Commemorazione di Sandro Pertini


Savona, 09/21/1996


*** Giornata in ricordo di Sandro Pertini promossa dalla Provincia di Savona


La vita di Sandro Pertini coincide con la storia del novecento. Egli e’ stato protagonista di questo secolo come pochi altri uomini politici italiani. Lo ha vissuto in maniera diretta e intensa, non da spettatore ma da protagonista, che accetta la responsabilità di essere dentro i fatti della storia, che assume il peso di scelte difficili ed anche impopolari pur di realizzare nella realtà della vita quotidiana i valori e i principi in cui crede.

Pertini era capace di tenere uniti lo slancio ideale e l’azione politica concreta. Mirava al cuore dei problemi che si trovava ad affrontare. Non amava le forme fine a se’ stesse. Ma come tutti i democratici della sua generazione aveva profondamente radicato dentro di se’ il senso della dignita’ delle istituzioni, manifestato non attraverso la pompa o la cerimonia, ma attraverso la capacita’ di parlare, di dialogare, di allacciare relazioni di fiducia e di comprensione. Mai il suo disinteresse per la forma divenne sciatteria. Era il modo per costruire rapporti concreti che quella forma, appunto, a volte impedisce di costruire.

Pertini ci ha lasciato una concezione moderna della politica e dell’impegno politico. Egli fu un politico moderno, capace di interpretare quello che cambiava nella societa’ italiana e di capace di colmare il vuoto che si andava creando tra istituzioni e societa’ negli anni che furono prima del terrorismo e poi della questione morale.
Poiche’ la politica in quegli anni comincia a manifestare una sorta di incapacita’ di agire, di decidere, di sciogliere nodi, Pertini spinge ancora di piu’ l’acceleratore sulla sua concezione della politica, legata non alla meditazione metafisica ma alla costruzione di rapporti, allo spostamento di forze, al fare, all’agire, al trasformare.
In lui l’azione prevale sulla elaborazione teorica. Ma la sua forte formazione democratica gli fa evitare i rischi dell’azione-testimonianza, del gesto fine a se’ stessa. Il suo concetto di azione mira a costruire e, insieme, ad esprimere valori ideali. Per lui, socialista storico, questi valori non possono che essere quelli dell’eguaglianza, della liberta’, del progresso civile. Per questi valori egli sacrifica in carcere, in modo pienamente consapevole, gli anni della sua giovinezza e della sua prima maturita’.

Nel 1927 Pertini lascia clandestinamente l’Italia e trova rifugio in Francia. Vive l’esperienza dell’esilio con grande dignità. Accetta i lavori più umili e faticosi per mantenersi. A Nizza è uno dei più importanti esponenti della concentrazione antifascista, opera attivamente per organizzare i fuoriusciti e la propaganda antifascista.

Ma non si limita alle riunioni di partito, all’attività di studio e di propaganda. Si adopera - come quando costruisce una radiotrasmittente clandestina - a garantire le condizioni perché quelle attività siano concretamente efficaci.

Pertini, tuttavia, sente che questo impegno non è sufficiente, aspira a dare ancora maggiore concretezza alla sua azione. Avverte con dolore la difficoltà di svolgere una efficace lotta antifascista fuori dall’Italia, lontano dal popolo e dai lavoratori. In una lettera a Turati, nei giorni dell’esilio, Pertini rivela al suo maestro la propria sofferenza: “sento la nostalgia della mia terra, della lotta che conducevo nell’ombra della piccola Savona sotto il continuo pericolo. Allora si viveva!”

Pertini rientra in Italia, viene arrestato e condannato nel novembre del 1929 a dieci anni e nove mesi di reclusione.

Nel 1932, recluso nel carcere di Pianosa, fu protagonista, assieme ad altri detenuti, di una clamorosa protesta per rivendicare il diritto di tenere nella propria cella un numero adeguato di libri e di avere i mezzi per poter scrivere e prendere appunti. La battaglia per la formzione politica, in quella ocasione, si lega alla battaglia per il rispetto dei diritti, sia pur minimi, quali quelli che spettavano a quel tempo ai detenuti politici.

Anche l’intransigenza, che a volte sfiorava l’ingenuita’, era una delle caratteristiche del Pertini uomo politico, manifestata in gioventu’ ma profondamente radicata in lui anche dopo, nell’eta’ delle piu’ alte responsabilita’politiche.



