Ricordo dell''onorevole Antonio Ruberti


Roma, 09/21/2000


*** Commemorazione in Aula ***


Antonio Ruberti è stato ricordato il 6 settembre nell’Aula magna della sua Università.
Erano vicini a lui, in quell’occasione, i mondi che nella sua vita aveva attraversato, come un viaggiatore tanto curioso quanto discreto, tanto animato dalla volontà di capire quanto frenato dall’intento di non interferire.

La scienza, l’accademia, la cultura, la politica: tante sono state le sue esperienze, tutte percorse con passo veloce e leggero, ma sempre lasciando in ognuno di quei percorsi il segno della sua intelligenza.

Oggi lo ricordiamo, qui, perché quest’Aula lo ha visto Ministro efficiente e discreto, deputato capace di legare insieme profondità di studio e cortesia di tratto, presidente della XIV Commissione impegnato in quella difficile opera di sartoria istituzionale che deve connettere Parlamento italiano e istituzioni europee.
Lo ricordiamo qui perché lo abbiamo stimato ed amato.

E’ stato allo stesso tempo testimone, maestro e costruttore.
Ha colto il segno del suo tempo, lo ha trasmesso a chi gli stava attorno, ha usato le sue funzioni per il progresso civile dell’Italia e dell’Europa.

Da Rettore dell’Università di Roma guidò quella macchina nella dura fine degli anni Settanta con competenza, equilibrio e attraverso la partecipazione di tutti coloro che nell’Università insegnavano, studiavano, svolgevano la loro attività professionale. Restituì all’Università di Roma il titolo che le spettava “La Sapienza”.

Da Ministro istituì il Ministero della Ricerca Scientifica.

Come Commissario europeo fece crescere in Europa il bisogno della ricerca non solo come trasmissione, ma anche come produzione del sapere.

Questa restò una delle sue preoccupazioni maggiori.

A Bruxelles, ancora nel settembre del 1999, in un convegno internazionale dedicato alla società della conoscenza, sottolineava la permanente necessità della ricerca. “C’è il rischio, diceva, di polarizzare l’attenzione sul trasferimento dei saperi, sulla loro diffusione e sulla loro utilizzazione…e di lasciare in secondo piano la produzione dei saperi e dunque la ricerca. Una tale asimmetria…è in contrasto con la caratteristica centrale della società della conoscenza, che sta proprio nella crescita dei saperi e del loro ruolo…Quando parlo di saperi mi riferisco a tutto l’insieme delle conoscenze: al sapere organizzato, scientifico tecnologico ed umanistico-artistico, prodotto degli intellettuali di professione; al sapere organizzativo, prodotto dalle organizzazioni (imprese e istituzioni); al sapere popolare di singoli e di gruppi (dai diari alle collezioni, dal dilettantismo al folclore).”

Sulla conoscenza Antonio Ruberti fonda il suo progetto di Europa.
Nel convegno del Consiglio italiano del Movimento Europeo, che si tiene a Bari nel dicembre 1999, disegna un’idea di straordinario fascino. “ Così come si è costruito lo spazio comune delle merci e dei capitali occorre costruire uno spazio comune delle conoscenze… Se il nuovo paradigma è costituito dai saperi, è sui processi di produzione e di utilizzazione dei saperi che occorre perseguire la cooperazione e l’integrazione.”.
Quindi propone la costruzione di “reti della conoscenza” sostenendo che il tessuto di queste reti può avere per l’unità europea un ruolo analogo a quello giocato dall’istruzione e dalle reti di trasporto nella costruzione dell’identità degli Stati nazionali.
Questa sua intuizione si fonda su un’analisi rigorosa della specificità europea: in Europa, infatti, spiegherà in un’altra occasione, sono nate le Università, la scienza moderna, la tecnologia e l’industria.

Antonio Ruberti è stato un uomo leale.
Nel febbraio 1990, fu chiamato come Ministro dell’università a rispondere a diverse interpellanze e interrogazioni sulle contestazioni studentesche contro la riforma dell’autonomia universitaria. In quell’occasione disse: “ A mio avviso occorre parlare ai giovani con onestà intellettuale, il che non significa dare loro ragione su tutto, perché questo equivarrebbe a non rispettarli. Bisogna avere l’onestà di confrontarsi, dicendo sinceramente che cosa si pensa, senza usare il metodo della doppia verità, quella dei discorsi pubblici e quella dei discorsi privati”.
In queste parole c’è la sintesi della sua etica pubblica.
Un’etica laica e sobria, che antepone la necessità di costruire al desiderio di apparire e che guarda alla ragione non come strumento onnipotente, ma come freno dell’emozione, come strumento del dialogo, cemento della costruzione.

Antonio Ruberti è stato ricercatore, professore, rettore, ministro, commissario europeo, deputato, presidente della commissione per le politiche comunitarie.
In ciascuna di queste sue esperienze è stato un uomo rigorosamente moderno. Ha sempre cercato di ricostruire il filo della ragione nella confusione dei fatti.
Ha dato al reale un ordine intellettuale ed ha operato perché quell’ordine fosse duraturo.
Questo suo sforzo di ricostruire nella modernità le grandi razionalizzazioni unificanti, di dare vita ad una nuova modernità, dopo le frantumazioni ed i relativismi del post-moderno, ci è particolarmente prezioso oggi.
Oggi la globalizzazione porta con sé un aumento del senso di insicurezza perché l’interdipendenza tra le varie parti del mondo sviluppato rende prevalentemente ingovernabili i fattori che condizionano la nostra vita quotidiana.
Non tutti sono capaci di reggere l’impegno intellettuale che ci richiedono i mutamenti del reale.
Perciò riemergono in Italia, in Europa, in varie parti del mondo, i richiami a nuove discriminazioni di carattere religioso o civile, a nuove chiusure, a tesi riduzionistiche delle tragedie del passato che su quelle discriminazioni si fondavano, alla contrapposizione di un male ad un altro male come se questa contrapposizione invece di moltiplicare il disagio lo azzerasse.
C’è il tentativo, che Ruberti considererebbe tanto miserevole quanto disperato, di ricostruire un ordine fondato sulle categorie della guerra, dello scontro, dell’ignoranza delle ragioni dell’altro, della trascuratezza della storia.

