Le regioni tra nuovi statuti e riforma federalista


Roma, 06/20/2000


*** Presentazione dell''indagine conoscitiva " Problematiche attuali della transizione costituzionale: dal federalismo amministrativo allo Stato federale" della Commissione parlamentare per le questioni regionali ***


La Commissione parlamentare per le questioni regionali presenta oggi i risultati di una indagine conoscitiva dedicata alle “problematiche attuali della transizione costituzionale: dal federalismo amministrativo allo Stato federale”.
Il fatto che noi oggi discutiamo di transizione costituzionale è la prova che in questa legislatura il Parlamento ha lavorato alle riforme, ha conseguito risultati e obiettivi, anche se il suo lavoro non è ancora completato.
Dopo il blocco dei lavori della Commissione bicamerale, Senato e Camera sono andati avanti e hanno realizzato, sia sul piano della legislazione ordinaria che sul piano della legislazione costituzionale, riforme istituzionali di rilievo, che già producono effetti e conseguenze positive sulla vita dei cittadini.
Sul piano del “federalismo fiscale ” si sono fatti notevoli passi in avanti.
Dal 1996 al 1998 il gettito dei tributi propri regionali è passato da 13 mila miliardi a oltre 62 mila miliardi, con un aumento del 320%.
Il decreto legislativo n.56 del 2000, emanato sulla base della legge di delega n.133 del 1999, dà alle regioni ulteriori risorse per complessivi 35 mila miliardi e garantisce loro una maggiore autonomia nella destinazione delle entrate tributarie.
E’ importante ora dare rapidamente attuazione alla delega anche per la parte relativa alla autonomia impositiva dei comuni.
Sono stati in questi giorni completati tutti gli adempimenti relativi alla individuazione delle risorse finanziarie, organizzative e umane da trasferire alle regioni e agli enti locali, in attuazione della riforma sul federalismo amministrativo. Si tratta di quasi 19 mila, tra impiegati e dirigenti, e di più di 22 mila miliardi, escluse le spese per il personale.
In questo modo, dopo l’attività di ripartizione e assegnazione delle risorse, che avverrà nei prossimi mesi, la riforma potrà diventare operativa, come previsto, dal 1° gennaio 2001.
La modifica degli articoli 121, 122, 123 e 126 della Costituzione, ha consentito l’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a statuto ordinario, ha creato un quadro di stabilità di governo nelle regioni e ha attribuito loro una ampia sfera di autonomia statutaria, sottraendo l’approvazione degli statuti ad ogni forma di controllo statale. L’unico vincolo è che essi siano “in armonia con la Costituzione”.
Lo statuto regionale dovrà disciplinare i delicati rapporti tra presidente, giunta, consiglio, corpo elettorale regionale.
L’autonomia statutaria delle regioni è una grande risorsa, che consentirà a ciascuna di esse di costruire il proprio assetto istituzionale non secondo modelli rigidamente imposti dall’alto, ma in aderenza alle diverse specificità.
Questa eterogeneità non deve preoccupare, perché sistemi elettorali diversi, forme di governo diverse, equilibri istituzionali diversi non sono di per sé sinonimo di frammentazione e di dispersione.
Ciò di cui invece ci si deve preoccupare è il quadro politico-istituzionale complessivo nel quale si colloca l’esercizio dell’autonomia statutaria, come passaggio fondamentale della costruzione del federalismo.
Autonomia statutaria, elezione diretta dei Presidenti, “federalismo fiscale”, “federalismo amministrativo”, sono tutti “pezzi” di un federalismo che non abbiamo ancora finito di costruire.
Per evitare che questi “pezzi di riforma”, diventino segmenti di una linea spezzata, occorrono due condizioni:
1) un disegno costituzionale unitario e omogeneo
2) un nucleo solido di principi e di valori
La prima condizione potrà essere realizzata già in questa legislatura, se le forze politiche, che si dichiarano tutte favorevoli al federalismo e ne proclamano l’urgenza, decideranno di restituire impulso all’esame del progetto di legge costituzionale di riforma federale della Repubblica che è all’ordine del giorno dell’Assemblea della Camera a partire dalla prima settimana di luglio.
La creazione di un quadro costituzionale omogeneo e coerente impone che entro questa legislatura si approvi anche il disegno di legge costituzionale sulla elezione diretta dei Presidenti delle regioni a statuto speciale, approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati e attualmente all’esame dell’Assemblea del Senato.
I problemi di raccordo tra la nuova forma di Stato e l’impianto istituzionale complessivo, che dovessero rimanere aperti, potrebbero essere affrontati e risolti fin dall’inizio della prossima legislatura, senza creare soluzioni di continuità in un processo di riforma che deve essere portato a conclusione nell’interesse del Paese, a prescindere dallo schieramento politico che governa in un dato momento.
Questo punto si collega alla seconda condizione, quella del nucleo di principi e di valori sul quale vogliamo costruire il federalismo.
La riforma del federalismo, intesa come ridefinizione del rapporto fra le diverse comunità politiche che costituiscono lo Stato nazionale (autonomie locali, regioni, stato) non può essere compiuta in un clima di contrapposizioni e lacerazioni.
Il federalismo è la forma moderna dell’unità nazionale. E’ una occasione per rafforzare la coesione nazionale, intesa non come minaccia o costrizione, ma come scelta condivisa di libertà, di responsabilità, di crescita della democrazia.
Il federalismo non può ridursi ad una mera operazione di spostamento di poteri e di risorse sul territorio.
Il federalismo, infine, è la leva moderna dell’integrazione nell’unità dello Stato di tutte le realtà regionali.
All’inizio della Repubblica il problema di fondo era l’integrazione dei deboli; allora il centralismo fu un potente fattore di unificazione.
Ora che siamo una delle più forti nazioni del mondo, il federalismo oltre a svolgere le funzioni già indicate, costituisce lo strumento per una seconda integrazione, quella dei forti, che altrimenti maturerebbero crescente astio e separatismo nei confronti dell’unità nazionale.
Si tratta invece di ridefinire i diversi livelli di rappresentanza e di decisione politica in funzione dei bisogni dei cittadini.
Trasferire competenze, risorse, responsabilità dal centro alla periferia, secondo il principio di sussidiarietà, significa evitare che le comunità territoriali più piccole (comuni e province) si sentano schiacciate dal peso delle comunità politiche più vaste (regioni e stato).
Su questo punto si misurerà – anche in occasione della approvazione degli statuti - la maturità delle regioni come soggetti di governo.
Si misurerà la loro capacità di lasciarsi alle spalle ogni tentazione di centralismo e di divenire snodi fondamentali di costruzione di un moderno sistema democratico.