Il primato dell’azione come concreta attuazione di valori ideali rimarrà costante anche negli anni in cui verrà chiamato a ricoprire la carica di Presidente della Camera e poi di Presidente della Repubblica.





Pertini interviene ripetutamente sul terrorismo, sul problema della disoccupazione, sulla criminalità organizzata, sul dilagare della corruzione, manifestando sempre grande attenzione agli avvenimenti internazionali.Il suo punto di vista non solo si lega immediatamente al sentire dei cittadini comuni, ma ha anche la capacita’ di orientare l’opinione pubblica. Molti nelle parole del Presidente sentiranno l’eco dei propri pensieri, delle proprie preocupazioni e delle proprie speranze.

Sul terrorismo Pertini assume una posizione intransigente. Rifiuta ogni ipotesi di trattativa con i terroristi. Si dichiara apertamente contrario alla linea “morbida” seguita dal suo Partito nei giorni del rapimento di Aldo Moro. Impartisce disposizioni ai suoi collaboratori affinché mai nessuna trattativa sia intrapresa qualora divenisse ostaggio dei terroristi.

Nel messaggio di fine anno agli italiani nel 1979, Moro e’ stato ucciso da un anno e mezzo, sostiene che la lotta al terrorismo non si fa con le corone e i telegrammi. Chiede per le forze dell’ordine mezzi più moderni, attrezzature migliori, aumento degli organici, migliore trattamento economico.

Allo stesso tempo cerca di comprendere alcune possibili cause sociali del terrorismo non per indulgere al giustificazionismo, ma perche’ la sua educazione politica lo porta a chiedersi la ragione delle cose guardando alla societa’, ai rapporti economici, al rapporto tra societa’ e Stato e tra le diverse classi sociali.

Si chiede quanta parte possa avere la disoccupazione, il malessere sociale, la mancanza di forti ideali civili e democratici nella scelta di allora di tanti giovani nell’accettare la violenza come strumento di lotta politica.



Una posizione altrettanto inflessibile Pertini avrà rispetto al fenomeno della corruzione nella vita pubblica. “La corruzione è una nemica della Repubblica.” Nessun giustizialismo quindi, ma una lucida visione politica che guardava alla corruzione come fenomeno che corrompe la democrazia oltre che le persone. Se la politica e’ un servizio per i cittadini, l’uso del potere politico per fini di arricchimento tradisce i cittadini e la funzione stessa della democrazia.



Anche nei confronti della criminalità organizzata l’atteggiamento di Pertini è preoccupato e attento. Rifiuta ogni forma di confusione tra mafia e popolo siciliano, tra ''ndrangheta e popolo calabrese, tra camorra e popolo campano. Pertini sottolinea le grandi capacità e le grandi virtù del Mezzogiorno e sembra volerne sollecitare l’orgoglio e la consapevolezza, per spingerle a sradicare, con l’aiuto dello Stato, quello che lui definisce “un male che affligge un corpo sano”.

Comprende che la lotta contro le mafie non può essere condotta soltanto sul terreno della repressione penale, ma che occorre affiancare allo strumento repressivo la costruzione di un tessuto sociale sano, di una economia vitale, attraverso l’iniziativa e l’impegno diretto dei cittadini. Anni dopo, sulla scorta di quell’insegnamento, si parlera’ di antimafia dei diritti.



Pertini cerca di costituire un raccordo permanente tra cittadini e istituzioni .

Egli, avendo concorso a costruirle, ha un radicatissimo attaccamento verso le istituzioni repubblicane. Considera la democrazia e la repubblica come componenti essenziali dell’unico sistema in grado di consentire la realizzazione congiunta di due fondamentali valori della civiltà: la libertà dell’uomo e la giustizia sociale.

Questo radicamento profondo è frutto della sua esperienza di vita. Ha vissuto drammaticamente la crisi della democrazia liberale, l’ha vista soccombere, per inedia, piu’ che per crisi interna, sotto il peso del fascismo, ha subito in prima persona le conseguenze del regime. E’ protagonista di spicco della lotta di Liberazione e della costruzione della Repubblica. Ha visto compiersi la rinascita e il rinnovamento delle istituzioni democratiche a costo di una guerra dolorosissima.



Per questi motivi non può accettare che molti cittadini italiani sentano le istituzioni repubblicane come qualcosa di estraneo. Tuttavia proprio la sua esperienza lo porta a sottolineare piu’ volte i pericoli che corre la democrazia. Egli sa per sua esperienza che i regimi democratici possono morire, che la democrazia e’ un bene che i popoli possono perdere quando si logora il rapporto di fiducia con le istituzioni.