Questa insicurezza, ci insegna la vita del presidente Ruberti, può essere affrontata mediante una visione intelligente del reale, che cerca di capire gli avvenimenti, conoscerne le ragioni e le possibili linee di evoluzione, capace di cogliere gli aspetti positivi della mutevolezza che caratterizza i nostri tempi e fortificare il proprio stato d’animo.
La nostra condizione umana ci chiede oggi la forza di affrontare il sempre mutevole collocando al centro della vita i grandi valori ideali della cultura italiana ed europea non come nostalgici richiami al passato ma come proposizione di una nuova modernità, che supera le frantumazioni ed il relativismo del post-moderno e si riconosce in nuove grandi razionalità unificanti.

Antonio Ruberti aveva fiducia nell’Europa.
Ma si rendeva pienamente conto che l’Europa non deve sovrastare le realtà nazionali. Sosteneva che il modo migliore perché le istituzioni europee possano superare il deficit democratico, è quello di far crescere il ruolo dei parlamenti nazionali.
“Un ruolo” - disse in quest’Aula nel novembre del 1997 – “che assume rilievo nei momenti alti della revisione del Trattato o dell’unificazione monetaria, ma è molto importante anche nel quotidiano e concreto sviluppo delle politiche dell’Unione, che ormai incidono sull’intero spettro delle attività produttive e sociali del nostro Paese”.

Sottolineava spesso che una legge su tre in Italia viene decisa in sede comunitaria.

A Dublino, nell’ottobre 1996, la Conferenza delle commissioni specializzate per gli affari europei, approvò la sua proposta di garantire ai parlamenti un tempo utile per discutere con gli esecutivi le proposte che i governi stessi avrebbero, poi, esaminato nelle istituzioni europee. La proposta Ruberti costituirà l’aspetto più significativo del protocollo allegato al trattato di Amsterdam che potenzia profondamente il ruolo dei parlamenti nella fase ascendente delle direttive comunitarie.
In questa legislatura, per suo impulso, la Commissione per le politiche dell’UE è diventata Commissione permanente. E’ stato sancito il carattere rafforzato dei suoi pareri e si è previsto che ciascuna commissione debba tener conto, nella predisposizione del programma e del calendario dei propri lavori, degli atti di iniziativa normativa della UE.
L’accento che Ruberti metteva sulla necessità di dare maggior peso alla partecipazione delle Camere alla progettazione della normativa comunitaria non nasceva da un atteggiamento antagonista rispetto al ruolo del Governo.
Era, al contrario, dettato dalla profonda convinzione che un Governo che si presenta nelle sedi comunitarie munito del sostegno e dell’indirizzo delle proprie assemblee elettive è un Governo più forte e più autorevole.

Riteneva che lo spostamento del baricentro della politica da Roma a Bruxelles pone non solo un problema di modernizzazione delle regole interne e comunitarie, ma anche l’esigenza di un più maturo e consapevole ruolo dell’Italia sulla scena europea.
Ruberti aveva una sua precisa collocazione politica, di cui andava orgoglioso, e riteneva fisiologica e vitale una differenziazione tra i diversi partiti sulle questioni europee come su quelle interne. Ma avvertiva, al tempo stesso, lucidamente l’importanza per il Paese di raggiungere posizioni largamente condivise sui grandi interessi nazionali.
Nell’aprile del 1998, in quest’Aula, sottolineò con soddisfazione il largo consenso raggiunto dalle diverse forze politiche su alcuni dei temi più rilevanti del negoziato “Agenda 2000”.
Intendeva ribadire come nell’ambito dello spazio europeo e, più in generale, sulla scena internazionale, è indispensabile che Italia sappia presentarsi, senza quel carattere autocritico più spesso figlio di una tendenza alla non responsabilità che di uno spirito di imparziale rigore. Egli invitava l’Italia a presentarsi sulla scena internazionale come paese coeso, forte della sua identità e della sua missione politica, consapevole del proprio valore e dei propri obiettivi strategici.

Signora Luisa, figli amati e seguiti, nei giorni della malattia avete visto un uomo che anteponeva al dolore la voglia di costruire, e che da questo impegno traeva la forza per continuare ad essere sino all’ultimo minuto marito, padre, cittadino, uomo della cosa pubblica.
Ho già detto nell’altra occasione che la terra non è lieve. Il suo abbraccio è terribilmente pesante ed il passaggio dei primi giorni lo ha reso a voi quasi insostenibile.
Tuttavia avete avuto modo di constatare che le parole dette per il presidente Ruberti erano e sono lo specchio dei fatti, sono la conseguenza di una stima mai disgiunta dall’affetto.

Noi vi salutiamo oggi con rispetto e con orgoglio.
Con rispetto per la vita che avete condiviso con lui.
Con orgoglio perché è stato uno dei migliori tra noi.