Commemorazione dell''onorevole Antonio Ruberti


Roma, 09/06/2000


*** Commemorazione pronunciata nell''Aula Magna dell''Università La Sapienza di Roma***


Il momento della morte, per chi ha speso onorevolmente la propria vita, non segna la cesura definitiva con il mondo dei vivi.
Per chi ha speso onorevolmente la propria vita, è soprattutto il momento in cui i valori che l’hanno ispirata cominciano compiutamente a svolgersi nella intelligenza di chi resta, ricostruendo una sorta di comunione laica tra i vivi e i morti.
E’ una continuità che dà un senso alla vita e, allo stesso tempo, permette che la vita abbia un senso per tutti, per chi non c’è più come per chi vive ancora.

Chi resta raccoglie il significato della vita che si è spenta, riaggomitola entro di sé il filo di quei valori, per tenerlo come si tiene accanto il libro dell’anima, quello in cui ti rifugi nei momenti in cui hai bisogno di una riflessione, di un monito, di un aiuto.

Tuttavia per chi ha speso la propria vita come grande servitore dello Stato e della comunità nazionale, la memoria di quei valori non appartiene solo ai suoi cari, agli intimi. Quella memoria appartiene anche a chi serve ancora nelle stesse istituzioni, a chi ha lavorato con lui, a chi vive lo stesso impegno ideale al servizio del paese, da qualsiasi parte politica intenda servirlo.

Antonio Ruberti, come giovane ricercatore, come professore, come rettore di questa prestigiosa università, come ministro, come commissario europeo, come parlamentare, come presidente della commissione per le politiche comunitarie, è stato un uomo della modernità.
Una modernità fondata su una sobria etica laica, mai subalterna e mai arrogante, sull’uso della ragione e sul freno dell’emozione, sull’Europa come frontiera e stimolo del nostro presente, su una concezione della politica che anteponeva la necessità di costruire al desiderio di apparire.

Nell’impegno politico non ha mai dimenticato la sua natura di scienziato; ma non fu mai un minuzioso specialista.
Cercò piuttosto, con l’autorevolezza che gli derivava dalle molteplici esperienze, di dare forza alla ricerca, alla conoscenza intesa come capitale immateriale della società, da accrescere, da accumulare e da diffondere.

Al suo impegno di Ministro si deve l’istituzione del Ministero della ricerca scientifica. Nell’ottobre 1997, alla Convenzione Nazionale del Movimento dei Democratici, Socialisti e Laburisti, egli racconterà sobriamente e con ironia le fasi di quella battaglia ideale e parlamentare.

A Bruxelles, giusto un anno fa, l’otto settembre del 1999, in un convegno internazionale dedicato alla società della conoscenza sottolineava la permanente necessità della ricerca. “C’è il rischio, diceva, di polarizzare l’attenzione sul trasferimento dei saperi, sulla loro diffusione e sulla loro utilizzazione…e di lasciare in secondo piano la produzione dei saperi e dunque la ricerca. Una tale asimmetria…è in contrasto con la caratteristica centrale della società della conoscenza, che sta proprio nella crescita dei saperi e del loro ruolo…Quando parlo di saperi mi riferisco a tutto l’insieme delle conoscenze: al sapere organizzato, scientifico tecnologico ed umanistico-artistico, prodotto degli intellettuali di professione; al sapere organizzativo, prodotto dalle organizzazioni (imprese e istituzioni); al sapere popolare di singoli e di gruppi (dai diari alle collezioni, dal dilettantismo al folclore).”

Prima ancora della sua passione per la ricerca come chiave della modernità, nel suo impegno risalta una visione non aristocratica dei saperi, moderna perché comprensiva delle forme multiple in cui si esprime il sapere contemporaneo, quello tecnologico, quello umanistico e persino quello popolare.
In questa visione che nulla trascura e nulla concede alle mode c’è la sua personalità di studioso, ma anche l’antica sapienza socialista della tradizione europea che rifugge dall’autocompiacimento intellettuale ed è attenta alle forme materiali, non paludate, in cui si esprime la conoscenza.

