioni di agricoltori è attualmente impossibile sostenere i costi delle più elementari tecnologie d''irrigazione: una pompa diesel, che è lo strumento di irrigazione più economico per terreni di piccole dimensioni, costa 350 dollari, una cifra insostenibile per la maggior parte degli agricoltori dei Paesi poveri.

Le dimensioni attuali della schiavitù superano di gran lunga quelle del passato: secondo i calcoli degli studiosi che hanno esaminato la tratta degli esseri umani tra l’Africa e le Americhe, in ben quattro secoli, la cifra relativa a questo traffico non ha superato i 12 milioni.
Negli ultimi 30 anni, invece, nella sola Asia la compravendita di donne e bambini ridotti in schiavitù sessuale riguarda circa 30 milioni di persone. Si devono aggiungere le cifre che riguardano l’Africa, alcuni paesi balcanici, dell’Europa centrale e dell’Est. Una gran parte di questo disumano affare è nelle mani della grande criminalità organizzata; ma non saremmo onesti se non ricordassimo che di queste forme di schiavitù sessuale usano i maschi civili dei nostri civilissimi paesi.
E non saremmo onesti se non dicessimo che nulla si fa nei nostri civilissimi paesi per educare i maschi al rispetto del corpo dell’altro, a capire che i corpi sono tra le poche cose che non possono essere in vendita.
La povertà non deriva dalla scarsezza delle risorse ma dalla loro diseguale ed ingiusta distribuzione; ciò accade non per caso, ma per effetto di scelte politiche che ignorano i valori della solidarietà e della giustizia sociale.

Per tutte queste ragioni il primo nostro dovere è lottare contro la povertà, quella che è dentro i confini dei nostri Stati e quella che è fuori.

Oggi la principale causa di povertà è l’esclusione dalla globalizzazione.
Chi non ha la possibilità di accedere alle nuove forme di conoscenza, di produzione e di lavoro perde i diritti essenziali all’istruzione, al lavoro, alla sicurezza sociale, alla salute.
E'' un fenomeno che vale sia all’interno degli Stati più progrediti, sia nel rapporto fra Paesi ricchi e Paesi poveri.
La partecipazione all’economia globalizzata costituisce, dunque, uno dei rimedi più efficaci e duraturi contro la povertà.
E'' necessario che i politici si impegnino perché la globalizzazione diventi un fenomeno capace di includere, non di escludere, capace di coniugare crescita economica e giustizia sociale in linea con l''appello del Papa, espresso nella Bolla di indizione del Giubileo, affinché i Paesi ricchi sviluppino una nuova cultura della solidarietà e un modello di economia al servizio della persona.
Dobbiamo impegnarci perché la globalizzazione non si limiti alla finanza ed alla comunicazione, ma si estenda ai diritti fondamentali ed ai fondamentali valori umani.

L''impegno contro povertà e fame è strettamente connesso all''impegno per la pace. In Afghanistan le mine antiuomo hanno reso non arabili quasi i due terzi della superficie coltivabile del Paese.
A causa dei conflitti, i Paesi in via di sviluppo investono in armamenti molto di più di quanto investano per la salute o l''istruzione dei propri cittadini.
Le armi vengono vendute dai Paesi ad economia avanzata.
L''impegno per risolvere il problema della povertà deve quindi partire dai Paesi economicamente forti ai quali spetta creare le condizioni per impedire il ricorso alla guerra e dotare i Paesi più deboli dei presupposti economici, istituzionali, giuridici e culturali per innalzare il livello di vita dei cittadini.
Gli Stati hanno il dovere di cancellare il debito di quei Paesi che sono disposti a reimpiegare le somme in interventi per ridurre i livelli di povertà, per la sanità e l''istruzione.
L’Italia lo ha già fatto con un’apposita legge.
Ma l’impegno degli Stati passa anche attraverso l''eliminazione delle barriere doganali, imposte dai Paesi più ricchi, che bloccano lo sviluppo dei settori economicamente competitivi dei Paesi più poveri.

Amici, colleghi,
lavoreremo insieme per l’intera giornata, in questo luogo che è uno dei simboli più alti della condizione spirituale dell’essere umano.
Ascolteremo in serata le parole di Giovanni Paolo II.
Dopo, torneremo ai nostri impegni. Ma nessuno di noi può uscire da questa sala nelle stesse condizioni di spirito che aveva quando vi è entrato. Per le parole che ci dirà il Papa, innanzitutto. E poi perché abbiamo il dovere di non disperdere questa straordinaria occasione di incontro e di riflessione, che nessuno prima di oggi ha mai avuto.
Approveremo documenti, assumeremo impegni.
Troppe volte il nostro lavoro si scioglie in parole prive di utilità. L’augurio che formulo per tutti noi, a nome della Camera dei Deputati della Repubblica Italiana, è che le nostre parole di oggi siano come i fili di un tessuto prezioso, riconoscibili e indistinti allo stesso tempo, ciascuno dotato di un proprio pregio ma concorrente, in forma discreta, al pregio dell’opera finale.