Quando è eletto Presidente della Camera, nel 1968, con il discorso di insediamento sostiene la necessità di affrontare lo stato di disagio che la pubblica opinione manifesta per i ritardi e la scarsa chiarezza nello svolgimento dei lavori parlamentari. Si impegna fin da allora a promuovere una ampia modifica del regolamento per rendere più celeri e moderni i procedimenti di decisione. Questo processo di modifica del regolamento, che Pertini seguirà sempre da vicino, avrà termine nel 1971, con l’adozione di una riforma che ha tra i suoi punti qualificanti la razionalizzazione dei lavori della Camera



Negli anni di Montecitorio si approvano la legge sul divorzio, lo statuto dei diritti dei lavoratori, l’istituzione delle regioni a statuto ordinario, la disciplina del referendum, la riforma delle pensioni, la riforma tributaria. Pertini deve affrontare numerosi episodi di ostruzionismo parlamentare, in occasione dei quali saprà coniugare, pur tra tante difficoltà, il rispetto delle prerogative delle opposizioni con il diritto della maggioranza di pervenire alla decisione su singole questioni.

Pertini seppe dirigere la Camera con fermezza ed equilibrio, valorizzando costantemente il ruolo del Parlamento, la cui vitalità egli considerava indispensabile per la richezza della vita democratica.

In quegli anni si preoccupo’ di superare le barriere tradizionali e di avvicinare l’istituzione ai cittadini, perche’ essi sentissero gli organi del potere pubblico come cosa propria, vicina alle loro esigenze e ai loro bisogni. Disse nel discorso inaugurale “noi dobbiamo pensare di lavorare in una casa di cristallo. Da noi deve partire l’esempio di attaccamento agli istituti democratici e soprattutto l’esempio di onestà e rettitudine. Perché il popolo italiano ha sete di onestà”. Si comporto’ conseguentemente.

Questa attenzione Pertini mantenne e sviluppò all’indomani della sua elezione a Presidente della Repubblica, l’8 luglio 1978.



La sua attività come Capo dello Stato fu sicuramente ricca di originalità . Molto si è discusso su suoi interventi in occasione di alcune crisi di Governo e con riferimento al cosiddetto potere di esternazione.

Quelle crisi cominciavano a segnalare un malessere non accidentale della Repubblica determinato dalla crescente incapacita’ a decidere su problemi di grande rilievo nazionale. Il terrorismo, la strage di Bologna e quella di Ustica, l’assassinio di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, l’arresto del comandante generale della guardia di Finanza Raffaele Giudice per corruzione, l’esplosione della P2, l’emergere della questione morale come elemento strutturale di quella fase politica segnano il suo settennato e, insieme, costituiscono la ragione dei suoi “strappi” istituzionali. I suoi interventi, letti alla luce di questa situazione politico-costituzionale, forse rispondevano all’esigenza che comunque dai vertici dello Stato partissero indirizzi autorevoli, capaci di supplire alla debolezza crescente delle istituzioni politicamente responsabili. Egli vide in e’ stesso nel suo ruolo una sorta di ponte tra istituzioni e societa’, interpreto’ se stesso come chi avrebbe dovuto portare le istituzioni tra la gente e la gente nelle istituzioni.

Nei suoi interventi scelse un eloquio diretto, forte, incisivo, privo di mediazioni. Questa scelta non si può spiegare soltanto con la schiettezza del suo carattere. Esiste in lui una precisa volontà di rinnovare il linguaggio della politica, di dare una nuova funzione e un nuovo destinatario al discorso politico, facendone un efficace mezzo di comunicazione non più solo tra partiti, ma tra rappresentanti delle istituzioni e cittadini.

La novità oltre che nella forma espressiva sta spesso anche nei contenuti dei suoi discorsi. Pertini da Presidente della Repubblica si intrattiene spesso a spiegare i motivi che stanno alla base delle sue decisioni, svela i retroscena che normalmente sono celati all’opinione pubblica.