Sulla conoscenza Antonio Ruberti fonda il suo progetto di Europa. Nel convegno del Consiglio italiano del Movimento Europeo, che si tiene a Bari nel dicembre 1999, disegna un’idea di straordinario fascino. “ Così come si è costruito lo spazio comune delle merci e dei capitali occorre costruire uno spazio comune delle conoscenze… Se il nuovo paradigma è costituito dai saperi, è sui processi di produzione e di utilizzazione dei saperi che occorre perseguire la cooperazione e l’integrazione.”.
Quindi propone la costruzione di “reti della conoscenza” sostenendo che il tessuto di queste reti può avere per l’unità europea un ruolo analogo a quello giocato dall’istruzione e dalle reti di trasporto nella costruzione dell’identità degli Stati nazionali.
Questa sua intuizione si fonda su un’analisi rigorosa della specificità europea: in Europa, infatti, spiegherà in un’altra occasione, sono nate le Università, la scienza moderna, la tecnologia e l’industria.

Ruberti ci richiama costantemente alle radici culturali della nostra identità e ricordare qui, nell’Aula Magna della prima Università della Capitale, l’identità culturale europea come fondamento di una dimensione europea della conoscenza, non è solo un omaggio al pensiero dello studioso e del politico; è un omaggio che con lui abbiamo il dovere di rendere a tutti quelli che come lui qui hanno studiato e studiano, producono conoscenza e trasmettono saperi, organizzano ricerca.

Antonio Ruberti aveva fiducia nell’Europa. Ma si rendeva pienamente conto che l’Europa non deve sovrastare le realtà nazionali. Anzi, l’unico modo perché le istituzioni europee possano superare il deficit democratico, dice nel corso di un convegno del giugno 1998, è “far crescere il ruolo dei parlamenti nazionali”.
A Dublino, infatti, nell’ottobre 1996, la Conferenza delle commissioni specializzate per gli affari europei, aveva approvato una sua proposta che prevedeva un tempo utile entro il quale i parlamenti avrebbero potuto discutere con i governi le proposte che i governi stessi avrebbero successivamente preso in esame nelle istituzioni europee. La proposta Ruberti costituirà poi l’aspetto più significativo del protocollo allegato al trattato di Amsterdam che potenzia profondamente il ruolo dei parlamenti nella fase ascendente delle direttive comunitarie.

Presidente Ruberti, sei stato un rettore dinamico ed innovatore, sei stato un ministro efficiente, sei stato un parlamentare autorevole ed ascoltato, in Italia ed in Europa. Hai costruito cose che resteranno nella storia della modernizzazione italiana e della democrazia europea.
Sei stato un uomo gentile ed un gentiluomo.
La tua ironia non è mai diventata sarcasmo.
La tua cortesia non si è mai piegata all’omaggio condiscendente.
Sei stato imparziale senza essere neutrale.
Sei stato un uomo sereno, capace di ascoltare.
Nella tua vita hai seminato, hai raccolto ed hai seminato ancora.
Non hai mai avuto una parola di troppo; ma non sei mai stato reticente.
Sei stato un uomo giusto.

A questo punto, chi parla, per segnare il distacco, dice “Che la terra ti sia lieve”. Ma questa è solo una gentile ipocrisia.
La terra, in questo abbraccio, è terribilmente pesante. Lo sappiamo tutti.

Ma i tuoi valori, il senso della tua vita, la tua passione e la tua intelligenza stanno fuori di quell’abbraccio.
Stanno nei nostri cuori e nelle nostre intelligenze non come un antico ritratto, ma come una pianta giovane e forte che continuerà a dare i suoi frutti in questa Italia, che molto ti ha dato e molto ti deve.