In questa sua decisa apertura verso l’esterno, in questo superamento del protocollo e dell’ufficialità e nella contemporanea esaltazione della dignita’ profonda delle funzioni istituzionali, in questa tensione costante verso la trasparenza e la immediata comprensibilità delle scelte c’è la volontà di avvicinare i cittadini alle istituzioni. Una volonta’ tanto piu’ radicata quanto piu’ Pertini coglieva il processo di separazione tra societa’ ed istituzioni. Egli sa che lo Stato per meritare la fiducia deve cominciare a darla essendo chiaro nelle sue procedure e rapido nelle sue decisioni. La lotta di Resistenza e poi la Liberazione avevano strettamente connesso societa’, politica e istituzioni. Pertini intuisce il pericolo della deriva di questi tre continenti e, non sempre compreso, si batte per ostacolarla, per costituire nuovi motivi di fiducia e di unita’.



Si richiama percio’ ai principi della giustizia sociale, del libero e aperto confronto democratico di tutte le idee politiche, della pace, e intorno a questi valori, sempre riaffermati in relazione a singole questioni, egli ripropone il concetto unificante di nazione ed il carattere “necessario”, non sostituibile, della democrazia. Qualifica come “secondo risorgimento” la lotta di liberazione, proiettando i grandi principi del socialismo in un orizzonte concreto, attuale. La sua concezione della patria rifugge da ogni accento di nazionalismo :”l’amore per la patria” egli dice ”è innanzitutto amore per la patria altrui”.



Il significato del concetto di Patria non sta nei fumi della retorica, ma nella storia comune di una nazione e di uno Stato, nelle virtù civili e nelle risorse morali di una comunita’ di cittadini. Percio’ loda spesso le capacità di lavoro e di innovazione degli italiani, ne sottolinea l’aspirazione a costruire uno Stato più giusto e più moderno all’interno del processo di integrazione europea.



Il suo pensiero politico, la sua attività istituzionale, come Presidente della Camera e poi come Presidente della Repubblica, hanno avuto come destinatari privilegiati le giovani generazioni.

Durante il periodo di Presidenza della Camera avvia un rapporto intenso con migliaia di studenti provenienti da tutte le citta’ italiane, rapporto che consolidera’ durante gli anni della Presidenza della Repubblica.

“Noi crediamo nei giovani -disse in piu’ di un’occasione- e ad essi affidiamo il patrimonio morale e politico dell’antifascismo e della Resistenza, perché ne facciano norma di vita e perché traggano da esso gli ideali della loro lotta”.

E’ un impegno straordinario non solo per il numero degli incontri, ma anche e soprattutto per il modo con cui egli vuole che questi incontri avvengano. Pertini non tiene mai discorsi ai giovani. Li sollecita a porre domande, su qualsiasi argomento. Privilegia il dialogo, il confronto di idee. Scarta qualsiasi forma di proposizione autoritaria o retorica della sua figura e del suo ruolo.

Lo sforzo di Pertini è quello di avvicinare i giovani alla politica, alle istituzioni. Li esorta instancabilmente a scegliere liberamente, senza condizionamenti, una fede politica, un ideale, quale esso sia, purché sorretto dal principio di libertà e, proprio negli anni del terrorismo, dal ripudio della violenza come mezzo di affermazione delle proprie opinioni e dei propi bisogni.

Pertini si preoccupa della formazione. Denuncia l’insufficienza della scuola. La scarsa conoscenza della storia recente del nostro paese è nel suo giudizio una delle cause principali dello sbandamento e dello smarrimento dei giovani. Sostiene che si devono modificare i programmi di insegnamento “perché le esperienze del fascismo e della Resistenza, collocate nella loro prospettiva storica, entrino nella scuola in modo che tutti i giovani ne vengano a conoscenza e traggano esempio di riflessione e di formazione civica”.



Sente lacerante il problema della disoccupazione giovanile. “I giovani senza lavoro si sentono emarginati, depressi, demoralizzati, mal consigliati. Sono terreno fertile per droga e terrorismo”.

Per formazione politica e culturale Pertini concepisce il lavoro, anche il più umile, come la dimensione che consente all’uomo di affermare la propria autonomia, la propria libertà, la propria dignità personale e sociale.



Oggi alcuni dei problemi che Pertini si trovò ad affrontare come uomo politico e come uomo delle istituzioni sono stati risolti o sono in via di risoluzione. Abbiamo sconfitto il terrorismo, la via della costruzione europea e’ piu’ salda rispetto a ieri, stiamo costruendo, con la fatica che questi compiti richiedono, un nuovo sistema politico ed una radicale riforma dello Stato.



Ma tanti altri rimangono aperti.

Nell’affrontarli non possiamo dimenticare l’esperienza e l’insegnamento di Sandro Pertini e soprattutto il messaggio, che egli ci ha lasciato, sul valore e sul significato dell’impegno politico. Dopo la profonda crisi che ha colpito il nostro Paese negli ultimi anni, il principale dovere degli uomini che hanno responsabilità istituzionali è quello di restituire ai cittadini fiducia nella politica. Per far questo è necessario che le istituzioni politiche siano vicine ai cittadini, e in particolare ai giovani, siano in grado di offrire servizi adeguati, di dare risposte concrete ai problemi degli italiani. Occorre dimostrare che le istituzioni democratiche sono convenienti, vantaggiose per i cittadini.



Soltanto in questo modo potrà radicarsi quella moderna concezione della politica che Pertini indicava nella responsabile e coerente congiunzione tra battaglia ideale e impegno concreto per la soluzione dei problemi del nostro Paese.



Pertini vive la fase della crisi piu’ profonda della Repubblica che ha concorso a costruire. E’ un uomo che ha saldi e laici principi morali. Constata il crescere del relativismo, la crisi delle gerarchie di quei valori per i quali la sua generazione si e’ battuta, la tendenza allo scambio di tutto contro tutto, alla universale mediazione del danaro e quindi alla mercificazione. Di fronte alla complessita’ crescente della nostra societa’ egli ripropone il rigore della ragione, la forza del principio di responsabilita’, la fiducia nell’uomo e nel suo destino.



Jacques Attali in un recente articolo su Le Monde, 20 agosto 1996, per spiegare lo sviluppo e la complessita’ del mondo in cui viviamo, e per spiegare il dramma dell’uomo contemporaneo suggerisce di abbandonare la figura di Cartesio, la freccia vettoriale che avanza impavida nella foresta, e di far ricorso invece alla figura del labirinto. Il viaggiatore di questo labirinto, prosegue Attali, avanzera’ quando credera’ di arretrare; si perdera’ quando credera’ di essere giunto al traguardo, due punti che gli sembreranno lontani saranno in realta’ vicinissimi e viceversa.

Sul pavimento della cattedrale di Chartres, costruita nel XIII secolo, la difficolta’ dell’uomo di raggiungere Dio, lo scopo ultimo della sua vita, secondo la teologia dell’epoca, e’ raffigurata attraverso un grande labirinto. La stessa figura per simboleggiare la stessa difficolta’ si ritrova in altre trenta chiese dello stessa epoca italiane, francesi e inglesi. E’ singolare che sette secoli dopo si possa ricorrere alla stessa figura, poi scomparsa dalla simbologia ricorrente, per rappresentare le difficolta’ dell’uomo nell’affrontare la storia del suo tempo, nel cercare un senso alla vita del mondo in cui egli stesso vive.

In realta’ la questione posta dai teologi del XIII secolo non e’ molto diversa da quella posta dai filosofi del XX secolo. Gli uni e gli altri si pongono la questione del significato della vita dell’uomo e, avendo meno fiducia nelle capacita’ della ragione rispetto a quante ne aveva Cartesio, rappresentano a distanza di sette secoli lo stesso problema con la stessa figura. In pieno medio evo il filo per orientarsi in quel labirinto era rappresentato dalla fede. Qual e’ il filo che aiuta ad orientarsi nel labirinto laico dei nostri tempi?

La storia e la figura di Sandro Pertini possono aiutarci. Non si esce dalla fase di transizione senza un fermo ricorso al principio di responsabilita’, non si esce senza concepire i ruoli istituzionali come raccordo permanente tra societa’ e istituzioni, non si esce se non si considera che il popolo italiano, come diceva Pertini, ha bisogno di giustizia sociale, non si esce se non si risoettano i diritti elle generazioni future, quelle generazioni alle quali il presidente partigiano aveva dedicato tanta parte della sua attenzione di presidente della Camera e di Capo dello Stato.

Tante volte appariamo alla ricera del nuovo ad ogni costo e non ci rendiamo conto che occorre continuamente ripensare al rapporto con la storia, che la politica deve intrecciare un dialogo permanente con il passato per costruire futuro, che e’ la sua fondamentale misione

Pertini, con il suo pragmatismo, con la sua dignita’, con la sua vita difficile, con le sue asprezze, con la sua straordinaria umanita’, ristudiato oggi, e’ in grado di aiutarci a uscire da quel labirinto che nei suoi anni comnciava a comporsi, a testa alta e con la sensazione di saper riallacciare il filo della continuita’ con i momenti piu’ alti della storia del nostro Paese.